Risultati da 1 a 10 di 10
  1. #1
    chi è l'uomo?
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    Predefinito IO SONO COLUI CHE SONO, IL NOME DI DIO

    Benchè a volte sembra voglia lasciarsi intendere che non sia possibile conoscere il Nome di Dio, dalla lettura meditata delle Sacre Scritture emerge altra realtà.

    E cioè, proprio il fatto che Iddio vuole che il Suo Nome sia conosciuto, invocato, ricercato, glorificato, santificato, adorato, così come Egli è.

    L'IO SONO COLUI CHE SONO, ad esempio, col quale Iddio si presentò a Mosè, non è infatti rimasto tale col trascorrere dei tempi biblici.

    Nessun dubbio circa il fatto che Iddio si sia manifestato all'uomo nella maniera più chiara e completa possibile, nella progenie della donna, nel Suo Figliuolo Gesù Cristo, JOSHUA.

    E' proprio Gesù Cristo infatti, Colui che, nel compimento dei tempi, ha presentato al mondo quell'IO SONO, in maniera evidente e risplendente.

    Interessante, a riguardo, fare qualche considerazione.
    ........ma il dono di Dio è la vita eterna, in Cristo Gesù, nostro Signore.
    (Romani 6:23)

    chiese e comunità cristiane evangeliche

  2. #2
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    Predefinito Re: IO SONO COLUI CHE SONO, IL NOME DI DIO

    Citazione Originariamente Scritto da nomeutente Visualizza Messaggio
    Benchè a volte sembra voglia lasciarsi intendere che non sia possibile conoscere il Nome di Dio, dalla lettura meditata delle Sacre Scritture emerge altra realtà.

    E cioè, proprio il fatto che Iddio vuole che il Suo Nome sia conosciuto, invocato, ricercato, glorificato, santificato, adorato, così come Egli è.

    L'IO SONO COLUI CHE SONO, ad esempio, col quale Iddio si presentò a Mosè, non è infatti rimasto tale col trascorrere dei tempi biblici.

    Nessun dubbio circa il fatto che Iddio si sia manifestato all'uomo nella maniera più chiara e completa possibile, nella progenie della donna, nel Suo Figliuolo Gesù Cristo, JOSHUA.

    E' proprio Gesù Cristo infatti, Colui che, nel compimento dei tempi, ha presentato al mondo quell'IO SONO, in maniera evidente e risplendente.

    Interessante, a riguardo, fare qualche considerazione.
    La mia considerazione sul nome di Dio più appropriato, per me, è quello che mio Fratello, Amico e Signore mio – Gesù Cristo, mi ha insegnato nel rivolgersi a lui, l'Onnipotente e Padre suo; e che è diventato Padre mio, Grazie al Figlio suo che mi ha salvato ed essendo io diventato una “nuova creatura in Cristo, posso con fede e grazia sua chiamarlo PADRE mio che sei nei cieli...

  3. #3
    chi è l'uomo?
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    Predefinito Re: IO SONO COLUI CHE SONO, IL NOME DI DIO

    Citazione Originariamente Scritto da solocristiano Visualizza Messaggio
    La mia considerazione sul nome di Dio più appropriato, per me, è quello che mio Fratello, Amico e Signore mio – Gesù Cristo, mi ha insegnato nel rivolgersi a lui, l'Onnipotente e Padre suo; e che è diventato Padre mio, Grazie al Figlio suo che mi ha salvato ed essendo io diventato una “nuova creatura in Cristo, posso con fede e grazia sua chiamarlo PADRE mio che sei nei cieli...
    Rivolgersi a Dio come al Padre è una delle cose più buone che l'uomo possa mai realizzare.

    A riguardo, ad esempio, gli insegnamenti del Cristo, così come riportati nei Vangeli, sono indiscutibili.

    Sono fermamente convinto che il Padre, nel Suo grande amore, desideri fortemente ricavare dall'uomo dei figliuoli, suoi figliuoli.

    Romani 8:28-30
    Or noi sappiamo che tutte le cose cooperano al bene, a coloro che amano Iddio; i quali son chiamati secondo il suo proponimento. Perciocchè coloro che Egli ha innanzi conosciuti, li ha eziandio predestinati ad esser conformi all'immagine del suo Figliuolo; acciocchè Egli sia il primogenito fra molti fratelli. E coloro ch'Egli ha predestinati, essi ha eziandio chiamati; e coloro ch'Egli ha chiamati, essi ha eziandio giustificati; e coloro ch'Egli ha giustificati, essi ha eziandio glorificati. (Diodati)

    Romani 8:28-30
    Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che Egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché Egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati. (CEI/Gerusalemme)

    Romani 8:28-30
    Ora sappiamo che Dio fa cooperare tutte le sue opere per il bene di quelli che amano Dio, quelli che sono chiamati secondo il suo proposito; poiché quelli ai quali diede il suo primo riconoscimento ha anche preordinato ad essere modellati secondo l’immagine del Figlio suo, affinché sia il primogenito tra molti fratelli. Inoltre, quelli che ha preordinati sono quelli che ha anche chiamati; e quelli che ha chiamati sono quelli che ha anche dichiarati giusti. Infine quelli che ha dichiarati giusti sono quelli che ha anche glorificati. (Traduzione del Nuovo Mondo)
    ........ma il dono di Dio è la vita eterna, in Cristo Gesù, nostro Signore.
    (Romani 6:23)

    chiese e comunità cristiane evangeliche

  4. #4
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    Predefinito Re: IO SONO COLUI CHE SONO, IL NOME DI DIO

    Citazione Originariamente Scritto da nomeutente Visualizza Messaggio
    Benchè a volte sembra voglia lasciarsi intendere che non sia possibile conoscere il Nome di Dio, dalla lettura meditata delle Sacre Scritture emerge altra realtà.

    E cioè, proprio il fatto che Iddio vuole che il Suo Nome sia conosciuto, invocato, ricercato, glorificato, santificato, adorato, così come Egli è.

    L'IO SONO COLUI CHE SONO, ad esempio, col quale Iddio si presentò a Mosè, non è infatti rimasto tale col trascorrere dei tempi biblici.

    Nessun dubbio circa il fatto che Iddio si sia manifestato all'uomo nella maniera più chiara e completa possibile, nella progenie della donna, nel Suo Figliuolo Gesù Cristo, JOSHUA.

    E' proprio Gesù Cristo infatti, Colui che, nel compimento dei tempi, ha presentato al mondo quell'IO SONO, in maniera evidente e risplendente.

    Interessante, a riguardo, fare qualche considerazione.
    Anche se il presente mio intervento è un po’ lunghetto, vale però la pena considerare l’argomento nel suo insieme, per meglio valutare, sia come la TNM ha tradotto il passo in questione e sia l’importanza che ha sul piano teologico.

    5. GIOVANNI 88

    Gesù disse: In verità, in verità vi dico: Prima che Abramo fosse nato io sono.

    Chi legge questo testo nella versione della TNM della Torre di Guardia: «Gesù disse loro: Verissimamente vi dico: Prima che Abramo venisse all’esistenza, io sono stato», con ragione si chiede perché mai questo testo è stato tradotto in quel modo. Noi non ci stancheremo mai di ripetere che la Torre di Guardia fa del tutto, anche là dove è impossibile, come in questo passo, per falsificare il testo sacro, con traduzioni molto dubbie, per non far vedere la deità di Gesù Cristo.

    Sarà nostro dovere, comunque, smascherare questa loro pretesa di sapere interpretare correttamente i testi originali, come del resto abbiamo fatto in altra parte di questo libro, facendo vedere al lettore, la loro incoerenza nel tradurre le due parole greche del nostro testo.

    Le due parole greche di Giovanni 88 sono: egō eimi. Egō, è pronome di prima persona e significa sempre: «Io» e serve principalmente a mettere in risalto il soggetto di prima persona, per distinguerlo da altri soggetti. Eimi, significa: «Essere, essere in realtà, esistere, sussistere; vivere, aver luogo, succedere, avvenire, durare». In tutti i testi del N.T. in cui [egō eimi] ricorre, si traduce «sempre»; Io sono, sempre col tempo presente, e mai col «passato prossimo».

    Questa forma di Giovanni, ha un suo particolare significato, sia sul piano religioso che teologico. Basti pensare alle 26 volte che ricorre nel solo evangelo di Giovanni, in confronto alle sei volte che risulta nei Sinottici.
    Per dare al lettore la dimostrazione di quanto sia importante questa espressione egō eimi nel N.T., passeremo in rassegna tutti i sei testi dei Sinottici e i 26 passi di Giovanni, tenendo d’occhio come questi testi sono stati interpretati dalla TNM, così che il lettore, alla fine, potrà vedere quante volte la frase in questione, è stata tradotta col tempo di «passato prossimo». Inoltre, metteremo tra parentesi quadre le due parole greche dei vari testi che citeremo e tra parentesi, la versione della TNM.

    a) I SINOTTICI

    Matteo 14:27:
    Ma subito Gesù parlò loro e disse: State di buon animo, son io [egō eimi] (sono io).

    Matteo 24:
    Poiché molti verranno sotto il mio nome, dicendo: Io sono [egō eimi] il Cristo (Io sono).

    Marco 60:
    Perché tutti lo videro e ne furono sconvolti. Ma Egli subito parlò loro e disse: State di buon cuore, sono io [egō eimi] (Sono io).

    Marco 13:6:
    Molti verranno sotto il mio nome, dicendo: Son io [egō eimi] e ne sedurranno molti (Son io).

    Marco 14:62:
    E Gesù disse: Sì, Io sono [egō eimi] e vedrete il Figliuol dell’uomo seduto alla destra della potenza (Lo sono).

    Luca 21:8:
    Ed egli disse: Guardate di non essere sedotti; perché molti verranno sotto il mio nome, dicendo: Son io; [egō eimi] e: Il tempo è vicino; non andate dietro a loro (Sono io).

    b) GIOVANNI

    Giovanni 4:26:
    Gesù le disse: Io che ti parlo, son d’esso [egō eimi] (Sono io)

    Giovanni 6:20:
    Ma egli disse loro: Son io [egō eimi] non temete (Sono io).

    Giovanni 65:
    Gesù disse loro: Io sono [egō eimi] il pan della vita (Io sono)

    Giovanni 6:41:
    I Giudei perciò mormoravano di lui perché aveva detto: Io sono,[/I] [egō eimi] il pane ch’è disceso dal cielo (Io sono).

    Giovanni 6:48:
    Io sono [egō eimi] il pane della vita (Io sono).

    Giovanni 61:
    Io sono [egō eimi] il pane vivente, che è disceso dal cielo (Io sono).

    Giovanni 8:12:
    Or Gesù parlò loro di nuovo, dicendo: Io son [egō eimi] la luce del mondo; chi mi seguita non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita (Io sono).

    Giovanni 8:18:
    Or son io [egō eimi] a testimoniar di me stesso, e il Padre che mi ha mandato testimonia pure di me (Io sono).

    Giovanni 8:24:
    Perciò v’ho detto che morrete nei vostri peccati; perché se non credete che son io [egō eimi] il Cristo, morrete nei vostri peccati (Son io).

    Giovanni 8:28:
    Gesù dunque disse loro: Quando avrete innalzato il Figliuol dell’uomo, allora conoscerete che sono io [egō eimi] il Cristo e che non fo nulla da me, ma dico queste cose secondo che il Padre m’ha insegnato (Son io).

    Giovanni 88:
    Gesù disse loro: In verità, in verità vi dico: Prima che Abramo fosse nato, io sono [egō eimi] (Io sono stato).

    Giovanni 9:9:
    Gli uni dicevano: È lui. Altri dicevano: No, ma gli rassomiglia. Egli diceva: Son io [egō eimi] (Sono io).

    Giovanni 10:7:
    Onde Gesù di nuovo disse loro: In verità, in verità vi dico: Io son [egō eimi] la porta delle pecore (Io sono).

    Giovanni 10:9:
    Io son [egō eimi] la porta; se uno entra per me, sarà salvato (Io sono).

    Giovanni 10:11:
    Io sono [egō eimi] il buon pastore (Io sono).

    Giovanni 10:14:
    Io sono [egō eimi] il buon pastore, e conosco le mie, e le mie mi conoscono (Io sono).

    Giovanni 11:25:
    Gesù le disse: Io son [egō eimi] la resurrezione e la vita (Io sono).

    Giovanni 12:26:
    Se uno mi serve, mi segua; e là dove son io [egō eimi], quivi sarà anche il mio servitore (Sono io).

    Giovanni 13:19:
    Fin da ora ve lo dico, prima che accada: affinché, quando sia accaduto, voi crediate che sono io [egō eimi] il Cristo (Son io).

    Giovanni 14:
    E quando sarò andato e v’avrò preparato un luogo, tornerò e v’accoglierò presso di me, affinché dove son io [egō eimi], siate anche voi (Sono io).

    Giovanni 14:6:
    Gesù gli disse: Io son [egō eimi] la via, la verità e la vita (Io sono).

    Giovanni 15:1:
    Io sono [egō eimi] [/I]la vera vite, e il Padre mio è il vignaiolo[/I] (Io sono).

    Giovanni 15:
    Io sono [egō eimi] la vite, voi siete i tralci (Io sono).

    Giovanni 18:
    Gli risposero: Gesù il Nazareno! Gesù disse loro: Son io [egō eimi] (Sono io).

    Giovanni 18:6:
    Come dunque ebbe detto loro: Son io [egō eimi], indietreggiarono e caddero in terra (Sono io).

    Giovanni 18:8:
    Gesù rispose: V’ho detto che son io [egō eimi]; se dunque cercate me, lasciate andar questi (Sono io).

    Dall’esame di tutti i testi appena citati, risulta in maniera inequivocabile che dei 32 testi menzionati, una sola volta la frase [egō eimi] è stata tradotta: Lo sono (Marco 14:26) e una sola volta: Io sono stato (Giovanni 88). Per noi che conosciamo il valore teologico di [egō eimi], non tanto per quanto riguarda i Sinottici, quanto per l’uso che ne fa Giovanni, contestiamo energicamente che Giovanni 88, possa essere tradotto con un «passato prossimo»: Io sono stato.

    A quanto ci risulta, non conosciamo studiosi, degni di questo nome, di fama internazionale, che abbiano mai pensato di tradurre l’[egō eimi] di (Giovanni 88), con un: Io sono stato [Cfr. R. Schnackenburg, Il Vangelo di Giovanni, II, pagg. 87-102; E. Stauffer, GLNT, (Grande Lessico del Nuovo Testamento) Vol. III, Col. 66-72; Robertson, citato da Walter R. Martin Norman H. Klann, Il Geova della Torre di Guardia, pag. 67].

    Ora cercheremo di esaminare il perché la TNM della Torre di Guardia ha interpretato [egō eimi] di (Giovanni 88) con il noto: Io sono stato. Quando si legge (Giovanni 8:12-29), senza nessun preconcetto o condizionamento per una particolare interpretazione teologica, non si potrà fare a meno di notare il carattere polemico che aveva il discorso di Gesù, rivolto ai Giudei.

    Fin dalle prime battute, Gesù si definisce: La luce del mondo. Davanti a questa affermazione, c’è una forte reazione da parte dei Farisei, che comprendendo bene l’affermazione, dicono: Tu testimoni di te stesso, la tua testimonianza non è verace (v. 13). Anche se Gesù convalida la sua testimonianza, unita a quella del Padre, con una citazione di (Numeri 350), le sue parole non sono accettate.

    Gesù ha parole dure contro questi religiosi, e può dir loro, con piena cognizione di causa: Voi non conoscete né me né il Padre mio (v.19).

    Quando poi Gesù parla della sua partenza e che essi l’avrebbero cercato, sarebbero morti nei loro peccati e che non avrebbero potuto andare dove egli andava, chiedono con insistenza, chi era egli (v. 25). Nonostante che Gesù avesse detto chiaramente quel che Egli era e chi l’aveva mandato a compiere quella missione, i Giudei non capiscono di chi stesse parlando (v. 27). Dopo che molti credettero in lui, a seguito di quello che aveva detto, Gesù, rivolgendosi a questi nuovi credenti, dice loro:
    Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli; e conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi (vv. 31,32).

    È a questo punto che si manifesta tutta la rabbia e la loro indignazione, per aver sentito dire che erano schiavi e che mediante la conoscenza della verità, avrebbero avuto la vera libertà. Questi Giudei si vantavano di essere “figli di Abramo”; ma nonostante ciò, cercavano di uccidere Gesù Cristo (v. 37).

    Anche se Gesù non contesta questa loro pretesa, da un punto di vista di discendenza, pur tuttavia, non può far a meno di dire loro che effettivamente, da un punto di vista della realtà della vita spirituale, erano figli del loro padre (v.38). A questo punto i Giudei, non intuendo a quale padre Gesù alludesse, si affrettanoaffermare che il loro padre è Abramo. A seguito di questa loro precisazione, ben capita da Gesù, nel suo vero senso, Egli risponde, con altrettanta fermezza e precisione:
    Se foste figlioli d’Abramo, fareste le opere d’Abramo; ma ora cercate d’uccider me; uomo che v’ho detta la verità che ho udita da Dio (vv. 39-40).

    È all’ascolto di queste parole, i Giudei rispondono: Abbiamo un solo padre: Iddio (v. 41). Data l’enorme importanza di questa loro affermazione, Gesù, che conosceva a quale padre appartenevano, non ha nessuna esitazione ad affermare:
    Se Dio fosse vostro padre, amereste me, poiché io son proceduto e vengo da Dio (v. 42).

    No, voi non siete figli di Dio, siete progenie del diavolo, ch’è vostro padre (v. 44). Quando Gesù ribatteva che lo volevano uccidere, i Giudei gli risposero, con una argomentazione piuttosto camuffata: Non diciamo noi bene che sei un Samaritano e che hai un demonio? (v. 48).

    Al che Gesù rispose che non aveva un demonio, ma onorava il Padre e che tutti quelli che avrebbero osservato la sua parola, non avrebbero mai visto la morte (vv. 49,50). È davanti al problema della morte che i Giudei non riescono a capire la parola di Gesù. Infatti, presentano Abramo e i profeti, che son morti, come prova che la parola di Gesù non è vera. È a questo punto della discussione che Gesù afferma:
    Abramo, vostro padre, ha giubilato nella speranza di vedere il mio giorno; e l’ha veduto, e se n’è rallegrato (v. 56).

    Come è possibile, rispondono i Giudei con arditezza, se tu non hai ancora cinquant’anni, e hai veduto Abramo? (v. 57). Gesù rispose loro: In verità, in verità vi dico: Prima che Abramo fosse nato, io sono (v. 58). Che la Torre di Guardia si interstardisca ad affermare, che l’[egō eimi] di (Giovanni 88) è reso in maniera esatta con un passato prossimo (Io sono stato), è una delle più meschine argomentazioni e la prova più eloquente della loro, non diciamo ignoranza, ma cattiveria, quando infrangendo le regole della grammatica, degradano la nobiltà della deità di Gesù Cristo.

    Abbiamo esposto solamente il contesto, nel quale (Giovanni 88) si trova, ed abbiamo messo in evidenza il carattere polemico del ragionamento di Gesù con i Giudei. Il fatto che i Giudei presero delle pietre per lapidarlo, è una prova inconfutabile, che l’affermazione di Gesù: Avanti che Abramo fosse nato, io sono, fu da loro giustamente interpretata come bestemmia, meritevole di essere punita con una lapidazione. È importante, a questo punto tener presente i cinque casi per cui la norma per lapidazione era riconosciuta legale.

    1) Spiriti indovini (Levitico 20:27);
    2) Bestemmia (Levitico 24:10-23);
    3) Falsi profeti che incitavano all’idolatria (Deuteronomio 13 10);
    4) Figlioli ribelli (Deuteronomio 21:18-21);
    5)Adulterio e violenza carnale (Deuteronomio 22:20-24; Levitico 20:10).

    Se i Giudei avessero inteso le parole di (Giovanni 88), come dice la Torre di Guardia: «Un passato storico», non avrebbero avuto nessun diritto di procedere alla lapidazione, perché la legge, sotto la quale essi vivevano, non li autorizzava per una simile esecuzione. Solo per bestemmia, e la bestemmia per loro era, non solo che Gesù faceva risalire la sua esistenza prima della nascita di Abramo, ma addirittura si identificava con Geova, l’Eterno presente.

    Davanti a questa prospettiva, la portata teologica di (Giovanni 88), è innegabile, anche davanti ad un Bultmann che non è disposto a riconoscere la divinità di Gesù Cristo, soprattutto quando si fa un confronto con (Esodo 3:14 e Isaia 43:10; 44:6; 48:12).

    Questi quattro testi dell’A.T. attribuiscono aGeova, l’espressione «Io sono», ch’è, a dire il vero: Un’auto-definizione di Jahvè. Dal momento che Geova stesso si definisce il grande IO SONO, è assurdo, anzi balordo, per la Torre di Guardia che non crede alla deità di Gesù Cristo, lasciare il testo di (Giovanni 88) col «presente»: Io sono.

    Ma se la Torre di Guardia, avesse esaminato gli altri tre testi di Giovanni in cui ricorre la frase [egō eimi], da loro stessi tradotti al presente, non avrebbero mai sognato di falsificare (Giovanni 88), col passato prossimo: Io sono stato. Prima però, di procedere all’esame dei tre testi appena menzionati, è nostro dovere mettere in luce quello che l’evangelista Giovanni dice di Gesù Cristo. Nel brano di (Giovanni 80-59), di cui abbiamo fatto la sintesi, viene affermato che
    Abramo vostro padre, ha giubilato, nella speranza di vedere il mio giorno; e l’ha veduto, e se n’è rallegrato (v.56).

    In questo verso si fa esplicito riferimento del giubilo e del vedere di Abramo, per quanto riguarda il giorno di Cristo. Ci sia consentito chiedere: Quando esultò Abramo e quando vide il giorno di Cristo? Non bisogna dimenticare che questa affermazione di Gesù, indusse i Giudei a dire: Tu non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo? Cristo affermò che Abramo vide lui, mentre i Giudei chiedevano se Cristo avesse visto Abramo.

    La diversa affermazione, non spostò i termini: Abramo giubilò, Abramo vide il giorno di Cristo. Questo giubilo e questo vedere di Abramo, si verificò nei giorni del patriarca oppure la parola di Cristo deve intendersi da un punto di vista profetico? Anche se il giubilo di Abramo si fa risalire a (Genesi 17:17) e alla nascita di Isacco, il cui nome significa: «Il riso», resta sempre aperto il problema, dal momento che Cristo affermò che Abramo vide il suo giorno e ne gioì, se questo si verificò ai suoi giorni.

    Bisogna notare inoltre che qui Cristo dà una spiegazione agli eventi e alle promesse fatte ad Abramo, promesse che vennero fatte da Dio e come tali non potevano restare inadempiute. Dal momento che (Giovanni 8.58), con il suo presente: «Io sono», stabilisce, in maniera categorica la preesistenza di Cristo, non solo alla vista di Abramo, ma di tutte le cose (Giovanni 1:1). Egli, Cristo, era presente anche al tempo della vita di Abramo, nella stessa maniera come lo è ai nostri giorni e in eterno.

    Stabilito in maniera certa, che Abramo vide il giorno di Cristo, e che di questo suo vedere, l’afferma e lo specifica Cristo, anche se questa parola va intesa da un punto di vista profetico, rimane chiaro il fatto che Cristo non abbraccia soltanto il passato, ma possiede la caratteristica del presente, in virtù della quale viene identificato con l’IO SONO di Esodo 3:14.

    c) I TRE TESTI DI GIOVANNI SULL‘[egō eimi].

    Giovanni 8:24:
    [I]Perciò v’ho detto che morrete nei vostri peccati; perché se non credete che son io [egō eimi] morrete nei vostri peccati.

    Anche se il nostro Luzzi, mette tra parentesi (il Cristo), nome che non è presente nel testo greco, ma lo si sottintende, perché è di lui che si sta parlando, l’affermazione di Gesù, letta così come è stata scritta in greco, acquista più importanza, perché mette in risalto il valore dell’[egō eimi], per ciò che Gesù specificherà.

    Per due volte in questo testo è menzionato il termine «morrete», e questa morte è messa in relazione col non credere che il Cristo è [egō eimi] Io sono. Quando si capisce bene il valore religioso e teologico di questo testo, non si può negare la funesta conseguenza che ha il non credere che il Cristo è l’IO SONO, per la vita presente e per l’eternità.

    2) Giovanni 13:19:
    Fin da ora ve lo dico, prima che accada; affinché quando sia accaduto, voi crediate che son io [egō eimi].

    Qual’era la predizione a cui faceva cenno Gesù? Dalla Scrittura che viene citata (Salmo 41:9), sappiamo che stava parlando del tradimento ad opera di Giuda Iscariot. Il testo citato però, non menziona il nome di Giuda Iscariot; si limita soltanto a riferire che si trattava di uno che mangiava il suo pane e che avrebbe alzato il suo calcagno contro a lui. Gesù interpreta questo testo e lo applica a Giuda.
    Nell’interpretare questa profezia, Gesù rivela ai suoi, una caratteristica propria della divinità. È saputo infatti, con estrema certezza, che Geova è il solo che conosca l’avvenire. Basterà leggere due testi del profeta Isaia per convincersi di questa verità.

    B]saia 44:7, dice:[/b]
    Chi come me, proclama l’avvenire fin da quando fondai questo popolo antico? ch’ei lo dichiari e me lo provi! Lo annunzino essi l’avvenire, e quel che avverrà!

    Isaia 46:9,10:
    Ricordate il passato, le cose antiche: perché io son Dio, e non ve n’è alcun altro; son Dio, e niuno è simile a me; che annunzio la fine sin dal principio, e molto tempo prima predico le cose non ancora avvenute; che dico: Il mio piano sussisterà, e metterò ad effetto tutta la mia volontà.

    Dal momento che (Giovanni 13:19) stabilisce che Cristo conosce il futuro, perché lo predice, è chiaro qual’è il valore della frase: Affinché, quando sia accaduto, voi crediate che sono io[egō eimi]. Col dire questo, Cristo metteva in chiaro una prerogativa di Geova, il solo che conosce la fine sin dal principio.

    3) Giovanni 18:
    Gli risposero: Gesù il Nazareno! Gesù disse loro: Son io [egō eimi].

    La storia dell’arresto di Gesù, è particolarmente significativa, dal modo come Giovanni la racconta. Tutta la schiera dei soldati che era andata al Getsemani, aveva un solo obbiettivo: Arrestare Gesù Cristo. Poiché, secondo l’evangelista Giovanni, i soldati non sapevano come fare per individuare Gesù, perché manca il «bacio», come segno distintivo, e Gesù sapendo che quella schiera lo cercava, chiede giustamente: Chi cercate? La cosa più bella e più significativa di questa scena, è costituita dalla parola che Gesù pronunciò. Giovanni dice:
    Come dunque ebbe detto loro: Son io [egō eimi], indietreggiarono e caddero in terra (Giovanni 18:6).

    Perché mai, all’udir quella frase [egō eimi] = Son io, i soldati caddero a terra? Non era Gesù quello che essi cercavano? Giovanni nel riferirci questo particolare, mette in evidenza tutta la maestà e la divinità insita in quella frase.

    Quel momento drammatico non deve essere spiegato come un qualcosa che ha a che fare con la psicologia e la razionalità, come se presi dalla paura, cadessero l’uno sull’altro. Era la potenza del divino, Dio fatto carne, che si manifestava in quella dichiarazione: [egō eimi]. La Torre di Guardia e tutti coloro che negano la deità di Cristo, dovrebbero seriamente pensare e riflettere. D’altra parte, non esistono altre spiegazioni e non ci sono altre alternative, logiche e coerenti.

    Anche se la Torre di Guardia, con la sua camuffata cultura, ha reso (Giovanni 88) con: “Io sono stato”, pensando così di nascondere la realtà, che parla a chiare lettere, della deità di Gesù Cristo, con l’esame che abbiamo fatto, crediamo di aver dimostrato, coerentemente all’esegesi del vangelo di Giovanni, che l’[egō eimi] di questo testo, è reso corretto «solamente», sia dal punto di vista grammaticale che esegetico, con: «Io sono».

    Sarà utile, pertanto, per una maggiore documentazione, leggere l’esegesi di tutti i 26 testi di Giovanni citati, con il lungo elenco di autori, di una certa levatura culturale che vengono menzionati nei tre volumi che R. Schnackenburg ha scritto sul vangelo di Giovanni, quale CTNT, che la Paideia ha pubblicato.
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    Predefinito Re: IO SONO COLUI CHE SONO, IL NOME DI DIO

    Citazione Originariamente Scritto da Domenico Visualizza Messaggio
    Anche se il presente mio intervento è un po’ lunghetto, vale però la pena considerare l’argomento nel suo insieme, per meglio valutare, sia come la TNM ha tradotto il passo in questione e sia l’importanza che ha sul piano teologico.

    5. GIOVANNI 88

    Gesù disse: In verità, in verità vi dico: Prima che Abramo fosse nato io sono.

    Chi legge questo testo nella versione della TNM della Torre di Guardia: «Gesù disse loro: Verissimamente vi dico: Prima che Abramo venisse all’esistenza, io sono stato», con ragione si chiede perché mai questo testo è stato tradotto in quel modo. Noi non ci stancheremo mai di ripetere che la Torre di Guardia fa del tutto, anche là dove è impossibile, come in questo passo, per falsificare il testo sacro, con traduzioni molto dubbie, per non far vedere la deità di Gesù Cristo.

    Sarà nostro dovere, comunque, smascherare questa loro pretesa di sapere interpretare correttamente i testi originali, come del resto abbiamo fatto in altra parte di questo libro, facendo vedere al lettore, la loro incoerenza nel tradurre le due parole greche del nostro testo.

    Le due parole greche di Giovanni 88 sono: egō eimi. Egō, è pronome di prima persona e significa sempre: «Io» e serve principalmente a mettere in risalto il soggetto di prima persona, per distinguerlo da altri soggetti. Eimi, significa: «Essere, essere in realtà, esistere, sussistere; vivere, aver luogo, succedere, avvenire, durare». In tutti i testi del N.T. in cui [egō eimi] ricorre, si traduce «sempre»; Io sono, sempre col tempo presente, e mai col «passato prossimo».

    Questa forma di Giovanni, ha un suo particolare significato, sia sul piano religioso che teologico. Basti pensare alle 26 volte che ricorre nel solo evangelo di Giovanni, in confronto alle sei volte che risulta nei Sinottici.
    Per dare al lettore la dimostrazione di quanto sia importante questa espressione egō eimi nel N.T., passeremo in rassegna tutti i sei testi dei Sinottici e i 26 passi di Giovanni, tenendo d’occhio come questi testi sono stati interpretati dalla TNM, così che il lettore, alla fine, potrà vedere quante volte la frase in questione, è stata tradotta col tempo di «passato prossimo». Inoltre, metteremo tra parentesi quadre le due parole greche dei vari testi che citeremo e tra parentesi, la versione della TNM.

    a) I SINOTTICI

    Matteo 14:27
    Ma subito Gesù parlò loro e disse: State di buon animo, son io [egō eimi] (sono io).

    Matteo 24
    Poiché molti verranno sotto il mio nome, dicendo: Io sono [egō eimi] il Cristo (Io sono).

    Marco 60
    Perché tutti lo videro e ne furono sconvolti. Ma Egli subito parlò loro e disse: State di buon cuore, sono io [egō eimi] (Sono io).

    Marco 13:6
    Molti verranno sotto il mio nome, dicendo: Son io [egō eimi] e ne sedurranno molti (Son io).

    Marco 14:62
    E Gesù disse: Sì, Io sono [egō eimi] e vedrete il Figliuol dell’uomo seduto alla destra della potenza (Lo sono).

    Luca 21:8
    Ed egli disse: Guardate di non essere sedotti; perché molti verranno sotto il mio nome, dicendo: Son io; [egō eimi] e: Il tempo è vicino; non andate dietro a loro (Sono io).

    b) GIOVANNI

    Giovanni 4:26
    Gesù le disse: Io che ti parlo, son d’esso [egō eimi] (Sono io)

    Giovanni 6:20
    Ma egli disse loro: Son io [egō eimi] non temete (Sono io).

    Giovanni 65
    Gesù disse loro: Io sono [egō eimi] il pan della vita (Io sono)

    Giovanni 6:41
    I Giudei perciò mormoravano di lui perché aveva detto: Io sono,[/I] [egō eimi] il pane ch’è disceso dal cielo (Io sono).

    Giovanni 6:48
    Io sono [egō eimi] il pane della vita (Io sono).

    Giovanni 61
    Io sono [egō eimi] il pane vivente, che è disceso dal cielo (Io sono).

    Giovanni 8:12
    Or Gesù parlò loro di nuovo, dicendo: Io son [egō eimi] la luce del mondo; chi mi seguita non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita (Io sono).

    Giovanni 8:18
    Or son io [egō eimi] a testimoniar di me stesso, e il Padre che mi ha mandato testimonia pure di me (Io sono).

    Giovanni 8:24
    Perciò v’ho detto che morrete nei vostri peccati; perché se non credete che son io [egō eimi] il Cristo, morrete nei vostri peccati (Son io).

    Giovanni 8:28
    Gesù dunque disse loro: Quando avrete innalzato il Figliuol dell’uomo, allora conoscerete che sono io [egō eimi] il Cristo e che non fo nulla da me, ma dico queste cose secondo che il Padre m’ha insegnato (Son io).

    Giovanni 88
    Gesù disse loro: In verità, in verità vi dico: Prima che Abramo fosse nato, io sono [egō eimi] (Io sono stato).

    Giovanni 9:9
    Gli uni dicevano: È lui. Altri dicevano: No, ma gli rassomiglia. Egli diceva: Son io [egō eimi] (Sono io).

    Giovanni 10:7
    Onde Gesù di nuovo disse loro: In verità, in verità vi dico: Io son [egō eimi] la porta delle pecore (Io sono).

    Giovanni 10:9
    Io son [egō eimi] la porta; se uno entra per me, sarà salvato (Io sono).

    Giovanni 10:11
    Io sono [egō eimi] il buon pastore (Io sono).

    Giovanni 10:14
    Io sono [egō eimi] il buon pastore, e conosco le mie, e le mie mi conoscono (Io sono).

    Giovanni 11:25
    Gesù le disse: Io son [egō eimi] la resurrezione e la vita (Io sono).

    Giovanni 12:26
    Se uno mi serve, mi segua; e là dove son io [egō eimi], quivi sarà anche il mio servitore (Sono io).

    Giovanni 13:19
    Fin da ora ve lo dico, prima che accada: affinché, quando sia accaduto, voi crediate che sono io [egō eimi] il Cristo (Son io).

    Giovanni 14
    E quando sarò andato e v’avrò preparato un luogo, tornerò e v’accoglierò presso di me, affinché dove son io [egō eimi], siate anche voi (Sono io).

    Giovanni 14:6
    Gesù gli disse: Io son [egō eimi] la via, la verità e la vita (Io sono).

    Giovanni 15:1
    Io sono [egō eimi] [/I]la vera vite, e il Padre mio è il vignaiolo[/I] (Io sono).

    Giovanni 15
    Io sono [egō eimi] la vite, voi siete i tralci (Io sono).

    Giovanni 18
    Gli risposero: Gesù il Nazareno! Gesù disse loro: Son io [egō eimi] (Sono io).

    Giovanni 18:6
    Come dunque ebbe detto loro: Son io [egō eimi], indietreggiarono e caddero in terra (Sono io).

    Giovanni 18:8
    Gesù rispose: V’ho detto che son io [egō eimi]; se dunque cercate me, lasciate andar questi (Sono io).

    Dall’esame di tutti i testi appena citati, risulta in maniera inequivocabile che dei 32 testi menzionati, una sola volta la frase [egō eimi] è stata tradotta: Lo sono (Marco 14:26) e una sola volta: Io sono stato (Giovanni 88). Per noi che conosciamo il valore teologico di [egō eimi], non tanto per quanto riguarda i Sinottici, quanto per l’uso che ne fa Giovanni, contestiamo energicamente che Giovanni 88, possa essere tradotto con un «passato prossimo»: Io sono stato.

    A quanto ci risulta, non conosciamo studiosi, degni di questo nome, di fama internazionale, che abbiano mai pensato di tradurre l’[egō eimi] di (Giovanni 88), con un: Io sono stato [Cfr. R. Schnackenburg, Il Vangelo di Giovanni, II, pagg. 87-102; E. Stauffer, GLNT, (Grande Lessico del Nuovo Testamento) Vol. III, Col. 66-72; Robertson, citato da Walter R. Martin Norman H. Klann, Il Geova della Torre di Guardia, pag. 67].

    Ora cercheremo di esaminare il perché la TNM della Torre di Guardia ha interpretato [egō eimi] di (Giovanni 88) con il noto: Io sono stato. Quando si legge (Giovanni 8:12-29), senza nessun preconcetto o condizionamento per una particolare interpretazione teologica, non si potrà fare a meno di notare il carattere polemico che aveva il discorso di Gesù, rivolto ai Giudei.

    Fin dalle prime battute, Gesù si definisce: La luce del mondo. Davanti a questa affermazione, c’è una forte reazione da parte dei Farisei, che comprendendo bene l’affermazione, dicono: Tu testimoni di te stesso, la tua testimonianza non è verace (v. 13). Anche se Gesù convalida la sua testimonianza, unita a quella del Padre, con una citazione di (Numeri 350), le sue parole non sono accettate.

    Gesù ha parole dure contro questi religiosi, e può dir loro, con piena cognizione di causa: Voi non conoscete né me né il Padre mio (v.19).

    Quando poi Gesù parla della sua partenza e che essi l’avrebbero cercato, sarebbero morti nei loro peccati e che non avrebbero potuto andare dove egli andava, chiedono con insistenza, chi era egli (v. 25). Nonostante che Gesù avesse detto chiaramente quel che Egli era e chi l’aveva mandato a compiere quella missione, i Giudei non capiscono di chi stesse parlando (v. 27). Dopo che molti credettero in lui, a seguito di quello che aveva detto, Gesù, rivolgendosi a questi nuovi credenti, dice loro:
    Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli; e conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi (vv. 31,32).

    È a questo punto che si manifesta tutta la rabbia e la loro indignazione, per aver sentito dire che erano schiavi e che mediante la conoscenza della verità, avrebbero avuto la vera libertà. Questi Giudei si vantavano di essere “figli di Abramo”; ma nonostante ciò, cercavano di uccidere Gesù Cristo (v. 37).

    Anche se Gesù non contesta questa loro pretesa, da un punto di vista di discendenza, pur tuttavia, non può far a meno di dire loro che effettivamente, da un punto di vista della realtà della vita spirituale, erano figli del loro padre (v.38). A questo punto i Giudei, non intuendo a quale padre Gesù alludesse, si affrettanoaffermare che il loro padre è Abramo. A seguito di questa loro precisazione, ben capita da Gesù, nel suo vero senso, Egli risponde, con altrettanta fermezza e precisione:
    Se foste figlioli d’Abramo, fareste le opere d’Abramo; ma ora cercate d’uccider me; uomo che v’ho detta la verità che ho udita da Dio (vv. 39-40).

    È all’ascolto di queste parole, i Giudei rispondono: Abbiamo un solo padre: Iddio (v. 41). Data l’enorme importanza di questa loro affermazione, Gesù, che conosceva a quale padre appartenevano, non ha nessuna esitazione ad affermare:
    Se Dio fosse vostro padre, amereste me, poiché io son proceduto e vengo da Dio (v. 42).

    No, voi non siete figli di Dio, siete progenie del diavolo, ch’è vostro padre (v. 44). Quando Gesù ribatteva che lo volevano uccidere, i Giudei gli risposero, con una argomentazione piuttosto camuffata: Non diciamo noi bene che sei un Samaritano e che hai un demonio? (v. 48).

    Al che Gesù rispose che non aveva un demonio, ma onorava il Padre e che tutti quelli che avrebbero osservato la sua parola, non avrebbero mai visto la morte (vv. 49,50). È davanti al problema della morte che i Giudei non riescono a capire la parola di Gesù. Infatti, presentano Abramo e i profeti, che son morti, come prova che la parola di Gesù non è vera. È a questo punto della discussione che Gesù afferma:
    Abramo, vostro padre, ha giubilato nella speranza di vedere il mio giorno; e l’ha veduto, e se n’è rallegrato (v. 56).

    Come è possibile, rispondono i Giudei con arditezza, se tu non hai ancora cinquant’anni, e hai veduto Abramo? (v. 57). Gesù rispose loro: In verità, in verità vi dico: Prima che Abramo fosse nato, io sono (v. 58). Che la Torre di Guardia si interstardisca ad affermare, che l’[egō eimi] di (Giovanni 88) è reso in maniera esatta con un passato prossimo (Io sono stato), è una delle più meschine argomentazioni e la prova più eloquente della loro, non diciamo ignoranza, ma cattiveria, quando infrangendo le regole della grammatica, degradano la nobiltà della deità di Gesù Cristo.

    Abbiamo esposto solamente il contesto, nel quale (Giovanni 88) si trova, ed abbiamo messo in evidenza il carattere polemico del ragionamento di Gesù con i Giudei. Il fatto che i Giudei presero delle pietre per lapidarlo, è una prova inconfutabile, che l’affermazione di Gesù: Avanti che Abramo fosse nato, io sono, fu da loro giustamente interpretata come bestemmia, meritevole di essere punita con una lapidazione. È importante, a questo punto tener presente i cinque casi per cui la norma per lapidazione era riconosciuta legale.

    1) Spiriti indovini (Levitico 20:27);
    2) Bestemmia (Levitico 24:10-23);
    3) Falsi profeti che incitavano all’idolatria (Deuteronomio 13 10);
    4) Figlioli ribelli (Deuteronomio 21:18-21);
    5)Adulterio e violenza carnale (Deuteronomio 22:20-24; Levitico 20:10).

    Se i Giudei avessero inteso le parole di (Giovanni 88), come dice la Torre di Guardia: «Un passato storico», non avrebbero avuto nessun diritto di procedere alla lapidazione, perché la legge, sotto la quale essi vivevano, non li autorizzava per una simile esecuzione. Solo per bestemmia, e la bestemmia per loro era, non solo che Gesù faceva risalire la sua esistenza prima della nascita di Abramo, ma addirittura si identificava con Geova, l’Eterno presente.

    Davanti a questa prospettiva, la portata teologica di (Giovanni 88), è innegabile, anche davanti ad un Bultmann che non è disposto a riconoscere la divinità di Gesù Cristo, soprattutto quando si fa un confronto con (Esodo 3:14 e Isaia 43:10; 44:6; 48:12).

    Questi quattro testi dell’A.T. attribuiscono a Geova, l’espressione «Io sono», ch’è, a dire il vero: Un’auto-definizione di Jahvè. Dal momento che Geova stesso si definisce il grande IO SONO, è assurdo, anzi balordo, per la Torre di Guardia che non crede alla deità di Gesù Cristo, lasciare il testo di (Giovanni 88) col «presente»: Io sono.

    Ma se la Torre di Guardia, avesse esaminato gli altri tre testi di Giovanni in cui ricorre la frase [egō eimi], da loro stessi tradotti al presente, non avrebbero mai sognato di falsificare (Giovanni 88), col passato prossimo: Io sono stato. Prima però, di procedere all’esame dei tre testi appena menzionati, è nostro dovere mettere in luce quello che l’evangelista Giovanni dice di Gesù Cristo. Nel brano di (Giovanni 80-59), di cui abbiamo fatto la sintesi, viene affermato che
    Abramo vostro padre, ha giubilato, nella speranza di vedere il mio giorno; e l’ha veduto, e se n’è rallegrato (v.56).

    In questo verso si fa esplicito riferimento del giubilo e del vedere di Abramo, per quanto riguarda il giorno di Cristo. Ci sia consentito chiedere: Quando esultò Abramo e quando vide il giorno di Cristo? Non bisogna dimenticare che questa affermazione di Gesù, indusse i Giudei a dire: Tu non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo? Cristo affermò che Abramo vide lui, mentre i Giudei chiedevano se Cristo avesse visto Abramo.

    La diversa affermazione, non spostò i termini: Abramo giubilò, Abramo vide il giorno di Cristo. Questo giubilo e questo vedere di Abramo, si verificò nei giorni del patriarca oppure la parola di Cristo deve intendersi da un punto di vista profetico? Anche se il giubilo di Abramo si fa risalire a (Genesi 17:17) e alla nascita di Isacco, il cui nome significa: «Il riso», resta sempre aperto il problema, dal momento che Cristo affermò che Abramo vide il suo giorno e ne gioì, se questo si verificò ai suoi giorni.

    Bisogna notare inoltre che qui Cristo dà una spiegazione agli eventi e alle promesse fatte ad Abramo, promesse che vennero fatte da Dio e come tali non potevano restare inadempiute. Dal momento che (Giovanni 8.58), con il suo presente: «Io sono», stabilisce, in maniera categorica la preesistenza di Cristo, non solo alla vista di Abramo, ma di tutte le cose (Giovanni 1:1). Egli, Cristo, era presente anche al tempo della vita di Abramo, nella stessa maniera come lo è ai nostri giorni e in eterno.

    Stabilito in maniera certa, che Abramo vide il giorno di Cristo, e che di questo suo vedere, l’afferma e lo specifica Cristo, anche se questa parola va intesa da un punto di vista profetico, rimane chiaro il fatto che Cristo non abbraccia soltanto il passato, ma possiede la caratteristica del presente, in virtù della quale viene identificato con l’IO SONO di Esodo 3:14.

    c) I TRE TESTI DI GIOVANNI SULL‘[egō eimi].

    1) Giovanni 8:24:
    [I]Perciò v’ho detto che morrete nei vostri peccati; perché se non credete che son io [egō eimi] morrete nei vostri peccati.

    Anche se il nostro Luzzi, mette tra parentesi (il Cristo), nome che non è presente nel testo greco, ma lo si sottintende, perché è di lui che si sta parlando, l’affermazione di Gesù, letta così come è stata scritta in greco, acquista più importanza, perché mette in risalto il valore dell’[egō eimi], per ciò che Gesù specificherà.

    Per due volte in questo testo è menzionato il termine «morrete», e questa morte è messa in relazione col non credere che il Cristo è [egō eimi] Io sono. Quando si capisce bene il valore religioso e teologico di questo testo, non si può negare la funesta conseguenza che ha il non credere che il Cristo è l’IO SONO, per la vita presente e per l’eternità.

    2) Giovanni 13:19:
    Fin da ora ve lo dico, prima che accada; affinché quando sia accaduto, voi crediate che son io [egō eimi].

    Qual’era la predizione a cui faceva cenno Gesù? Dalla Scrittura che viene citata (Salmo 41:9), sappiamo che stava parlando del tradimento ad opera di Giuda Iscariot. Il testo citato però, non menziona il nome di Giuda Iscariot; si limita soltanto a riferire che si trattava di uno che mangiava il suo pane e che avrebbe alzato il suo calcagno contro a lui. Gesù interpreta questo testo e lo applica a Giuda.
    Nell’interpretare questa profezia, Gesù rivela ai suoi, una caratteristica propria della divinità. È saputo infatti, con estrema certezza, che Geova è il solo che conosca l’avvenire. Basterà leggere due testi del profeta Isaia per convincersi di questa verità.

    Isaia 44:7, dice:
    Chi come me, proclama l’avvenire fin da quando fondai questo popolo antico? ch’ei lo dichiari e me lo provi! Lo annunzino essi l’avvenire, e quel che avverrà!

    Isaia 46:9,10:
    Ricordate il passato, le cose antiche: perché io son Dio, e non ve n’è alcun altro; son Dio, e niuno è simile a me; che annunzio la fine sin dal principio, e molto tempo prima predico le cose non ancora avvenute; che dico: Il mio piano sussisterà, e metterò ad effetto tutta la mia volontà.

    Dal momento che (Giovanni 13:19) stabilisce che Cristo conosce il futuro, perché lo predice, è chiaro qual’è il valore della frase: Affinché, quando sia accaduto, voi crediate che sono io[egō eimi]. Col dire questo, Cristo metteva in chiaro una prerogativa di Geova, il solo che conosce la fine sin dal principio.

    3) Giovanni 18:
    Gli risposero: Gesù il Nazareno! Gesù disse loro: Son io [egō eimi].

    La storia dell’arresto di Gesù, è particolarmente significativa, dal modo come Giovanni la racconta. Tutta la schiera dei soldati che era andata al Getsemani, aveva un solo obbiettivo: Arrestare Gesù Cristo. Poiché, secondo l’evangelista Giovanni, i soldati non sapevano come fare per individuare Gesù, perché manca il «bacio», come segno distintivo, e Gesù sapendo che quella schiera lo cercava, chiede giustamente: Chi cercate? La cosa più bella e più significativa di questa scena, è costituita dalla parola che Gesù pronunciò. Giovanni dice:
    Come dunque ebbe detto loro: Son io [egō eimi], indietreggiarono e caddero in terra (Giovanni 18:6).

    Perché mai, all’udir quella frase [egō eimi] = Son io, i soldati caddero a terra? Non era Gesù quello che essi cercavano? Giovanni nel riferirci questo particolare, mette in evidenza tutta la maestà e la divinità insita in quella frase.

    Quel momento drammatico non deve essere spiegato come un qualcosa che ha a che fare con la psicologia e la razionalità, come se presi dalla paura, cadessero l’uno sull’altro. Era la potenza del divino, Dio fatto carne, che si manifestava in quella dichiarazione: [egō eimi]. La Torre di Guardia e tutti coloro che negano la deità di Cristo, dovrebbero seriamente pensare e riflettere. D’altra parte, non esistono altre spiegazioni e non ci sono altre alternative, logiche e coerenti.

    Anche se la Torre di Guardia, con la sua camuffata cultura, ha reso (Giovanni 88) con: “Io sono stato”, pensando così di nascondere la realtà, che parla a chiare lettere, della deità di Gesù Cristo, con l’esame che abbiamo fatto, crediamo di aver dimostrato, coerentemente all’esegesi del vangelo di Giovanni, che l’[egō eimi] di questo testo, è reso corretto «solamente», sia dal punto di vista grammaticale che esegetico, con: «Io sono».

    Sarà utile, pertanto, per una maggiore documentazione, leggere l’esegesi di tutti i 26 testi di Giovanni citati, con il lungo elenco di autori, di una certa levatura culturale che vengono menzionati nei tre volumi che R. Schnackenburg ha scritto sul vangelo di Giovanni, quale CTNT, che la Paideia ha pubblicato.
    Tra le molte righe da te riportate con cura, dettaglio e commento, provo ad estrarre alcuni brani del Vangelo di Giovanni che ritengo molto incisivi.

    Giovanni 6:48
    Io sono il pane della vita.

    Giovanni 8:12
    E Gesù di nuovo parlò loro, dicendo: Io sono la luce del mondo; chi mi seguita non camminerà nelle tenebre, anzi avrà la luce della vita.

    Giovanni 11:25
    Gesù le disse: Io sono la risurrezione e la vita; chiunque crede in me, benchè sia morto, viverà.

    Giovanni 14:6
    Gesù gli disse: Io sono la via, la verità, e la vita; niuno viene al Padre se non per me.

    Dovrebbe essere chiaro ai più, onesti lettori, che le affermazioni di Gesù sono una chiara testimonianza della sua natura divina.

    E' Dio stesso, infatti, che presenta all'uomo l'IO SONO.

    E lo fa nel suo Figliuolo Gesù Cristo.
    Ultima modifica di nomeutente; 04-11-12 alle 22:08
    ........ma il dono di Dio è la vita eterna, in Cristo Gesù, nostro Signore.
    (Romani 6:23)

    chiese e comunità cristiane evangeliche

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    Predefinito Re: IO SONO COLUI CHE SONO, IL NOME DI DIO


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    Predefinito Re: IO SONO COLUI CHE SONO, IL NOME DI DIO

    Citazione Originariamente Scritto da Shirel Levi Visualizza Messaggio
    Tradurre il nome di Dio
    Nove modi, nove storie, nove filosofie per dire l’indicibile e per vedere oltre il visibile.

    Che cosa significa tradurre il nome di Dio? Quali sono i nomi scelti a questo scopo nelle lingue moderne e in italiano? Dalla prima traduzione, quella dei Settanta in greco, alle versioni aramaiche, dai filosofi medievali a Mendelssohn, S.R. Hirsch e Rosenzweig, in molti hanno riflettuto sul problema. In anni recenti André Chouraqui in Mosè. Viaggio ai confini di un mistero rivelato e di un’utopia possibile (Marietti), in un capitolo intitolato significativamente “I soprannomi dell’ineffabile”, elenca decine e decine di nomi scelti a tutte le latitudini per indicare il Dio biblico. Ma per Chouraqui sostituire il nome biblico “con quello di idoli rispettabili forse nei loro contesti culturali, ma che non hanno niente a che fare né a che vedere con la realtà dell’universo biblico” è la forma peggiore di tradimento della rivelazione mosaica e un passo decisivo sulla via della rimozione del popolo di questa divinità senza volto trasformata, come la creatura marina della mitologia classica Proteo, in dio dai mille volti. Con la sua prosa meravigliosamente accorata Chouraqui tocca problemi centrali. Va però considerato allo stesso tempo che Dio è indicato con più nomi nello stesso Tanakh. A complicare ulteriormente le cose, poi, interviene qualcosa che ha a che fare con il concetto stesso di traduzione. Perché ogni traduzione è una trasformazione, dunque un tradimento. Ma è tempo di rivolgerci direttamente a loro, i nomi di Dio in traduzione, per interpellarli e se possibile metterli alle strette, costringerli a rendere conto di sé.

    Dio – Come non partire da qui? È questo il nome generico di Dio per indicare Dio, e scusate il garbuglio. Noi stessi lo abbiamo utilizzato facendo finta di niente nelle righe che precedono. Ma Dio non è una parola ebraica. I Settanta traducono theos (da cui il latino deus e quindi Dio) l’ebraico Elohim. Nel Tanakh Elohim indica non solo il Dio creatore, ma anche gli dei, per esempio quelli della Mesopotamia o dell’Egitto, e in alcuni passi con ogni probabilità angeli (detti anche benè ha-Elohim, figli di Dio) o divinità minori dell’antico pantheon semitico sopravvissute alle ultime redazioni dei testi biblici. Per fare un esempio, il versetto di Shemot/Esodo “mi kamokha ba-Elim Adonai (“chi è pari a te, Adonai, tra gli dei?”), ripreso nella liturgia, riferisce senza alcun imbarazzo di una pluralità di Elohim, dèi. La scelta della parola theos da parte dei Settanta si giustifica perfettamente se si tiene conto di questa pluralità e della pluralità analoga degli dei che affollano l’Olimpo.

    Signore – Traduce letteralmente Adonai, plurale maiestatis del termine adon, “signore”, a cui si unisce il suffisso della prima persona plurale. Gli storici della lingua non hanno dubbi sul fatto che adon indichi prima “signore”, cioè ogni maschio adulto libero (tendenzialmente in posizione autorevole di capofamiglia) e solo successivamente, per derivazione, Signore. Adon descrive dunque un rapporto, quello tra la divinità e gli uomini di cui la prima è appunto “signore” o “signore dei signori”, adon ha-adonim. Ma fin dall’antichità l’espressione viene fissata nell’uso diventando di fatto un nuovo nome di Dio. Con lo sviluppo del cristianesimo il termine Signore, che come abbiamo visto descrive inizialmente (e continua a descrivere in seguito e ancora oggi) relazioni umane si presta a associazioni cristologiche. Da signore Gesù Cristo a Signore Gesù Cristo la differenza, come noto, è abissale. Questo, secondo Rivka Horowitz (Mendelssohn e la scienza dell’ebraismo, in La lettura ebraica delle scritture, a cura di Sergio Sierra, EDB) è uno dei motivi per cui nel Settecento il filosofo illuminista Mendelssohn, quando dovrà decidere come tradurre il nome di Dio, farà una scelta diversa da “Signore”. Ma su questo torneremo.

    Altissimo – Traduce di solito l’ebraico Eliyon. “Altissimo” introduce una gerarchia, un confronto. Quindi un dio altissimo da una parte, dèi inferiori dall’altra.

    Onnipotente – Così spesso viene reso l’ebraico Shaddai. Come Altissimo, anche Onnipotente è un termine di relazione, e infatti entrambi vengono utilizzati sia come nomi divini sia come attributi. La discussione sull’etimologia di Shaddai è in realtà ampia e aperta; tra le ipotesi più accreditate, e tuttavia dubbie, quelle di derivazione da parole che in accadico indicano “roccia” (quindi Shaddai sarebbe il “Dio della montagna”) oppure “demone”. Il commentatore medievale Rashi spiega il termine scomponendolo in she-dai, “colui che è sufficiente a se stesso”, “colui che basta a se stesso”; una lettura che non perde nulla del suo fascino anche se evidentemente fondata su presupposti diversi da quelli storici. Ancora una volta, la scelta di tradurre Shaddai con Onnipotente deriva dai Settanta, che si rifanno a una radice che indica “devastare”, “esercitare potere senza limiti”. Si tratta di una derivazione senza fondamento, che però l’abitudine e la tradizione continuano a riproporre nelle traduzioni moderne.

    Geova – Qui c’è davvero poco da dire, perché tutto si fonda su un grossolano errore. Come noto il tetragramma YHWH (su cui torneremo oltre) almeno dall’epoca del Secondo tempio non viene pronunciato ed è sostituito nell’uso dal termine Adonai. Spesso per indicare la pronuncia nel rispetto del terzo comandamento sono aggiunti sotto YHWH i segni vocalici di Adonai e questo fatto, agli albori dell’età moderna, ha dato origine in ambienti non ebraici alla pronuncia Jehowa, da cui Geova.

    Essere – In questo caso il tradimento insito nella traduzione è particolarmente accentuato perché viene mutuato un termine centrale della filosofia greca dal tempo di Parmenide. La lingua greca dispone dell’articolo determinativo in grado di trasformare l’infinito di un verbo in un sostantivo (to einai: l’essere), quella ebraica no. Quindi sebbene YHWH appartenga, da un punto di vista linguistico, all’area semantica del verbo hjh-hwh, “essere”, sembra fuorviante. Semplicemente perché una filosofia dell’essere nel pensiero biblico non c’è.

    Eterno – L’Eternel, l’Eterno, è l’espressione con cui nel Cinquecento Calvino traduce il tetragramma nella sua Bibbia ginevrina, diventata riferimento per buona parte del mondo protestante. La scelta di Calvino è quella ancora oggi seguita dalla maggior parte delle bibbie protestanti. Quando nel Settecento Moses Mendelssohn traduce in tedesco il corpus biblico da una prospettiva ebraica arricchita però dalla tradizione filosofica fa una scelta analoga: der Ewige, l’Eterno appunto. Nel secolo successivo l’influenza della Bibbia di Mendelssohn è vasta. Storici dell’ebraismo come Zunz, rabbini leader della riforma come Philippson ma anche ortodossi come Bamberger, tutti ripropongono nelle loro traduzioni l’Eterno. Mendelssohn spiega il motivo della scelta citando passi talmudici, del midrash e dei targumim, le antiche traduzioni aramaiche, oltre a filosofi medievali come Saadià Gaon e Maimonide. Per Mendelssohn il nome Eterno riesce meglio di ogni altro a tenere insieme tre aspetti fondamentali della divinità: l’attributo dell’essere in ogni tempo, la necessaria esistenza e la provvidenza incessante. Va sottolineato in ogni caso che la decisione di tradurre YHWH con der Ewige non deriva (in primo luogo) dalla filosofia non ebraica e tantomeno dalla Bibbia di Calvino, nonostante Mendelssohn sia stato rimproverato in seguito di entrambe le cose. Allo stesso tempo, è vero che Eterno non trova facilmente conferma in passi biblici bensì nella letteratura ebraica di epoca talmudica già profondamente influenzata dall’incontro/scontro con la cultura ellenistica e romanocristiana.

    Qui/Sempre Presente – Tra i critici di Mendelssohn va menzionato innanzitutto S.R. Hirsch, secondo il quale nella versione del filosofo illuminista Dio appare come l’Eterno del tempo remoto che dopo la creazione si sarebbe ritirato, nascondendosi in regioni inaccessibili. Ma YHWH, per Hirsch, è un Dio sempre vivo e presente che agisce con misericordia e compassione, aspetti che la traduzione Eterno perderebbe a tutto vantaggio di una divinità lontana e indifferente all’uomo. All’inizio del Novecento Rosenzweig e Buber tornano a criticare la scelta di Mendelssohn. Il Dio “Eterno” di Mendelssohn, scrive Rosenzweig, è un Dio statico come l’Essere dei deisti. Il Dio biblico che si rivela a Mosè non è un “Io sono” cristallizzato al di là del tempo e dello spazio, ma un “Io sono qui”, “Io sono con voi”. Quello che Rosenzweig e Buber hanno in mente è il rapporto io-tu, il Dio personale che scardina l’Essere necessario. Quando soffriamo, si chiede Rosenzweig, non ci rivolgiamo a un Ich bin Ewig (“Io sono Eterno”) bensì a un Ich bin Da (“Io sono Qui”). Insomma, Mosè non era un Platone e il suo Dio non un motore immobile capace di pensare eternamente soltanto se stesso. Alcuni studiosi hanno segnalato una vicinanza tra il forte accento posto da Rosenzweig sull’elemento personale e contingente e la filosofia della fede di Pascal e di Kierkegaard in cui il Dio come Essere necessario non riesce a dare risposta all’uomo sofferente attanagliato dalla scelta. In realtà lo stesso Mendelssohn, come abbiamo visto, considera fondamentale rendere conto della provvidenza di Dio che mai viene meno e in alcuni casi, per accentuare questa dimensione, traduce con Allgegenwärtig, “Sempre Presente”. L’intento di Rosenzweig è perciò chiaro, ma la critica a Mendelssohn forse eccessiva.

    YHWH – Allora ha ragione Chouraqui quando sostiene che ogni traduzione allontani dal significato e vada rifiutata? È un’idea intorno alla quale negli ultimi decenni crescono i consensi. In fondo a chi non è capitato di sorridere di fronte a vecchie traduzioni di romanzi in cui anche i nomi dei personaggi erano tradotti? E se da tempo ormai si sceglie di non tradurre i nomi umani, perché non fare lo stesso con Dio? “L’energia contenuta nel tetragramma ebraico non è riproducibile”, annota rav Haim F. Cipriani nell’introduzione lessicale al Siddur curato per la comunità Etz Haim. “L’indicibilità del Nome è uno dei più profondi e misteriosi fondamenti dell’ebraismo, e così lo è anche l’impossibilità di sostituirlo con parole che abbiano un significato finito e netto”, continua Cipriani. Per questo in ebraico la lettura del nome di Dio “si presenta come un codice, pericolosamente ma volutamente vicino ad alcune forme verbali, cosa che ci richiede vigilanza, attenzione, rispetto costante nell’atto del leggere. Ogni volta che leggendo il testo ci accostiamo al tetragramma dobbiamo operare un mutamento sostituendo a ciò che vediamo qualcosa che non vediamo. Anche questa necessità di vedere oltre l’immediatamente visibile, e cioè di avere una lettura interpretativa della realtà, è parte integrante della spiritualità ebraica”
    https://www.joimag.it/tradurre-il-nome-di-dio/

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    Predefinito Re: IO SONO COLUI CHE SONO, IL NOME DI DIO

    Citazione Originariamente Scritto da Shirel Levi Visualizza Messaggio
    Tradurre il nome di Dio
    Nove modi, nove storie, nove filosofie per dire l’indicibile e per vedere oltre il visibile.

    Che cosa significa tradurre il nome di Dio? Quali sono i nomi scelti a questo scopo nelle lingue moderne e in italiano? Dalla prima traduzione, quella dei Settanta in greco, alle versioni aramaiche, dai filosofi medievali a Mendelssohn, S.R. Hirsch e Rosenzweig, in molti hanno riflettuto sul problema. In anni recenti André Chouraqui in Mosè. Viaggio ai confini di un mistero rivelato e di un’utopia possibile (Marietti), in un capitolo intitolato significativamente “I soprannomi dell’ineffabile”, elenca decine e decine di nomi scelti a tutte le latitudini per indicare il Dio biblico. Ma per Chouraqui sostituire il nome biblico “con quello di idoli rispettabili forse nei loro contesti culturali, ma che non hanno niente a che fare né a che vedere con la realtà dell’universo biblico” è la forma peggiore di tradimento della rivelazione mosaica e un passo decisivo sulla via della rimozione del popolo di questa divinità senza volto trasformata, come la creatura marina della mitologia classica Proteo, in dio dai mille volti. Con la sua prosa meravigliosamente accorata Chouraqui tocca problemi centrali. Va però considerato allo stesso tempo che Dio è indicato con più nomi nello stesso Tanakh. A complicare ulteriormente le cose, poi, interviene qualcosa che ha a che fare con il concetto stesso di traduzione. Perché ogni traduzione è una trasformazione, dunque un tradimento. Ma è tempo di rivolgerci direttamente a loro, i nomi di Dio in traduzione, per interpellarli e se possibile metterli alle strette, costringerli a rendere conto di sé.

    Dio – Come non partire da qui? È questo il nome generico di Dio per indicare Dio, e scusate il garbuglio. Noi stessi lo abbiamo utilizzato facendo finta di niente nelle righe che precedono. Ma Dio non è una parola ebraica. I Settanta traducono theos (da cui il latino deus e quindi Dio) l’ebraico Elohim. Nel Tanakh Elohim indica non solo il Dio creatore, ma anche gli dei, per esempio quelli della Mesopotamia o dell’Egitto, e in alcuni passi con ogni probabilità angeli (detti anche benè ha-Elohim, figli di Dio) o divinità minori dell’antico pantheon semitico sopravvissute alle ultime redazioni dei testi biblici. Per fare un esempio, il versetto di Shemot/Esodo “mi kamokha ba-Elim Adonai (“chi è pari a te, Adonai, tra gli dei?”), ripreso nella liturgia, riferisce senza alcun imbarazzo di una pluralità di Elohim, dèi. La scelta della parola theos da parte dei Settanta si giustifica perfettamente se si tiene conto di questa pluralità e della pluralità analoga degli dei che affollano l’Olimpo.

    Signore – Traduce letteralmente Adonai, plurale maiestatis del termine adon, “signore”, a cui si unisce il suffisso della prima persona plurale. Gli storici della lingua non hanno dubbi sul fatto che adon indichi prima “signore”, cioè ogni maschio adulto libero (tendenzialmente in posizione autorevole di capofamiglia) e solo successivamente, per derivazione, Signore. Adon descrive dunque un rapporto, quello tra la divinità e gli uomini di cui la prima è appunto “signore” o “signore dei signori”, adon ha-adonim. Ma fin dall’antichità l’espressione viene fissata nell’uso diventando di fatto un nuovo nome di Dio. Con lo sviluppo del cristianesimo il termine Signore, che come abbiamo visto descrive inizialmente (e continua a descrivere in seguito e ancora oggi) relazioni umane si presta a associazioni cristologiche. Da signore Gesù Cristo a Signore Gesù Cristo la differenza, come noto, è abissale. Questo, secondo Rivka Horowitz (Mendelssohn e la scienza dell’ebraismo, in La lettura ebraica delle scritture, a cura di Sergio Sierra, EDB) è uno dei motivi per cui nel Settecento il filosofo illuminista Mendelssohn, quando dovrà decidere come tradurre il nome di Dio, farà una scelta diversa da “Signore”. Ma su questo torneremo.

    Altissimo – Traduce di solito l’ebraico Eliyon. “Altissimo” introduce una gerarchia, un confronto. Quindi un dio altissimo da una parte, dèi inferiori dall’altra.

    Onnipotente – Così spesso viene reso l’ebraico Shaddai. Come Altissimo, anche Onnipotente è un termine di relazione, e infatti entrambi vengono utilizzati sia come nomi divini sia come attributi. La discussione sull’etimologia di Shaddai è in realtà ampia e aperta; tra le ipotesi più accreditate, e tuttavia dubbie, quelle di derivazione da parole che in accadico indicano “roccia” (quindi Shaddai sarebbe il “Dio della montagna”) oppure “demone”. Il commentatore medievale Rashi spiega il termine scomponendolo in she-dai, “colui che è sufficiente a se stesso”, “colui che basta a se stesso”; una lettura che non perde nulla del suo fascino anche se evidentemente fondata su presupposti diversi da quelli storici. Ancora una volta, la scelta di tradurre Shaddai con Onnipotente deriva dai Settanta, che si rifanno a una radice che indica “devastare”, “esercitare potere senza limiti”. Si tratta di una derivazione senza fondamento, che però l’abitudine e la tradizione continuano a riproporre nelle traduzioni moderne.

    Geova – Qui c’è davvero poco da dire, perché tutto si fonda su un grossolano errore. Come noto il tetragramma YHWH (su cui torneremo oltre) almeno dall’epoca del Secondo tempio non viene pronunciato ed è sostituito nell’uso dal termine Adonai. Spesso per indicare la pronuncia nel rispetto del terzo comandamento sono aggiunti sotto YHWH i segni vocalici di Adonai e questo fatto, agli albori dell’età moderna, ha dato origine in ambienti non ebraici alla pronuncia Jehowa, da cui Geova.

    Essere – In questo caso il tradimento insito nella traduzione è particolarmente accentuato perché viene mutuato un termine centrale della filosofia greca dal tempo di Parmenide. La lingua greca dispone dell’articolo determinativo in grado di trasformare l’infinito di un verbo in un sostantivo (to einai: l’essere), quella ebraica no. Quindi sebbene YHWH appartenga, da un punto di vista linguistico, all’area semantica del verbo hjh-hwh, “essere”, sembra fuorviante. Semplicemente perché una filosofia dell’essere nel pensiero biblico non c’è.

    Eterno – L’Eternel, l’Eterno, è l’espressione con cui nel Cinquecento Calvino traduce il tetragramma nella sua Bibbia ginevrina, diventata riferimento per buona parte del mondo protestante. La scelta di Calvino è quella ancora oggi seguita dalla maggior parte delle bibbie protestanti. Quando nel Settecento Moses Mendelssohn traduce in tedesco il corpus biblico da una prospettiva ebraica arricchita però dalla tradizione filosofica fa una scelta analoga: der Ewige, l’Eterno appunto. Nel secolo successivo l’influenza della Bibbia di Mendelssohn è vasta. Storici dell’ebraismo come Zunz, rabbini leader della riforma come Philippson ma anche ortodossi come Bamberger, tutti ripropongono nelle loro traduzioni l’Eterno. Mendelssohn spiega il motivo della scelta citando passi talmudici, del midrash e dei targumim, le antiche traduzioni aramaiche, oltre a filosofi medievali come Saadià Gaon e Maimonide. Per Mendelssohn il nome Eterno riesce meglio di ogni altro a tenere insieme tre aspetti fondamentali della divinità: l’attributo dell’essere in ogni tempo, la necessaria esistenza e la provvidenza incessante. Va sottolineato in ogni caso che la decisione di tradurre YHWH con der Ewige non deriva (in primo luogo) dalla filosofia non ebraica e tantomeno dalla Bibbia di Calvino, nonostante Mendelssohn sia stato rimproverato in seguito di entrambe le cose. Allo stesso tempo, è vero che Eterno non trova facilmente conferma in passi biblici bensì nella letteratura ebraica di epoca talmudica già profondamente influenzata dall’incontro/scontro con la cultura ellenistica e romanocristiana.

    Qui/Sempre Presente – Tra i critici di Mendelssohn va menzionato innanzitutto S.R. Hirsch, secondo il quale nella versione del filosofo illuminista Dio appare come l’Eterno del tempo remoto che dopo la creazione si sarebbe ritirato, nascondendosi in regioni inaccessibili. Ma YHWH, per Hirsch, è un Dio sempre vivo e presente che agisce con misericordia e compassione, aspetti che la traduzione Eterno perderebbe a tutto vantaggio di una divinità lontana e indifferente all’uomo. All’inizio del Novecento Rosenzweig e Buber tornano a criticare la scelta di Mendelssohn. Il Dio “Eterno” di Mendelssohn, scrive Rosenzweig, è un Dio statico come l’Essere dei deisti. Il Dio biblico che si rivela a Mosè non è un “Io sono” cristallizzato al di là del tempo e dello spazio, ma un “Io sono qui”, “Io sono con voi”. Quello che Rosenzweig e Buber hanno in mente è il rapporto io-tu, il Dio personale che scardina l’Essere necessario. Quando soffriamo, si chiede Rosenzweig, non ci rivolgiamo a un Ich bin Ewig (“Io sono Eterno”) bensì a un Ich bin Da (“Io sono Qui”). Insomma, Mosè non era un Platone e il suo Dio non un motore immobile capace di pensare eternamente soltanto se stesso. Alcuni studiosi hanno segnalato una vicinanza tra il forte accento posto da Rosenzweig sull’elemento personale e contingente e la filosofia della fede di Pascal e di Kierkegaard in cui il Dio come Essere necessario non riesce a dare risposta all’uomo sofferente attanagliato dalla scelta. In realtà lo stesso Mendelssohn, come abbiamo visto, considera fondamentale rendere conto della provvidenza di Dio che mai viene meno e in alcuni casi, per accentuare questa dimensione, traduce con Allgegenwärtig, “Sempre Presente”. L’intento di Rosenzweig è perciò chiaro, ma la critica a Mendelssohn forse eccessiva.

    YHWH – Allora ha ragione Chouraqui quando sostiene che ogni traduzione allontani dal significato e vada rifiutata? È un’idea intorno alla quale negli ultimi decenni crescono i consensi. In fondo a chi non è capitato di sorridere di fronte a vecchie traduzioni di romanzi in cui anche i nomi dei personaggi erano tradotti? E se da tempo ormai si sceglie di non tradurre i nomi umani, perché non fare lo stesso con Dio? “L’energia contenuta nel tetragramma ebraico non è riproducibile”, annota rav Haim F. Cipriani nell’introduzione lessicale al Siddur curato per la comunità Etz Haim. “L’indicibilità del Nome è uno dei più profondi e misteriosi fondamenti dell’ebraismo, e così lo è anche l’impossibilità di sostituirlo con parole che abbiano un significato finito e netto”, continua Cipriani. Per questo in ebraico la lettura del nome di Dio “si presenta come un codice, pericolosamente ma volutamente vicino ad alcune forme verbali, cosa che ci richiede vigilanza, attenzione, rispetto costante nell’atto del leggere. Ogni volta che leggendo il testo ci accostiamo al tetragramma dobbiamo operare un mutamento sostituendo a ciò che vediamo qualcosa che non vediamo. Anche questa necessità di vedere oltre l’immediatamente visibile, e cioè di avere una lettura interpretativa della realtà, è parte integrante della spiritualità ebraica”
    https://www.joimag.it/tradurre-il-nome-di-dio/

    Geova – Qui c’è davvero poco da dire, perché tutto si fonda su un grossolano errore. Come noto il tetragramma YHWH (su cui torneremo oltre) almeno dall’epoca del Secondo tempio non viene pronunciato ed è sostituito nell’uso dal termine Adonai. Spesso per indicare la pronuncia nel rispetto del terzo comandamento sono aggiunti sotto YHWH i segni vocalici di Adonai e questo fatto, agli albori dell’età moderna, ha dato origine in ambienti non ebraici alla pronuncia Jehowa, da cui Geova.

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    Predefinito Re: IO SONO COLUI CHE SONO, IL NOME DI DIO

    Citazione Originariamente Scritto da Piermark Visualizza Messaggio
    Geova – Qui c’è davvero poco da dire, perché tutto si fonda su un grossolano errore. Come noto il tetragramma YHWH (su cui torneremo oltre) almeno dall’epoca del Secondo tempio non viene pronunciato ed è sostituito nell’uso dal termine Adonai. Spesso per indicare la pronuncia nel rispetto del terzo comandamento sono aggiunti sotto YHWH i segni vocalici di Adonai e questo fatto, agli albori dell’età moderna, ha dato origine in ambienti non ebraici alla pronuncia Jehowa, da cui Geova.
    @Piermark הַלְּלוּיָהּ lodiamo (הַלְּלוּ) YHWH (Yah יָהּ , forma abbreviata di יַהְוֶה‎)

 

 

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