Il 5 Novembre in America si sono tenute varie consultazioni elettorali per il rinnovo di alcune cariche locali. I media italiani si sono subito fiondati a capofitto sulla vittoria del nuovo sindaco di New York, il Democrat liberal e progressista Bill di Blasio, quale nuova emblematica figura del “politicamente e fiscalmente corretto”, e in quelle dei suoi compagni di partito a Boston, Atlanta, Houston e Seattle.
Non hanno mancato di evidenziare benevolmente anche il rinnovo di mandato del governatore Repubblicano Chris Christie nel New Jersey, assieme alla notizia che quegli stessi elettori del ‘Garden State’ hanno anche approvato l’aumento del salario minimo a 8,25 dollari l’ora dagli ormai precedenti 7,25 dollari.
Ma oltre al referendum promosso dai sindacati sul salario minimo del New Jersey o a quello sui casinò dello Stato di New York si sono tenute altre 29 consultazioni in tutti gli Stati Uniti. In Colorado oltre al quesito per l’introduzione di una discutibile tassazione del 25% sulle droghe leggere allo scopo di finanziare l’edilizia scolastica, è stato chiesto agli elettori di alcune contee del ‘Centennial State’ di esprimersi sulla proposta di loro separazione istituzionale al fine di formare un 51° Stato degli Stati Uniti chiamato al momento ‘Northern Colorado’, ‘North Colorado’ o ‘Northeast Colorado’.
Prima però di analizzare l’esito del voto separatista è necessario ripercorrere le tappe e le motivazioni di tale consultazione. Tutto ha inizio Martedì 4 Giugno 2013, quando Sean Conway, uno dei cinque commissari di Weld County, assieme ai suoi colleghi delle vicine contee di Morgan, Logan, Sedgwick, Phillips, Washington, Yuma e Kit Carson, recependo le lamentele dei loro cittadini residenti circa i provvedimenti presi dal governo progressista dello Stato (sul controllo delle armi, il fracking, sulle leggi più restrittive sulla violenza contro gli animali, sulle nuove regolamentazioni sul trasporto, sull’agricoltura e soprattutto sul Senate Bill 252) decidono di considerare la possibilità di separarsi dal resto dello Stato.
Il 6 Giugno 2013, i commissari delle contee decidono di creare una piattaforma secessionista per il nuovo Stato, denominata 51st State Initiative per promuovere l’iniziativa a vari livelli, prendendo contatti con altre contee in tutto il Colorado, dialogando anche con quelle tradizionalmente Democrats, ai fini di promuovere la causa separatista in diversi incontri pubblici, utili per raccogliere l’input dalla comunità sulla questione e ricevere ampio sostegno.
Non è dunque solo una questione di rappresentanza politica a Denver, ma soprattutto una questione economica e fiscale. Il petrolio, il gas e l’agricoltura locale sono stati presi di mira dal governo statale. Il recente disegno di legge S.B. 252, sulle energie rinnovabili, impone entro il 2020 a tutte le contee del Colorado una maggiore restrizione del settore petrolifero e del gas e l’utilizzo del 25% di energia ricavata per il consumo da fonti rinnovabili, con un aggravio degli oneri finanziari per alcune contee rurali.
Tale ideologica svolta energetica verde impressa dal governatore Democrat John Hickenlooper, rischia di danneggiare seriamente il bilancio dell’industria petrolifera locale (stimata per quest’anno a 7,5 miliardi di dollari), mettendo a rischio gli annunciati investimenti regionali per svariati miliardi in trivellazioni nella regione (la quale ospita il 33% dei pozzi del Colorado), da parte della Noble Energy Inc., Anadarko Petroleum Corp., con conseguenze negative incidenti sull’occupazione lavorativa e sugli investimenti locali infrastrutturali.
La natura di tale iniziativa separatista delle contee del Colorado è un rinnovato esempio concreto di un diffuso sentimento secessionista, il quale benché possa essere ricondotto anche al fenomeno emerso sul finire del 2012 con le petizioni per secedere dall’Unione, in realtà è un principio e una pratica politica americana connaturata con la storia degli Stati Uniti in opposizione al centralismo e dirigismo della politica a vari colori e livelli istituzionali.
Jeffrey Hare, uno dei capi del movimento per il Nord Colorado, lo ha ribadito al Denver Post: «il cuore della 51st State Initiative è semplice: vogliamo solo essere lasciati in pace a vivere la nostra vita senza restrizioni e senza la mano pesante dal Campidoglio dello Stato».
I residenti delle 11 contee aspiranti al separatismo hanno esercitato sulla scheda referendaria il diritto di voto per decidere se avviare il processo di formazione del nuovo Stato. L’esito della consultazione ha però visto prevalere i sì (in favore della separazione dallo Stato del Colorado) solo nelle contee di Cheyenne, Kit Carson, Phillips, Washington e Yuma. Le contee di Weld, Elbert, Lincoln, Logan, Sedgwick e Moffat hanno bocciato la proposta.
Da evidenziare come tra queste ultime vi sia anche Weld County, che situata sul confine nord del Colorado, coi suoi 250 mila abitanti oltre ad essere la più estesa (è più grande del Delaware e del Rhode Island) è anche la più popolosa e ricca, ed era la capofila del comitato secessionista.
Al momento la richiesta formale, relativa alle 11 contee, è dunque stata bocciata dalla maggioranza relativa dei territori interpellati. Se il referendum delle contee fosse stato approvato dai residenti, si sarebbe avviato l’iter con una sua valutazione da parte della Legislatura dello Stato del Colorado (attualmente a maggioranza Democrats) per un parere vincolante.
Ove vi fosse l’ok della Legislatura sulla legittimità della richiesta di nuova statualità emersa dal referendum locale, tale richiesta verrebbe infine inviata al Congresso degli Stati Uniti per l’ultima eventuale autorizzazione, così come asserito nell’articolo 4 sezione 3 della Costituzione degli Stati Uniti: «nessun nuovo Stato deve essere formato o eretto sotto la giurisdizione di un altro Stato, né alcuno Stato può essere formato dalla confluenza di due o più Stati membri, o parti di Stati membri, senza il consenso delle Legislature degli Stati interessati, nonché del Congresso».
Secondo Richard Collins, professore di diritto presso l’Università del Colorado, il voto referendario locale, anche in caso di vittoria relativa dei sì nelle 11 contee, non sarebbe nemmeno stato sufficiente al fine di procedere al vaglio da parte della Legislatura. La proposta probabilmente avrebbe infatti richiesto anche un preliminare successivo voto referendario favorevole interpellando sul quesito tutte le 64 contee dello Stato, il che renderebbe assai improba la separazione delle 11 richiedenti.
Ciò significa che un ‘Nord Colorado’ dovrebbe essere inizialmente approvato dagli elettori delle contee interessate e poi da una maggioranza di elettori abitanti in Colorado in seguenti consultazioni. Infine, il legislatore statale e il Congresso federale dovrebbero approvare l’iniziativa.
Ove vi fosse esito positivo si procederebbe con una modifica dell’attuale Costituzione del Colorado, affinché essa ridefinisca i nuovi confini dello Stato, con un nuovo voto dei restanti abitanti del Colorado sulla nuova Carta. Col risultato ottenuto tutto ciò è per il momento non realizzabile.
A fronte però di tale prassi prevista dalla legge, dato che il risultato emerso era comprensivo delle sole contee aspiranti secessioniste, sorge spontanea la domanda sui motivi che hanno prodotto tale esito sfavorevole alla causa separatista in primo luogo nella maggioranza relativa delle stesse 11 contee promotrici della proposizione.
Come mai a Moffat County la proposta è stata bocciata con il 54,8% di votanti? E perché ad Elbert County il 74% degli elettori hanno detto di ‘no’ all’idea di rompere con lo Stato a guida Democrats? Perché a Sedgwick County i no sono stati il 57%? Cosa è successo a Logan County affinché gli estimatori dell’unità dello Stato si siano affermati addirittura con il 56,7%? Nonostante il nome, anche la contea di Lincoln era tra quelle aspiranti secessioniste, ma allora perché i ‘no’ sono poi stati il 55,5% dei voti? Infine perché il 58% dei votanti di Weld County, epicentro del movimento secessionista, ha votato contro il progetto promosso in primo luogo da tale comunità?.
A differenza di superficiali e grottesche stereotipate analisi giornalistiche, attribuenti il fallimento dell’esito consultivo all’incidenza della propaganda ambientalista o perfino all’onda lunga del trend politico nazionale (che dal 2012 ad oggi parrebbe in apparenza segnare una svolta a sinistra dell’America in favore dei Democratici), il motivo di fondo del flop del referendum va identificato nella “guerra civile” interna al Partito Repubblicano tra le componenti moderate dell’establishment da una parte, e le fazioni libertarie e Tea Party dall’altra.
Le contee che aspiravano alla separazione si identificano politicamente col Partito Repubblicano (ad esempio, la coerente contea separatista di Yuma è composta all’incirca per il 70% da elettori Repubblicani e per il 30% da Democratici) ma avendo esse votato il centrista Mitt Romney con una media di quasi il 60% dei voti durante le elezioni presidenziali del 2012, tendono ad essere dedite a un conservatorismo moderato, perlopiù legate all’espressione e agli interessi della leadership del partito e a posizioni social-conservatrici della destra religiosa (alle primarie GOP 2012 gran parte di esse ha votato Rick Santorum).
Come è avvenuto nella elezione per il governatore della Virginia, che ha visto la vittoria del clintoniano Terry McAuliffe, anche in Colorado il GOP si è spaccato. Le egemoniche componenti moderate e centriste hanno invitato a votare ‘no’ alla separazione di tali contee settentrionali dal Colorado assieme ai residenti Democratici; mentre le componenti dei Tea Party e i libertari del GOP, essendo tra i promotori del comitato referendario separatista, hanno invitato a votare ‘si’ in favore della secessione.
L’establishment GOP locale presente nelle contee separatiste, per ragioni di opportunità e di carriera in ambito legislativo statale e nazionale, non aveva alcuna intenzione di ridimensionare la propria visibilità politica ed elettorale in un nuovo Stato avente dimensioni inferiori a quelle dell’attuale Colorado.
Nei mesi scorsi il Repubblicano Lew Ghetta, commissario di Larimer County, commentando con la stampa l’iniziativa referendaria ha dichiarato inequivocabilmente che non intende rompere il Colorado, «sono felice di essere nello Stato del Colorado e non ho alcun interesse nel dividere parte dello Stato. Se domani ci fosse un voto sulla scheda elettorale, sarebbe un voto No». Anche il suo collega, il Repubblicano Steve Johnson, era nettamente contrario alla proposta, «è semplicemente pazzesca, non c’è altro modo per descriverla».
Inoltre non sono mancate raccomandazioni bipartisan provenienti da Denver affinché si salvaguardasse lo status quo, ovvero che le entrate di Weld e delle altre contee sediziose, aumentate di anno in anno come gettito fiscale complessivo, continuassero a contribuire per il 70% al bilancio dello Stato. Quei dollari ovviamente non ritornano nel nord-est del Colorado ma vengono spesi a livello bipartisan nel resto delle 53 contee dello Stato e nella sua capitale.
Benché alcune contee del nord-est del Colorado abbiano un elettorato favorevole alla secessione, gli interessi politicanti e di sistema hanno prevalso sulle ragionevoli tesi della 51st State Initiative. Inoltre non tutte le contee si sono mobilitate, in quanto i promotori del referendum non sono riusciti a persuadere massicciamente i loro elettori in favore del ‘sì’. Ironia della sorte la proposta secessionista è stata bocciata anche nell’attivissima Weld County mentre è stata approvata a Yuma che, secondo Trent Bushner (commissario e agricoltore della contea di Yuma), nei mesi scorsi «non ha preso provvedimenti formali» sulla proposta.
Tant’è che lo stesso Bushner, temendo una batosta alle urne, dichiarava prudentemente come l’obiettivo principale non fosse quello di formare un nuovo Stato, ma di fare in modo che i politici delle aree urbane e suburbane dello Stato prestassero maggiore attenzione agli agricoltori dello Stato. «Onestamente, questa è un’idea che non avrà mai luogo, ma così facendo diremo a loro che non stanno rappresentando tutto lo Stato. Abbiamo pensato che potrebbe comunque muovere le cose. Continuo comunque a pensare che sia un’iniziativa molto meritevole d’attenzione».
Bisogna però far notare come l’esito delle urne, benché nel suo risultato di scopo conseguito possa essere giudicato deludente ed una sconfitta per i promotori, in realtà non sia stato un flop assoluto come temevano alla vigilia. Nei mesi scorsi il commissario Doug Rademacher riconosceva che «le nostre possibilità di successo sono sotto il 50%», ma se teniamo presente che essa era la prima consultazione organizzata in Colorado in tale area dello Stato, e che per un analogo precedente bisogna tornare alla metà degli anni ’30 del XX° secolo (con la richiesta di secessione dallo Stato di Huerfano County) l’esito è senz’altro positivo.
Laddove i ‘sì’ hanno vinto, la volontà secessionista si è manifestata con numeri superiori alle più rosee aspettative. A Kit Carson County il 52% dei votanti hanno dato il loro benestare per la secessione; nella Washington County il 58% erano favorevoli all’iniziativa; nella Phillips County i sì hanno ottenuto il 62 %; a Cheyenne County il 62%, e nella contea di Yuma il 59%.
A fronte di tali numeri positivi ottenuti in queste contee, dopo lo spoglio referendario, Sean Conway ha dichiarato al Denver Post che il movimento per il 51° Stato si è fermato nella sua contea ma che ci sono stati benefici positivi della campagna secessionista. «Gli elettori a Weld County hanno fatto una scelta che non dovremmo perseguire e non vogliamo perseguire, ma noi continueremo a guardare ai problemi del divario tra zone urbane e rurali in questo Stato».
Anche Tommy Holton, sindaco di Fort Lupton, ha dichiarato che, benché la secessione non abbia avuto un unanime successo, tale proposta può far luce sulle rimostranze del Colorado rurale; «noi non solo vogliamo essere al tavolo ma vogliamo avere voce in capitolo a quel tavolo» ha dichiarato.
Nell’analisi del voto è bene tener presente che in 5 contee gli elettori votanti hanno espresso democraticamente in maggioranza in favore di una separazione da Denver e per un nuovo Stato. Non è detto né che queste non cerchino di far valere da sole il loro voto espresso in questo referendum consultivo, ribadendolo in una futura nuova consultazione referendaria territorialmente ristretta; né che queste non proseguano la loro battaglia di autodeterminazione impugnando l’esito di questo referendum consultivo (anche al di là che le restanti 6 del gruppo iniziale si siano opposte).
Al momento le 5 contee separatiste sono in una sorta di “limbo procedurale” che ricorda solo vagamente il precedente del referendum del 1993 tenutosi a Staten Island (enclave Repubblicana nella liberal NYC) per secedere dalla ‘Grande Mela’. In quell’occasione pur avendo vinto la tesi separatista alle urne non si è poi dato un seguito politico fattuale alla proposta a causa dell’elezione concomitante a sindaco del Repubblicano Rudolph Giuliani.
A Staten Island mancò da parte della politica la volontà di dar seguito al risultato delle urne, nel caso delle 5 contee separatiste del Colorado pur essendovi una volontà politica da parte dei commissari e degli elettori votanti, il risultato si scontra con le leggi federali e dello Stato e con valutazioni di ordine procedurale e politico-istituzionale. Questo è indicativo di come non sempre il voto emerso dalle urne, anche laddove esso è a maggioranza secessionista quale suo risultato, sia sufficiente per dichiarare una secessione di un territorio.
Senza Weld e le altre contee votanti ‘no’, al momento tale ipotetico ed immaginario “51° Stato” ospiterebbe all’incirca 125 mila abitanti. Le contee che hanno votato ‘sì’ per il Nord Colorado hanno ciascuna una popolazione inferiore ai 10 mila abitanti, il che è una massa demografica insufficiente per giustificare il loro riconoscimento a nuovo Stato anche ove, per assurdo, esse riuscissero a far prevalere le loro ragioni emerse dalle urne davanti al Legislatore.
I Rappresentanti per il Congresso degli Stati Uniti sono infatti assegnati numericamente ad ogni Stato in base alla popolazione censita. Il Wyoming, con circa 576 mila abitanti, ha un solo deputato al Congresso. Anche se le 11 contee secessioniste avessero dichiarato all’unisono il loro ‘sì’ e l’intera procedura di separazione fosse stata accolta, il Nord Colorado avrebbe solo circa 375 mila abitanti.
Ma al di là di ciò, se anche vi fossero stati 11 ‘sì’ è assai improbabile che la Legislatura Democrats del Colorado avrebbe approvato la richiesta uscita dalle urne, reindirizzandola poi al Congresso, sapendo che essa porterebbe a riconoscere la statualità nell’Unione americana di un territorio votante massicciamente per i Repubblicani. Un nuovo Stato garantirebbe un cambio degli equilibri di potere tra i due partiti nel numero dei seggi conteggiati al Senato (dove i Democratici sono in maggioranza).
La Costituzione degli Stati Uniti garantisce a tutti gli Stati membri due senatori a Washington DC, e la loro aggiunta in rappresentanza di un Nord Colorado divenuto 51° Stato sarebbe uno scenario che favorirebbe i Repubblicani (soprattutto le fazioni più intransigenti di tale partito) a scapito dei Democrats.
I secessionisti laddove hanno prevalso alle urne non potranno legalmente organizzare loro organismi neostatuali di rappresentanza, al netto della sentenza della Corte Suprema Reynolds v. Sims del 1964; dunque non possono né realizzare una Assemblea Legislativa del Nord Colorado avente valore legale, né concorrere come il Wyoming ad un unico rappresentante in Congresso e a due senatori degli Stati Uniti al pari di ogni Stato membro.
L’interesse per tale progetto forse non è definitivamente tramontato. In primo luogo nulla impedisce lo svolgimento in loco di future analoghe iniziative referendarie; in secondo luogo, stando ai suoi promotori, tale futuribile nuovo Stato non sarebbe limitato alle sole contee del Colorado.
Secondo il commissario Doug Rademacher anche le contee del confinante Kansas e del Nebraska occidentale potrebbero essere interessate a secedere ed aderire in quello che sarebbe un nuovo Stato costituto da tali territori separatisi dagli attuali Stati esistenti.
La Costituzione degli Stati Uniti recita che gli Stati devono avere le loro contee contigue tra loro per essere tali, dunque non è detto che in futuro non si assista ad analoghe consultazioni referendarie in Kansas e Nebraska, le quali, ove avessero esito positivo, potrebbero rafforzare anche le rivendicazioni separatiste delle 5 contee sul piano nazionale, e forse persuadere anche Weld County e le altre verso tale esito (Moffat County non essendo contigua alle altre 10 potrebbe chiedere di aderire al Wyoming o allo Utah).
Tuttavia, i nuovi Stati membri possono essere formati da dentro i confini di un altro Stato unendo due o più porzioni di Stati solo con il consenso delle legislature statali interessate e del Congresso. Molto dipenderà quindi dall’esito della lotta a livello nazionale e locale tra le fazioni del GOP fin dalle prossime elezioni di medio termine nel 2014 per il rinnovo del Congresso.
Le primarie di partito potrebbero consentire alle fazioni separatiste del GOP del Colorado di rafforzarsi su quelle moderate anche per concorrere alle cariche di rappresentanza locali e all’Assemblea generale del Colorado, quali tribune ove promuovere la loro causa.
I precedenti storici autorizzano ad immaginare uno scenario futuro statunitense differente anche rispetto a quanto il movimento delle petizioni secessioniste e i vari gruppi indipendentisti statuali presenti in Texas, Hawaii, Alaska, New Hampshire, Wisconsin, Vermont, Ohio, e New York hanno sempre paventato, sulla scia di una visione neoconfederata, quale ripudio integrale dell’egemonica sovranità federale degli Usa.
Il processo d’autodeterminazione potrebbe non solo tradursi come una mera secessione “centrifuga” ma anche come l’avvio di una moltiplicazione interna “endogena” alle esistenti realtà istituzionali federali, di nuovi enti ed istituzioni concorrenziali a misura di cittadino sul territorio. The Christian Science Monitor, citando il National Constitution Center di Philadelphia, riporta come storicamente in seno agli Stati Uniti si siano così costituiti, da altri preesistenti, alcuni degli attuali Stati. Questo processo è «già stato utilizzato con successo per creare cinque vigenti Stati degli Stati Uniti: per il Vermont (dallo Stato di New York nel 1791), per il Kentucky (dalla Virginia nel 1792), per il Tennessee (dalla North Carolina nel 1796), per il Maine (dal Massachusetts nel 1820), e per la West Virginia (dalla Virginia nel 1863)».
Le richieste di creazione di un nuovo Stato, con conseguente separazione da quello vigente, sono dettate da motivi di ordine economici-fiscali, politici ed ideologici. Come ricordava Pat Buchanan in precedenti suoi articoli (si legga qui e qui), già oggi gli Stati Uniti sono divisi tra Stati conservatori e Stati progressisti.
Osservando le dinamiche di voto nel corso delle varie tornate elettorali si possono riscontrare come vi siano non solo Stati ma addirittura contee o cittadine dove la preferenza di voto espressa è da decenni consolidata verso un primato di preferenza politica ‘rossa’ o ‘blu’ attestante una chiara proiezione in urna dell’identità, della visione culturale e dello stile di vita presente in esse da parte dei loro residenti.
E’ probabile che vi possa essere una futura ridefinizione dei confini degli attuali 50 Stati con una loro destrutturazione/scomposizione interna verso un loro ulteriore decentramento, con una loro frammentazione di dimensioni, e un loro aumento complessivo di numero, quali Stati membri entro l’architettura federale federata. Questa prospettiva sarebbe una soluzione interna meno problematica e legalmente fattibile, quale prassi esistente legalmente e storicamente riconosciuta a livello costituzionale, rispetto ad un tentativo secessionista sul modello del 1861.
Benché esso non sia sempre in sé risolutivo, quale sua attuazione da parte della politica e a partire dal voto espresso in urna dalla popolazione, il diritto di voto sull’autodeterminazione territoriale con l’indizione di referendum neostatuali o separatisti, è lo strumento democraticamente riconosciuto a disposizione dei cittadini statunitensi residenti per contestare il centralismo statale e per autodeterminarsi sul piano delle scelte politiche istituzionali nel modello di governance di un territorio all’interno dell’Unione americana.
Nord Colorado: 5 delle 11 contee separatiste hanno votato sì al referendum | L'Indipendenza