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    Predefinito Quando tutto ebbe inizio... l'arte nella preistoria

    L' Arte del Paleolitico
    Il cavallo, il bisonte e l'uro


    di Loana Riboli

    L' Arte del Paleolitico è una finestra su un mondo perduto. Ci mostra gli animali preistorici , nel caso specifico le Faune Pleistoceniche , con gli occhi di chi li videro nella loro quotidianità.


    Il "cavallo cinese" di Lascaux
    Immagine dal sito http://upload.wikimedia.org/

    "Da Altamira in poi tutto è decadenza " diceva Pablo Picasso e " nessuno di noi è in grado di dipingere così bene" . In effetti, guardando l' arte della Preistoria con i nostri occhi moderni, riusciamo a scorgere tutte le caratteristiche che fanno dell' Arte della Preistoria un' arte... contemporanea : gli animali sono perfettamente riconoscibili , trasmettono forza , energia , vitalità , spesso sono state sfruttate le sporgenze delle rocce per renderli tridimensionali , alcune figure sono enormi. Gli animali possono essere descritti con poche linee essenziali, a volte diventano astratti e spesso sono accompagnati da simboli , pittogrammi , a cui non sappiamo più dare un significato. Ma le immagini sono anche molto misteriose e come gli animali estinti che spesso hanno ritratto, l' unica cosa che sappiamo è ciò che riusciamo vedere in apparenza. Poi c'è tutto un mondo segreto , legato ai simboli , alla comunicazione più profonda che non riusciamo più a capire: non sappiamo esattamente cosa queste immagini volessero comunicare .

    L' arte del Paleolitico europeo è l' arte rupestre per eccellenza , quella delle caverne di Chauvet (33.000-29.000 anni fa), Cosquer (25.000-20.000 anni fa), Lascaux (19.000-15.000 anni fa) e Altamira (15.000- 11.000 anni fa). In Europa la documentazione dell'arte delle caverne, appare singolarmente concentrata nell'area Franco-Cantabrica , con poche testimonianze in Italia e nel resto della Penisola Iberica. Altri esempi di arte parietale paleolitica in grotta, li troviamo negli Urali, nella Valle di Bielaya in Moravia, in Ungheria e in Romania. La conservazione eccezionale dell' arte paleolitica dell' area Franco-Cantabrica , la si deve ad una serie di fattori fortunati di carattere geologico e climatico che hanno sigillato le grotte con l' accumulo di detriti e pietrisco che ne hanno ostruito gli ingressi alla fine del Pleistocene, mantenendo all' interno condizioni stabili di temperatura e di umidità. Di conseguenza solo nell' Europa Occidentale è possibile avere un panorama abbastanza completo e articolato dell' arte preistorica. Gli uomini che hanno concepito questi capolavori erano prevalentemente nomadi, vivevano di caccia, pesca e raccolta . Dipendevano in tutto e per tutto dalla natura e dagli animali, anche per le costruzioni delle loro abitazioni che erano semplici capanne costruite con pelli , ossa di animali , frasche.

    Nell' arte del Paleolitico, si distinguono due categorie fondamentali di opere:

    1. L' arte rupestre o parietale. Comprende incisioni , pitture e rilievi eseguiti sulle pareti o sui soffitti delle caverne, molto raramente sulle pareti sotto le rocce o su superfici rocciose all' aperto. L' arte parietale è documentata con una straordinaria ricchezza nella regione Franco-Cantabrica, nella Francia Sud-Occidentale ( Aquitania e Pirenei ) e Spagna Settentrionale ( Asturie, Cantabria, Paesi Baschi ) , dove si sono scoperte più di 160 grotte con capolavori del Paleolitico. Al di fuori della Francia e della Penisola Iberica è molto difficile trovare grotte con arte rupestre paleolitica , in Italia ne sono documentate una decina , tra cui la Grotta del Caviglione ai Balzi Rossi , la Grotta Paglicci nel Gargano , la Grotta Romanelli nella Penisola Salentina, il Riparo Romito di Papasidero in Calabria, Cala Genovese sull' isoletta di Levanzo, l' Addaura e la Grotta Niscemi presso Palermo , la Grotta Fumane sui Monti Lessini. Una grotta è documentata in Romania e soltanto tre negli Urali Meridionali.

    2. L' arte mobiliare che comprende piccoli oggetti e manufatti raggruppabili in quattro categorie principali : ornamenti ( pendagli, rondelle, figure intagliate nell' osso e nel corno di renna ) ; armi e utensili ( arpioni, propolsuri, zagaglie , bastoni forati , decorati con incisioni , rilievi o piccole figure di animali scolpite a tutto tondo ); placchette in pietra o in osso con figure incise; statuette di animali o umane in pietra , in osso, corno , avorio e argilla . A differenza dell' arte parietale , l'arte mobiliare è presente in tutta Europa e in Siberia Meridionale , là dove nel Paleolitico esistevano le abitazioni .


    Le tecniche pittoriche


    I cacciatori nomadi o semi-nomadi che hanno concepito questi capolavori li hanno eseguiti con ciò che la Natura metteva a loro disposizione .

    In alcuni casi le incisioni o le pitture sono state eseguite nei pressi dell' ingresso delle caverne , dove la luce riusciva a illuminare l' interno , ma nella maggior parte dei casi , le opere venivano realizzate nel ventre delle caverne , in luoghi bui e di difficile accesso . Gli artisti disponevano quindi di un' illuminazione artificiale . Diversi ritrovamenti archeologici documentano quali fossero i mezzi utilizzati : lucerne di pietra alimentate da grasso animale con uno stoppino fatto di licheni , muschio , corteccia o ramoscelli. Le lucerne di questo tipo , rinvenute nelle grotte , sono numerose. L' artista sceglieva il luogo dove dipingere le sue immagini tenendo conto della morfologia generale della caverna , sfruttando sporgenze o fessure che potessero ricordare forme animali o parti del corpo animale. Per le incisioni veniva utilizzato un bulino di selce dalla punta robusta. Le immagini dipinte venivano realizzate solamente con il contorno , oppure con l' utilizzo di uno o due colori per riempire lo spazio all' interno della figura. A volte il contorno veniva tracciato prima a incisione , poi veniva colorata la figura. In altri casi si colorava prima l' immagine e poi veniva rifinita incidendo tutta la figura o solo alcune parti. I colori utilizzati erano pigmenti naturali : minerali terrosi come le ocre per i colori dal giallo chiaro ( limonite ) al rosso chiaro ( ocra rossa , ematite )al bruno scuro ( ocra rossa mescolata al biossido di manganese ) , il nero venita fatto con carbone di legna o il biossido di manganese. Il blu e il verde non sono documentati nell' arte paleolitica , il giallo e il bruno sono più rari rispetto al nero e al rosso. Ai colori si univa un legante : acqua , grasso animale , uova. Il colore veniva steso con un pennello ( il suo uso ha lasciato tracce ben visibili ) , con le dita ( su alcuni dipinti si notano le impronte digitali ) e con la tecnica dello "spruzzo" : l' ocra rossa o gialla veniva masticata e poi soffiata o sputata sulla parete , in modo da ottenere un riempimento della figura a tinta piena , oppure poteva essere eseguita riempiendo un tubicino di osso riempito di colore. Un' altro modo per dipingere le figure era l' utilizzo di un batuffolo di pelliccia , soprattutto quando si voleva sfumare il colore. A Lascaux e Altamira è stata utilizzata spesso questa tecnica.


    Gli animali e il loro significato

    L' arte del Paleolitico comprende tre temi : gli animali , i segni e le impronte di mani , le rare figure antropomorfe. Di questi , le figure antropomorfe e le impronte delle mani possono anche non essere presenti , i segni possono essere poco frequenti , ma ciò che non può mai mancare sono gli animali , i soggetti per eccellenza dell' arte preistorica. Gli animali ritratti sono spesso erbivori , mentre i carnivori , i pesci e gli uccelli sono abbastanza rari .

    Leroi-Gourhan, un grande studioso dell' arte del Paleolitico , ha dimostrato che nel bestiario dell' arte preistorica c'è una chiara gerarchia figurativa. L' animale più rappresentato è stato il cavallo , che è presente in quasi tutti i complessi di arte parietale. Il secondo gruppo comprende invece i Bovidi , specialmente il bisonte e l' uro ( Bos primigenius ). Cavallo e Bovidi sono il tema centrale dell' arte del Paleolitico . Un terzo gruppo è costituito da animali che Leroi-Gourhan ha definito " animali complementari " . I più raffigurati di questi sono il cervo e la cerva . E' interessante notare che nei complessi di arte parietale con animali di clima freddo come il mammuth , il rinoceronte lanoso ( Coelodonta antiquitatis ) o la renna , è ugualmente presente il cervo , animale di clima temperato. Segue poi il mammuth , presente in tutta l' area Franco-Cantabrica , ma assente in Italia e nel Sud della Penisola Iberica. In alcune caverne è comunque l' animale più raffigurato ( Pech Merle, Chabot, Arcy) o comunque ampiamente presente ( Rouffignac ) . Dopo il mammuth gli animali più rappresentati sono lo stambecco e la renna. Animali poco rappresentati e ritratti nelle parti più profonde e inaccessibili delle grotte , sono il leone delle caverne ( Panthera spelea ) , l' orso e il rinoceronte lanoso.Eccezionale il caso di Rouffignac , dove il rinoceronte lanoso costituisce più della metà di tutte le figure dipinte.

    Ancora più rare sono le figure mostruose o fantastiche ( figure antropomorfe con testa di animale) , pesci e uccelli . Concludono l' elenco animali che sono stati ritratti davvero pochissime volte : il megacero ( Megaloceros giganteus ) , l' antilope saiga , il cinghiale , il lupo e la volpe.

    La Grotta di Chauvet però ha un bestiario molto differente rispetto a quello tradizionale dalle caverne dell' area Franco-Cantabrica . Gli studi di Georges Sauvet hanno dimostrato l' importanza di analizzare i dati non soltanto basandosi sulle percentuali di raffigurazione di un determinato animale come aveva fatto Leroi-Gourhan , ma tenendo conto anche dei dati da un punto di vista geografico e cronologico. Nella composizione del bestiario paleolitico vi sono così delle sensibili variazioni regionali. Se la coppia cavallo e bisonte o uro è il tema dominante dei Pirenei , in Cantabria lo è quello di cavallo e cervo o cerva. Altrettanto importanti sono le variazioni cronologiche. In Cantabria il bisonte e l' uro che nel periodo più antico occupano il terzo posto dopo il cervo e la cerva , nel periodo più recente salgono al primo posto , seguiti dal cavallo , mentre il cervo e la cerva scendono al terzo posto. Se la renna nel periodo più antico è assente nei Pirenei , in un periodo più recente del Paleolitico aumenta di importanza in tutte le regioni. Il merito di Leroi-Gourhan è comunque quello di avere dimostrato che le figure degli animali nell' arte paleolitica non sono casuali, ma seguono uno schema logico.

    L' interpretazione dell' arte parietale come espressione di riti connessi alla magia propiziatoria della caccia è ormai decisamente respinta perchè questa tesi è smentita dal confronto tra il bestiario dipinto e la fauna che effettivamente era cacciata dagli uomini del Paleolitico Superiore e che conosciamo attraverso l' analisi delle ossa accumulate tra i rifiuti dei pasti fossilizzati. Inoltre , il numero delle specie rappresentate nell' arte paleolitica è di molto inferiore rispetto alla varietà faunistica che viveva in Europa a quei tempi , dimostrando che agli artisti non interessava rappresantare la fauna , ma solo determinati animali i quali non svolgevano necessariamente un ruolo di primo piano nella vita quotidiana. Inoltre , gli animali feriti nell' arte preistorica , sono meno frequenti di quanto si pensasse : appena il 4% di tutte le immagini di animali e si tratta soprattutto di cavallo e bisonte. Per Leroi-Gourhan l' arte del Paleolitico è un gioco costante di associazioni simboliche.Il tema fondamentale sarebbe la coppia cavallo ( maschio) e bisonte/uro ( femmina) , mentre gli "animali complementari" accompagnerebbero la coppia primordiale . L' arte esprimerebbe una cosmologia , quella dei popoli cacciatori del Paleolitico Superiore , centrata sulla divisione della natura in elementi maschili e femminili , il cavallo e il bisonte rappresenterebbero quindi i due principi vitali , opposti ma complementari senza i quali non ci sarebbe vita. J.D. Lewis-Williams, dell' Università di Witwatersrand , Johannesburg , ritiene che l' arte del Paleolitico abbia un ruolo sciamanico e sarebbe nata per commemorare le esperienze e le visioni degli sciamani in trance: gli animali dipinti sarebbero stati ritenuti dotati di poteri particolari , come per esempio curare le malattie o portare prosperità e benessere alla comunità . Le pitture diventerebbero fonte esse stesse di poteri particolari servendo agli sciamani per orientare le loro visioni

    BIBLIOGRAFIA:

    L' arte paleolitica . Prof.Raffaele C. Marinis , Università degli Studi di Milano 2005/2006

    Le religioni della preistoria . Paleolitico. Leroi-Gourhan , Adelphi.

    Copyright © 2008 Loana Riboli

    L' Arte del Paleolitico - Il cavallo, il bisonte e l' uro
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 09-08-16 alle 18:05
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    Predefinito Re: Quando tutto ebbe inizio... l''arte nella preistoria


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    Predefinito Re: Quando tutto ebbe inizio... l''arte nella preistoria

    Riporto un breve stralcio da un interessante (e lunghissimo) articolo di Massimo Centini pubblicato sul sito duepassinelmistero.



    SCRITTO SULLA PIETRA. I SIGNIFICATI DELL'ARTE RUPESTRE



    Arte rupestre della Val Camonica
    Foto di erix! - Flickr - Photo Sharing!

    Lo studio delle incisioni rupestri, di qualunque parte del mondo, consente di ripercorrere le varie fasi di un linguaggio attraverso il quale l’uomo ha cercato di comunicare con gli altri uomini e probabilmente con la divinità. Scene di caccia, di agricoltura, di vita domestica e di battaglia, oltre a un ampio complesso figurativo che potrebbe essere connesso al rito e alla religione, sono tematiche ricorrenti tra i soggetti realizzati sulle pietre dalle ultime fasi del Paleolitico fino a tutta l’Età del Rame e del Bronzo. Di fatto costituisco la più emblematica espressione del bisogno dell’uomo della preistoria di “raccontare” la propria esistenza. Forse di pregare.

    L’attestarsi di civiltà provviste di scrittura produsse un repentino rallentamento dell’arte rupestre che, in breve tempo, divenne una forma di comunicazione sempre più rara, senza comunque scomparire definitivamente. Infatti, parte del patrimonio simbolico di quest’arte è ancora oggi vivo nel folklore e nella tradizione.

    In generale, lo studio di queste testimonianze permette non solo la conoscenza della cultura della preistoria nelle sue numerose espressioni, con particolare riferimento alla spiritualità, alla tecnologia e alla micro-quotidianità, ma consente anche di porre in rilievo la ricaduta di questo patrimonio grafico nel folklore moderno. Infatti, le rocce sulle quali sono presenti incisioni rupestri molto spesso sono entrare a far parte della tradizione popolare e inserite in credenze, rituali e interpretazioni mitiche. Si passa dalla toponomastica (una roccia con incisioni, non necessariamente preistoriche, spesso è indicata con “Pietra del diavolo”, “delle streghe”, “dei folletti”, ecc.) alla ritualità diretta (inserimento di offerte all’interno delle cavità litiche in occasione di festività cristiane, o pagane reinterpretate), fino alla continuazione della pratica di incidere sulle grandi pietre segni di vario tipo, poiché azione di buon auspicio, o comunque quasi sempre caratterizzato da una base mitica.

    Oggi lo studio dell’arte rupestre preistorica e protostorica non può fare a meno di considerare le implicazioni etnografiche, tenendo così conto delle relazioni con la cultura locale e le connessioni con il piano della religiosità e della mitologia.


    "Le incisioni rupestri, le pitture parietali, in tutte le categorie figurative e nelle diverse realizzazioni tecniche, le opere d’arte mobiliare, le espressioni decorative caratterizzanti anche oggetti e strumenti d’uso comune, i disegni e i colori che ornano le pareti di una capanna, i corpi degli iniziandi o dei partecipanti a diversi tipi di cerimonie, ed i semplici disegni tracciati nel fango o nella sabbia o quelli che caratterizzano pelli, stoffe o cortecce, sono solo l’apparente di realtà molto complesse e profonde che a noi sembrano oggi in alcuni casi palesi, leggibili ed interpretabili, ma che invero sono da noi lontane e spesso incomprensibili nella loro reale essenza" (P. Sébillot, Riti precristiani nel folklore europeo, Milano 1990, pagg. 207-213).


    L'articolo completo qui: Scritto sulla pietra. I significati dell'arte rupestre
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 11-09-16 alle 02:51

  5. #5
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    Predefinito Re: Quando tutto ebbe inizio... l''arte nella preistoria


    Un'esplosione accidentale avvenuta nel 1943 sul Monte Pellegrino (Palermo), dentro la Grotta dell'Addaura che gli angloamericani avevano adibito a deposito di munizioni, riportò alla luce un interessantissimo ciclo di graffiti paleolitici che, per certi aspetti, costituisce un unicum.

    Oltre a parecchi animali, si osserva un gruppo di uomini radunato in circolo attorno ad altri due individui dal corpo spiccatamente retroflesso. Secondo le varie ipotesi avanzate si tratterebbe dell'esibizione di saltimbanchi, di un rito sciamanico con autostrangolamento o di un rapporto omosessuale.


    Il prezioso sito archeologico, chiuso al pubblico per ragioni di sicurezza, è oggi abbandonato a se stesso. Vandali e teppisti ringraziano...
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 28-05-13 alle 22:52
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  6. #6
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    Predefinito Re: Quando tutto ebbe inizio... l'arte nella preistoria

    Parola di archeologo: l'arte rupestre è roba da sciamani
    Jean Clottes studia da decenni i dipinti rupestri del Paleolitico. Obiettivo: svelarne in significato. Anche con l'aiuto delle popolazioni tribali attuali. Dai popoli siberiani ai San dell'Africa australe e agli indios amazzonici.


    Alex Saragosa

    Anno 30.000 d.C., archeologi entrano in un edificio sepolto da millenni. «Doveva essere un centro di culto della civiltà pre-asteroide, quella di cui non sappiamo quasi nulla» dice uno degli studiosi. «Guardate che immagini straordinarie…Cosa rappresenterà mai quella scena con tre uomini attaccati a delle croci? Forse un sacrificio umano o un rito di purificazione. Non lo sapremo mai»...

    Ecco, di fronte agli straordinari dipinti delle grotte del Paleolitico, come a Lascaux e Chauvet in Francia o Altamira in Spagna, siamo nella loro stessa situazione: come interpretare quelle corse di cavalli, i segni a forma di arpione, i bellissimi uri, rinoceronti, cervi o mammut, i gruppi di puntini colorati, gli uccelli sul dorso di stambecchi che partoriscono, le linee tracciate con le dita, le teste di leone, la donna che si trasforma in bisonte, le cacce e le altre scene dipinte fra 30 e 10 mila anni fa? Il loro messaggio sembra perduto per sempre. Uno dei più grandi esperti mondiali di pittura rupestre, l'ottantatreenne archeologo francese Jean Clottes, non si è però rassegnato e, sfidando i suoi colleghi, un senso a quelle immagini ha cercato di darlo, raccogliendo le sue riflessioni in un saggio uscito prima in Francia e ora negli Stati Uniti What is Paleolithic Art? (University of Chicago Press, pp. 208, dollari 18).

    Chi avrebbe potuto farlo meglio di lui? Esperto di età del bronzo, professore di archeologia all'Università di Tolosa e a Berkeley, Clottes fu nominato nel 1975 direttore delle antichità preistoriche nella regione del Midi-Pirenei. Si trovò così al lavoro nell'area del mondo che accoglie le più spettacolari opere d'arte del Paleolitico: ne rimase tanto affascinato da dedicargli il resto della sua carriera. Una scelta premiata dalla fortuna. Durante il suo mandato ha assistito infatti alla scoperta ed esplorazione di nuove grotte dipinte: fra queste, nel 1994, quella di Chauvet – tra le più ricche di capolavori preistorici – di cui ancora dirige la ricerca scientifica. «Ed è ancora la mia preferita» dice, «il pannello dei cavalli e quello dei leoni sono fra le vette dell'arte paleolitica».

    Un'arte che per molti si può solo descrivere, ma non cercare di capire. Perché? «Perché negli anni successivi alle prime scoperte di grotte dipinte ci sono stati anche troppi tentativi di interpretarle: alcuni vi vedevano magie per propiziare la caccia, altri arte fatta per il solo piacere di farla, altri ancora rappresentazioni dei "totem", animali delle tribù» spiega Clottes. «Ci fu persino chi, visti i molti disegni di genitali femminili, ipotizzò l'opera di adolescenti ribelli, un po' come i nostri writer.

    A questa sarabanda di illazioni pose fine il grande etnologo e archeologo André Leroi-Gourhan negli anni Settanta, sostenendo che era inutile cercare una spiegazione: queste pitture provenivano da una cultura e una visione del mondo troppo lontane e diverse dalla nostra, il loro significato era perso per sempre. Però, secondo me, se lo studio di ossa e attrezzi ci può dire molto sul mondo fisico delle genti del Paleolitico, la loro arte ci offre una preziosa finestra sulla loro mente, e non possiamo non tentare di darle un senso, almeno generale».

    Per riuscirci Clottes da decenni gira il mondo studiando l'arte rupestre in tutti i continenti e parlando con gli ultimi rappresentanti di quelle popolazioni che usano ancora questa forma di rappresentazione per scopi culturali e religiosi: gli aborigeni australiani, le tribù fra Messico e Stati Uniti, i popoli siberiani, i San dell'Africa australe, gli indios amazzonici...

    «Questi popoli vivono ancora un contatto intimo con la natura, per cui il senso che danno alle loro immagini può aiutarci a capire quello che gli davano gli uomini di 30 mila anni fa. Per esempio ora sto studiando le popolazioni tribali dell'India, che usano l'arte rupestre per attrarre salute e prosperità. Nelle Americhe ho invece appreso che i graffiti sono spesso legati agli "spiriti animali" dei luoghi, che si cerca di rendersi amici con piccoli doni. In Australia poi i famosi dipinti degli aborigeni legati ai miti ancestrali vengono ridipinti e aggiornati da millenni, perché sono ancora usati per l'iniziazione dei giovani. I dipinti tribali di oggi hanno in comune con l'arte preistorica alcune caratteristiche, per esempio la continua ripetizione in certi luoghi degli stessi soggetti, oppure la presenza di impronte di mani e piedi di bambini, che fa pensare a riti di iniziazione, o i doni e i segni di dita lasciati sulle immagini, simili a quelli che lasciano i fedeli nelle chiese quando chiedono grazie».

    Con l'etnologia si può dare quindi un significato preciso alle pitture paleolitiche europee? Clottes è pronto a frenare. «No, questo non è possibile: l'abisso temporale è troppo grande e molti dettagli sono ormai perduti. In Australia, per esempio, mi hanno spiegato come certe linee sulle rocce indichino luoghi accessibili solo ai maschi o solo a iniziati. Nelle grotte del paleolitico ci sono segni simili: ma chi ce ne potrà mai spiegare il senso? O pensate a quella scena dipinta a Lascaux: un uomo con la testa di uccello e il pene eretto, disteso davanti a un bisonte sventrato da una lancia. Non potremo mai sapere a quale mito si riferisca. Credo però che potremo arrivare a intuire l'idea generale che motiva certe opere. Ed eliminare alcune ipotesi, come quella che si tratti di graffiti casuali: a realizzare opere di tecnica sopraffina dovevano essere persone selezionate e addestrate. Da scartare è anche l'ipotesi che i dipinti abbiano fini solo estetici: spesso si trovano nei recessi più oscuri e nascosti delle grotte, non certo per essere visibili a tutti. C'è una logica che ci sfugge nella scelta dei siti: alcune grotte comode e abitate per millenni non hanno dipinti, altre disabitate e quasi inaccessibili ne sono piene. Perché? I nativi americani mi hanno confermato che l'arte rupestre si realizza solo dove i luoghi "parlano" agli uomini».

    Ma in che modo «parlavano» Altamira o Chauvet? «In tante mitologie le cavità sono un accesso a mondi ultraterreni» spiega l'archeologo. «Immaginiamo un uomo del paleolitico che si spinga nell'interno di una grotta fino a luoghi bui, con strani odori e concrezioni, inquietanti figure create dalle ombre, paurosi effetti di eco, poco ossigeno. In un luogo simile non c'è da stupirsi se qualcuno aveva visioni, che forse provava poi a fissare sulle pareti. La grotta appariva un luogo a cavallo fra il mondo degli uomini e quello ultraterreno, e chi era capace di mantenere aperto il contatto, magari anche per l'abilità nel disegnare le sue visioni, diventava una figura di grande importanza, uno sciamano».

    Lo sciamanesimo è una forma di spiritualità tipica di popolazioni che vivono a stretto contatto con la natura ed è basata sull'idea di una continuità e permeabilità fra mondi: umano e animale, terreno e ultraterreno. Lo sciamano, entrando in trance grazie a danze, canti, digiuno o droghe, contatta o diventa esso stesso uno spirito animale, per ottenere guarigioni, preveggenza, buona sorte. Le figure metà uomo e metà animale, presenti sia nei disegni tradizionali che nelle grotte del paleolitico, rappresenterebbero questa funzione di ponte dell'uomo sacro.

    «La mia ipotesi» spiega Clottes «è che le grotte europee fossero le sedi di riti sciamanici, per l'iniziazione di giovani, per propiziare la salute, la caccia e forse anche la fertilità, come suggeriscono le figure di genitali femminili, spesso ricavate intorno a fessure nella roccia». Immaginiamo la discesa in quelle «chiese preistoriche» di giovani da iniziare o di malati da guarire, accompagnati dai loro sciamani. L'improvvisa apparizione dal buio di immagini dei grandi animali e delle storie di personaggi mitici doveva aver un effetto sconvolgente.

    «Abbiamo anche scoperto che certe figure, composte da tratti disegnati e ombre di concrezioni, si vedono solo tenendo la luce in certe posizioni, quindi lo sciamano poteva farle apparire e sparire a volontà, come se uscissero dalla roccia» aggiunge Clottes. Allora, come oggi, si tentava poi di condividere una parte del potere del luogo, toccando con le dita le immagini o le pareti, lasciando su queste segni che sono ancora visibili. «Oppure si facevano offerte, come le schegge di osso incastrate nelle crepe vicino ai disegni: a me ricordano i bigliettini indirizzati a Dio lasciati nel Muro del Pianto a Gerusalemme».

    I «segni di devozione» più noti sono però le impronte di mano in negativo. «Erano forse il modo più suggestivo per attingere potenza spirituale: mettevi la mano sulla parete, su di questa veniva soffiata della polvere colorata facendola diventare uguale alla roccia, e quando sollevavi la mano era come se portassi con te un po' del potere del luogo».Una cosa che colpisce nei dipinti paleolitici è che gli animali sono tanti e bellissimi, mentre gli uomini sono pochi e raffigurati in modo schematico.

    Anche per questo Clottes ha una spiegazione: «Nel mondo del Magdaleniano l'uomo era una piccola e debole cosa, immersa in una natura intatta, dominata da animali bellissimi, possenti, spesso pericolosi. Tutto l'immaginario, tutta la spiritualità
    umana dovevano ruotare intorno a loro». Un mondo che finì con l'avvento dell'agricoltura, le foreste disboscate e gli animali sterminati o chiusi nei recinti. Gli spiriti delle grotte allora tacquero e gli dei divennero umani.

    Parola di archeologo: l'arte rupestre è roba da sciamani - Repubblica.it
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    Predefinito Re: Quando tutto ebbe inizio... l'arte nella preistoria

    Risolto il mistero del 'bisonte di Higgs'

    E' stato l'antenato del bisonte europeo


    Bisonte dipinto nella grotta di Marsoulas (fonte: Carole Fritz)

    Dna e pitture rupestri hanno risolto il mistero del bisonte ibrido, una specie irriconoscibile e così difficile da trovare che i ricercatori anglosassoni, con un gioco di parole, l'hanno chiamata 'il bisonte di Higgs', alludendo alla particella elementare cercata per decenni dai fisic e scoperta al Cern nel 2012.

    Come è accaduto per il bosone, anche il bisonte misterioso ha richiesto una lunga caccia e solo adesso si è capito che è stato l'antenato del bisonte europeo, nato da un incrocio fra il bisonte della steppa e il papà dei bovini moderni, l'Uro. Il risultato, pubblicato sulla rivista Nature Communications, si deve al gruppo coordinato da Alan Cooper, dell'università australiana di Adelaide.


    Bisonte della steppa dipinto nella grotta di Chauvet (fonte: Carole Fritz)

    ''Scoprire che un incrocio ha portato a una specie completamente nuova è stata una vera sorpresa'', ha detto Cooper, che dirige il centro per lo studio del Dna antico dell'università di Adelaide. I ricercatori hanno analizzato il Dna estratto dalle ossa di 64 bisonti rinvenute nelle grotte di tutta Europa, degli Urali e del Caucaso. Hanno scoperto in questo modo che la specie misteriosa ha avuto origine oltre 120.000 anni fa dall'incrocio tra l'antenato dei bovini moderni, l'Uro, e il bisonte della steppa, che viveva nelle fredde praterie dall'Europa all'Asia, fino al Giappone e al Canada. Il Dna ha mostrato, inoltre, che questo bisonte è l'antenato del bisonte europeo comparso circa 11.700 anni fa e che ancora sopravvive in alcune riserve protette, tra Polonia e Bielorussia.

    L’aspetto singolare è che tutti questi cambiamenti sono ‘fotografati’ in modo sorprendente nei dipinti rupestri scoperti nelle grotte francesi, comprese le famose grotte di Chauvet e Marsoulas. ''E' come se questi dipinti fossero stati fatti per noi'' ha detto scherzando Julien Soubrier, dell'università di Adelaide, che ha partecipato alla ricerca. I dipinti di oltre 18.000 anni fa, per esempio, raffigurano creature con lunghe corna e la parte anteriore del corpo molto grande, come nei bisonti americani, mentre i dipinti più recenti (realizzati nel periodo compreso tra 12.000 e 17.000 anni fa) raffigurano animali dalle corna più corte e gobbe più piccole, simili al bisonte europeo moderno.

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    Predefinito Re: Quando tutto ebbe inizio... l'arte nella preistoria

    Comunque certa arte rupestre è sorprendentemente di gran pregio considerata l'epoca.

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    Predefinito Re: Quando tutto ebbe inizio... l'arte nella preistoria

    Pittogrammi misteriosi e strane apparizioni. La Grotta dei Cervi, la grotta ‘proibita’ del Salento.


    È il 1 febbraio del 1970. È l’alba, il buio avvolge ancora il paesaggio incantevole del Salento, mentre il freddo fa sentire gli effetti di un inverno rigido. Tutto ciò non scoraggia alcuni componenti del Gruppo Speleologico ‘De Lorentis’ di Maglie nell’ incontrarsi per proseguire un’ispezione già iniziata da qualche tempo sul pianoro di Badisco, nei pressi di Otranto (Lecce), uno dei luoghi più suggestivi del territorio salentino. Il gruppo è formato da Severino Albertini, Isidoro Mattioli, Remo Mazzotta, Enzo Evangelisti e Daniele Rizzo, tutti accomunati dalla passione per la speleologia e dalla voglia di scoprire qualcosa di importante. Il destino sembra accontentarli proprio quel giorno. Sono ancora le 4 del mattino, i cinque uomini hanno da poco avviato le ricerche, quando uno di loro, Albertini, sente l’esigenza di appartarsi per espletare un proprio bisogno fisiologico. In quell’attimo avverte sulla sua pelle uno strano vapore che proviene da una buca nel terreno. Richiama subito l’attenzione dei suoi colleghi che in un attimo accorrono e lo raggiungono. Da quella buca continuano a uscire strani vapori e gli speleologi, incuriositi, si mettono immediatamente a scavare. grotta

    All’improvviso, da quella che si sta delineando come una cavità sotterranea, sbuca una vipera che fa trasalire i cinque uomini. Non fanno in tempo a riprendersi dallo spavento che percepiscono una presenza alle loro spalle. Quella che appare ai loro occhi è una figura femminile avvolta in abiti scuri, dalle sembianze non più giovanili.“Se bb’è ssuta la sacàra iti truvàtu l’ acchiatura!”( ”se avete trovato la vipera, avete trovato il tesoro”), una frase in dialetto locale, pronunciata dalla donna in pochi secondi poco prima di scomparire misteriosamente nel nulla. Convinto di essere preda di suggestioni dovute all’atmosfera enigmatica che si sta creando, il gruppo, dopo qualche attimo di straniamento, non si lascia intimorire e avanza nello scavare nella cavità. Dopo ben 10 ore di lavoro, quello che si manifesta è stupefacente: una grotta enorme le cui pareti sono ricoperte da ben circa 3000 pittogrammi, segno tangibile della presenza umana ai tempi del Neolitico in quei luoghi. Sono tutti in guano di pipistrello e ocra rossa, databili intorno ai 4.000 e i 3.000 anni a.C., e rappresentano uomini che tendono l’arco, donne, bambini, animali come cervi o cani, oggetti e immagini dal contenuto simbolico o religioso. Davanti a tanto splendore, il gruppo non può non proseguire nello scavare, e ora è ancora più mmaniotivato. Ma gli imprevisti sono dietro l’angolo. I cinque stanno per addentrarsi in un anfratto, quando sentono degli strani rumori provenire da lontano. Sembra un tam-tam simile a quello di un tamburo, che aumenta man mano d’intensità. Non osano andare oltre e rimangono fermi aspettando che quel rumore smetta di risuonare nella grotta. Invece, dal fondo, ecco intravedersi due macchie rosse, come due occhi infuocati. La paura ormai è troppa e il gruppo scappa via riemergendo in superficie. Passano i giorni e gli speleologi decidono di ritornare in quella grotta, ma questa volta con loro ci sono anche un fotografo, Pino Salamina e Nunzio Pacella. Quello che è stato scoperto non può rimanere nascosto.

    È un tesoro troppo prezioso, i salentini devono sapere cosa si nasconde sotto le loro terre. La grotta si snoda lungo cunicoli sotterranei collegati tra loro attraverso tre corridoi principali, dove vengono ritrovati scheletri e vari reperti archeologici. Ma ciò che più affascina maggiormente è la moltitudine di pittogrammi, molti dei quali incomprensibili, che riempiono le pareti. Alcuni sembrano raffigurare scene di caccia di cervi, per questo la grotta verrà chiamata ‘Grotta dei Cervi’. Tra gli spazi più incantevoli e allo stesso temspeleologhipo misteriosi, quella che viene definita ‘Sala delle manine’, per via delle migliaia di impronte simili a quelle di bambini che si possano ammirare sulle sue mura.
    Tutto viene immortalato, con la speranza che venga custodito con cura e che possa essere accessibile a tutti. Questo però non avviene, già all’indomani della notizia del ritrovamento della grotta, la Sovrintendenza Archeologica di Taranto chiude ogni accesso a quello che viene definito come il complesso pittorico neolitico più imponente d’Europa, o come “la Cappella Sistina della Preistoria”. Solo qualche mese fa, in occasione del 47° anniversario del suo ritrovamento, sembra che si sia giunto a un accordo che permetterebbe di visitare almeno la parte anteriore della grotta.
    Nel frattempo tante sono le storie nate intorno ad essa, riguardanti soprattutto l’ipotetica presenza di strani e inquietanti personaggi, il significato indecifrabile dei vari pittogrammi o l’uso stesso che ne se faceva in passato. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che la grotta venisse usata per riti magici, mentre non si spiegano i fenomeni che hanno caratterizzato il suo ritrovamento, come l’identità della vecchia o il senso nascosto dietro le parole da essa pronunciate. Di certo non sono pochi gli enigmi che ruotano intorno a una dei luoghi più interessanti della Puglia e che sembrano destinati a rimanere chiusi nella grotta ‘proibita’ del Salento.

    Pittogrammi misteriosi e strane apparizioni. La Grotta dei Cervi, la grotta ?proibita? del Salento. | Polis SA Magazine
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