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    Predefinito La crescita economica non cancella il passato violento dello Sri Lanka

    La crescita economica non cancella il passato violento dello Sri Lanka - rivista italiana di geopolitica - Limes

    Dopo una guerra civile durata 26 anni e finita nel 2009, Colombo sta vivendo un boom: pil in aumento, bassa inflazione, Obiettivi del Millennio più vicini. Ma i tamil non possono dimenticare le violazioni dei diritti umani che hanno subìto.


    [Carta di Laura Canali]

    Il presidente dello Sri Lanka Mahinda Rajapaksa si era illuso che il vertice del Commonwealth, svoltosi a Colombo dal 15 al 17 novembre, potesse essere l’occasione perfetta per mostrare al mondo la prosperità del paese, la sua vertiginosa crescita economica e le immense potenzialità per i futuri investitori.



    Sperava di cancellare dalla memoria mondiale le immagini della brutale guerra civile che ha insanguinato il paese dal 1983 al 2009 e che ha causato oltre 100 mila vittime. Sperava di riuscire a zittire gli eventuali guastafeste con quel sapiente connubio di bugie e false rassicurazioni con cui ha sempre risposto alle dure critiche e accuse dell’Onu.

    In quanto capo di Stato del paese ospitante, per i prossimi 2 anni Rajapaksa rivestirà il ruolo di Segretario Generale del Commonwealth. Il vertice biennale aveva dunque una grande importanza, sia pratica sia simbolica: ma le speranze del presidente sono state tradite. L’intero evento si è infatti rivelato disastroso per l’immagine dello Sri Lanka.

    I primi ministri dell’India, del Canada e delle Mauritius hanno boicottato l’incontro in segno di protesta per i crimini di guerra perpetrati dall’esercito cingalese. Amnesty International aveva lanciato un appello anche a David Cameron per spostare il summit in un altro Stato, ma il primo ministro britannico ha replicato che l’incontro sarebbe servito proprio per accendere i riflettori sulla questione dei diritti umani. Dopo aver omaggiato la popolazione tamil con una breve visita nel nord del paese, Cameron ha infatti richiesto a Rajapaksa di sottoporsi a un’investigazione indipendente sui crimini di guerra commessi nel 2009.
    Alcuni definiscono lo Sri Lanka la lacrima dell’India, altri la terra dei sorrisi. In questi 2 appellativi vi sono racchiusi tutti i suoi paradossi. Paese famoso per le sue spiagge da cartolina e i paesaggi mozzafiato, nel 2013 ha guadagnato il titolo di miglior destinazione turistica della Lonely Planet. Ma il suo passato violento proietta lunghe ombre sul presente.

    Lo Sri Lanka è tristemente famoso anche per il regime repressivo, per le violenti tensioni etniche e religiose, per la corruzione imperante, per la forte limitazione alla libertà di stampa e per il velo di silenzio e impunità che circonda i casi frequenti di “sparizioni” di attivisti, giornalisti e oppositori politici.

    Nel 2013 Navi Pillay, commissario dell’Onu per i diritti umani, ha duramente criticato il governo cingalese affermando che stava mostrando gravi segni di deriva autoritaria. La recente ondata di attacchi contro la popolazione musulmana a opera di estremisti buddisti non fa che peggiorare il quadro. Ma il governo Rajapaksa non sembra intenzionato a cambiar rotta o a far luce sulle continue violazioni di diritti umani nel paese.

    La guerra civile esplose nel 1983 a causa delle tensioni tra la minoranza tamil, prevalentemente di religione hindu, e la maggioranza buddista dei cingalesi. Per ben 26 anni il governo dello Sri Lanka guidò una logorante campagna militare contro i ribelli delle Tigri tamil, che rivendicavano l’indipendenza del nord del paese e combattevano lanciando feroci attacchi terroristici, spesso contro obbiettivi civili.

    La popolazione tamil si trovò così presa tra 2 fuochi. Perseguitata dal governo, che non ne riconosceva i diritti linguistici e culturali, li discriminava fortemente nella vita economica e politica del paese e li accusava di collaborare con le Tigri. E perseguitata dai ribelli stessi che - soprattutto nelle fasi finali del conflitto - hanno impiegato i civili come scudi umani e reclutato forzatamente giovani e bambini.

    Nel 2008 Rajapaksa lanciò un’ultima e decisiva offensiva militare con l’obbiettivo di annientare le Tigri. Secondo le stime ufficiali dell’Onu, durante l’attacco finale furono uccise tra le 40 mila e le 70 mila persone. Entrambi gli schieramenti son stati accusati di crimini di guerra, ma il governo Rajapaksa ha negato ogni imputazione.

    L’esercito spinse i civili tamil verso la cosiddetta “no-fire zone, un’area neutrale istituita per “proteggere” gli innocenti. Ma si rivelò ben presto una trappola. Il governo bombardò deliberatamente obiettivi civili, tra cui le tendopoli dove si erano rifugiate decine di migliaia di profughi, gli ospedali da campo montati dalla Croce Rossa e i convogli su cui viaggiavano gli operatori umanitari che cercavano di portare provviste e medicine alla popolazione stremata dalla ferocia della guerra. Non si trattava di “vittime collaterali”. Le bombe cadevano con una drammatica precisione e regolarità all’interno del perimetro della no-fire zone. E non risparmiavano nessuno.

    Un portavoce Onu difese allora l’impotenza e l’indifferenza della comunità internazionale affermando che l’unica speranza era che Rajapaksa annientasse le Tigri tamil il prima possibile, per ristabilire la pace nel paese. Altri leader si congratularono con il presidente per l’efficacia della campagna antiterrorista.

    A distanza di 4 anni, il fetore della guerra sembra un ricordo lontano nelle strade di Colombo. In un’intervista per la pubblicazione economica The Report, Rajapaksa ha affermato che lo Sri Lanka “è la meraviglia emergente dell’Asia”. Già nel 2009, la Borsa valori di Colombo emerse come miglior mercato del mondo. Nel 2011 il prodotto interno lordo dell’isola è cresciuto dell’8%. La disoccupazione è bassa, l’inflazione è sotto controllo, il paese è sulla buona strada verso il raggiungimento degli obiettivi del millennio fissati per il 2015 dalle Nazioni Unite nel campo dell’istruzione, della salute e dell’eradicazione della povertà.

    Grazie alla sua strategica posizione geografica, a un passo dall’India e dalla Cina, lo Sri Lanka è al centro della nuova “via della seta”. Il governo Rajapaksa sta dunque investendo soprattutto nell’area del commercio e delle infrastrutture. Un’autostrada che collega la capitale Colombo all’aeroporto è stata inaugurata recentemente, in tempo per l’arrivo dei leader del Commonwealth.

    Ad Hambantota è stato invece aperto un nuovo porto commerciale, finanziato quasi interamente dalla Cina, che sta cercando di indebolire l’influenza indiana e assicurarsi un posto chiave nel futuro economico dello Sri Lanka. L’ago della bilancia dei poteri geopolitici, che nell’ultimo decennio si è rapidamente spostato dall’Occidente all’Oriente, punta dunque verso una rapida e promettente crescita dell’economia cingalese.

    Le parole "commercio" e "investimenti" sono state al centro delle discussioni del vertice del Commonwealth. Mentre Cameron stringeva la mano di Rajapaksa, lo Sri Lanka compiva un altro passo lungo il radioso cammino del successo economico. Ma nelle case delle vittime, nelle migliaia di case in cui qualcuno è stato ucciso, torturato, sequestrato e violentato dall’esercito cingalese con il beneplacito di Rajapaksa, i sopravvissuti si interrogavano sul senso della parola giustizia e sull’ipocrisia della comunità internazionale.

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    Predefinito Re: La crescita economica non cancella il passato violento dello Sri Lanka

    Bah, a me risulta che ad iniziare siano stati, ed in maniera particolarmente efferata, i tamil,.sostenuti sott'acqua dal tamil.nadu e dall'unione indiana ( un poco meno) - e buona parte.del 1981 me lo sono passato tra ceylon e tamil nadu

 

 

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