La difficoltà di comprendere l'atteggiamento "conservatore" sta nel suo porsi, per così dire, a metà strada tra il liberale e il controrivoluzionario. Ciò che lo separa da entrambi è lo spirito fideistico che spinge i primi ad abbracciare la causa dell'individuo e del progresso, i secondi quella d'una religiosità integralista.
Il conservatore resta fondamentalmente uno scettico. Come Churchill pensa che "se apriamo una disputa permanente tra il passato ed il presente, ci ritroveremo nella scomoda posizione di chi ha perso il futuro".
Il conservatore se non è un illuminista nemmeno è un'oscurantista. Ed è questa posizione intermedia che gli procura, a destra e a manca, la spiacevole ed ingiusta accusa di opportunismo. Scrive Sergio Romano: "Quando attribuisce ai grandi conservatori motivazioni grette ed egoistiche, la storiografia di sinistra (ma anche quella di destra, aggiungo io) trascura o sottovaluta l'angoscia e il pessimismo che si nascondono nel fondo della loro coscienza. Se non è così sciocco e miope da scambiare i mezzi per i fini, il "Vero Conservatore" è sempre pronto a correggere la propria politica e ad abbandonare lungo la strada una parte dei propri desideri. (...) Il problema per il "Vero Conservatore" non è conservare tutto, a tutti i costi, ma frenare per quanto possibile la "marcia inarrestabile del progresso", correggere gli impulsi emotivi della società, evitare che il nuovo travolga il patrimonio di tradizioni e culture su cui è stato costruito il mondo a cui egli appartiene".