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    Predefinito Il DNA di un popolo che dimentica

    Il DNA di un Popolo che dimentica? | Storia | Rinascita.eu - Quotidiano di Sinistra Nazionale
    Il DNA di un Popolo che dimentica…

    di: Davide Caluppi
    info@rinascita.net
    Con questo articolo, inizio una serie di puntate sulle opere realizzate dal famigerato periodo noto come “Male Assoluto”. Il Popolo italiano purtroppo, dimentica facilmente, molto facilmente. Un Popolo, una Nazione che per indole è abituata a salire sul carro dei vincitori. Riprendo l’esposizione di tutte le opere realizzate dal Fascismo durante i suoi venti anni, dal volumetto uscito nel 2003 di Alessandro Mezzano intitolato “I danni del Fascismo”. Volumetto come dice lo stesso autore, che si considera come un “libro bianco”, il quale riporta fedelmente ciò che il Ventennio fascista per l’Italia ha realizzato. Una esposizione semplice, lineare ma allo stesso tempo dettagliata. Ai vincitori, come è dato sapere, da fastidio e darà fastidio sapere che in quel periodo buio molte cose sono state fatte per portare l’Italia al passo con altre potenze. La “vulgata” è sempre sul pezzo per denigrare questo argomento a loro fastidioso. Ma il sottoscritto senza peli sulla lingua vuole riportare ciò che di buono è stato fatto in quel periodo, e che oggi sotto gli occhi di tutti, tante di quelle cose sono state spazzate via. Riporto in questi articoli a puntate, come tante delle leggi fatte a favore dei lavoratori, delle leggi sociali, sono state costruite dal Fascismo per volontà di Benito Mussolini. Riforme in campo industriale, dell’agricoltura, della scuola, dello sviluppo urbanistico, il mondo del lavoro, il mondo femminile, la giustizia e tutta la società, sono opera di quel periodo rivoluzionario nati dall’azione del Fascismo. Per tutti coloro che fanno orecchie da mercante riporto il manifesto di Palmiro Togliatti; con la firma di altri 64 esponenti del Partito Comunista Italiano, che inviò nel 1936 “agli italiani, alle Camicie Nere ed ai Fascisti”, per comprendere in fondo l’azione fascista nel risolvere i problemi degli italiani, e proprio da questo stato di cose il consenso di Mussolini che rendevano il comunismo un’ideologia retrograda e non solo vinta, ma inutile. Ecco i passi del discorso di Palmiro Togliatti: “Popolo italiano, soldati, camicie nere, ex combattenti e volontari d’Africa! Noi comunisti facciamo nostro il programma fascista del 1919, che è un programma di pace, di libertà, di difesa degli interessi dei lavoratori. Camicie Nere ed ex combattenti e volontari d’Africa, vi chiediamo di lottare uniti per la realizzazione di questo programma. Fascisti della vecchia guardia! Giovani fascisti! Noi proclamiamo che siano disposti a combattere assieme a voi per la realizzazione del programma fascista del 1919, e per ogni rivendicazione che esprima un interesse immediato, particolare o generale, dei lavoratori e del popolo italiano. Diamoci la mano, fascisti e comunisti, cattolici e socialisti, uomini di tutte le opinioni”, (Lo Stato Operaio, a. X, n.8 agosto 1936). Al di là delle opinioni, lascio la parola ai fatti con un elenco significativo delle leggi, delle riforme e delle opere che furono realizzate dal Fascismo, e che hanno cambiato in maniera enorme il volto della società italiana, il suo modo di pensare, dando a Mussolini quel consenso di massa popolare totale che oggi la storiografia della “vulgata” che vede con i paraocchi, si affannano in tutti i modi a disconoscere e denigrare giorno dopo giorno. Ma chiunque ha vissuto in quel periodo, ed non è in malafede, conosce bene e non può negare l’evidenza. Prima di partire con l’elenco delle opere fatte dal Ventennio, per coloro i quali vivono della falsità delle cose per partito preso; alcuni giudizi di personaggi storici che non hanno bisogno di commenti:
    - Mahatma Gandhi: “Il Duce è uno statista di primissimo ordine, completamente disinteressato”.
    - Gran Mufti di Gerusalemme, Haj Amin al-Husseini: “Voi italiani avete la grande fortuna di essere guidati da un tale Capo che non appartiene però a voi soli, ma al mondo intero”.
    - Vladimir Ilic Ulianov, detto Stalin: “Sono certo che per causa sua e delle idee che egli ha, il marxismo sarà un giorno battuto e definitivamente rovinato”.
    - Josip Vissarionovic Stalin: “Con la morte di Mussolini, scompare un grande uomo politico cui si deve rimproverare di non aver messo al muro i propri avversari politici”.
    - Winston Churchill: “Così finirono i ventuno anni della dittatura di Mussolini in Italia, durante i quali egli aveva salvato il popolo italiano dal bolscevismo per portarlo in una posizione in Europa quale l’Italia non aveva mai avuto prima”.
    - Antony Eden (fautore delle sanzioni): “Mussolini è il grande legislatore dei nostri tempi. Le leggi del Duce e dei suoi fedeli sono una pietra miliare nell’evoluzione mondiale”.
    - E. Delano Roosevelt: “Sono rimasta davvero ammirata dal modo in cui Mussolini concepisce e risolve i maggiori problemi del giorno”.
    - Rudyard Kipling agli italiani: “Sappiate amare questo vostro meraviglioso fratello che protegge il vostro avvenire…Pensate che per l’Italia egli è tutto”.
    - George B. Shaw: “Il popolo aderisce a Mussolini perché lo considera indispensabile”.
    - Stanley Baldwin, primo ministro britannico: “Non credo che in Europa vi siano uomini eccezionali come Mussolini”.
    - Claude Ferrère, accademico di Francia: “Il bene che Mussolini ha fatto all’Italia è, malgrado tutto, incommensurabile”.
    - Richard Strauss: “Se dovessi sintetizzare il mio pensiero col minor numero di parole non troverei che queste: Mussolini è unico”.
    - Igor Strawinsky: “Non credo che alcuno abbia per Mussolini una venerazione maggiore della mia”.
    - H. S. Harmsworth, Lord Rothermere: “Mussolini è la più grande figura della nostra età e probabilmente dominerà il XX secolo”.

    1) Parchi Nazionali:

    Gran Paradiso: RDL n°1584 del 3.12.1922
    Abruzzo: RDL n°257 del 12.07.1923
    Circeo: Legge n°285 del 25.01.1934
    Stelvio: Legge n°740 del 24.04.1935

    La priorità che il Fascismo dette ai valori spirituali della vita, in antitesi al materialismo che dominava, e che domina tuttora, le concezioni capitalista e marxista della società, si deduca anche dall’attenzione e dalla cura che esso pose alla preservazione della natura e delle tradizioni culturali delle zone minacciate dal progresso tecnologico. La volontà di salvaguardare i vari paradisi naturalistici che fortunatamente abbondano in Italia con la loro ricchezza di paesaggi, di flora, di fauna e di tradizioni e culture originali e, nel contempo, farne un’attrattiva atta a promuovere un turismo intelligente e non invasivo, fu una mossa geniale e lungimirante: si dimostrava che era possibile difendere la natura e le tradizioni di quelle zone e, al contempo, incrementarne l’economia ed il livello di benessere. Si sviluppa così, e non solo nella dottrina, ma anche e soprattutto nell’azione di governo, il fondamentale concetto fascista secondo cui il territorio e le risorse, prima di essere proprietà dei singoli cittadini, costituiscono un bene che appartiene non allo Stato, ma alla Nazione, sicché come tale va preservato. E’ una vera e propria rivoluzione culturale che ribalta la concezione liberale di proprietà e determina un approccio nuovo ed originale, non negando la proprietà, ma ponendo dei confini precisi che la rendono secondaria rispetto all’opzione prioritaria dell’interesse generale e nazionale.
    Anche in questo caso, la riprova della validità dell’iniziativa si ha dalla constatazione che essa è stata ampiamente copiata e ripresa negli ultimi sessant’anni, magari con l’aggiunta di un pizzico di intento speculativo.



    2) Assistenza ospedaliera per i poveri

    Legge promulgata il 30.12.1923 con Regio Decreto n°2841

    Emanato dopo poco più di un anno dalla Marcia su Roma, questo provvedimento fa parte di quegli interventi tampone e d’urgenza che il Fascismo pone in essere per sanare le situazioni sociali particolarmente in contrasto con il suo programma sociale. Questi provvedimenti legislativi saranno in seguito perfezionati, anche mettendo a frutto le esperienze fatte nel frattempo, e mutati in leggi organiche definitive, come nel caso dell’istituzione dell’INAM.
    Questa legge trasforma in diritto alle cure gratuite la discrezionalità caritatevole di associazioni benefiche, per lo più religiose, che fino ad allora aveva condizionato la vita o la morte delle persone che non disponevano di mezzi propri per accedere alle cure ospedaliere. Il cittadino è considerato soggetto di diritto e di diritti in quanto tale, come membro della Nazione e non per caso, categoria, fede o clientela.


    Fonte: “I Danni del Fascismo” di Alessandro Mezzano

    Articolo letto: 1 volte (25 Novembre 2013)

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    Ultima modifica di Avanguardia; 28-11-13 alle 13:47
    FASCISMO MESSIANICO E DISTRUTTORE. PER UN MONDIALISMO FASCISTA.

    "NELLA MIA TOMBA NON OCCORRE SCRIVERE ALCUN NOME! SE DOVRO' MORIRE, LO FARO' NEL DESERTO, IN MEZZO ALLE BATTAGLIE." Ken il Guerriero, cap. 27. fumetto.

  2. #2
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    Predefinito Re: Il DNA di un popolo che dimentica

    Il DNA di un popolo che dimentica - II parte | Storia | Rinascita.eu - Quotidiano di Sinistra Nazionale
    di: Davide Caluppi
    info@rinascita.net
    Il DNA di un Popolo che dimentica-II Parte
    Prosegue l’analisi sulle opere del fascismo. Un contributo per farsi un’idea lontana dai pregiudizi. Riportato anche da Agenzia Stampa Italia.
    Tutela lavoro Donne e Fanciulli:
    Legge promulgata il 26.04.1923 con Regio Decreto n°653
    E’ una delle prime leggi sociali del Fascismo: nasce solo sei mesi dopo la Marcia su Roma del 28 Ottobre 1922, ed è chiaramente indicatrice di quella che sarà la politica sociale degli anni futuri del regime. Negli anni e nei secoli precedenti, né la Chiesa, né la borghesia, né i socialisti ed i sindacati erano riusciti a migliorare ed a rendere umana la condizione delle donne e dei fanciulli, che erano costretti a lavorare nelle fabbriche, nelle miniere o come braccianti nelle campagne. Le lotte e gli scioperi promessi dai socialisti, pur con le migliori intenzioni, non erano riusciti a modificarne la drammatica situazione di lavoro. Le donne subivano orari massacranti, spesso in condizioni igieniche disastrose, anche quando erano in gravidanza e, specie per questa causa, potevano essere licenziate ad arbitrio dei padroni. I fanciulli erano avviati al lavoro in età precoce, otto-dieci anni, in condizioni spesso molto disagiate; miniere, concerie, filande, con orari durissimi ed erano naturalmente privati di qualsiasi possibilità d’istruzione che andasse oltre il leggere e scrivere.
    Con questa legge viene elevata a quattordici anni l’età minima per l’avviamento al lavoro dei giovani, vengono stabilite le condizioni dell’ambiente di lavoro cui i giovani possono accedere, viene stabilito per loro un orario massimo di otto ore giornaliere e viene stabilito il ruolo dell’apprendistato. Per le donne, si stabilisce il tipo di lavoro cui possono essere addette, la non licenziabilità in caso di gravidanza, un periodo di attesa per la maternità e vengono migliorate le condizioni dell’ambiente di lavoro. Una nota: già da decenni, sotto l’occhio vigile e complice della Repubblica nata dalla Resistenza, della Chiesa Cattolica e dei partiti democratici; che data la mancanza di volontà politica, non hanno mai svolto azioni efficaci di denuncia, né hanno promosso azioni risanatrici serie, è ripreso in grande stile, specie nel Mezzogiorno, lo sfruttamento del lavoro minorile e la semischiavitù del caporalato e del lavoro nero per le donne. Molte le chiacchiere e le dichiarazioni d’intenti, molte le promesse demagogiche e molte le proposte che, in alcuni casi, sono anche sfociate in leggi, queste però, nella pratica, hanno avuto l’efficacia delle famose gride manzoniane, che promettevano pene severissime per i contravventori, ma all’atto pratico restavano quello che erano: proclami inutili, inascoltati e velleitari.


    Assicurazione Invalidità e Vecchiaia
    Legge promulgata il 30.12.1923 con Regio Decreto n°3184

    La legge decreta il diritto alla pensione d’invalidità e vecchiaia tramite un’assicurazione obbligatoria, al cui pagamento concorrono sia i lavoratori sia i datori di lavoro. Il lavoro, componente fondamentale del nuovo Stato Fascista, è un dovere per ogni cittadino, ma anche lo riscatta da quella posizione di servitù in cui lo Stato liberale aveva messo il lavoratore, per trarlo in una posizione di libertà e di dignità che lo investe in quanto uomo e non solo in quanto lavoratore e per questo gli assicura la certezza del sostentamento alla fine di una carriera di lavoro. Purtroppo un miraggio oggigiorno queste assicurazioni sul lavoro, in quanto i burocrati politicanti hanno smantellato quanto di buono fatto dal fascismo sul fronte lavoro e non solo. Per questa legge vale ciò che osservato a proposito di quella dell’assistenza ospedaliera per i poveri, in quanto anche in questo caso si tratta di un provvedimento tampone, realizzato ad un anno dalla Marcia su Roma, che serve a sanare una situazione di grande disagio e che sarà poi perfezionato con la legge istitutiva dell’INPS.


    Acquedotto Pugliese, del Monferrato, del Perugino, del Nisseno e del Velletrano

    In una economia ancora fortemente agricola, era di vitale importanza la disponibilità di acqua a sufficienza per irrigare le culture e per dare da bere alle persone ed agli animali. In modo particolare nel Meridione, dove la sete era un retaggio atavico che causava anche problemi igienico-sanitari, ma anche in alcune zone d’Italia centrale e settentrionale, questo era un problema sentito che mai nessun governo, prima e dopo l’Unità d’Italia, era riuscito a risolvere, ad eccezione delle canalizzazioni venete della Serenissima, di quelle lombarde degli Sforza e di quelle piemontesi iniziate da Cavour, che pur tuttavia non erano acquedotti, ma solo vie d’acqua e strumenti per l’irrigazione, in zone dove l’acqua non mancava ma doveva solamente essere meglio distribuita. La conseguenza di tutto ciò era, in molte zone, quella di un’agricoltura povera che riusciva a malapena a sfamare le popolazioni e di un allevamento di bestiame misero e scarso come scarse erano le risorse idriche disponibili.
    L’Acquedotto Pugliese si alimenta, con ardito progetto, sviluppando una serie di dighe, condotti, bacini e centrali e migliaia di chilometri di tubazioni, smistando a tutto il Tavoliere e a tutta la Puglia acqua sufficiente all’allevamento ed all’uso alimentare, trasformando l’economia della regione e portando benessere e dignità laddove era solo miseria e umiliazione. I primi progetti risalgono al 1904, quando l’Ente Autonomo Acquedotti Pugliesi ne affidò l’esecuzione alla società Ligure del senatore Mambrini, in seguito alla legge di finanziamento fatta approvare dal Ministro dei Lavori Pubblici On. Balenzano. I lavori avrebbero dovuto essere terminati nel 1920, ma nel 1919 solo 56 comuni su 260 avevano avuto l’acqua, mentre le opere intraprese erano state abbandonate e incomplete e deperivano, come spesso accade anche oggi. Nel 1923, sotto il governo Mussolini, l’Ente fu commissariato e passò alla gestione straordinaria, con la nomina a commissario dell’ing. Gaetano Postiglione e del direttore alle costruzioni ing. Manfredonia; improvvisamente i lavori accelerarono e furono superate tutte le difficoltà che sino ad allora avevano bloccato i lavori, che furono portati a termine con successo nel 1939. L’Acquedotto Pugliese è il più grande acquedotto del mondo: vanta un totale complessivo di opere di circa undicimila chilometri con una portata media di 4.000 litri al secondo. I Comuni serviti sono 444. Con precisi progetti voluti dal regime, analoga operazione viene intrapresa e portata a termine nella vasta zona piemontese del Monferrato, territorio collinare da sempre tormentato da una scarsità endemica di acqua, nella provincia di Perugia e nelle zone del Nisseno e del Velletrano.


    Riduzione dell’orario di lavoro a 8 ore giornaliere:
    RDL n°1955 del 10.09.1923

    Prima del Fascismo, nel mondo del lavoro non vigeva alcuna regolamentazione legislativa che stabilisse la durata della giornata lavorativa, il pagamento degli straordinari, la particolare situazione dei giovani al loro primo approccio con il mondo del lavoro per imparare un mestiere; questi ultimi venivano regolarmente sfruttati per quanto concerneva orari e salari. In pratica, quasi tutto era lasciato all’arbitrio del datore di lavoro, che spesso, con il ricatto psicologico della disoccupazione, costringeva i lavoratori a orari massacranti e ad ambienti di lavori malsani e insicuri. Nessuno, tranne i sindacati socialisti, che peraltro avevano ottenuto piccole conquiste solo in casi particolari e non sul piano nazionale, era riuscito a modificare l’essenza di un rapporto di lavoro tanto inumano ed incivile. Tutti sanno poi, dai romanzi dell’epoca, come anche i bambini dai sette ai dieci anni fossero costretti a lavorare nelle filande, nelle miniere e negli opifici, con gravissimo danno della salute fisica e psichica. Bisogna peraltro riconoscere che, mentre i sindacati socialisti facevano un’opera di lotta da una posizione non solo al di fuori del potere, ma ad esso contrapposta, il Fascismo era al potere.
    L’originalità stava nel fatto che il potere, anziché contrapporre le classi, viste dal socialismo come cause immutabili, proponeva sinergie tra posizioni sociali dinamiche ed usava naturalmente la sua autorità per creare le condizioni del cambiamento. Né lo Stato liberale, né le lotte del socialismo, né l’azione, per la verità molto blanda, della Chiesa, che preferiva non inimicarsi la ricca borghesia e quindi invitava, ad eccezione di pochi preti eroici, alla rassegnazione in questa valle di lacrime, erano riusciti a modificare tale situazione, inaccettabile per un Paese civile; d’altra parte ancora vediamo oggi in tutto il mondo che, laddove il capitalismo è senza controlli, all’estero come in Italia, è di nuovo ed ancora operante questo odioso sfruttamento dell’infanzia. La legge voluta da Mussolini, a meno di un anno dalla Marcia su Roma, elimina le più gravi forme di sfruttamento del lavoro, pone fine per sempre in Italia a questa situazione stabilendo regole precise sulla giornata lavorativa, che veniva stabilita in otto ore giornaliere e quarantotto settimanali, oltre alle si potevano fare, in casi eccezionali, un limitato numero di ore di lavoro straordinarie pagate in modo speciale e superiore a quelle normali. Ogni contratto di lavoro corporativo fisserà i dettagli validi per le peculiarità di ciascuna categoria; sarebbe utile consultarne qualcuno e confrontare le normative con i contratti collettivi sottoscritti dai sindacati dopo la guerra, prima di aprire bocca per denigrare senza cognizione di causa. L’istituzione dell’apprendistato fissava regole ben precise sui modi e sui tempi di approccio a un nuovo mestiere da parte dei giovani, sulla loro frequenza a corsi professionali pagati ed effettuati durante le ore lavorative.
    L’età minima di 14 anni, al disotto della quale era illegittimo avviare un ragazzo al lavoro, era già stata stabilita per legge nell’Aprile del 1923, sei mesi dopo l’ascesa al potere di Mussolini.
    Fonte: I Danni del Fascismo di Alessandro Mezzano

    Articolo letto: 1 volte (27 Novembre 2013)

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    Ultima modifica di Avanguardia; 28-11-13 alle 13:49
    FASCISMO MESSIANICO E DISTRUTTORE. PER UN MONDIALISMO FASCISTA.

    "NELLA MIA TOMBA NON OCCORRE SCRIVERE ALCUN NOME! SE DOVRO' MORIRE, LO FARO' NEL DESERTO, IN MEZZO ALLE BATTAGLIE." Ken il Guerriero, cap. 27. fumetto.

  3. #3
    Ghibellino
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    Predefinito Re: Il DNA di un popolo che dimentica

    Citazione Originariamente Scritto da Avanguardia Visualizza Messaggio
    Il DNA di un Popolo che dimentica? | Storia | Rinascita.eu - Quotidiano di Sinistra Nazionale
    Il DNA di un Popolo che dimentica…


    - Vladimir Ilic Ulianov, detto Stalin: “Sono certo che per causa sua e delle idee che egli ha, il marxismo sarà un giorno battuto e definitivamente rovinato”.
    Se guardi troppo a lungo nell'abisso, poi l'abisso vorrà guardare dentro di te. (F. Nietzsche)

  4. #4
    paracadute zen
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    Predefinito Re: Il DNA di un popolo che dimentica

    Citazione Originariamente Scritto da Ultima legione Visualizza Messaggio
    Vabbè, è stato un refuso.
    Difatti dopo c'è il nome corretto.
    Trollhunter delle 2 Sicilie.

  5. #5
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    Predefinito Re: Il DNA di un popolo che dimentica

    L'italiano non è , parte una minoranza, veramente adatto al fascismo. Preferisce il piccolo mondo degli interessi privati, è , collettivamente, un popolino, non un popolo. C'è qualcosa di biologico, nel dimenticarsi così in fretta il bene che ti hanno fatto, non può essere solo colpa della propaganda. Se si ricostruirà il paese , bisogna tener conto che una grossa percentuale della popolazione è insana!
    Il Silenzio per sua natura è perfetto , ogni discorso, per sua natura , è perfettibile .

  6. #6
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    Predefinito Re: Il DNA di un popolo che dimentica

    Il DNA di un Popolo che dimentica III parte | Storia | Rinascita.eu - Quotidiano di Sinistra Nazionale
    di: Davide Caluppi
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    Opera Balilla e Colonie Marine e Montane per i ragazzi
    Nell’ambito dell’organizzazione del Partito Nazionale Fascista (PNF), di cui farà organicamente parte, nasce nei primi anni del Regime Fascista l’Opera Nazionale Balilla (ONB), poi trasformata in Gioventù Italiana del Littorio (GIL), che ha lo scopo di educare fisicamente e moralmente la gioventù italiana dai sei ai ventuno anni. Con questo provvedimento, il Fascismo attuò una rivoluzione significativa sottraendo alla Chiesa, anche al di fuori dalla scuola, l’educazione della gioventù, che divenne di pertinenza dello Stato. Furono abolite associazioni cattoliche come gli Scout, che davano un’impronta confessionale all’educazione della gioventù; quest’ultima da allora diventò laica senza naturalmente che ciò impedisse o scoraggiasse in alcun modo né la catechesi, né la pratica della religione. Semplicemente si volle impedire che la Chiesa Cattolica improntasse in modo confessionale la gioventù e selezionasse “pro domo sua” le future classi dirigenti del Paese.
    Si realizzava, insomma, in modo compiuto, l’obiettivo risorgimentale di “libera Chiesa in libero Stato”. L’Opera Nazionale Balilla fu dunque la risposta del Fascismo all’esigenza di crescere ed educare i ragazzi nell’ambito dell’ideologia del regime; ma fu anche lo strumento per inculcare l’italianità, il senso della Patria e dei doveri civici in una nazione come l’Italia, che, avendo raggiunto da poco l’unità, non era ancora omogeneamente legata, pur avendo tradizioni, storia e cultura comuni.
    La Gioventù Italiana del Littorio (GIL), svolse un’azione capillare di disciplina ginnico-sportiva, costruendo palestre, piscine ed impianti sportivi, istituendo scuole per istruttori ginnici, organizzando campeggi e colonie, nonché gare provinciali, regionali e nazionali. La GIL realizzò il compito di allontanare i ragazzi dalle strade, di far loro praticare una ginnastica salutare, di educarli al rispetto dello Stato ed all’amore della Patria, di creare una nuova generazione d’Italiani, dalle Alpi alla Sicilia. A questa generazione non sarebbero poi mancate le occasioni, nella guerra e nella Repubblica Sociale Italiana, per mostrare in quale misura avesse assimilato i valori che le erano stati insegnati. Viene organizzato ed esteso a tutto il territorio nazionale un sistema capillare d’istruzione civile e sportiva come mai prima si era visto. La GIL ha come compiti precisi:
    - Formazione dei futuri insegnanti di educazione fisica in accademie ed istituti superiori
    - Svolgimento di assistenza scolastica tramite appositi “Patronati”
    - Istituzione ed assegnazione di borse di studio ai ragazzi bisognosi e meritevoli
    - Gestione di biblioteche per i giovani
    - Organizzazione dei “Ludi Juveniles”, gare nazionali di cultura, politica, arte e sport
    - Costruzione su tutto il territorio di “Case della GIL” con palestre, stadi e piscine per la pratica degli sport
    - Organizzazione e gestione delle Colonie climatiche, marine e montane.
    Quasi nessuno, tra i figli dei lavoratori che non vi risiedessero abitualmente, aveva mai potuto, in precedenza, passare periodi di vacanze ai monti o al mare, per l’ovvio motivo che a una famiglia di quei tempi, spesso famiglie numerose e monoreddito, una volta soddisfatto l’obiettivo primario della sussistenza, non rimanevano certamente denari per mandare i figli in villeggiatura. La villeggiatura era un privilegio dei benestanti. Non rari, nelle famiglie operaie, erano i casi di rachitismo o di malattie dell’apparato respiratorio, causate da condizioni di vita non certo ideali. Mediante questa istituzione, tutti i figli dei lavoratori che ne facessero richiesta e che si trovassero nelle condizioni di idoneità previste dai regolamenti, potevano usufruire di periodi di vacanza gratuiti ed essere assistiti in apposite strutture costruite a centinaia ai monti ed al mare.
    Tali strutture sorgono in tutto il territorio nazionale: da Massa a Bardonecchia, dal Sestriere alla riviera romagnola, dal Trentino a Ostia, dalla Sila alle coste della Sicilia. Anche in questo caso l’istituzione voluta dal Fascismo interviene al fine di equilibrare la fruizione di un bene, ridimensionando un privilegio ed estendendolo alle fasce deboli e stabilendo il principio che i bambini dei lavoratori hanno gli stessi diritti alla gioia ed alla salute di quelli dei ricchi.


    Sviluppo delle Centrali Idroelettriche ed Elettrificazione della Rete Ferroviaria
    Con notevole lungimiranza, Benito Mussolini volle promuovere le centrali idroelettriche, sia per sfruttare a pieno una risorsa che la natura morfologica italiana poneva gratuitamente a disposizione con i molti fiumi che scendono da grandi dislivelli alpini ed appenninici, sia per sviluppare una fonte di energia rinnovabile ed assolutamente non inquinante e svincolare così l’Italia dalla dipendenza dal carbone straniero. L’elettricità così prodotta, oltre ad alimentare le varie fabbriche, servirà a realizzare l’elettrificazione della gran parte della rete ferroviaria italiana, che in pochi sarà estesa a quasi tutte le tratte principali, salvo brevi percorsi che saranno serviti dalle famose “Littorine” funzionanti con motori Diesel.
    La produzione di energia elettrica impostata sulle centrali termiche, così come si è sviluppata nel dopoguerra, tralasciando la ricerca, l’incremento o lo sviluppo di altre fonti rinnovabili e gratuite come l’acqua e il vento, è frutto di un diverso ed interessato approccio al problema. Sugli approvvigionamenti da fonti energetiche gratuite non è possibile favorire interesse privati ed avere in cambio benefici economici e politici. I danni che le centrali termiche hanno provocato all’ambiente ed alle persone in questi anni del dopoguerra, quando il fine dei governi era la grande spesa per le grandi tangenti anziché il bene della Nazione, sono sotto gli occhi di tutti e non richiedono commenti.





    Istituzione della Reale Accademia d’Italia
    RDL n°87 del 07.01.1926
    Nel quadro del progetto di risollevazione della Nazione da quello spirito di rassegnata sudditanza e di provincialismo culturali che aveva contraddistinto secoli di storia, prima e dopo l’unità, in cui l’Italia era stata, come disse il Padre Dante “…non donna di province, ma bordello”, fu fondata l’Accademia d’Italia; ciò allo scopo di dare, sul modello di altre nazioni europee come la Francia, lustro e dignità all’ingegno ed all’arte italiane, che non avevano nulla da invidiare alle altre nazioni. L’Accademia d’Italia venne soppressa, e in suo luogo fu ricostituita la vecchia “Accademia dei Lincei”, di più modesta levatura, con un Decreto Luogotenenziale il n°363 del 28.09.1944: si volle in tal modo annullare l’istituzione non certo perché fosse sbagliata, ma solo perché era opera del Fascismo. Dopo la sconfitta e con l’avvento della Repubblica Resistenziale, rifiorirono il servilismo e il provincialismo: l’Italia borghese, clericale e anticomunista volle essere colonia culturale, politica ed economica degli USA, mentre la sinistra comunista avrebbe voluto un’Italia satellite dell’URSS.
    Oggi non è difficile constatare che l’Italia è diventata effettivamente, in tutto e per tutto, una colonia culturale, economica, politica e militare degli USA. Ci si veste all’americana, si mangia nei fast food e nei McDonald’s, si ascolta la musica americana, ci si “buca” all’americana, la lingua è infarcita di termini americani; se a Wall Street le azioni crollano, in Italia un sacco di famiglie si rovinano, e così via. La Coca Cola e gli hamburger hanno vinto, sconfiggendo la Pirelli, la Fiat, Dante, Machiavelli, Giotto, il Perugino, Michelangelo, Vivaldi, Puccini e Leonardo. L’atteggiamento servile di tutti i nostri capi di governo che si recano a Washington, Berlusconi come i suoi predecessori, non è molto diverso da quello dei capi indiani o africani che si recavano a rendere omaggio ai re d’Inghilterra, quando questa aveva ancora l’Impero.


    Bonifiche dell’Agro Pontino, dell’Emilia, della Bassa Padana, di Coltano, della Maremma Toscana, del Sele e della Sardegna e Colonizzazione del latifondo siciliano
    Sin dall’unità d’Italia si era analizzato e dibattuto su questi problemi, ormai storici, senza tuttavia che la classe dirigente borghese, a parte qualche modesto intervento su specifiche situazioni, fosse mai giunta ad elaborare e realizzare una qualche politica organica d’intervento. L’Opera Nazionale Combattenti (ONC), creata nel 1917 per favorire l’occupazione produttiva degli ex combattenti, si era rivelata un contentino virtuale da dare ai reduci ed alla pubblica opinione, e al momento della conquista del potere da parte del Fascismo non aveva ancora potuto iniziare ad operare in concreto. Nel 1923, solo un anno dopo la Rivoluzione Fascista, Benito Mussolini amplia i poteri dell’ONC e le affida la responsabilità tecnico-amministrativa di realizzare la bonifica dell’Agro Pontino, che non sarà un mero risanamento idraulico dei terreni, ma una vera e propria ricostruzione ambientale, secondo il piano di Arrigo Serpieri, sottosegretario alla Bonifica. Si tratta di espropriare il parassitismo latifondista di ampi territori lasciati all’incuria e al degrado, si tratta di realizzare un organico piano di appoderamento costituendo piccoli e medi poderi, modernamente attrezzati, che saranno dati, a riscatto, in proprietà ai braccianti, provenienti soprattutto dalle zone più povere del Veneto.
    Oltre alla dimensione dell’opera di bonifica, che non ha avuto eguali in Italia in tutta la sua storia, è da sottolinea il rivoluzionario concetto che la ispira e che va sotto il nome di “Bonifica integrale”, sottolineato e riportato nell’intestazione delle leggi che vi si riferiscono. Nella Bonifica integrale, oltre al risanamento idraulico dei territori è prevista la ridistribuzione della proprietà, il rimboschimento, la messa a coltura e la costruzione di città, borgate ed infrastrutture. Vengono creati circa 4.000 poderi di dimensioni tra i 5 ed i 30 ettari, si scavano 2.000 chilometri di canali, si costruiscono 900 chilometri di strade, 30 borghi e 5 città: Pontinia, Littoria, Sabaudia, Aprilia e Pomezia. I lavori di bonifica iniziano nel 1926 con l’impiego di 25.000 operai. Nel 1932 i primi coloni entrano nei fondi loro assegnati! A certificare l’efficienza del regime Fascista sta la rapidità di costruzione di ben cinque città; ciò non pregiudicò affatto né la solidità strutturale, tutt’oggi verificabile, né l’originalità e la modernità urbanistiche, che determinarono attenzione, meraviglia e plauso nel mondo intero:
    Littoria- inizio: giugno 1932, inaugurazione: 18 dicembre 1933
    Sabaudia- inizio: agosto 1933, inaugurazione: 15 aprile 1934
    Pontinia- inizio: 1934, inaugurazione: dicembre 1935
    Aprilia- inizio: 1936, inaugurazione: 18 novembre 1937
    Pomezia- inizio: 1938, inaugurazione: 29 novembre 1939
    Pur non facendo parte del piano di Bonifica dell’Agro Pontino, altre due importanti opere vengono realizzate dal Regime Fascista fra il 1934 e il 1937 nella zona adiacente al comprensorio: dopo i Parchi nazionali dello Stelvio, del Gran Paradiso e dell’Abruzzo viene istituito il Parco Nazionale del Circeo, 3.200 ettari; e viene fondata Guidonia, la città dell’aviazione, intitolata al generale Guidoni. Inaugurata dal Duce nel 1937, Guidonia è destinata a diventare nucleo residenziale del personale militare e civile dell’aeroporto di Monte Celio e del Centro Sperimentale Aeronautico. Nel secondo decennio di vita del Regime Fascista, gl’investimenti di capitali e l’organizzazione attuativa del piano generale di Bonifica subiscono un ulteriore, decisivo incremento.
    Dai 2.000.000 di ettari sotto bonifica nel 1930, si arriva ad oltre 5.000.000 nel 1938! Il massimo dello sforzo viene realizzato tra gli anni 1929 e 1932, quelli della Grande crisi mondiale. In tutti i sessanta anni del regno d’Italia, si erano bonificati 1.390.961 ettari! Al risanamento dell’Agro Pontino si debbono aggiungere le importanti bonifiche dell’Emilia e della bassa Valle Padana, quelle di Coltano, vicino a Livorno, della Maremma Toscana, del Sele e di alcune zone della Sardegna. In Sardegna, immediatamente a est di Oristano, tra il 1933 e il 1935, vengono bonificati 10.000 ettari paludosi e vengono creati 240 poderi con al centro la città di Mussolinia, oggi Arborea. Un’altra e importante e significativa opera viene iniziata, già in tempo di guerra, in Sicilia, con la costituzione dell’Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano, con uno stanziamento di 1.000.000.000 di lire di allora, a dimostrazione che gli investimenti per lo sforzo bellico, pur importantissimi, non erano considerati più importanti di quelli a sfondo sociale. Entro il 1943, prima dell’arrivo in Sicilia dei “liberatori” USA, favoriti ed accompagnati dai picciotti e dai pezzi da novanta di quella mafia che il Fascismo aveva costretto alla fuga in America, l’Ente aveva realizzato 8 borghi in province dell’isola: Borgo Fazio (Trapani), Borgo Gattuso (Caltanissetta), Borgo Cascino (Enna), Borgo Rizza (Siracusa), Borgo S. Giuliano (Messina), Borgo Lupo (Catania), Borgo Schirò (Palermo), Borgo Bonsignore (Agrigento). Insomma, le opere di bonifica realizzate dal Fascismo in un solo decennio sono non solo un’opera sociale e di riscatto delle fasce più neglette del bracciantato agricolo italiano, ma costituiscono il maggior intervento organico di ristrutturazione del territorio italiano attuato in tutto il Novecento e in epoca moderna. Come ampiamente documentato anche nella mostra “Metafisica costruita. Le città di fondazione degli anni Trenta dall’Italia all’Oltremare”, tenutasi a Roma fino a tutto il maggio 2002, i centri urbani maggiori e minori fondati in quel periodo dal Fascismo furono settantaquattro, distribuiti in trenta province. Tra questi, oltre alle già menzionate, ricordiamo le principali città che furono: Carbonia e Fertilia in Sardegna, Segezia in Puglia, Alberese e Tirrenia in Toscana, Torviscosa in Friuli ed Arsia e Pozzo Littorio in Istria. Sfidiamo l’antifascismo becero e chiacchierone a contestare il valore di quanto sopra descritto o a citare qualcosa di altrettanto valido realizzato dalla “Repubblica Resistenziale” e “democratica”!
    Attribuzione della facoltà d’indagine alla Polizia Tributaria
    RDL n°63 del 03.01.1926
    Viene da sorridere nel considerare a cosa potesse servire una Polizia Tributaria cui era inibita la facoltà d’indagare, tanto che fu necessaria un’apposita legge per poterlo fare efficacemente. Evidentemente i governi precedenti avevano avuto un occhio di riguardo per la ricca borghesia che non amava controlli ed indagini sulla propria situazione fiscale. Una legge come questa è la risposta oggettiva a tutti coloro che ancora oggi affermano, mentendo spudoratamente, che il Fascismo nacque per favorire i ricchi e per reprimere i poveri.


    Opera Nazionale Maternità ed Infanzia
    Legge promulgata il 10.12.1925 con R.D. n°2277 e regolamentata con R.D. n°718 del 15.04.1926
    Nella nuova società, la cura e l’importanza delle donne e dei fanciulli, implicita nella dottrina fascista, assume l’importanza di istituzione mediante la fondazione dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia. L’O.N.M.I. vuole dare e darà un concreto supporto a quella fondamentale cellula umana e sociale che è la famiglia, intesa non quale generatrice di forza di lavoro e di consumo, come è invece nella concezione materialista del capitalismo e del marxismo, ma quale culla e nucleo vitale delle tradizioni, della storia e del futuro della Nazione e dello Stato. Centro vitale della famiglia è, per il Regime Fascista, la madre. Essa assume una fondamentale importanza con la rivalutazione del ruolo femminile e la sottolineatura della sua dignità di figura comprimaria, attiva e non più passiva, nell’economia dello sviluppo armonico del nucleo famigliare. Insomma, un’emancipazione della donna al di fuori e prima della nascita del femminismo e con il pregio di sviluppare, rimarcare e promuovere la complementarità naturale della donna rispetto all’uomo, anziché porre stupidamente e innaturalmente in competizione i due ruoli cercando di copiare e sopraffare il maschio con il risultato, oggi evidente, di un uomo meno uomo e di una donna meno donna. Tale concetto si snoda durante tutto il Ventennio, partendo dalla partecipazione femminile alle organizzazioni politiche del Partito Nazionale Fascista; arriva al culmine con la complementarità militare, che si manifesta, nel periodo della Repubblica Sociale Italiana, nella creazione del corpo delle Ausiliare (SAF), le quali assumono particolari e specifici incarichi a fianco dei combattenti maschi.
    La capacità di abnegazione, fedeltà, efficienza e sacrificio del corpo delle Ausiliarie sono la dimostrazione di come le donne italiane del Fascismo avessero capito l’importanza del rivoluzionario cambiamento avvenuto nei riguardi della donna e della sintonia assoluta che si era creata tra loro e il Regime Fascista. L’Opera Nazionale Maternità ed Infanzia nasce come progetto organico per regolamentare e coordinare, sotto tutti gli aspetti, la cura e l’assistenza dei fanciulli e delle madri, sia nell’ambito della famiglia che all’esterno. L’ONMI è insomma il tessuto connettivo pensato e creato per prospettare la famiglia in una nuova luce e attribuirle una primaria importanza in rapporto allo Stato, il quale intende darle, anche a livello istituzionale, una nuova dignità e una posizione prioritaria nell’ambito della nuova società che si sta creando. Le competenze ed i compiti principali dell’ONMI sono:
    - Coordinamento delle istituzioni assistenziali per la maternità ed infanzia già esistenti con compito di vigilanza, ispezione e controllo e loro finanziamento
    - Creazione di nuovi istituti di varia natura per omogeneizzare il panorama di assistenza su tutto il territorio nazionale, strutturandone l’organizzazione a livello nazionale, regionale, provinciale e comunale in modo tale da avere una completa capillarità d’intervento
    - Fondazione di asili, consultori e ambulatori medici e di patronati d’assistenza
    - Organizzazione di corsi d’informazione sull’igiene prenatale e post-natale nei consultori e nelle scuole femminili
    - Assistenza e protezione delle gestanti e delle madri bisognose e dei loro bambini
    - Assistenza ai bambini di qualsiasi età appartenenti a famiglie bisognose e dei minorenni fisicamente o psichicamente anormali o abbandonati
    - Organizzazione della profilassi per la prevenzione della tubercolosi e la lotta contro le malattie infantili
    - Controllo e denuncia al tribunale delle inosservanze concernenti il lavoro minorile
    - Protezione dei minori allevati in ambienti fisici o morali inadeguati
    - Assistenza ai minorenni abbandonati, traviati o delinquenti
    Il finanziamento dell’ONMI si avvale di un contributo annuo dello Stato, di fondi stanziati allo scopo da istituzioni di assistenza, di percentuali stabilite per legge sugli utili dei Monti di Pietà e delle principali banche, nonché del 25% del ricavo delle imposte di soggiorno, oltre che del contributo dei soci, delle rendite patrimoniali e delle donazioni.


    Assistenza agli illegittimi, abbandonati od esposti
    Legge promulgata il 08.05.1927 con RDL n°798
    Con questa legge lo Stato si assume la responsabilità di provvedere a quei bambini non desiderati che erano prima senza tutela ed alla mercé della carità privata e quindi considerati persone di seconda categoria. Ancora oggi, a perenne ricordo dell’epoca in cui per questi fanciulli l’unica alternativa alla morte era la carità delle pie istituzioni, sussistono cognomi come “Esposito”: a Napoli il neonato veniva “esposto”, cioè abbandonato, alla ruota della carità.



    Esenzioni tributarie per le famiglie numerose
    Legge promulgata il 14.06.1928 con Regio Decreto n°1312
    In coerenza con la dichiarata importanza che il Fascismo attribuiva alla famiglia come cellula fondamentale della società, era importantissimo sgravare dalle spese fiscali quelle famiglie che già avessero impegni finanziari onerosi a causa dell’elevato numero di componenti.
    E’ dunque questa una delle prime leggi attuative del sostegno alla famiglia; essa troverà in seguito puntuale riscontro nelle leggi complementari degli assegni famigliari e degli aiuti economici per le famiglie numerose. Con questa legge viene ribadito il concetto dello Stato sociale, che non si limita ad amministrare la ricchezza prodotta dal Paese, ma applica il principio secondo il quale il diritto alla solidarietà non è correlato solo alla capacità produttiva dei cittadini, bensì anche alle loro situazioni di necessità.
    La Carta del Lavoro
    Pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n°100 del 30.04.1927
    E’ la “Costituzione” del mondo del lavoro, che puntualizza il rapporto fondamentale tra Fascismo e mondo del lavoro. Essa dichiara, istituzionalizzandoli, i principi basilari a tutela dei lavoratori, nonché la preminenza, nello Stato Fascista, dell’interesse prioritario che lega gli obiettivi dello Stato a quelli del lavoro e dei lavoratori. Ecco alcune, e solo alcune, delle principali enunciazioni, tradotte puntualmente in leggi dello Stato prima o dopo la dichiarazione della Carta del Lavoro:
    - Obbligatorietà della stipula di Contratti collettivi di categoria
    - Istituzione della Magistratura del Lavoro a livello di Corte d’Appello, con un Presidente e due consiglieri di Corte d’Appello, più due cittadini scelti in un albo di esperti del settore industriale coinvolto nel giudizio di specie. La Magistratura del Lavoro aveva il compito di dirimere le controversie tra le varie associazioni del lavoro o tra i singoli lavoratori e i datori di lavoro, interpretando, oltre alle situazioni previste nel codice civile, anche quelle comprese nei Contratti Collettivi di lavoro, che assumevano la validità di leggi dello Stato
    - Istituzione dell’albo degli esperti del settore produttivo, divisi per competenze, che affiancano i magistrati di Corte d’Appello nell’ambito delle cause discusse dalla Magistratura del Lavoro
    - Diritto alle ferie annuali
    - Istituzione della indennità di liquidazione di fine rapporto
    - Istituzione degli uffici di collocamento Statali
    - Disciplina e riconoscimento giuridico dei Contratti collettivi di Lavoro (Legge n°563 del 03-04-1926) che assumono così il valore di leggi dello Stato
    - Perfezionamento e miglioramento delle assicurazioni in favore dei lavoratori; in particolare l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, l’assicurazione per la maternità, l’assicurazione contro le malattie professionali, l’assicurazione contro la disoccupazione, assicurazioni speciali per i giovani, casse mutue per malattie
    - Istituzione dei corsi professionali sia per l’apprendistato che per il miglioramento delle capacità professionali dei lavoratori
    Come si vede, e come si può vedere ancora meglio consultando il documento originale, oggi non facilmente reperibile per l’ovvio motivo della paura del confronto, la Carta del Lavoro copre tutti i principali aspetti della problematica del mondo del lavoro e introduce concetti e soluzioni non solo innovativi, ma rivoluzionari per quei tempi, in quanto sovvertono la prospettiva da cui i temi del mondo del lavoro erano stati considerati sino ad allora. Ci sembra che nei tempi successivi, dal 1945 in poi, non siano stati molti e sostanziali i progressi fatti dai partiti popolari e dai sindacati per migliorare la materia e che, a parte il solito sciacallaggio del millantato credito, la partita tra il Fascismo e l’antifascismo, relativamente al punteggio basato sui vantaggi ottenuti dai lavoratori, si sia risolta in un “cappotto” per l’antifascismo.


    Rete Stradale ed Autostradale, ferrovie e Porti
    Nel 1928 viene costituita l’Azienda Autonoma Strade Statali (A.A.S.S.) con il compito di costruire la rete primaria stradale per complessivi 20.000 chilometri. Nel 1930 viene unificata la segnaletica stradale e viene approvato il primo Codice Stradale. Tra il 1925 e il 1935 si costruiscono le principali autostrade: Milano-Laghi, Milano-Bergamo, Roma-Ostia, Napoli-Pompei, Bergamo-Brescia, Milano-Torino, Firenze-Mare, Padova-Mestre e Genova-Serravalle, per complessivi 500 chilometri.
    Tra il 1920 e il 1940, la rete ferroviaria viene notevolmente rafforzata con circa 2.000 nuovi chilometri e si procede all’elettrificazione generale, mentre nelle tratte non elettrificate appaiono le famose “Littorine”. Tra il 1923 e il 1926, si ampliano e si modernizzano i Porti di Livorno, Genova, Napoli, Marghera, Civitavecchia e Ravenna.


    Creazione delle aree industriali
    Nel quadro delle misure anticongiunturali per la crisi mondiale del 1929-1930 e nella logica della dottrina Fascista, che prevede l’intervento dello Stato per realizzare forme di organizzazione basate sulle alleanze e sulle sinergie tra l’impresa privata e l’impresa di Stato, il Regime, servendosi sia dell’apparato amministrativo dello Stato sia di specifici enti creati appositamente come l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) e l’IMI (Istituto Immobiliare Italiano), vara un piano di sviluppo industriale che prevede l’istituzione delle Zone Industriali. Mediante l’espropriazione di interi comprensori produttivi ed avvalendosi di finanziamenti agevolati, esenzioni fiscali e doganali e di assistenza tecnica ed amministrativa gratuita, viene raggiunto il risultato di organizzare logisticamente, logicamente e strutturalmente, significativi ed efficienti poli industriali.
    Alcuni esempi sono le istituzioni, con decreti che vanno dal 1929 al 1941, dei poli industriali di Fiume, Trieste-Monfalcone, Aurisina-Pola, Livorno, Ferrara, Roma, Apuania e Palermo. In questo contesto dei poli industriali nascono i villaggi pianificati per la residenza delle maestranze, realizzati in regime di agevolazioni parificate a quelle concesse per la costruzione delle Case Popolari.
    Gli scimmiottamenti tentati nel dopoguerra dai governi democristiani e di centrosinistra hanno creato poli industriali come Taranto e Gioia Tauro, che, seguendo le logiche clientelari e del voto di scambio, anziché la logica industriale e la razionalità logistica hanno miseramente fallito l’obiettivo istituzionale.
    Istituzione del Libretto di Lavoro
    Proseguendo nel perfezionamento delle norme a tutela dei lavoratori, per contrastare fenomeni come il lavoro nero, lo sfruttamento illecito di categorie deboli come donne e fanciulli, gli abusi sull’orario di lavoro e l’evasione dei contributi assicurativi e previdenziali e per far sì che, in generale, fossero rispettate tutte le leggi emanate a difesa del mondo del lavoro, viene istituito il Libretto di Lavoro. Questo documento obbligatorio diventa indispensabile per l’assunzione di qualsiasi lavoratore e permette un controllo capillare delle aziende e del livello occupazionale nazionale.
    Riportiamo di seguito i punti più importanti della legge:
    - Tutti coloro che prestano lavoro dipendente debbono essere forniti di Libretto di Lavoro
    a) Grado d’istruzione
    b) Certificato medico d’idoneità al lavoro
    c) Dati completi del datore di lavoro e dell’Azienda, la qualifica professionale del lavoratore e relativi passaggi di categoria, l’ammontare della retribuzione, l’associazione professionale cui il lavoratore è iscritto, le date di assunzione e di cessazione dal servizio
    d) Infortuni e durata delle assenze per questo motivo
    e) Malattie e durata delle assenze per questo motivo
    f) Numero della tessera di assicurazione invalidità e vecchiaia
    - E’ fatto divieto ai datori di lavoro di assumere in servizio lavoratori non muniti di Libretto di Lavoro
    - Il lavoratore ha diritto a prendere visione e controllare in qualsiasi momento il proprio Libretto di Lavoro depositato presso il datore di lavoro
    - E’ vietato agli ufficiali di collocamento iscrivere nelle liste i lavoratori non muniti di Libretto di Lavoro
    - Sono previste sanzioni severe per registrazioni inesatte o fraudolente.
    Come si vede, l’intenzione è quella di regolamentare una volta per tutte il mondo del lavoro, ponendo fine a quelle irregolarità che avevano origine in una tradizione di prevaricazione e di ricatto e che i lavoratori avevano sempre dovuto subire in forza della miseria e della necessità. L’efficacia del provvedimento risulta dalla constatazione che oggi non solo il Libretto di Lavoro è ancora in vigore, ma che esso è diventato il simbolo del “Lavoro regolare” contro tutti gli abusi e la precarietà del cosiddetto “lavoro nero”.
    I Patti Lateranensi:
    Firmati l’11 febbraio 1929, i Patti Lateranensi furono, per Mussolini e per molti fascisti, una sgradevole necessità politica cui essi aderirono obtorto collo. Data la sua natura, non certo confessionale, non era nelle corde del Regime il fare della Chiesa Cattolica le concessioni che i Patti comportarono; ma i decenni di logoranti contrasti che avevano caratterizzato i rapporti tra Stato e Chiesa, sino alla unificazione nazionale conclusasi con la breccia di Porta Pia, dovevano essere sanati ad ogni costo.
    D’altra parte, nessuna concessione, nessun compromesso fu fatto sulle prerogative essenziali dello Stato, soprattutto per quanto riguardava l’educazione dei giovani, che anzi rimase allo Stato, dato il rafforzamento della scuola pubblica. Non si può dimenticare che il popolo Italiano era all’epoca, nella sua maggioranza, cattolico osservante e che quindi stava vivendo una tragica schizofrenia nel contrasto tra i propri doveri di fedeltà allo Stato e di fedeltà alla Chiesa. Né il clero, ispirato dal Vaticano, tendeva a sopire i contrasti, ma anzi, li fomentava. Era una situazione insostenibile ed obiettivamente difficile per chi, come Mussolini, aveva in mente di operare cambiamenti radicali nella società e non aveva certamente bisogno né di opposizione precostituita, né di resistenze passive, né di zavorre. I Patti Lateranensi furono un’operazione non gradevole ma necessaria, che fu compiuta nell’ottica del progetto di riunire compattamente il popolo italiano per potere efficacemente operare le riforme e la rivoluzione sociale, difficili, se non impossibili da attuare, con un popolo diviso in fazioni contrastanti.
    In più, avendo la Chiesa Cattolica un’influenza su quasi tutte le nazioni occidentali, la pace con essa rappresentava un notevole miglioramento dell’atteggiamento delle altre nazioni verso l’Italia e il suo governo. Chi non capisce, o non vuole capire la complessità della situazione e la necessità di togliere dal panorama politico italiano di allora questo problema incancrenito, o è in malafede o non né ha la sensibilità politica, né l’intelligenza per capire. Per tutti i motivi su esposti e per rasserenare la società civile italiana, il governo fascista concluse i Patti Lateranensi, pagando un prezzo economico, politico ed ideologico, ma assicurandosi l’appoggio della Chiesa, almeno fino a quando il vento fu in poppa e non si delinearono la sconfitta bellica e il disastro politico. Dopo di che, come sempre in tutti i suoi 2.000 anni di storia, la Chiesa Cattolica cambiò rotta, maledisse quelle bandiere che aveva benedetto sino al giorno prima, lanciò l’anatema contro colui che il Papa aveva definito “l’Uomo della Provvidenza” e si trovò pronta ad ereditare il nuovo potere. Ma questo è un altro discorso.


    Legge sull’Assicurazione obbligatoria contro le Malattie Professionali e Legge istitutiva dell’INAIL (Istituto Nazionale Infortuni sul Lavoro)
    Leggi promulgate rispettivamente il 13.05.1929 con Regio Decreto n°928 e il 23.03.1933 con Regio Decreto n°264
    Nel quadro della ristrutturazione del mondo del lavoro e dei rapporti tra i lavoratori e lo Stato, queste due leggi risolvono l’annoso problema delle conseguenze negative che situazioni accidentali potevano procurare a chi lavorava in particolari settori. Importantissimo è il riconoscimento dell’esistenza di malattie professionali, e cioè di situazioni di lavoro che implichino una diretta relazione con la possibilità di ammalarsi, perché è solo da tale principio che possono e devono discendere tutte quelle provvidenze atte ad eliminare nella pratica queste situazioni di insalubrità e di pericolosità. Altro concetto ribadito da queste leggi è quello che riconosce il lavoro come diritto-dovere di ogni cittadino e come un servizio reso allo Stato e alla comunità nazionale, i quali, proprio per questo, riconoscono dal canto loro il dovere di assistenza verso coloro che, a causa di tale servizio, subiscano danni permanenti.
    Con queste leggi si assicura un futuro dignitoso a coloro che, non avendo raggiunto i limiti di età per la normale pensione di anzianità, si trovino nella impossibilità di lavorare ancora a causa di infortuni o di sopravvenute malattie professionali, senza dover dipendere dalla carità pubblica e privata, come succedeva prima.


    Riduzione dell’orario di lavoro a quaranta ore settimanali
    Regio Decreto n°1768 del 29.05.1937
    Non appena le condizioni generali dell’economia e dell’industria italiane lo permettono, il Fascismo continua la marcia intrapresa sin dal 1923 in direzione della riforma globale del mondo del lavoro, investendo parte del vantaggio economico nella ulteriore diminuzione dell’orario di lavoro e sottolineando il principio che il lavoro ed il profitto debbono essere strumenti e non fini della società.
    Questa legge, conosciuta più genericamente come “Sabato Fascista”, è un ulteriore passo in avanti nella umanizzazione del lavoro e dimostra che la direzione intrapresa dal Fascismo tende a migliorare continuamente la posizione dei lavoratori, come si evince da tutta la numerosa successione delle leggi sociali, culminata con la Socializzazione delle imprese realizzata dalla Repubblica Sociale Italiana nel 1944. L’obiettivo è quello di formare uno Stato del lavoro, in cui la figura del lavoratore assuma il ruolo di protagonista ed una dignità ed un’importanza mai avute prima, e neanche dopo.



    Legge istitutiva dell’ECA (Ente Comunale di Assistenza)
    Legge promulgata il 03.06.1937 con Regio Decreto n°847 G.U. del 19.06.1937
    Viene istituito, in ogni comune del Regno, l’Ente Comunale di Assistenza, allo scopo di assistere individui e famiglie in stato di necessità e di coordinare e controllare tutte le altre associazioni esistenti che abbiano analogo fine.
    Si tratta dunque di riordinare l’assistenza pubblica e privata ai bisognosi e di estenderla capillarmente a tutti i comuni d’Italia. L’Ente viene finanziato da un’apposita tassa addizionale e dalle rendite del patrimonio o di istituzioni da esso amministrate.

    Fonte: I Danni del Fascismo, di Alessandro Mezzano

    Agenzia Stampa Italia (ASI)

    Articolo letto: 1 volte (02 Dicembre 2013)

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    Ultima modifica di Avanguardia; 03-12-13 alle 14:45
    FASCISMO MESSIANICO E DISTRUTTORE. PER UN MONDIALISMO FASCISTA.

    "NELLA MIA TOMBA NON OCCORRE SCRIVERE ALCUN NOME! SE DOVRO' MORIRE, LO FARO' NEL DESERTO, IN MEZZO ALLE BATTAGLIE." Ken il Guerriero, cap. 27. fumetto.

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    Predefinito Re: Il DNA di un popolo che dimentica

    Il DNA di un Popolo che dimentica | Storia | Rinascita.eu - Quotidiano di Sinistra Nazionale
    Davide Caluppi
    direttore@rinascita.net
    Continua il viaggio sulle opere del Ventennio Fascista.
    Legge Istitutiva dell’Istituto Autonomo delle Case Popolari (I.A.C.P.)
    Legge T.U. con Regio Decreto n°1165 del 28.04.1938
    G.U. supplemento n°177 del 05.05.1938
    Con questa legge, Testo Unico, si riordinano le precedenti leggi relative alle Case Popolari di varia natura ed in particolare quelle dell’Istituto Autonomo Case Popolari, già istituito sin dal 1924. Il preesistente I.C.P., creato con l’obiettivo di costruire e dare in affitto case popolari ai ceti medio-bassi della popolazione, era riuscito solo in parte a realizzare il suo programma istitutivo, sia per le pastoie burocratiche cui era soggetto per legge, per esempio l’inalienabilità del patrimonio immobiliare, sia a causa dello scarso spirito sociale che animava i governi borghesi anteguerra e faceva quindi mancare la volontà politica di una strategia rivolta al riscatto delle fasce più deboli della popolazione.
    Mai nessuno, prima dell’avvento del Fascismo, si era posto il problema di dare ai lavoratori una casa dignitosa, con affitti che fossero adeguati ai salari e con la possibilità di diventarne proprietari tramite l’acquisto a riscatto. Né i sindacati né i governi si erano mai preoccupati di sottrarre le fasce deboli all’arbitrio e allo sfruttamento del libero mercato che, specie nelle grandi città dove l’incremento della popolazione era in notevole aumento a causa dello sviluppo del fenomeno della industrializzazione, poneva le famiglie davanti a questo dilemma: o abitare in tuguri a volte privi delle pur minime strutture igieniche o spendere una grossa fetta del salario per una casa dignitosa. Alcune minime, per quanto lodevoli eccezioni localizzate in precise e ristrette aree, come i villaggi operai di Olivetti, erano state un nulla sul piano nazionale, per di più erano state una, se pur meritevole, liberalità padronale e non l’affermazione di un diritto esteso a tutti e su tutto il territorio nazionale. Con l’Istituto Autonomo delle Case Popolari, il Fascismo istituzionalizzò un piano organico nazionale per dare a tutti i lavoratori una casa. Dal 1924, il Regime Fascista ristruttura l’Istituto Case Popolari modificandone la legge istitutiva in modo da renderlo autonomo dalle pastoie burocratiche cui era soggetto, per permettere la smobilitazione del patrimonio immobiliare e per finanziare la costruzione di Case Popolari in vendita a riscatto od in assegnazione con patto di vendita futura. L’I.C.P., diventa I.A.C.P., ossia Istituto Autonomo Case Popolari, dove il termine “Autonomo” sottolinea lo sganciamento dalle pastoie della burocrazia e la liberazione dello slancio operativo. Quale esempio parziale di quanto fu realizzato anche in coerenza con il Piano della creazione delle Aree Industriali, le quattro città satellite realizzate in poco tempo a Milano: “C. Ciano” a Legnano, “A. Mussolini” al Vigentino, “Oberdan” a Lambrate, “I. Balbo” a Niguarda. Si promuove insomma una politica della casa che tende a dare in affitto e/o in proprietà abitazioni dignitose ai ceti popolari, a costi sostenibili e proporzionati ai salari.
    Per risolvere l’analogo problema relativo agli impiegati statali, spesso sottoposti a successivi trasferimenti nel corso della carriera, il Regime istituisce l’Ente Nazionale Case per gli Impiegati Statali (I.N.C.I.S.). Purtroppo nel dopoguerra i caritatevoli governi democristiani, senza opposizione delle sinistre, fecero strame dell’Istituto Autonomo Case Popolari, sino a ridurlo quasi ad un nulla deficitario, a tutto vantaggio delle speculazioni dei “palazzinari” rampanti. In dispregio dei piani regolatori e anticipando il democratico sistema delle “tangenti”, costoro imperversarono nelle periferie delle nostre città, riducendole alle alienanti mostruosità che possiamo vedere ancora oggi. Per constatare quanto affermato sinora, basta confrontare a Roma il quartiere dell’EUR, progettato e costruito dal Fascismo, con una delle tante borgate costruite dai “palazzinari” amici dei governi postbellici. Non si poté però annullare il principio affermato dall’istituzione delle case popolari e cioè quello del diritto ad una casa dignitosa per tutti i lavoratori, principio che la sinistra fece suo usurpandone la primogenitura al Fascismo, come fece per molte altre cose.


    Riforma dei Codici e rinnovamento Legislativo
    Uno dei grandi problemi che si presentarono subito all’attenzione del Governo Mussolini, fu la caoticità, le sovrapposizioni e le carenze del sistema legislativo, per cui fu necessario porre mano ad’imponente opera di rinnovamento, sostituendo i codici che risalivano all’unità d’Italia ed introducendo nuove normative in materie trascurate in precedenza dal legislatore. Con il Regio Decreto n°1398 del 19.10.1930 fu varato il nuovo Codice Penale, mentre con il Regio Decreto n°1399 del 19.10.1930 fu approvato il nuovo Codice di Procedura Penale. Questi due codici, che presero il nome dal Ministro della Giustizia ed insigne giurista Alfredo Rocco, ordinarono in materia organica il diritto sostanziale ed il diritto processuale penali. Cambiò l’approccio generale al problema della gestione della giustizia, per cui i nuovi codici furono concepiti non più come un insieme di norme soltanto repressive, ma anche dirette alla prevenzione dei reati. Da qui una maggiore considerazione, rispetto al passato, della personalità del soggetto, anche mediante la possibilità, concessa al giudice, di adeguare la pena alla capacità di delinquere del reo, il quale, da una concezione di fenomeno antropologico, Lombroso, assurgeva alla superiore dignità di persona. Furono così introdotti gli articoli 42 e 85 del codice penale, pilastri fondamentali del sistema penale italiano che, partendo dalla concezione di persona, individuano le due potenze dello spirito, intelletto e volontà, tecnicamente definite anche come capacità di intendere e di volere. Ciò comporta,ancora oggi, che “nessuno può essere punito per un’azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà” (art.42) e che “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile. E’ imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere”. Quindi, se all’imputato manca una sola delle due facoltà, non è imputabile. Per questo è innalzato da 9 a 14 anni il limite d’età per l’imputabilità dei minori ed è introdotto il Tribunale per i Minorenni (RDL n°1404 del 20.07.1934).
    Furono varate le leggi sulle Cambiali ( RD n°1669 del 14.12.1933) e sull’assegno (RD n°1736 del 21.12.1933) e furono ordinate con appositi Testi Unici le normative che regolavano importanti materie quali la Legge Comunale e Provinciale (RD n°383 del 03.03.1934), le Leggi sul Consiglio di Stato (RD n°1054 del 26.06.1924), le Leggi di Pubblica Sicurezza (RD 18.06.1931), le Leggi Sanitarie (RD n°1265 del 27.07.1934). Tra la fine degli anni Trenta e l’inizio degli anni Quaranta, il Regime Fascista, utilizzando l’opera dei più capaci esponenti della scienza giuridica, a quell’epoca le leggi, specie le più importanti, erano frutto del lavoro e di riflessione e di discussione negli ambiti professionali più qualificati e non, come succede spesso oggi, il prodotto delle decisioni improvvisate di politici incompetenti o interessati a leggi di parte, approvò il nuovo Codice Civile (RD n°262 del 16.03.1942), il Codice di Procedura Civile (RD n°1443 del 28.01.1940) e la Legge Fallimentare (RD n°267 del 16.03.1942). Quasi tutte le suddette leggi, con modifiche solo parziali, costituiscono ancora, a distanza di quasi settant’anni, il quadro normativo di riferimento dell’intero ordinamento giuridico italiano, dimostrando, con la loro vitalità, la lungimiranza di chi le volle, in un contesto storico, sociale e politico pur molto diverso dall’attuale. Il dato d’insieme che è possibile cogliere dall’attività legislativa del Regime fascista, è la volontà di porre, in ogni settore, un quadro organico ed armonico di norme per costituire un punto di riferimento certo ed indiscutibile, sia per i cittadini che per tutti coloro che le leggi sono chiamati ad applicare nei campi di giustizia e dell’amministrazione. Dei Codici varati da Alfredo Rocco, solo quello di procedura penale è stato costituito nel 1989, in seguito ad una lunga polemica contro il sistema inquisitorio che informava ilo codice del 1930.
    Il Nuovo Codice, mentre è fallito nell’aspirazione di deflazionare il contenzioso penale con l’introduzione di riti alternativi e del patteggiamento, che fa della legge merce di contrattazione e di scambio anziché elemento di certezza del diritto, si è rivelato del tutto inefficace nella lotta alla criminalità, specie di quella organizzata, come si evince dalle successive relazioni sullo stato della giustizia che ogni anno vengono tenute da un rassegnato Procuratore Generale della Repubblica all’inaugurazione dell’anno giudiziario. Ad ulteriore riprova, le reiterate modifiche susseguitesi negli anni Novanta anche a distanza di pochi mesi una dall’alyra e che hanno creato un vero e proprio caos normativo.


    Legge Urbanistica
    Emanata il 7 agosto 1942, la Legge nà1152 è il primo organico riordino della strumentazione urbanistica dall’Unità d’Italia. Promossa dal Ministro dei lavori Pubblici Giuseppe Gorla, già capo dello IACP di Milano, questa legge è il compimento di un’elaborazione della politica del Fascismo per il riassetto di tutta la materia urbanistica nazionale ed è il risultato della maturazione di studi e di progetti durati più di un decennio. Come risulta anche dal discorso tenuto dal Ministro Bottai nel 1937 al I Congresso Nazionale di Urbanistica, il concetto sociale del Fascismo rispetto a questa problematica consiste nel contrastare l’inurbamento nelle grandi città e nel favorire la ruralità; Mussolini prevede addirittura l’ipotesi dello sfollamento delle aree urbane congestionate.
    A distanza di circa settant’anni e alla luce delle condizioni di vita nelle grandi città italiane, si può constatare quanto lungimirante fosse questa visione sociale del problema. Le precedente Legge n°2359 del 1865 e successive modifiche aveva creato, a causa di numerose leggi speciali e per la sovrapposizione di norme a volte contrastanti, un caos giurisdizionale, specie in materia di espropri e relative indennità. Con questa legge si passa da una legislazione speciale, differenziata e frammentata, ad una legge ordinaria e soprattutto unificata, che pone ordine in una situazione caotica e di incertezza delle legittimità. Vengono affermati alcuni concetti base fondamentali, come l’obbligatorietà del Piano Regolatore Generale, che abbraccia sia il territorio già urbanizzato sia quello in previsione, nonché l’obbligo, in tutti i comuni, del regolamento edilizio e della licenza edilizia, oltre all’innovativo concetto dei piani regionali di sviluppo. Nella prassi, la progettazione dei piani regolatori viene realizzata essenzialmente tramite lo strumento del concorso pubblico. Nel suo insieme, questa legge, definisce, una volta per tutte e con chiarezza, cosa sia lecito e cosa illecito nello sviluppo urbanistico, rimettendo alla condotta delle amministrazioni locali, ai controlli delle autorità centrali ed all’attenzione della magistratura la responsabilità diretta di situazioni non conformi alle norme stabilite.
    Ciascuno di noi può constatare come al giorno d’oggi solamente gli abusi, le connivenze, gli interessi clientelari e l’inettitudine siano causa di una disastrosa situazione urbanistica, che l’osservanza di questa legge potrebbe eliminare. Questa legge fondamentale, pur con le integrazioni e modifiche apportate per le necessità relative alla evoluzione dei tempi, per quanto sia spesso inapplicata, rimane tuttora in vigore, dimostrando così la sua validità di base.
    Legge Istitutiva dell’Assistenza Sanitaria Gratuita, I.N.A.M.
    Legge promulgata l’11.01.1943 con Regio Decreto n°138 G.U. n°77 del 03.04.1943
    Il nome originale dell’Ente era: “Mutualità Fascista-Istituto per l’Assistenza di Malattia ai Lavoratori”. Naturalmente tale nome fu subito cambiato, con apposito Decreto Luogotenenziale del 1946, in Istituto Nazionale Assistenza Malattie (INAM). La prima notizia del cambio di nome si ha nel comma 2 del D. Leg. Lgt. N°213 del 19.04.1946. L’Ente nasce come ente di diritto pubblico avente personalità giuridica; i passi salienti della legge sono:
    - Comma 4: “Sono obbligatoriamente iscritti all’Ente tutti i lavoratori rappresentati dalle associazioni sindacali”
    - Comma 6: L’Assistenza dell’Ente comprende:
    a) Assistenza sanitaria generica, domiciliare ed ambulatoriale
    b) Assistenza farmaceutica
    c) Assistenza specialistica ambulatoriale
    d) Assistenza ospedaliera
    e) Assistenza ostetrica
    f) Assistenza pediatrica
    g) Assistenza integrativa
    h) Una indennità di malattia
    - Comma 7: “Le assistenze sono estese anche ai familiari dell’assicurato”
    - Comma 9: “Agli scopi di cui sopra sarà provveduto tramite il contributo dei lavoratori e dei datori di lavoro nella misura stabilita dai contratti di lavoro”
    Questa legge veniva a sanare una situazione di tragica ingiustizia sociale. Prima, infatti, solo le fasce abbienti, data la costosità delle cure, potevano permettersi di curare in modo organico le proprie malattie, mentre le fasce deboli dei lavoratori salariati e della gente comune dovevano accontentarsi di cure approssimative o della carità delle pie istituzioni ed erano comunque al di fuori di qualsiasi copertura assistenziale in caso di malattia; tanto meno avevano la possibilità di un indennizzo per il mancato salario.
    In concreto i ricchi potevano curarsi e sperare in una vita più sana e più lunga, mentre i poveri potevano contare solo sulla fortuna di una buona salute e sull’aiuto della Provvidenza o sulla carità delle pie istituzioni. Per tutti era quasi un comandamento “mettere via qualcosa in caso di malattia”. Con l’istituzione dell’INAM tutti i lavoratori italiani e i loro familiari hanno il diritto di essere curati nelle strutture sanitarie pubbliche, che vengono incrementate ed organicamente distribuite su territorio nazionale, a titolo gratuito. La legge sull’assistenza sanitaria gratuita varata in Italia è stata tra le prime al mondo; tuttora in molti paesi, tra cui anche i progrediti USA, non esiste nulla di analogo, mentre molti altri paesi ci hanno copiato. Questa legge ha sanato un’ingiustizia sociale ed ha sancito contemporaneamente il concetto basilare che il diritto alla salute è uguale per tutti, realizzando nei fatti e non nelle chiacchiere un basilare principio di democrazia oggettiva.
    Il governo Berlusconi, con la complicità degli esponenti ex Alleanza Nazionale, promuovendo ai quattro venti la sanità privata ha riportato indietro le cose di anni luce, ripristinando la discriminazione tra ricchi e poveri, ritrasformando la salute in un affare economico per il profitto di cliniche e case farmaceutiche; come è evidente e sotto gli occhi di tutti tutto ciò, ed annullando di fatto il diritto alla salute, che questa legge Fascista aveva sancito per tutti i cittadini.


    Lotta alla Mafia
    In una Sicilia condizionata dal latifondo e da una mafia ancora di natura prettamente “rurale”, il Regime intraprese una lotta senza quartiere alla delinquenza organizzata, senza alcun riguardo per nessuno. Il Governo di Benito Mussolini fu il primo ad emanare una legge che contemplava l’esproprio del latifondo e la sua poderizzazione e il primo ad intraprendere con grande determinazione una lotta contro la mafia, che fu ridotta al lumicino e costretta nelle carceri o a rifugiarsi negli USA.
    Al Prefetto Mori, a suo tempo strenuo antifascista ed imprigionatore di squadristi in Emilia Romagna, ma ottimo elemento di polizia e fedele servitore dello Stato, furono dati “carta bianca” per agire e l’incondizionato appoggio dello Stato, sicché i risultati non si fecero attendere. Ai critici in “servizio permanente”, che obiettano che il Prefetto Mori fu fermato da Mussolini quando raggiunse le alte gerarchie della commistione del potere con la mafia, possiamo provare l’inconsistenza e la falsità delle accuse con alcuni dati inoppugnabili e facilmente controllabili: in quegli anni finirono in carcere per connivenza mafiosa il Federale di Palermo Cucco, l’ex Ministro Generale di Giorgio Comandante di Corpo d’Armata, il Capo dei Fascisti siciliani avvocato Ortoleva di Mistretta. Sfidiamo gli antifascisti a negare che la mafia ritornò trionfante in Sicilia e in Italia al seguito degli “Alleati” e degli antifascisti, in ricompensa dell’aiuto concreto che essa fornì per lo sbarco e la conquista dell’isola. Ai governi della repubblica “nata dalla Resistenza”, la vergogna del dilagare della mafia, della sua stretta commistione con il potere politico e del colpevole abbandono del Generale Dalla Chiesa, dei giudici Falcone e Borsellino e di tanti fedeli ed “ingenui” servitori dello Stato che furono mandati al macello come offerte sacrificali sull’altare degli interessi politici ed economici di una classe politica indegna.
    La Socializzazione delle Imprese
    E’ la più rivoluzionaria, la più geniale, la più popolare delle riforme del Fascismo, fortemente voluta da Benito Mussolini e divenuta possibile nella Repubblica Sociale Italiana, quando le circostanze lo avevano liberato dai laccioli dei Savoia, del capitalismo e della Chiesa; quasi il testamento spirituale e politico del Duce, il quale dimostra ancora una volta, seppure ce ne fosse bisogno, che il Fascismo aveva ed ha le sue radici etiche e politiche nella vocazione socialista alla giustizia sociale ed alla emancipazione delle fasce più deboli della popolazione, ma al di fuori della sterile e riduttiva interpretazione marxista della lotta tra le classi, in un nuovo ed originale contesto di collaborazione e di realizzazione di sinergie dirette e gestite dallo Stato Fascista, arbitro imparziale ma inappellabile, in quanto Stato etico che rappresenta gli interessi di tutti i cittadini del Popolo-Nazione, come singoli e come Comunità. “Tutto nello Stato, nulla fuori dallo Stato, nulla contro lo Stato!”
    Già durante tutto il periodo precedente del Regime, molti fascisti rimproveravano a Mussolini, sì il dissenso esisteva, né per questo si era fucilati, picconati o internati come nella demoproletaria Russia, né rinchiusi in manicomio come avvenne al poeta Ezra Pound nella democratica America; di essersi allontanato dal progetto sociale del lavoro enunciato nel programma Fascista del 1919 e di non avere dato sufficiente forza operativa alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni, che avevano appunto il compito di realizzare una politica sociale sulla base di quel programma, ma non avevano avuto effettivamente una pari rappresentatività, né numerica, né di peso specifico, tra i rappresentanti dei lavoratori e quelli della proprietà. Il 24 settembre 1943, in un dispaccio all’ambasciatore tedesco, Mussolini dichiarava che: “la Costituzione della Repubblica Italiana avrebbe avuto un carattere nettamente socialista, stabilendo una larga socializzazione delle aziende industriali e l’autogoverno degli operai”, dal libro di Deakin sulla Repubblica Sociale Italiana.
    D’altra parte questi concetti erano già largamente presenti, oltre che nel programma fascista del 1919, anche nei principi del diritto corporativo, che tendeva a porre al centro della società l’uomo come valore primario, in antitesi alla concezione capitalista che vede l’uomo in funzione del denaro e del profitto. Principi come il ridimensionamento dello strapotere del padronato, la partecipazione dei lavoratori agli utili ed alla gestione dell’impresa, il diritto alla proprietà, specialmente della casa, in funzione sociale, la promozione della proprietà privata come limite alle grandi concentrazioni capitalistiche ed il principio della ridistribuzione della ricchezza attraverso prelievi fiscali che si trasformano in iniziative dello Stato Sociale, sono ben presenti nella concezione dello Stato Corporativo. Se la loro attuazione è graduale nelle loro fasi più rivoluzionarie, ciò è dovuto essenzialmente a due fatti: il primo è indubbiamente la resistenza della borghesia, della Chiesa e di alcune minoritarie frange fasciste, che tali erano più per anticomunismo che non per adesione al programma del 1919, mentre il secondo è che trasformazioni così radicali e rivoluzionarie non possono aver luogo senza una preparazione graduale, pena l’insuccesso.
    Va comunque considerato che le più importanti e le più necessarie riforme in tal senso furono fatte nei primi due-tre anni di governo, mentre tutto il periodo successivo fu una marcia di avvicinamento costellata di continue riforme di natura sociale, come testimoniato dall’elenco fatto in questi articoli sulle riforme di natura sociale fatte nel Ventennio Fascista ed attuate. Liberi dai freni della monarchia, della borghesia e della Chiesa, si ripresentava l’opportunità. Il processo fu avviato soprattutto per merito dell’opera di Angelo Tarchi, commissario dell’IMI e del Consorzio di Credito per le opere pubbliche e poi Ministro dell’Economia Corporativa. La Socializzazione è, concettualmente e politicamente, un ritorno alle origini del programma Fascista del 1919, la realizzazione concreta della concezione dell’organizzazione di uno Stato nel quale il lavoro, la capacità d’impresa ed il capitale non sono più forze antitetiche con finalità e scopi diversi, ma diventano i fattori paritetici di una collaborazione sinergica dalla quale tutti, Stato compreso, traggono beneficio. Con la Socializzazione delle Imprese si portarono i rappresentanti dei lavoratori nei Consigli d’Amministrazione delle aziende, in numero pari a quello dei soci di capitale e con poteri effettivi di gestione e di decisione, cosa mai avvenuta né prima né dopo, né mai sognata. Nelle imprese non costituite in forma di società di capitali ed in quelle individuali, i Consigli di gestione avevano poteri meno accentuati e collaboravano con il Capo dell’Impresa “personalmente responsabile di fronte allo Stato dell’andamento della produzione”, e prevedeva che egli potesse essere rimosso e sostituito “quando la sua attività non risponda alle esigenze dei piani di produzione”.
    La Legge attuativa della Socializzazione fu varata con due decreti, uno del 12 Febbraio 1944 ed uno del 12 Ottobre 1944, nonostante la iniziale forte opposizione della Germania, che temeva una diminuzione della produzione bellica, e la fronda dei gruppi capitalistici italiani, che già finanziavano in segreto la “Resistenza”. I criteri sulla ripartizione degli utili aziendali, stabiliti dalla legge e decisi dai Consigli di gestione aziendale erano i seguenti:
    - Quelli destinati alla remunerazione del capitale, in misura non superiore ad un massimo fissato annualmente dal Comitato dei ministri per la tutela del risparmio e l’esercizio del credito
    - Quelli destinati ai lavoratori dell’impresa, determinati in rapporto all’entità delle retribuzioni percepite nel corso dell’anno, in misura non superiore al 30% delle retribuzioni nette
    - Le eccedenze ai criteri di suddivisione sopra elencati erano destinate ad una Cassa di compensazione gestita dall’Istituto di Gestione e Finanziamento a scopi di natura sociale e produttiva
    Con la partecipazione alla gestione ed agli utili dell’impresa in cui operavano, i lavoratori erano diventati, da oggetto passivo del lavoro, soggetto protagonista, con una dignità mai prima raggiunta ed un senso della responsabilità che poteva solo giovare sia alla proprietà sia ai lavoratori dipendenti. Era la quadratura del cerchio, la pietra filosofale delle problematiche sociali, la soluzione ottimale di tutte quelle questioni che avevano tormentato il mondo della produzione sin dalla nascita dell’era industriale. Ogni conflittualità si stemperava nell’interesse comune, ogni contrasto si risolve nella mediazione che nasce dall’avere un comune obiettivo; ogni problema organizzativo, produttivo o strutturale si risolve più facilmente nel quadro di forze ed intelligenze che operano in sinergia trainando nella stessa direzione. Né la proprietà né le maestranze hanno il benché minimo interesse a danneggiare in alcun modo l’azienda, che è un bene di tutti e remunera, in proporzione, economicamente e moralmente tutti quanti. Nemmeno l’antifascismo clericomarxista del primo governo resistenziale ha avuto il coraggio di annullare tutta e subito la riforma della Socializzazione.
    Anzi, l’articolo 46 della Costituzione Repubblicana propone, in modo molto blando, una forma di cogestione, senza peraltro che nessun partito, dai liberali alla DC al PCI a Rifondazione Comunista, e nessun governo abbia mai provato a trasformare tale articolo in legge attuativa dello Stato, in oltre sessant’anni di legislature. I Consigli di Gestione, emanazione della Socializzazione, furono operanti sino al Dicembre 1945, quando la CGIL si accordò con la Confindustria per smantellarli in cambio della scala mobile. Risultato: oggi, i lavoratori non hanno più né i Consigli di Gestione, né la scala mobile. Alla fine del 1944, e tenendo presente che la situazione bellica dava potere alla Repubblica Sociale Italiana solamente in Alta Italia, la legge sulla Socializzazione era già stata applicata in 76 imprese, con un numero complessivo di 150.000 dipendenti. Agli inizi del 1945, era stata avviata nelle più grandi imprese industriali come la FIAT.

    Come si è visto e come è inconfutabilmente dimostrato dai fatti, il Regime Fascista ha lasciato dietro di sé una mole di opere, leggi e riforme che sono un monumento perenne alla sua efficienza, alla originalità del suo progetto sociale e politico e alla sostanziale integrità morale del suo Duce, Benito Mussolini, e della stragrande maggioranza della sua classe dirigente. A ulteriore testimonianza della natura Sociale del Fascismo e della sua ansia di sanare le ingiustizie e di riportare nel criterio della conduzione dello Stato il concetto di equità sociale, è il fatto che le più importanti leggi sociali, anche se poi integrate e perfezionate in seguito, furono promulgate negli anni 1923 e 1924 e cioè immediatamente dopo l’ascesa al potere che seguì la Marcia su Roma del 28 Ottobre 1922.

    I Danni del Fascismo, di Alessandro Mezzano e Agenzia Stampa Italia (ASI)


    Articolo letto: 1 volte (10 Dicembre 2013)

    - See more at: http://www.rinascita.eu/index.php?ac....R6G0NNXw.dpuf
    Ultima modifica di Avanguardia; 10-12-13 alle 22:41
    FASCISMO MESSIANICO E DISTRUTTORE. PER UN MONDIALISMO FASCISTA.

    "NELLA MIA TOMBA NON OCCORRE SCRIVERE ALCUN NOME! SE DOVRO' MORIRE, LO FARO' NEL DESERTO, IN MEZZO ALLE BATTAGLIE." Ken il Guerriero, cap. 27. fumetto.

  8. #8
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    Predefinito Re: Il DNA di un popolo che dimentica

    In pratica tutta roba che ha usato la democrazia.
    Il Silenzio per sua natura è perfetto , ogni discorso, per sua natura , è perfettibile .

 

 

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