User Tag List

Pagina 2 di 4 PrimaPrima 123 ... UltimaUltima
Risultati da 11 a 20 di 36
  1. #11
    Comunista
    Data Registrazione
    05 Oct 2009
    Località
    Pannesi, Liguria, Italy, Italy
    Messaggi
    4,636
     Likes dati
    505
     Like avuti
    657
    Mentioned
    124 Post(s)
    Tagged
    31 Thread(s)

    Predefinito Re: Partito di alternativa Comunista

    Partito di Alternativa Comunista - Progetto Comunista - Lega Internazionale dei Lavoratori - LIT - XI Congresso della LIT-CI: dai fuochi della lotta di classe

    XI Congresso della LIT-CI:
    dai fuochi della lotta di classe
    Segretariato Internazionale della Lit-Quarta Internazionale

    A San Paolo, in Brasile, tra il 6 e il 12 aprile si è svolto l'XI Congresso della Lega Internazionale dei Lavoratori - Quarta Internazionale. L'assise, massima istanza di direzione della nostra Internazionale, si è data nel quadro di una realtà molto ricca e dinamica.
    Da un lato, questa realtà è segnata dalla persistenza dell'impatto della crisi economica iniziata nel 2007. Anche se non è al suo punto più basso, soprattutto negli Usa, continua a livelli quasi recessivi in Europa e ora colpisce con più forza i cosiddetti “Paesi emergenti”, tra i quali quelli latinoamericani, mentre è sempre più evidente un rallentamento dell'economia cinese.
    D'altra parte, alla continuità dei processi della lotta di classe cominciati negli scorsi anni, come quelli che (con tutte le loro contraddizioni) vivono l'Europa o il mondo arabo, in particolare l'Egitto e la Siria, si somma l'inizio di una forte instabilità in America Latina. Si percepisce la fine della tranquillità relativa degli anni precedenti, la quale a sua volta aveva chiuso la turbolenza dei processi rivoluzionari della prima metà del primo decennio del XXI secolo. Comincia così una forte crisi, o perlomeno un'importante logoramento, di vari governi di fronte popolare o populisti di sinistra che negli anni passati hanno dominato indiscutibilmente la scena politica continentale. Si chiude il ciclo di crescita di questi governi e si apre, in questo processo, un profondo logoramento della corrente castro-chavista.
    A questo bisogna aggiungere, a differenza di quanto accaduto agli inizi del XXI secolo, l'incorporazione del Brasile, attraverso le “giornate di giugno” del 2013, che hanno espresso la profonda insoddisfazione di importanti settori di massa della società brasiliana.
    Le caratteristiche specifiche di quest'ultimo processo, la “spontaneità” e i tratti “anti-partito” di settori d'avanguardia, possono essere comprese solo a partire dalla crisi di direzione rivoluzionaria e dalla confusione che permane in molte settori per la caduta del “socialismo reale”. Quest'ultima caratteristica (la crisi di direzione), in realtà, è presente anche in tutti gli altri processi e spiega molte delle loro contraddizioni e disuguaglianze, come nel caso del mondo arabo.


    Una nuova fase della Lit-Quarta Internazionale
    Un altro elemento presente nel dibattito del Congresso è stato la continuità dello sviluppo e della crescita della Lit-QI.
    Così come abbiamo segnalato, la crisi di direzione rivoluzionaria e i suoi riflessi in ogni Paese sono la spiegazione ultima di come i processi si sviluppano, con le loro fortissime contraddizioni e diseguaglianze.
    Allo stesso tempo, come Trotsky afferma nel Programma di Transizione, la risposta a questa crisi di direzione rivoluzionaria è il compito più strategico e allo stesso tempo il più urgente per i rivoluzionari. Compito che la Lit esprime attraverso la prospettiva di “Ricostruzione della Quarta Internazionale”.
    In questo senso, la situazione mondiale va aprendo sempre maggiori possibilità di intervento della Lit e, con ciò, di crescere e svilupparsi nel quadro di questo intervento. Lo stesso congresso ha discusso della necessità di distinguere tra gli spazi di “intervento” nei movimenti e di “costruzione” di partito, avendo quest'ultima leggi proprie e compiti specifici.
    Nel contesto di questa discussione si è constatato che la Lit-Quarta Internazionale ha continuato a crescere dal suo congresso precedente.

    Da un lato, estendendo le sue aree di attività a nuovi Paesi e regioni. In questo congresso, ciò si è espresso nella incorporazione della delegazione della nuova sezione della Lit in Senegal, che è stata accolta con un grande applauso, ma anche nei piccoli ma “grandi" progressi (giacché si partiva quasi da zero) nell'intervento nei processi del mondo arabo, in particolare nella guerra civile siriana. O nella presenza del delegato della Turchia, con la nuova realtà del Paese e la sua enorme importanza come “cerniera” tra l'Europa e il mondo musulmano.
    D'altra parte, sono anche cresciute l'inserimento e la partecipazione di diverse sezioni della LitI nei processi della lotta di classe (scioperi, manifestazioni, scontri) e altri fatti della realtà, come partecipazione elettorale di diverse sezioni (che è un segnale della crescita di queste organizzazioni).
    Come esempio, citiamo il Pstu brasiliano, attivo partecipante nei processo del giugno 2013 e promotore di un sindacato, relativamente minore [3 milioni di aderenti, ndt] ma reale e dinamico, come la Csp-Conlutas. O la partecipazione elettorale simultanea di tre sezioni centroamericane ( Pt del Costa Rica, Pst dell'Honduras e Ust di El Salvador).
    Nel caso dell'Europa, che era stato individuata come priorità nel congresso precedente, abbiamo assistito ad un rafforzamento delle nostre sezioni, due delle quali potranno presentare proprie liste alle elezioni europee (come il Mas portoghese e Corrente Rossa di Spagna) e intervenire attivamente nei processi di riorganizzazione come in Spagna (attraverso la partecipazione ai Cobas e a “Hay Que Pararle los Pies”) e in Italia (dove contribuiamo alla costruzione di No Austerity, un coordinamento delle lotte ) .


    Intensi dibattiti
    Questa realtà ricca e dinamica è stata oggetto di analisi lungo i vari punti del congresso. E, come non avrebbe potuto essere altrimenti, su diversi punti si sono prodotti dibattiti molto intensi, risultato di approcci e percezioni differenti della realtà, che si riflettono a loro volta in differenti tattiche o proposte di azione.
    Così è successo, per esempio, nei punti sulla Siria ed Egitto. Sulla Siria, si è dibattuto il carattere della guerra civile siriana, la definizione di ciascuno dei suoi campi e la posizione da adottare di fronte a questa. Sull'Egitto, si è discussa la dinamica generale della rivoluzione, il significato della assunzione diretta del governo da parte dei militari e come affrontare la repressione di cui sono stati oggetto i Fratelli Musulmani. Un altro punto molto dibattuto è stato quello che ha analizzato le migliori tattiche e forme di organizzazione per lottare contro l'oppressione delle donne.
    Altri intensi dibattiti ci sono stati sull'Europa, specialmente sulle migliori tattiche e programmi per intervenire nelle lotte e sviluppare le nostre organizzazioni. E sul Brasile e su come dare risposta alla situazione aperta nel giugno 2013.
    Questi dibattiti, sfumature e differenze si danno nel quadro di una profonda unità strategica. Ci ricordano gli intensi dibattiti e le discussioni della corrente bolscevico russa lungo tutta la sua storia, che forgiarono il partito che diresse la rivoluzione del 1917. Sono l'espressione di un'organizzazione internazionale viva e, allo stesso tempo, articolata con il suo inserimento nelle differenti realtà e con le percezioni di queste realtà.


    La costruzione dei partiti rivoluzionari
    Un altro dibattito che ha attraversato il congresso è decisivo per la costruzione di organizzazioni operaie rivoluzionarie in questo periodo.
    La crisi capitalista e lo sviluppo e la polarizzazione della lotta di classe aprono per i rivoluzionari grandi possibilità di crescita. Settori ampi dell'avanguardia operaia e giovanile avanzano verso posizioni combattive e si radicalizzano. Entrano nei processi rivoluzionari con tutta la loro forza e freschezza, e alle volte, con le loro false illusioni sull'“approfondimento della democrazia”. Spesso non riconoscono un riferimento socialista né una prospettiva di distruzione del capitalismo.
    Sopra tali limiti nella coscienza si innestano le brutali pressioni che la borghesia e i suoi meccanismi esercitano su tutte le organizzazioni (tanto rivoluzionarie come centriste e riformiste), nella misura in cui cresce lo spazio per il loro sviluppo. Questo è inevitabile, è una legge della realtà: quanto più cresce un'organizzazione, maggiori sono le pressioni che esercitano su di essa le istituzioni della democrazia borghese, i processi elettorali, i mezzi di comunicazione di massa, gli apparati sindacali, ecc.
    È stato sempre così, e tale condizione si approfondisce con l'acuirsi della lotta di classe. La stragrande maggioranza delle organizzazioni della sinistra anticapitalista, anche quelle che provengono dal trotskismo (come l'ex Segretariato Unificato [l'organizzazione di cui faceva parte, in Italia, la recentemente disciolta Sinistra Critica, ndt]), soccombono a queste pressioni, abbandonando le strategie, il programma e la concezione del partito e dell'internazionale, trasformandosi in organizzazioni elettoralistiche, riformiste, economicistiche.
    Questo non è un problema astratto. Ad esempio, chi accede ad un incarico sindacale, comincia a ricevere pressioni per essere “moderato” o per “restare fuori dalla politica”. Chi viene eletto parlamentare, comincia ad avere accesso ai mezzi, alle risorse finanziarie a sua disposizione, a “essere importante” e ad avere un trattamento differenziato, è sottoposto alla pressione di ottenere voti ad ogni costo... E quello che diciamo per le persone è doppiamente valido per le organizzazioni e si riflette nella tentazione di cercare “scorciatoie” verso le masse e nella costruzione del partito.
    È quella che abbiamo chiamato “alluvione opportunistica”, che ha portato molti a capitolare al chavismo pochi anni fa, come fanno ora in molti con la greca Syriza; una deriva che si intensifica con l'evoluzione della situazione. E che noi della Lit continuiamo a contrastare.
    Queste pressioni, che hanno cambiato il carattere di molte di queste organizzazioni, agiscono anche sui partiti rivoluzionari e su noi stessi. Il futuro e il carattere di qualsiasi organizzazione è determinato dalla sua capacità di affrontare queste pressioni. E il primo passo per combatterle, è riconoscerle, identificarle. In generale, la capitolazione a queste pressioni comincia dalla negazione delle stesse.
    Non si tratta di adottare la sterile “purezza” dei settari che, per non contaminarsi, non intervengono nei processi. Non abbiamo vocazioni settarie.
    Si tratta di intervenire con tutta la nostra determinazione, lottando con audacia affinché le nostre sezioni crescano e si sviluppino, aumentino la loro influenza, senza abbandonare il programma, la politica e il carattere di un'organizzazione rivoluzionaria, e allo stesso tempo lottando contro queste pressioni e pericoli. Sebbene non esistano ricette o schemi, è bene ricordare l'avvertimento che dava Nahuel Moreno alle organizzazioni e ai partiti che orientava: “essere più operai, più marxisti e più internazionalisti che mai”, come meccanismo di difesa da tutte le pressioni della realtà.


    L'elaborazione teorica e programmatica
    Tra gli aspetti segnalati da Moreno, ce ne è uno che ha particolare risalto: la consapevolezza che non potremo avanzare e, allo stesso tempo, combattere le pressioni se non partiamo da uno studio profondo della realtà internazionale e delle realtà nazionali. E, a partire da questo studio, avanziamo nell'elaborazione di risposte teoriche e programmatiche a questa realtà. In particolare, ai nuovi processi e fenomeni, come quelli derivati dalla restaurazione nell'ex Urss e nell'Europa dell'Est.
    Insieme a questa risposta alla realtà, questa elaborazione deve essere al servizio della lotta ideologica tanto contro le correnti burocratiche e riformiste, quanto contro il ritardo nella coscienza delle masse su cui queste correnti si appoggiano.
    Molte volte si commette l'errore di credere che la lotta ideologica sia solo per “tempi tranquilli” e non per quelli di più acuta lotta di classe. È bene viceversa ricordare il criterio di Friedrich Engels che i rivoluzionari devono sempre portare avanti tre tipi di lotta: economica, politica e ideologica.
    In realtà, è nei momenti più critici della lotta di classe che la battaglia ideologica si fa più necessaria, perché sono i momenti in cui i nostri partiti hanno maggiori possibilità di crescere ed è più dura la disputa con le altre correnti.
    Uno di questi aspetti dell'elaborazione è lo studio profondo e permanente delle rivoluzioni precedenti. Prendiamo, a questo proposito, quanto segnalato da Trotsky quando diceva che per i bolscevichi sarebbe stato impossibile dirigere la rivoluzione russa del 1917 senza aver studiato e aver riflettuto profondamente sui processi che andavano dalla Rivoluzione Francese alla rivoluzione del 1905 in Russia.
    Coerentemente con questa analisi, una delle principali risoluzioni del Congresso è stata quella di votare come compito prioritario lo studio e l'elaborazione di un'attualizzazione teorico-programmatica. Insieme a questo, si è deciso di destinare notevoli risorse, dunque fondi e quadri con esperienza, per questo compito di formazione e istruzione dei quadri dell'Internazionale, utilizzando strumenti quali i seminari e i corsi.


    La proletarizzazione
    Altrettanto importante è stata la riaffermazione della necessità di proletarizzare (radicare nella classe operaia) l'Internazionale e le sue sezioni, come strategia di costruzione che rafforzi sempre più la nostra appartenenza di classe e il nostro carattere di rivoluzionari.
    Sempre Moreno ribadiva che legarci e inserirci nel proletariato è, da un lato, l'unica garanzia per costruire organizzazioni molto solide e non soggette alle “mode” ideologiche passeggere della sinistra. E anche perché il nostro obiettivo di un socialismo coniugato con la democrazia operaia può costruirsi solo con la mobilitazione permanente e autodeterminata delle masse dirette dalla classe operaia. Così intendiamo l'“essere più operai che mai”.


    Un finale entusiasmante
    Attraverso questo intenso dibattito [una settimana di congresso, ndt], stanchi per l'intensità delle sessioni e dei dibattiti, ma soddisfatti per il lavoro svolto, i delegati e gli invitati hanno terminato il congresso cantando le strofe dell'Internazionale in varie lingue. È stato un modo di dire: siamo determinati e pieni d'entusiasmo nel proseguire la lotta, ora meglio armati politicamente dopo i ricchi dibattiti e l'approvazione delle risoluzioni del congresso mondiale.
    Infine, una festa con musica e balli ha permesso la fraternizzazione e lo svago, dopo tanto lavoro. Come amava citare il vecchio Marx: "Homo sum, humani nihil a me alienum puto" (Sono un uomo, non ritengo a me estraneo nulla di umano).


    (traduzione dall'originale spagnolo di Giovanni "ivan" Alberotanza)
    partecipate e aderite al partito COMUNISTA in pieno congresso a questo link http://forum.termometropolitico.it/6...l#post13212177

  2. #12
    Comunista
    Data Registrazione
    05 Oct 2009
    Località
    Pannesi, Liguria, Italy, Italy
    Messaggi
    4,636
     Likes dati
    505
     Like avuti
    657
    Mentioned
    124 Post(s)
    Tagged
    31 Thread(s)

    Predefinito Re: Partito di alternativa Comunista

    Partito di Alternativa Comunista - Progetto Comunista - Lega Internazionale dei Lavoratori - LIT - La sinistra di Rifondazione in un vicolo cieco

    I "nuovi" scenari a sinistra dopo le europee
    La sinistra di Rifondazione in un vicolo cieco
    Sulla polemica dei dirigenti di Falcemartello
    contro il partito rivoluzionario

    di Francesco Ricci

    Rifondazione Comunista è prossima all'esplosione. E l'esito delle elezioni europee non potrà che accelerare questa dinamica. Il superamento del quorum da parte della lista Tsipras, infatti, lungi dal facilitare il Prc lo condanna. Il risultato viene già capitalizzato dall'ala maggioritaria di Sel (Fratoianni) per ipotizzare su queste basi un nuovo partito, che di fatto ingloberà quanto resta di Rifondazione. A fare da eco, già l'area di Grassi in Rifondazione parla esplicitamente della lista Tsipras come di "un laboratorio" per la nascita di un nuovo soggetto politico.
    E' questo quadro che spiega la tensione della sinistra di Rifondazione, che si prepara a dover nuotare in acque diverse da quelle che ha attraversato negli ultimi vent'anni.
    Stiamo parlando in particolare di Falcemartello, il gruppo che ha raccolto attorno a sé una sinistra anti-riformista, dopo l'uscita nel 2006-2008 delle altre aree di sinistra (Progetto Comunista, che dividendosi in due sulla concezione del partito e dell'Internazionale ha dato vita al Pdac e al Pcl; e Sinistra Critica, poi rottasi in due parti).

    La parabola di Falcemartello: dalla maggioranza con Ferrero all'opposizione nel Prc
    Falcemartello (Fm) nel 2008 presentò al VII Congresso del Prc un proprio documento. In quel congresso la maggioranza si ruppe, con lo scontro tra Ferrero e Vendola che determinerà, dopo poco (inizi del 2009), la nascita di Sel.
    Fm, decise di sostenere la nuova maggioranza e Claudio Bellotti fu ammesso nella segreteria nazionale del Prc. L'idea dei compagni di Fm era quella di "ancorare a sinistra" la presunta svolta di Rifondazione. Per questo si fecero cantori di questa "svolta" e pretesero di indirizzarla verso la definitiva rottura con le politiche governiste che Rifondazione aveva sostenuto per anni.
    Memorabile rimane il numero di ottobre 2008 del giornale omonimo dell'area in cui, in una lunga intervista, Ferrero si ripresentava... come un critico da sinistra dello stesso Marx e spiegava come andasse realmente intesa la "rottura" con lo Stato borghese (una rottura "non solo sul terreno dello Stato ma in primo luogo nei rapporti di produzione"). Parole surreali in bocca a un ex ministro del governo imperialista di Prodi.
    Come era prevedibile (ma non per i dirigenti di Fm) dopo poche settimane Ferrero riprese a tessere i rapporti col Pd, per rientrare nelle giunte del centrosinistra (regionali del 2010). Con quell'unico fine Ferrero lanciò la Federazione della Sinistra e finalmente Fm, dopo aver contribuito a rendere credibile la rinnovata verginità rivoluzionaria di Ferrero, ruppe con la maggioranza. Subito prima che Ferrero avanzasse l'idea di un "comitato di liberazione nazionale" composto dal Pd e da Casini, riproposizione ennesima degli accordi di governo a livello nazionale con la cosiddetta borghesia progressista.
    Da allora Fm è rimasta all'opposizione nel Prc, presentando un proprio documento alla IV Conferenza dei Giovani Comunisti (dove raccolse circa un quarto dei voti) e al recente Congresso (l'VIII) raccogliendo sul proprio documento un modesto consenso.
    Di fronte alla crisi sempre più profonda di Rifondazione (sedi che chiudono, militanti e voti in fuga, disastro finanziario, chiusura di Liberazione, disastro della lista con Ingroia), Fm ha accentuato il proprio profilo indipendente, affermando la volontà di costruirsi sempre più all'esterno del Prc, con solo un piede dentro il partito (1).
    Oggi Falcemartello si trova di fronte a scelte difficili. Se non vuole affondare insieme a quanto resta del Prc, deve pensare a costruirsi una scialuppa di salvataggio.


    L'entrismo come scelta strategica
    Falcemartello, fin dalla sua nascita, ha sempre concepito (così come l'organizzazione internazionale di cui è parte, la Imt, International Marxist Tendency, fondata da Ted Grant e guidata ora da Alan Woods) l'entrismo in organizzazioni riformiste come il percorso obbligato verso la costruzione del partito rivoluzionario. Di più: concepisce le organizzazioni riformiste e i suoi dirigenti non come "agenti della borghesia in seno al movimento operaio" (secondo la celebre definizione di Lenin) ma come una espressione (certo deviata e riformista) del movimento operaio, in cui è indispensabile stare per alimentare una tendenza rivoluzionaria che solo all'interno potrà nascere per poi uscire e rendersi indipendente in fasi rivoluzionarie.
    In questo modo, l'entrismo, che per Trotsky poteva essere solo un eccezionale e "corto episodio" di ingresso all'interno di organizzazioni non rivoluzionarie per raggrupparne l'ala sinistra sulla base di un programma rivoluzionario, e per poi rompere, costituendo organizzazioni indipendenti, provocando se possibile la distruzione politica dei partiti di cui si era stati frazione, diviene con Fm la via maestra: non eccezione ma norma.


    La tendenza internazionale di Falcemartello (Imt)
    La tendenza internazionale di Fm, la Imt, deriva da una scissione nei primi anni Novanta del cosiddetto Militant, corrente del Labour Party britannico. Militant si ruppe rispetto alla questione della caratterizzazione del Labour Party: un partito ormai definitivamente borghese a giudizio di una maggioranza dell'organizzazione, un partito socialdemocratico secondo la minoranza. La maggioranza diede vita al Cwi (Comitato per una Internazionale Operaia), guidata da Peter Taaffe, mentre la minoranza costituì l'Imt (guidata da Ted Grant e Alan Woods), di cui Fm è la sezione italiana, che continuò a praticare l'entrismo nel Labour britannico (così come in molte altre organizzazioni operaie-borghesi o ormai borghesi tout-court ma ritenute ancora riformiste: si pensi che considerano socialdemocratico persino il Labour Party sionista di Israele; così come per anni hanno considerato i Ds di D'Alema, già ormai forza liberale, un partito socialdemocratico). L'Imt ha proprie tendenze in Izquierda Unida in Spagna, nel Front de Gauche in Francia, ecc.
    Alla fine del 2009 l'Imt ha iniziato a subire vari processi di rottura, perdendo la maggioranza delle sezioni di Spagna, Venezuela, Messico e Colombia (che hanno poi dato vita alla Corrente Marxista Rivoluzionaria). Poco dopo hanno scisso dall'Imt la maggioranza della sezione svedese, ampi settori di quella polacca e di quanto restava di quella britannica. Infine, nel 2011 ha rotto con l'Imt la sezione iraniana, in polemica con le posizioni di sostegno al regime di Assad da parte di Chavez, a sua volta punto di riferimento della Imt che del chavismo è sostenitrice acritica.


    La revisione del nocciolo del marxismo: la cancellazione della teoria leninista dello Stato
    Ma il vero fulcro, a nostro avviso, della deriva centrista di Fm (e della Imt) sta nella revisione profonda che ha fatto del concetto marxista dello Stato. E' a partire da questa revisione che Fm ha abbandonato il concetto cardine del marxismo della indipendenza di classe dai governi borghesi, riprendendo (inconsapevolmente) le vecchie teorie kautskiane sulla possibile "neutralità" di alcuni governi. Da qui deriva la posizione che, ad esempio, Fm ha sostenuto rispetto alla giunta borghese di De Magistris a Napoli, ritenuta a lungo oscillante tra gli interessi di classe contrapposti, e per questo in qualche modo "influenzabile".
    Si tratta di una revisione di aspetti che costituiscono la quintessenza del marxismo: basti pensare che proprio per respingere posizioni simili Lenin ritenne necessario, nel corso del 1917, scrivere Stato e rivoluzione e "riarmare" il partito bolscevico con le famose Tesi di Aprile, battendo le posizioni di chi (anche nel partito bolscevico) pretendeva di offrire un sostegno ai governi borghesi nati nel corso della rivoluzione. E' interessante notare che applicando le posizioni di Fm i bolscevichi nel 1917 avrebbero dovuto sostenere il governo "delle sinistre" di Kerensky, invece di lavorare per rovesciarlo.


    La ricerca di un sostegno teorico per praticare un entrismo strategico
    Poche settimane fa, Fm ha organizzato a Bologna un seminario intitolato "Crisi, rivoluzione e controrivoluzione. Lezioni dagli anni Trenta".
    Il tema sono state le posizioni sviluppate da Trotsky in quel periodo e la tattica che utilizzò per costruire partiti rivoluzionari.
    Da quanto è possibile capire dai video finora pubblicati di questo seminario, il tentativo dei dirigenti di Fm è quello di convincere i militanti della propria organizzazione - ricorrendo all'autorità di Trotsky - che anche laddove la crisi di Rifondazione precipitasse, non è pensabile costruire una organizzazione indipendente ma si tratterebbe di trovare una nuova organizzazione riformista (magari il nuovo soggetto promosso dalla Sel di Fratoianni? o qualche ipotetico "partito del lavoro" che Fm spera Landini deciderà un giorno di varare?) in cui praticare l'entrismo, elevato da tattica contingente a metodo permanente e dunque a strategia.
    Intanto dobbiamo sottolineare un fatto importante che, pur nelle differenze profonde, ci unisce ai compagni di Fm: il rispetto per la teoria. E' difficile incontrare oggi in Italia, con l'eccezione appunto del Pdac e di Fm, organizzazioni che ritengano utile studiare la storia del movimento rivoluzionario. Tanto più per questo è certamente positivo che Fm, di fronte alla necessità di compiere importanti scelte politiche, torni allo studio della teoria. Ma è proprio allorquando si attribuisce alla teoria marxista una grande importanza che non la si può stiracchiare a sostegno di posizioni che con quella teoria c'entrano poco o nulla.
    E' infatti vero che Trotsky diede vita (con Cannon) a un proprio partito indipendente negli Usa (l'Swp) forgiandolo nel vivo degli scioperi e delle lotte degli anni Trenta. Ma non è per niente vero che Trotsky abbia mai pensato che il partito rivoluzionario indipendente potesse nascere solo sull'onda delle mobilitazioni. Tutta la storia del trotskismo è storia di costruzione contro-corrente, anche in fasi di profondo riflusso delle masse. La stessa Quarta Internazionale nasce nel 1938 allorquando mezza Europa stava sotto il tallone di ferro del fascismo e lo stalinismo imperava nel movimento operaio.
    Altrettanto infondata è l'interpretazione che i dirigenti di Fm danno della linea, proposta in specifici casi da Trotsky, di costruire "partiti del lavoro". Trotsky riteneva che in casi particolari, nell'impossibilità di avviare nell'immediato la costruzione di partiti rivoluzionari, si potesse stare insieme a centristi e riformisti in "partiti del lavoro": ma non vedeva per niente simili partiti come una tappa obbligata e naturale sulla via della costruzione del partito rivoluzionario, bensì li indicava come un ostacolo da distruggere politicamente. Pensava che in determinate condizioni fosse utile entrarvi per usarli come un'arena in cui guadagnare settori attorno al programma rivoluzionario: prevedendo comunque dei tempi brevi entro cui o rompere quei partiti, reclutandone dei settori; o, nel caso improbabile si guadagnasse la maggioranza di quei partiti, espellerne i settori riformisti e centristi.
    L'idea di Fm che l'organizzazione indipendente, il partito, possa nascere solo in fasi di ascesa, mentre nelle altre bisognerebbe perpetuare obbligatoriamente l'attività entrista nelle organizzazioni che Fm ritiene "naturali" del movimento operaio, è in totale contraddizione non solo con quanto hanno scritto Lenin e Trotsky ma con la stessa esperienza bolscevica. I bolscevichi, estrema minoranza all'inizio dell'anno 1917, il più piccolo tra i tre partiti della sinistra russa, poterono guadagnare la maggioranza del proletariato politicamente attivo in pochi mesi non solo perché disponevano della giusta teoria (la teoria della rivoluzione permanente); ma anche perché si erano costruiti come frazione indipendente (di fatto come partito) già dalla rottura con l'ala menscevica del Posdr nel 1903. Di più: tutta la concezione del "partito d'avanguardia" di Lenin cosa altro significa se non che un partito con influenza di massa può essere costruito solo edificandosi a partire da alcune centinaia di militanti che nel corso delle successive lotte guadagneranno settori più ampi?
    L'importante esperienza degli anni Trenta, che i compagni di Fm giustamente studiano, indica esattamente il contrario di quanto vorrebbero affermare Bellotti e Giardiello. E' vero che Trotsky ritenne utile, in alcuni Paesi e in determinate circostanze, far entrare i piccoli gruppi rivoluzionari nelle ben più grandi organizzazioni riformiste: ma solo perché riteneva (e così in parte fu, almeno negli Usa) che fosse possibile, attraverso una rapida manovra entrista, guadagnare le ali sinistre che si stavano sviluppando in quei partiti, distruggendoli per poi ricostruire partiti rivoluzionari e proseguire la costruzione anche in situazioni non rivoluzionarie.
    Per Trotsky l'entrismo è sempre stato solo una tattica: cioè una politica che si applica in determinate circostanze. Pensare - come fanno i dirigenti di Fm - che organizzazioni rivoluzionarie possano costruirsi solo rimanendo per decenni in organizzazioni riformiste non ha nulla a che fare con gli insegnamenti dell'azione dei trotskisti negli anni Trenta.
    Lo stesso Swp statunitense non sarebbe stato costruito nel 1938 se si fosse applicato l'entrismo come modalità permanente: Cannon e i suoi avrebbero dovuto cercare di rientrare nel ben più grande Pc staliniano. E lo stesso dicasi per la Quarta Internazionale: perché "fondarla" nel 1938 quando certo costituiva piccola cosa di fronte alla gigantesca Terza Internazionale stalinizzata? E lo stesso può dirsi per i piccoli partiti che componevano la Quarta Internazionale. Trotsky rispose in modo netto in innumerevoli testi (tutti testi scritti proprio in quegli anni Trenta che i dirigenti di Fm stanno studiando) a quei centristi che dicevano che non era il momento di "proclamare" né l'Internazionale né nuovi partiti, confutò con dovizia di argomenti coloro che sostenevano che fosse necessario aspettare di avere grandi numeri e situazioni rivoluzionarie per iniziare la costruzione indipendente del partito e dell'Internazionale.


    La probabile legittima perplessità dei militanti di Falcemartello
    Non ci è dato conoscere il dibattito interno a Fm. Ma appare verosimile che il tentativo dei dirigenti di quell'organizzazione sia quello di convincere i militanti che bisogna aspettare, attendere, rinviare. Che non si può costruire ora un partito rivoluzionario; che nel caso muoia il Prc si tratterà di iniziare a fare entrismo in qualche nuova organizzazione; che il partito rivoluzionario potrà iniziare a costruirsi solo con l'ascesa rivoluzionaria e passando attraverso il precedente entrismo decennale nel riformismo. Ai militanti di Fm stanchi di entrismo, viene proposto come consolazione un proclamato cambio di attività di Fm: non più semplice tendenza del Prc ma ora "movimento politico". Chissà se queste parole potranno soddisfare qualcuno. Ne dubitiamo.
    E' a compagni di Fm evidentemente poco convinti di questa prospettiva di altri decenni di entrismo, supponiamo, che sono indirizzati i seminari sugli anni Trenta in cui si pretende di trovare in Trotsky conferme teoriche a una linea che Trotsky non avrebbe mai sostenuto. Allo stesso scopo si scrivono articoli, come uno apparso di recente, in cui si polemizza con il Pdac perché avrebbe la pretesa di costruire una organizzazione indipendente, di iniziare la costruzione del partito fuori dalle organizzazioni riformiste, in assenza di un'ascesa rivoluzionaria. Scrivono i dirigenti di FM: "La differenza di metodo tra la proposta politica che avanziamo e quella del Pcl, del Pdac o di altri gruppi dell’estrema sinistra è ben spiegata in queste osservazioni [si tratta di scritti di Trotsky nel dibattito con l'Swp americano rispetto al tema del partito del lavoro, ndr], dove Trotsky, con una brillante applicazione del metodo dialettico, invitava i compagni dell’epoca a non cadere nel formalismo e a non confondere il livello di comprensione delle masse con quello degli attivisti coscienti." (2)
    In realtà è proprio perché Trotsky e Lenin distinguevano tra attivisti coscienti e masse che sostenevano la costruzione del partito a partire dall'organizzazione del "cerchio più stretto", a partire appunto da quella che Trotsky definiva "l'avangurdia dell'avanguardia" e che, in fasi ordinarie, normalmente si riduce a numeri relativamente piccoli, non di massa.
    In ogni caso abbiamo l'impressione che questa ricerca di argomenti teorici contro la costruzione oggi del partito d'avanguardia non sia indirizzata a polemizzare con noi quanto piuttosto a convincere militanti di Fm che, dopo vent'anni di entrismo nel Prc, con esiti non certo esaltanti, si chiedono se non sia arrivato finalmente il momento di costruire il partito rivoluzionario.
    Tanto più in una situazione mondiale caratterizzata dall'ascesa delle lotte e dall'esplodere simultaneo di rivoluzioni in mezzo mondo: dall'Egitto alla Siria, dal Brasile, alla Grecia, ecc.
    Anche laddove fosse vero (e, come abbiamo cercato di dimostrare, non lo è) l'argomento per cui il partito indipendente si può costruire solo nelle fasi rivoluzionarie, oggi è difficile dire che la situazione mondiale non sia rivoluzionaria. Il fatto che in Italia ancora ci troviamo in una fase non-rivoluzionaria è una anomalia che non può durare. L'Italia non è isolata nel mondo ed è prevedibile che la capacità delle burocrazie (sindacali e politiche) di soffocare la risposta operaia non durerà ancora a lungo.
    In ogni caso, il compito dei rivoluzionari non è quello di aspettare gli eventi, ma di contribuire, nella misura delle loro forze, a determinarli. In assenza di un partito rivoluzionario con influenza di massa (che oggi non c'è: certo non pensiamo di esserlo noi del Pdac; lasciamo ad altri, privi del senso del ridicolo, autodefinirsi tali) sarà molto difficile infrangere la cappa imposta dalle burocrazie e persino laddove ciò diventasse possibile, per la pressione della lotta di classe, l'assenza di un partito impedirebbe comunque uno sviluppo rivoluzionario conseguente. Basti guardare a quanto succede in Grecia, dove da qualche anno certo non mancano le lotte di massa mentre quello che manca per condurre queste lotte alla vittoria è proprio il partito rivoluzionario.
    In altre parole, non è vero, a differenza di quanto scrive Fm, che "il partito di classe può formarsi solo nel calore delle mobilitazioni" (2). E' vero che solo nel calore delle mobilitazioni può crescere: ma le basi formative vanno gettate ben prima, viceversa si rischia di arrivare agli appuntamenti storici impreparati, così come è successo purtroppo innumerevoli volte nella storia. Non è forse questo il principale insegnamento della sconfitta della rivoluzione tedesca, dovuta anche al ritardo con cui Rosa Luxemburg si staccò dal centrismo, costituendo il proprio partito indipendente solo nel dicembre del 1918, a rivoluzione già iniziata? E, al contrario, non ci hanno forse insegnato con tutta la loro attività Lenin e Trotsky che il partito bisogna iniziare a costruirlo in forma indipendente anche a partire da poche decine o centinaia di quadri ben prima che arrivi la situazione rivoluzionaria?
    Sono temi su cui invitiamo i compagni di Falcemartello a riflettere. Per parte nostra, come Pdac e come Lit-Quarta Internazionale, siamo sempre disponibili al confronto laddove si discuta di come costruire quel partito rivoluzionario (nazionale e internazionale) che ancora manca. Ma, insistiamo, quel partito dobbiamo iniziare a costruirlo oggi, sulla base di un coerente programma marxista. Non nascerà da solo dagli eventi futuri: è un compito che si devono porre oggi tutti i rivoluzionari.


    -----

    Post Scriptum

    Avevamo già chiuso questo articolo (per la sua pubblicazione sul prossimo numero del nostro periodico, Progetto Comunista) quando sul sito di Falcemartello è stato pubblicato l'articolo di Claudio Bellotti: "Sinistra. C'è il quorum, manca tutto il resto" (30/05/14).
    L'analisi che Bellotti fa degli effetti delle elezioni europee sulla sinistra è del tutto simile alla nostra. Prospetta uno scenario di scomposizione e ricomposizione della sinistra riformista, preludio alla nascita di un nuovo partito egemonizzato dall'attuale ala maggioritaria di Sel (Fratoianni) che finirà con l'assorbire quanto resta di Rifondazione.
    Secondo Bellotti si tratterà di un partito che (così come la lista Tsipras) sarà imbevuto di illusioni su impossibili riforme dell'Europa imperialista, basato su politiche keynesiane, su posizioni interclassiste, su obiettivi meramente elettoralistici.
    Quest'analisi non fa una grinza e la sottoscriviamo pienamente. Quello che non possiamo sottoscrivere sono invece le conclusioni di Bellotti che confermano pienamente quanto abbiamo scritto in questo articolo.
    "(...) continueremo anche in questo ambito la nostra battaglia politica e programmatica" scrive Bellotti. Laddove per "questo ambito" si intende la nuova costituente riformista che sta promuovendo Fratoianni e che assorbirà Rifondazione. Secondo il dirigente di Fm, infatti, non si dà altra possibilità almeno fino a quando "milioni di lavoratori e di giovani (...) saranno costretti a cessare la delega e a scendere in campo".
    Ancora una volta si confonde il momento del salto di qualità di un partito rivoluzionario che chiaramente non può avvenire a freddo, in assenza di lotte di massa con il momento di gettare le fondamenta di quel partito momento che deve invece necessariamente avvenire prima dell'ascesa della lotta di classe (di cui il partito stesso, crescendo, sarà in parte agente) e a partire dalle poche centinaia di quadri oggi disponibili. E' questo tutto l'insegnamento teorico e pratico che ci hanno lasciato Lenin e Trotsky. E' quanto ha confermato clamorosamente tutta la storia dell'ultimo secolo: un partito non si improvvisa alla vigilia della rivoluzione. Bisogna iniziare a costruirlo molto prima. Ma per farlo è necessario demarcarsi programmaticamente e organizzativamente dal riformismo e dal centrismo: ed è quanto Bellotti e il gruppo dirigente di Falcemartello non sono disponibili a fare.
    partecipate e aderite al partito COMUNISTA in pieno congresso a questo link http://forum.termometropolitico.it/6...l#post13212177

  3. #13
    Comunista
    Data Registrazione
    05 Oct 2009
    Località
    Pannesi, Liguria, Italy, Italy
    Messaggi
    4,636
     Likes dati
    505
     Like avuti
    657
    Mentioned
    124 Post(s)
    Tagged
    31 Thread(s)
    partecipate e aderite al partito COMUNISTA in pieno congresso a questo link http://forum.termometropolitico.it/6...l#post13212177

  4. #14
    Comunista
    Data Registrazione
    05 Oct 2009
    Località
    Pannesi, Liguria, Italy, Italy
    Messaggi
    4,636
     Likes dati
    505
     Like avuti
    657
    Mentioned
    124 Post(s)
    Tagged
    31 Thread(s)

    Predefinito Re: Partito di alternativa Comunista

    Partito di Alternativa Comunista - Progetto Comunista - Lega Internazionale dei Lavoratori - LIT - Enrico Berlinguer dallo stalinismo al riformismo, sempre contro le lotte operaie

    Enrico Berlinguer
    dallo stalinismo al riformismo,
    sempre contro le lotte operaie
    (Enrico Berlinguer e Aldo Moro)
    di Ruggero Mantovani

    A trent’anni dalla morte di Enrico Berlinguer, segretario del Pci dal 1972 all'11 giugno 1984, giorno in cui al comizio di Padova fu colpito da un ictus, in queste settimane sono state organizzate una quantità di celebrazioni sicuramente uniche rispetto a quanto si è fatto con altri leader della cosiddetta prima Repubblica.
    A Roma si è celebrato il segretario del Partito Comunista Italiano con la rassegna Enrico Berlinguer e lo sguardo degli artisti, allestita nelle sale del Complesso di Vicolo Valdina della Camera dei deputati; mentre, addirittura, Poste Italiane ha annunciato l’emissione di un francobollo commemorativo, del valore di € 0,70 e della tiratura di due milioni e settecentomila esemplari. Nel giorno del trentesimo anniversario della scomparsa, numerose sono state, poi, le vie e le piazze dedicate a Berlinguer. Ma ancora, la programmazione del film per la rassegna “Venti di cinema” ha proiettato il documento di venti minuti La voce di Berlinguer realizzato da Mario Sesti e Teho Teardo, che nel 2013 ha partecipato al Festival di Venezia, mentre su Sky Cinema e Sky Arte Hd è stato trasmesso Quando c’era Berlinguer, di Walter Veltroni, a cui è seguito il cortometraggio Enrico Berlinguer 1984-2014, un percorso tra le parole dell'uomo politico nei suoi dodici anni alla segreteria del Pci. Il filmato è stato proiettato in anteprima nel corso della commemorazione ufficiale che si è tenuta alla Camera il 12 giugno.
    Insomma, quella su Berlinguer è stata senz’altro una commemorazione corposa e molto sentita sia dalle massime istituzioni parlamentari, sia da una certa arte radicale e salottiera, e sia dal mondo politico dove, nell’ultima campagna elettorale per le europee, un po’ grottescamente, i due guru della politica italiana, Beppe Grillo e Matteo Renzi (il mister Bean all’italiana), si sono ferocemente attaccati su chi potesse rivendicare l’eredità di Berlinguer e in particolare la tanto esaltata “questione morale”.


    Al contempo quanto resta della sinistra riformista (dal Prc a Sel) del tutto logicamente sta esaltando Berlinguer: incarnazione della medesima politica di collaborazione di classe e governista che la orienta.



    Ma non tornano i conti con la storia
    Ma queste commemorazioni organizzate con tanto di carica emotiva e simbolica su un segretario che dalla pubblicistica ufficiale è stato dipinto come l’uomo nuovo del comunismo e della sinistra italiana; che avrebbe avuto il coraggio di entrare in conflitto con le burocrazie russe sulla questione del compromesso storico e sulla cosiddetta terza via; tutte le parole e immagini diffuse rappresentano davvero la figura politica di chi ruppe con la generazione degli stalinisti italiani guidati dal segretario Palmiro Togliatti?
    A questa domanda si può rispondere con verità solo se quella storia la si legge con uno strumento non facilmente confutabile: il marxismo e la lotta di classe. Da questo versante, come vedremo seppure in modo stringato, il berlinguerismo risulta essere stato tutto interno alla vicenda dello stalinismo italiano, che con i suoi continui zig zag, in nome degli interessi materiali delle burocrazie russa e nazionali, ha costantemente anteposto la collaborazione di classe alla costruzione del socialismo per via rivoluzionaria: la politica dei “fronti popolari” degli anni Trenta, varata da Stalin, anticipò di qualche anno in Italia il “partito nuovo” di Togliatti e cioè il primo compromesso storico (1945-47) con la borghesia liberale e la Dc e fu l’involucro ideologico entro cui maturò anche il secondo compromesso di classe (1973-1978) siglato appunto da Berlinguer.




    La collaborazione di classe: bussola della politica di Togliatti e di Berlinguer
    “Il nostro partito non ha mai deflettuto dalla sua linea unitaria verso gli altri partiti di massa, il Psi e la Dc (…). Dopo la liberazione fu la Dc il principale artefice della rottura delle alleanze di governo con i comunisti": così scriveva su Rinascita del 9 ottobre 1873 Berlinguer.
    In definitiva l’intera linea del Pci fin dalla Resistenza si inspirò al blocco strategico con la borghesia liberale. Dapprima con l’alleanza paritetica nel Cnl e con la linea disastrosa che riconsegnò le fabbriche e il Paese alla borghesia; e poi dal 1945 al 1947, entrando nei governi di unità nazionale con la Dc, rimettendo al loro posto di comando i capitalisti nelle fabbriche, concordando la liberalizzazione dei licenziamenti, disarmando i partigiani, amnistiando i fascisti, reprimendo molte delle mobilitazioni che in quegl’anni si svilupparono in tutta Italia. E così quando il capitalismo rimontò in sella e la Dc consolidò rapporti di forza più favorevoli, nel 1947 il Pci fu estromesso dal governo.
    Nei trent’anni successivi di "opposizione", tutta la politica dell’apparato del Pci fu finalizzata a riaprire il varco di quella collaborazione governista. In definitiva la cosiddetta “via italiana al socialismo” fu per trent’anni l’involucro ideologico di questa prospettiva. I due compromessi storici, quello del 1945 e quello del 1976, si svilupparono in condizioni molto diverse. Detto schematicamente: il compromesso che fu stretto nel 1945 rifletteva gli interessi della burocrazia staliniana e la necessità di bloccare ogni focolaio rivoluzionario per permettere agli apparati moscoviti di poter siglare i patti di spartizione con l’imperialismo, anteponendo, così, i rapporti interstatuali (e cioè gli interessi della casta burocratica moscovita) alla lotta di classe. Invece nel 1976 il compromesso di classe con la borghesia era principalmente mosso dagli interessi specifici dell’apparato del Pci: ceto dirigente, amministratori e parlamentari del principale partito "comunista" di occidente.
    Tant’è che l’integrazione profonda, nella società, nell’economia e nello Stato, aveva reso il Pci molto simile alla socialdemocrazia, uniti da simili interessi materiali di casta burocratica, ma con un tratto distintivo: il legame con l’Urss che continuava, seppure in forma più tenue che nei decenni passati. E continuava non tanto per gli aiuti ricevuti (i famosi rubli che arrivavano da Mosca), quanto per il fatto che la burocrazia del Pci cresceva anche elettoralmente proprio grazie alla cosiddetta "spinta propulsiva" della rivoluzione d'Ottobre (che lo stalinismo, affossatore del bolscevismo, si accreditava). In altre parole, nonostante la deformazione grottesca della rivoluzione di Lenin e Trotsky operata dallo stalinismo, rivendicare in quegli anni un legame con Mosca significava facilitare il consolidarsi dell'apparato del Pci.




    Un ostacolo sulla via della piena integrazione di governo
    Ma più cresceva l'inserimento nella mangiatoia dello Stato borghese, più cresceva un autonomo interesse burocratico, distinto da quello moscovita, più il legame con Mosca diventava un intralcio e un ostacolo (il famoso "fattore K") a un nuovo ingresso nelle stanze di servizio del potere borghese, una barriera che impediva l'ingresso al governo.
    Una difficoltà non ideologica, giacché i programmi riformistici del Pci e i possenti legami di massa erano elementi valutati positivamente dalla borghesia. Ciò che complicava le cose erano le specifiche relazioni con un blocco internazionale, che esprimeva interessi diplomatici contrapposti all’imperialismo.
    Il Pci, certo non fu il fautore del movimento di massa che si formò dal 1968 in poi, ed anzi lavorò alacremente a contenerne le sue potenzialità rivoluzionarie e se ne beneficiò alle elezioni del 1975: non perché le masse volessero col voto sostenere la linea del nuovo compromesso storico, ma viceversa perché esprimevano il bisogno di alternativa che la crisi rivoluzionaria del 68-69 rendeva palpabile e riponevano le speranze nel principale partito della sinistra.
    Un fattore che si intrecciava con la crisi profonda che nel 1974-75 visse il capitalismo italiano: ridimensionamento della competitività internazionale sotto il venire meno della spinta propulsiva del boom economico posto bellico; distorsioni ingenerate dal legame della Dc con il suo blocco sociale; peso del clientelismo, l’appesantimento dell’amministrazione dello Stato, congiunto all’elevato tasso di inflazione (20%), furono tutti elementi che registrarono la necessità della borghesia di aprire al Pci, di nuovo, una prospettiva di governo. A misurare la realtà di questa necessità erano i fatti: fu La Malfa, segretario del Pri, rappresentante chimicamente puro della linea della Confindustria, a divenire il principale artefice della manovra per riportare il Pci al governo.




    Di nuovo al governo con la borghesia
    E così nel 1976 nasceva il governo Andreotti che incassava la "non sfiducia" del Pci; nel 1977 il II governo Andreotti di “convergenze programmatiche” con il partito di Berlinguer e nel 1978 il III governo Andreotti con l’entrata definitiva del Pci nella maggioranza.
    Al di la di una versione metafisica che spesso viene data del "compromesso storico", la sua natura di fondo è da ricercarsi in un vero e proprio scambio: Berlinguer aveva usato la spinta dei movimenti di massa per aprirsi la strada nel governo; al contempo la borghesia e la Dc aprivano al Pci per usarlo come strumento di normalizzazione delle lotte maturate nel periodo 1969-1975.
    Anche in questa fase la burocrazia staliniana del Pci non lesinò visioni mistificatrici, recitando ancora una volta la lirica di un "socialismo moderno" che però si traduceva, molto più prosaicamente, nella politica di “austerità e sacrifici”: rincaro dei prezzi; spostamento delle risorse dai consumi agli investimenti; contrazioni salariali; lotta all’inflazione come condizione di maggiore competitività; rifiuto dell’assistenzialismo e della occupazione improduttiva; politica dell’Eur della Cgil (cioè austerità salariale e aumento dell’orario di lavoro); campagna contro l’estrema sinistra con tanto di repressione selettiva attraverso le leggi speciali.
    E’ in questo contesto che nasce la linea dell’eurocomunismo. Con la conferenza tenutasi a Madrid (che diede i natali al patto con il Pcf e il Pce e i minori partiti comunisti britannico e greco) nel 1976 Berlinguer lancia un messaggio chiaro alla borghesia italiana dimostrandosi disponibile a perseguire maggiore autonomia nei confronti dell’Urss. Iniziava così quel lungo percorso che renderà sempre più indipendente la burocrazia stalinista italiana dalla burocrazia stalinista russa e sempre più "affidabile" (cioè subalterno) il Pci, fino alle logiche conclusioni di quel processo in parallelo con il crollo dello stalinismo: il passaggio al Pds, poi ai Ds e infine al Pd, in un taglio progressivo non solo della simbologia ma delle stesse radici di classe (per quanto deformate) del partito. Un percorso conclusosi con la piena conversione del vecchio partito operaio-borghese in un partito compiutamente borghese e liberale. Ma andiamo con ordine.
    In sintesi, se il primo compromesso storico (Togliatti) era stato guidato dallo stalinismo, impegnato nel 1945 a stabilire nuovi compromessi con l’imperialismo statunitense nella spartizione del mondo in zone di influenza; il secondo vide una netta opposizione della burocrazia moscovita, non tanto per una sorta di puritanesimo ideologico (recitando ancora una volta la catechesi del "marxismo-leninismo" svuotato di qualsiasi contenuto realmente bolscevico), ma perché essa intravedeva nel progressivo sganciamento dei partiti comunisti europei, ed in particolare del Pci, il riflesso distorto di un processo di disgregazione dello stalinismo internazionale.
    Certo anche in quel caso Berlinguer e il suo staff non lesinarono visioni apparentemente alte della nuova frontiera della costruzione del socialismo asserendo ad esempio “E’ assai significativo che alcuni altri partiti comunisti e operai dell’Europa Occidentale siano pervenuti, attraverso una loro autonoma ricerca, a elaborazioni analoghe circa la via da seguire per giungere al socialismo e circa i caratteri della società socialista da costruire nei loro Paesi. Queste convergenze e questi tratti comuni si sono espressi recentemente nelle dichiarazioni che abbiamo concordato con i compagni del Pce, del Pcf, del Pc di Gran Bretagna. E’ a queste elaborazioni e ricerche di tipo nuovo che taluni danno il nome di 'Eurocomunismo.” (Berlinguer, 1976). In una precedente occasione, altrettanto importante, il XXV Congresso Pcus, il 27 febbraio 1976, Berlinguer, senza utilizzare la parola “eurocomunismo”, ne definì comunque quelli che il gruppo dirigente del Pci considerava i principi fondamentali: “il momento più alto dello sviluppo di tutte le conquiste democratiche, deve garantire il rispetto di tutte le libertà individuali e collettive, delle libertà religiose e della libertà della cultura, delle arti e delle scienze.” Ma la realtà di quella strategia era prosaicamente molto più chiara: riaprirsi un varco nel governo con la principale forza politica della borghesia italiana, la Dc, sacrificando su quell'altare le lotte operaie e ogni prospettiva di cambiamento.




    La politica di Berlinguer segna l’inizio della fine del Pci
    Le stesse basi di appoggio del compromesso storico rappresentarono condizioni distruttive del medesimo disegno: cominciarono ad opporsi alla svolta dell’Eur consistenti settori della Cgil (la Flm era pubblicamente contraria); il movimento del '77 entrò in collisione frontale con quella esperienza, anche se tutta l’estrema sinistra italiana dal '68 in poi non seppe gettare le basi per la costruzione di un partito autenticamente rivoluzionario a sinistra del Pci, che avrebbe dovuto costruire la forza e le condizioni organizzative per poter guidare la radicalizzazione della lotta di massa.
    Da li a poco l’esperienza del compromesso storico berlingueriano cominciò a registrare però anche le ostilità dei principali circoli del capitalismo italiano, poiché quel compromesso, se da un lato era servito alla Dc e alla borghesia per normalizzare le lotte sociali e reprimere in maniera selettiva ampi settori dell’estrema sinistra, dall’altro aveva amplificato quel parassitismo politico del gruppo dirigente del Pci che la borghesia chiedeva di superare: alla faccia della tanto sbandierata “questione morale”.
    Per il Pci fu la disfatta con una consistente perdita di voti, ma al contempo fu il successo per la borghesia: approfondì il proprio programma antipopolare grazie ad una Dc che si rigenerò nei governi craxiani.
    Il Pci nei primi anni Ottanta, guidato ancora da Enrico Berlinguer, fino all’11 giugno del 1984, dopo l’esperienza del compromesso storico avviava a conclusione la completa omologazione alle forze della socialdemocrazia europea. La morte di Enrico Berlinguer, stante lo psico-dramma collettivo che produsse in ampi settori di popolazione, determinò alle elezioni europee di quell’anno un consistente successo elettorale, ma fu un fatto episodico poiché la crisi ormai era irrefrenabile: alle elezioni del 1987 il Pci attestandosi al 26,6% scendeva al di sotto delle percentuali ottenute nel 1968.




    La stagione di Occhetto
    Nel 1988 conosceva, sotto la direzione di Achille Occhetto, l’inizio di una fase costituente di una nuova forza politica. Questo processo, malgrado fosse accelerato dagli eventi, registrò un tentativo, per quanto contraddittorio e nebuloso, di consolidamento teorico: si decretava l’aperta rottura con le concezioni classiche del leninismo, l’approdo definivo nell’alveo delle forze socialdemocratiche e la piena e dichiarata accettazione del capitalismo come unico orizzonte. Ma la nascita di una fase costituente del nuovo partito avvenne nel 1989 dopo la "caduta del muro di Berlino": la fine dell’Urss rese possibile allo stalinismo italiano la definitiva cesura con il comunismo persino nei suoi aspetti simbolici. Questa scelta rappresentò per l’ultimo gruppo dirigente dello stalinismo italiano una pulsione liberatoria: finalmente quel gruppo dirigente non doveva più nascondersi dietro una bandiera rossa e la falce e martello per aprirsi un varco nei governi borghesi.
    E così nel marzo del 1990 al congresso straordinario del Pci il 66% dei voti dei delegati indicò chiaramente la fine del partito che avverrà nel congresso di Rimini nel febbraio 1991, dove nascerà il Pds. La storia successiva dei partiti che nacquero dalla genesi del berlinguerismo e in legittima filiazione dal togliattismo, i Ds e poi il Pd, è stata contraddistinta dal progetto di costruire una forza in grado di presentarsi alla borghesia come gestore degli affari dei gruppi dominanti del Paese.
    Ecco che cresceva ora una forza di governo non occasionale, come era stata quella del Pci nel 1945 e successivamente negli anni Settanta con il compromesso storico, ma centrale e permanente capace di rappresentare nazionalmente e nei conflitti intra-capitalistici gli interessi dei principali circoli della borghesia italiana. In questo senso la nascita del Pds, dei Ds e poi del Pd non ha rappresentato una decomposizione del vecchio Pci, ma l’investimento di una politica di origine socialdemocratica in un nuovo partito borghese tout-court, liberale, in costante dialogo e rapporto infine simbiotico con i grandi gruppi industriali e coi banchieri.
    L'attuale Pd di Renzi è la fotografia migliore di questa realtà.



    La tragedia dello stalinismo e l’apertura di un nuovo spazio per il comunismo rivoluzionario
    Tutta la storia espressa dallo stalinismo internazionale e nostrano ha sottoposto costantemente a volgari tosature i più elementari principi espressi dal marxismo e dunque dal bolscevismo dei nostri giorni, il trotskismo: autonomia di classe, rifiuto di qualsivoglia blocco con la borghesia liberale, costruzione del partito come avanguardia del proletariato rivoluzionario, prospettiva di costruzione dei soviet come organismi di potere operaio, ed embrione dello Stato socialista, e cioè della dittatura del proletariato quale transizione alla costruzione della società comunista. Lo stalinismo ha viceversa perseguito la politica dei “fronti popolari” e cioè della collaborazione di classe con i cosiddetti “sinceri democratici” e il Pci che si è costruito, a cavallo dei due compromessi storici (1945-1947 e 1976-1978), nella costante prospettiva di riaprirsi un possibile varco nei governi borghesi, fonte di nuovi privilegi per la burocrazia dirigente.
    Una storia che come abbiamo visto è stata foriera di sconfitte pesantissime per i lavoratori e che tanto più oggi va demistificata, giacché l’eredità del berlinguerismo, quale ultimo imponente esempio politico dell’opportunismo staliniano, oggi giustamente contesa, non a caso, da Renzi e da Grillo, non può essere certamente da esempio per quelle nuove generazioni che si affacciano alla lotta di classe e alla necessità di costruire un partito rivoluzionario che possa condurre lo scontro di classe al suo coerente esito.
    Alla tragedia politica del compromesso storico e alla strategia berlingueriana, dopo trent’anni, i rivoluzionari oppongono un’altra eredità: il bolscevismo odierno cioè il trotskismo e dunque la prospettiva di costruire un partito di lotta, rivoluzionario, parte di una Internazionale ricostruita, la Quarta Internazionale. Questo è il compito gigantesco in cui siamo impegnati come Pdac e in cui lavoriamo fianco a fianco con i compagni delle altre sezioni della Lit-Quarta Internazionale presenti nei diversi continenti.
    Questa è la nostra prospettiva: basata su un'altra tradizione storica, di lotta di classe rivoluzionaria. Una tradizione a cui Enrico Berlinguer non appartiene.
    partecipate e aderite al partito COMUNISTA in pieno congresso a questo link http://forum.termometropolitico.it/6...l#post13212177

  5. #15
    email non funzionante
    Data Registrazione
    22 Jul 2012
    Messaggi
    16,478
     Likes dati
    3,162
     Like avuti
    3,486
    Mentioned
    101 Post(s)
    Tagged
    8 Thread(s)
    Inserzioni Blog
    1

    Predefinito Re: Partito di alternativa Comunista

    le foto della riunione di rimini:

    Partito di Alternativa Comunista - Progetto Comunista - Lega Internazionale dei Lavoratori - LIT - PRIMO PIANO


    a me le compagne di alternativa comunista fanno venire tutte le voglie del porco socialista

  6. #16
    Comunista
    Data Registrazione
    05 Oct 2009
    Località
    Pannesi, Liguria, Italy, Italy
    Messaggi
    4,636
     Likes dati
    505
     Like avuti
    657
    Mentioned
    124 Post(s)
    Tagged
    31 Thread(s)

    Predefinito Re: Partito di alternativa Comunista

    Partito di Alternativa Comunista - Progetto Comunista - Lega Internazionale dei Lavoratori - LIT - L’eterno cantiere fallimentare della sinistra riformista

    L’eterno cantiere fallimentare
    della sinistra riformista
    Lista Tsipras, Sel, Rifondazione, Ross@: il fallimento del progetto riformista



    di Valerio Torre


    “La lista Tsipras è morta. Uccisa dai radical chic alla Barbara Spinelli, che preferiscono le loro ridotte parigine alla politica”. Bacchiddudixit (1). Come “Bacchiddu chi”? Possibile non ricordare la responsabile comunicazione della lista Tsipras che, alla vigilia delle elezioni europee, fece girare in rete una foto che la ritraeva in bikini per sponsorizzare con i propri attributi fisici il voto alla lista capitanata dal leader greco? Licenziata – sembra – su impulso della stessa Spinelli, è poi stata assunta nella redazione di Servizio pubblico, il programma televisivo di Santoro, beneficiata dalla notorietà acquisita in seguito a quest’evento.
    Tuttavia, se ci sentiamo di condividere la prima delle affermazioni della Bacchiddu, riteniamo completamente errata la seconda.


    Che ne è della lista Tsipras dopo il voto europeo?
    È vero, la lista Tsipras è morta nella culla, ma non c’è nessun assassino. Si tratta, invece, di un caso di morte naturale. E annunciata dallo stesso percorso che ha portato alla nascita di questa rabberciata aggregazione elettorale (2). L’elezione di tre europarlamentari – uno solo dei quali riferibile a Rifondazione comunista, mentre gli altri due sono esponenti dell’intellettualità piccolo-borghese progressista liberale – ha rappresentato solo un accanimento terapeutico per protrarre l’asfittica esistenza della creatura che, al leader greco che le ha dato il nome, è servita come ulteriore piccolo mattone della sua scalata al governo del Paese ellenico.
    Una scalata che si fa forte di altri due importanti tasselli aggiunti da Alexis Tsipras nello scorso mese di settembre. Dapprima, la sua presenza – salutata dalla calorosa accoglienza del gotha del grande capitalismo italiano – al Forum Ambrosetti di Cernobbio (il cenacolo della grande borghesia nostrana) (3), in cui ha civettato con Mario Monti, in un profluvio di vicendevoli complimenti (4). Quindi, solo pochi giorni dopo, la visita dal Papa (5).
    E mentre Tsipras “gigioneggiava” con i poteri forti – terreni e… “ultraterreni” – per potersi accreditare come futuro premier responsabile e affidabile agli occhi della finanza internazionale, volavano gli stracci nella sua creatura italiana.
    Da una parte, Sel di Vendola e Fratoianni, depuratasi della corrente capitanata da Gennaro Migliore che apertamente teorizzava l’ingresso diretto del partito nel Pd come sua ala sinistra, ha ormai praticamente rotto con la lista Tsipras e guarda a una possibile ricomposizione nel quadro di una “coalizione dei diritti e del lavoro” (6) tutta da costruire, con qualche renitente della sinistra Pd, i cascami di Socialismo 2000 (Patta, Salvi), la Fiom di Landini e la corrente di Claudio Grassi, ormai in libera uscita dal Prc. Il banco di prova di quest’ennesimo progetto riformista è stato la manifestazione a Roma il 4 ottobre scorso (7).
    Dall’altra, Rifondazione comunista è ormai alle prese, appunto, con la scissione prossima futura. Lo scorso congresso del partito di Ferrero ha registrato un’ulteriore divaricazione fra la corrente del segretario e quella di Claudio Grassi. Recentemente, quest’area si è presentata all’esterno con sempre maggiore autonomia, costituendosi in associazione (“Sinistra Lavoro”) e celebrando nella kermesse nazionale di fine settembre il profilarsi della nuova coalizione cui abbiamo appena accennato (8).
    Nel quadro di una lista Tsipras caratterizzata dalla gestione proprietaria degli “intellettuali” (Revelli, Spinelli, Viale) e totalmente paralizzata da dopo il voto europeo, incapace quindi di darsi persino una minima strutturazione, Rifondazione è alle prese con la propria crisi che si approfondisce ogni giorno di più, alimentando quella della lista che, a sua volta, rialimenta quella del Prc. Mentre il partito è dilaniato dall’ambiguità sull’atteggiamento da tenere rispetto alle prossime elezioni regionali (allearsi o no col Pd?), voci ricorrenti danno ormai per certa la prossima scissione dei grassiani (9), che assesterebbe così il colpo di grazia all’organizzazione di Ferrero.


    Ross@: una storia che nessuno potrà raccontare
    Un’altra vicenda nella sinistra italiana si intreccia con quella appena descritta, ed è quella relativa allo stato catalettico di Ross@, un ectoplasma formatosi dalle ceneri di un altro pateracchio riformista: il Comitato No Debito di Giorgio Cremaschi (10). Parliamo a ragione di “ectoplasma”, perché per definirla un’organizzazione occorrerebbe almeno un atto di nascita. Che invece, a distanza di un anno e mezzo dalla sua evocazione (11), non è stato prodotto. La storia di Ross@ si è dipanata in una serie interminabile di assemblee locali e nazionali, coordinamenti, comitati e riunioni varie, fino a che lo scorso 5 ottobre l’ennesima assemblea nazionale (svoltasi alla presenza di poche decine di attivisti) ha approvato un documento politico (12) e uno statuto da cui si apprende che Ross@ vorrebbe strutturarsi “non come associazione”, ma neanche come “un nuovo partito” (13), bensì … come movimento politico.
    La ragione di questa reticenza sta, appunto, nel fatto che Ross@ non è mai effettivamente nata. Troppe sono state le ambiguità che ne hanno segnato il tragitto e che ne consacrano oggi la più assoluta indeterminatezza. L’avere, ad esempio, sin dall’inizio consentito il regime della doppia tessera ha fatto sì che i militanti di Rifondazione che avevano aderito in principio, si siano poi defilati quando è nata la lista Tsipras. Così pure è stato per i turigliattiani di Sinistra Anticapitalista, che oggi cantano il de profundis per Ross@ nella risoluzione del Coordinamento nazionale del 25 settembre (14). Del resto, è lo stesso documento politico approvato a prendere atto con rammarico della separazione che queste due organizzazioni hanno consumato ai danni della creatura di Cremaschi.
    D’altro canto, un progetto politico così confuso e reticente nei suoi principi (15), raccogliticcio quanto basta per aver creato l’ennesimo calderone “anticapitalista”, non poteva che sfociare in un risultato come quello efficacemente descritto dal collettivo locale che più di tutti aveva ingenuamente creduto nel progetto di Ross@, spingendo per la sua formalizzazione ma trovando insormontabili ostacoli nella autoproclamata dirigenza (16). Peraltro, la risultante di un percorso così contorto, posticcio e ambiguo, sta nei numeri degli iscritti come risulterebbero dallo statuto: circa sessanta (17)!
    Da tutto quanto abbiamo sinteticamente descritto, non possiamo che definire Ross@ come un’organizzazione mai nata e che, per i principi che s’è data, nemmeno avrebbe potuto incidere sulla realtà politica. Così come resta confermata, al di là delle intenzioni con cui all’epoca la formulò, la scaramantica osservazione che Giorgio Cremaschi fece nella relazione introduttiva dell’assemblea del maggio 2013, notando che, in fondo, non era stato esattamente bene augurante organizzare un atto di nascita proprio nel luogo che celebrò una ben più famosa sepoltura. Quella del più grande partito comunista occidentale: la Bolognina!


    Le prospettive di fronte alla crisi del riformismo
    Insomma, il quadro della sinistra riformista italiana è parecchio desolante. La crisi del capitalismo porta inevitabilmente con sé la crisi di ogni progetto riformista (più o meno di sinistra), perché quando il capitalismo non ha più briciole da distribuire è il ruolo stesso delle organizzazioni riformiste ad assottigliarsi fin quasi a scomparire. Eppure, al loro interno ci sono pur sempre decine e decine di attivisti onesti che per anni hanno davvero creduto, a prezzo di sacrifici personali, di costruire un partito che si ponesse l’obiettivo di cambiare questa società dominata dal capitalismo.
    La storia ha dimostrato, senza possibilità d’appello, che solo un partito e un’Internazionale autenticamente rivoluzionari possono adempiere a questo compito. E, per quel che riguarda il nostro Paese, si tratta di porre urgentemente mano alla loro costruzione. I militanti del Pdac, come sezione italiana della Lit-Quarta Internazionale, sono impegnati in questo compito, che non può però ricadere solo sulle loro fragili spalle. C’è invece bisogno di uno sforzo cui debbono dedicarsi, appunto, tutti quei compagni che, all’interno di Rifondazione o di altre organizzazioni, pensavano di costruire un progetto di reale cambiamento e invece preparavano uno scranno parlamentare o una qualsiasi altra utilità per il loro dirigente di turno.
    È necessario che essi facciano un bilancio storico del riformismo in generale e delle loro organizzazioni in particolare. Potrà così liberarsi un indispensabile patrimonio di energie militanti che non devono assolutamente andare disperse, da mettere a frutto nella costruzione del partito rivoluzionario che ancora non c’è.

    partecipate e aderite al partito COMUNISTA in pieno congresso a questo link http://forum.termometropolitico.it/6...l#post13212177

  7. #17
    Comunista
    Data Registrazione
    05 Oct 2009
    Località
    Pannesi, Liguria, Italy, Italy
    Messaggi
    4,636
     Likes dati
    505
     Like avuti
    657
    Mentioned
    124 Post(s)
    Tagged
    31 Thread(s)

    Predefinito Re: Partito di alternativa Comunista

    Partito di Alternativa Comunista - Progetto Comunista - Lega Internazionale dei Lavoratori - LIT - A proposito del "landinismo": malattia senile dell'opportunismo

    Inizia una nuova stagione di lotte:
    chi cerca di fermarla e chi vuole svilupparla
    A proposito del "landinismo": malattia senile dell'opportunismo
    (Landini contestato dagli operai Ast di Terni a Roma il 6 novembre)

    di Alberto Madoglio

    Nelle ultime settimane è ritornata con prepotenza, nel dibattito politico nazionale, la querelle legata all’individuazione di un nuovo leader, di un nuovo soggetto politico, che possa rappresentare un’alternativa a coloro i quali in questi anni hanno sostenuto e posto in essere scelte politiche, economiche e sociali che hanno contribuito a peggiorare le condizioni di vita (nell’accezione più larga: salario, welfare state, diritti sul posto di lavoro) delle classi subalterne italiane.
    Tutto questo è il risultato di fattori oggettivi e soggettivi. I primi legati al perdurare, anzi all’ulteriore peggioramento della crisi economica che, su un’economia complessivamente debole come quella italiana, ha delle influenze pesanti. Gli altri dovuti invece alla svolta in senso autoritario e marcatamente anti-operaio del governo Renzi.
    Per la prima volta il Partito democratico appare a settori di massa del movimento operaio non più come un partito che, magari in modo confuso e contradditorio, cerca di tutelare i loro interessi, ma come un partito che, alla pari degli altri partiti borghesi, si fa garante e portavoce delle esigenze delle classi dominanti italiane e europee. Questa svolta “liberale” del Pd è in realtà avvenuta da diversi lustri e non è figlia della “nuova generazione” renziana. Tuttavia il fatto che stia diventando patrimonio comune, e non solo di avanguardie politicizzante, ha una sua importanza non trascurabile.
    Inoltre, il fallimento dei due partiti che, tradizionalmente, rappresentavano la sinistra di “classe” nel Paese (Rifondazione comunista e Sel) contribuisce a porre all’ordine del giorno la necessità di costruire un nuovo soggetto politico che si faccia portavoce delle rivendicazioni della classe operaia.


    Landinismo, malattia senile dell'opportunismo
    La risposta che sta prendendo piede, tuttavia, rappresenta l’ennesima illusione, l’ennesima riproposizione di quella “falsa coscienza” che, in mancanza di una direzione coerentemente rivoluzionaria, non può che ripresentarsi inevitabilmente.
    Il leader che al momento incarna questa illusione è l’attuale segretario della Fiom, Maurizio Landini. Ospite in diversi talk show televisivi, intervistato a destra e a manca, appare come il leader che la sinistra cercava da tempo.
    La foga nel difendere le sue idee e un eloquio meno “aulico” dei vecchi narratori della sinistra classista (Bertinotti e Vendola), lo fanno apparire agli occhi di milioni di operai, giovani, disoccupati come uno di loro.
    La sua ricomparsa sotto i riflettori della cronaca e del dibattito politico nazionale è abbastanza recente e risale alla primavera del 2010, quando Marchionne lanciò il suo attacco ai lavoratori del gruppo Fiat, partendo dallo stabilimento di Pomigliano d’Arco. Marchionne col tempo “ha fatto scuola” e il “modello Pomigliano” - inteso come cancellazione dei diritti dei lavoratori attraverso licenziamenti, cassa integrazione, decurtazione del salario e fortissima limitazione della libertà sindacale sul posto di lavoro - si è pian piano generalizzato in ogni settore del mondo del lavoro. Da quel momento il sindacato dei metalmeccanici della Cgil e il suo segretario sono apparsi gli unici in grado di opporsi all’arroganza padronale.
    All’epoca l’isolamento della Fiom era quasi totale, visto che anche la Cgil spingeva per sottostare al ricatto della Fiat (esplicite sono state in questo senso le prese di posizione della Cgil regionale campana e di quella di Napoli), mentre la Camusso suggeriva una “firma tecnica”, modo elegante per siglare una resa senza condizioni.
    Ma fin da allora il radicalismo della Fiom apparve più una costruzione mediatica che una realtà. Anziché avanzare la proposta dello sciopero prolungato in tutte le fabbriche del gruppo Fiat, come primo passo per organizzare una lotta generalizzata di tutti i metalmeccanici - contro quello che fin da subito appariva non come un caso isolato di arroganza padronale, ma la prova generale di un attacco a tutto campo al mondo del lavoro - si scelse la via di minor resistenza.
    Si scelse di delegare la difesa dei diritti alla magistratura borghese, dando il via a una serie di ricorsi e contro-ricorsi che nella sostanza non hanno portato a nessuna reale vittoria per i lavoratori.
    Il fatto che contribuì a smascherare la moderazione e l’arrendevolezza della Fiom fu quando, nella fabbrica di Grugliasco (sempre gruppo Fiat), venne siglato anche dalla Fiom un accordo identico a quello che si era respinto a Pomigliano: decisione non contrastata da Landini.


    Pugno di latta in guanto di velluto
    Non è solo nelle vicende fin qui raccontate che si può vedere il carattere moderato e per nulla realmente alternativo al sistemo politico e sociale dominante della direzione dei metalmeccanici Cgil. Nel settembre 2011 e 2012 il Comitato Centrale della Fiom avanzava proposte alla controparte padronale per rientrare nel gioco delle trattative sindacali. Proposte che, nella sostanza, figuravano una resa incondizionata: raffreddamento del conflitto con blocco degli scioperi e di ogni rivendicazione radicale (2011); rinnovato appello alla moderazione rivendicativa, accettazione dell’accordo del 28 giugno 2011 (che distrugge il contratto nazionale di lavoro), cacciata dalla segreteria Fiom della sinistra di Cremaschi-Bellavita (2012).
    Ricordiamo per dovere di cronaca che 2011 e 2012 sono stati due tra gli anni più duri per quanto riguarda le politiche contro i lavoratori: la crisi dello spread del debito pubblico italiano nella seconda metà del 2011 ebbe come risultato manovre finanziarie da oltre 100 miliardi di euro, una pesantissima riforma delle pensioni, un primo durissimo attacco all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, al quale i sindacati (Fiom compresa) risposero con azioni innocue e rituali (sciopero di 3 ore contro la riforma delle pensioni) senza far appello alla mobilitazione generale e continuata.
    Nel 2012 era data per certa una vittoria alle elezioni della primavera seguente dell’alleanza Pd-Sel. La Fiom e Landini all’epoca lanciavano segnali di affidabilità al probabile governo Bersani-Vendola, dicendo che dal versante sindacale si sarebbe fatto di tutto per garantire la pace sociale necessaria ai padroni per portare avanti i loro progetti di controriforma politica e sociale.
    Sappiamo come è andata, ma nemmeno davanti a un esecutivo di larghe intese contro i lavoratori l’atteggiamento di Landini e soci è mutato, tant’è che insieme alla segretaria Camusso venne siglato l’accordo del maggio 2013 sulla rappresentatività che punta a garantire la pace sociale per decreto nei luoghi di lavoro, e che il regolamento attuativo del 10 gennaio 2014 regolamenta ma non stravolge, al di là di quello che strumentalmente sostiene Landini.


    L'attacco in corso
    E veniamo ai giorni nostri. L’attacco che Renzi sta sferrando ai lavoratori è solo il proseguimento di scelte precedenti. Il Jobs Act certifica solamente l’impossibilità di ogni mediazione nel quadro della crisi economica globale.
    La brutalità e la rozzezza dell’azione di governo lasciano spazi per una propaganda radicale, ma oggi il suo interprete principale non è in grado di rompere definitivamente con l’azione moderata fin qui seguita.
    Anzi, mai come oggi siamo davanti a uno iato tra dichiarazioni roboanti e pratica moderata. Se davanti all’approvazione del Jobs Act si accenna alla possibilità di occupare le fabbriche, alla prima occasione si precisa che il vero obiettivo è che ciò non accada, illudendosi che il governo possa mutare indirizzo politico. Peccato che tre milioni e duecentomila disoccupati e altrettanti cassaintegrati ci dicono che oggi più che mai la parola d’ordine della nazionalizzazione senza indennizzo sotto controllo operaio di fabbriche e imprese è la sola alternativa reale per uscire dalla catastrofe che stiamo vivendo.
    Se prima si urla contro il governo dei manganelli nel caso dell’aggressione agli operai Ast di Terni che manifestavano a Roma, qualche giorno dopo si accetta il ricatto della proprietà: fine dello sciopero e sgombero dei picchetti in cambio del pagamento di salari arretrati. Stavolta tuttavia gli operai non hanno creduto all’inganno e hanno sonoramente contestato non solo i delegati di Cisl e Uil, ma lo stesso segretario della Fiom, che ha personalmente cercato di persuaderli sulla bontà dell’accordo.


    La vera essenza del landinismo concentrata in 130 pagine
    Davanti a una piazza come quella del 25 ottobre in cui centinaia di migliaia di manifestanti chiedono a gran voce lo sciopero generale, si accetta la tempistica dilatoria della segreteria Cgil, limitandosi a proclamare uno sciopero di categoria in due date differenti, anziché indire uno sciopero con manifestazione nazionale ancora a Roma, per mettere sotto assedio i palazzi del Potere, imponendo con la forza della mobilitazione il ritiro del Jobs Act e della legge di stabilità, ennesima manovra lacrime e sangue per i lavoratori, e di regalie (“ho visto un sogno quasi realizzato” ha sentenziato il leader di Confindustria, Squinzi) per i padroni. (1)
    Queste svariate prese di posizione, dichiarazioni, atti, hanno come filo conduttore l’accettazione “senza se e senza ma” dell’economia di mercato come unico orizzonte possibile per l’umanità. Un orizzonte che, secondo Landini, necessità di una messa a punto, ma al quale non c’è nessuna reale alternativa.
    Lo dice chiaramente lo stesso Landini quando nel suo libro afferma che “allora lavoro non significa più soltanto avere un’occupazione qualsiasi… ma acquista importanza la direzione da imprimere a quel lavoro, come dimostra… il fallimento e la sconfitta dei Paesi che con il socialismo avevano concepito la proprietà statale come strumento per risolvere ogni stortura”. (2)
    Il segretario Fiom non viene sfiorato nemmeno per un secondo dal fatto che nel 1989-1991 sia fallito non il socialismo ma la sua degenerazione burocratica. E’ ovvio che partendo dal suo presupposto non rimane altra via che il salario minimo per legge, suggerimenti ai gestori dei fondi pensioni privati per come allocare meglio le loro finanze, un allargamento e consolidamento dello strumento della cassa integrazione, ecc.
    Un programma che si fatica anche a definire minimamente keynesiano perché se si accetta l’economia di mercato come unica possibilità, nella situazione di crisi senza sbocco per l’economia mondiale, non si possono che avanzare piccoli accorgimenti al cui confronto il New Deal di Roosvelt appare come una misura leninista...
    Ovviamente non possiamo escludere che nelle prossime settimane si possa assistere a una svolta più “dura” nell’azione, e non solo nelle rivendicazioni verbali, di Landini o della stessa Cgil (è di queste ore l'annuncio di uno sciopero generale Cgil a inizio dicembre).
    Le dinamiche della lotta di classe spingono in alcuni momenti anche i burocrati più conseguenti ad apparire come fieri difensori degli interessi delle masse sfruttate. Ciò non di meno non ci troveremmo, se quanto scritto prima accadesse, davanti a una rottura con le pratiche concertative e rinunciatarie fino a oggi seguite.
    Allo stesso tempo è presto immaginare se e quale sbocco avrà il programma landiniano. Molto dipende da come il governo Renzi riuscirà a superare, se ci riuscirà, le difficoltà che cominciano a intralciare la sua azione. Se la legislatura dovesse precipitare in una crisi a oggi improbabile e arrivare alle elezioni anticipate, le sirene per una discesa in campo politica di Landini si farebbero sempre più insistenti.


    Eppure il "piano perfetto" può fallire
    Quello che possiamo dire fin d’ora è che i lavoratori necessitano di qualcosa di meglio.
    Non l’ennesima riproposizione di politiche fallimentari circa una riforma più o meno “radicale” del sistema capitalistico, ma la creazione di un vero soggetto politico realmente rivoluzionario, fondato su di un programma che metta all’ordine del giorno una lotta senza quartiere al dominio del capitale e a tutti i suoi governi, siano essi di destra o di presunta sinistra.
    Questo ci insegna il fallimento dei due governi Prodi, dei governi Hollande e Jospin in Francia, come quello di Zapatero in Spagna o di Dilma Roussef in Brasile. Sulle macerie di questi fallimenti vanno costruite le basi per la sola alternativa possibile: rivoluzionaria, comunista, internazionalista. Una alternativa da non aspettare passivamente ma da costruire a partire dall'unificazione e dallo sviluppo delle lotte.

    partecipate e aderite al partito COMUNISTA in pieno congresso a questo link http://forum.termometropolitico.it/6...l#post13212177

  8. #18
    Comunista
    Data Registrazione
    05 Oct 2009
    Località
    Pannesi, Liguria, Italy, Italy
    Messaggi
    4,636
     Likes dati
    505
     Like avuti
    657
    Mentioned
    124 Post(s)
    Tagged
    31 Thread(s)

    Predefinito Re: Partito di alternativa Comunista

    Partito di Alternativa Comunista - Progetto Comunista - Lega Internazionale dei Lavoratori - LIT - Gcr

    Gcr: chi siamo e cosa vogliamo
    Nascono i Giovani comunisti rivoluzionari

    di Adriano Lotito

    Il 3 settembre il ministro Giannini ha pubblicato le linee guida per la nuova riforma della scuola. Come spieghiamo nell'articolo che segue, si tratta dell'ennesimo attacco a lavoratori e studenti nell'interesse di dirigenti scolastici e aziende private. Mentre secondo i dati dell'Istat dello scorso agosto il tasso di disoccupazione giovanile è al top dal 1977, essendosi attestato al 43,7%. Cifre che parlano chiaro e che rendono sempre più urgente la costruzione di una soggettività politica di lotta, in grado di unire le rivendicazioni degli studenti a quelle dei lavoratori, nella prospettiva del superamento di questo assetto socio-economico fondato su precarietà e sfruttamento. Ecco perchè abbiamo voluto costruire un ambito specifico di militanza e lavoro politico per le nuove generazioni, per fare avanzare da un lato l'analisi della condizione studentesca e del precariato giovanile e dall'altro il lavoro di costruzione di un'avanguardia all'interno di un settore tanto vitale quanto però poco attivo in questi ultimi anni nel nostro Paese. Un lavoro che portiamo avanti insieme ai giovani militanti di tutte le altre sezioni della Lit – Quarta internazionale, l'organizzazione mondiale di cui facciamo parte.

    Una campagna studentesca contro il nuovo piano scuola
    E' dal 2012, dalle ultime grandi mobilitazioni che sconfissero per la seconda volta il progetto di legge Aprea, che le masse studentesche non alzano la voce e non scendono in lotta con forza, aldilà della molto spesso vuota ritualità autunnale. Ora il governo Renzi si preprara a riaffermare in un'altra forma le stesse coordinate dell'Aprea (riduzione degli spazi democratici all'interno delle scuole, subordinazione della scuola pubblica all'intervento interessato di aziende private, ecc..). Ecco perchè come primo atto firmato Gcr, abbiamo voluto lanciare una campagna a difesa della scuola pubblica e del diritto allo studio, facendo appello a tutte le organizzazioni studentesche a lottare contro questa ennesima opera di demolizione dell'istruzione pubblica, su un programma di rivendicazioni radicali che unisca gli interessi immediati di studenti e lavoratori con una più generale prospettiva di trasformazione della società in senso socialista:
    > ritiro di tutte le controriforme della scuola, reintegro di tutti i lavoratori licenziati in questi anni (docenti e personale Ata) e stabilizzazione di tutti i contratti per porre fine alla precarietà;
    > ritiro di tutti i finanziamenti alle scuole private;
    > ritiro di tutti i fondi stanziati per le Grandi opere e per le missioni di guerra e loro destinazione verso un grande Piano di edilizia scolastica;
    > estendere gli spazi democratici dentro le scuole; incrementare la partecipazione delle studentesse e degli studenti; costituzione di comitati paritetici docenti-studenti per l'elaborazione del piano di offerma formativa; eliminare i test Invalsi e qualunque forma di valutazione meramente numerica e nozionistica; ritiro di tutte le misure repressive contro le lotte studentesche;
    > costituzione di un Reddito studentesco che preveda il comodato d'uso dei libri di testo e il libero e gratuito accesso a mense, trasporti e luoghi di cultura;
    > per una scuola pubblica, gratuita, laica e di qualità!


    Una campagna universitaria contro baroni e privati
    Anche sul fronte universitario ci prepareremo a lottare, innanzitutto contro il dominio storico dei vari baroni, poi contro tutti gli apparenti rinnovamenti che hanno voluto in realtà favorire le aperture ai privati o direttamente il privato (pensiamo a tutti i fondi stanziati per università come Bocconi e Luiss o ai finanziamenti alle università telematiche).
    Lottiamo per la diminuzione delle tasse universitarie, per una politica che garantisca a ogni studente un alloggio dignitoso e per il diritto ad una mensa economica.
    Lottiamo contro la mercificazione del sapere, contro la selettività richiesta dal mercato, contro il nozionismo, e quindi ci opponiamo senza se e senza ma ai test di ingresso, un muro che vogliamo abbattere.


    La crisi del riformismo e l'impossibilità di una via gradualista: il caso del Prc
    Queste campagne e questo percorso di lotta è chiaro che lo portiamo e lo porteremo avanti all'interno di una visione complessiva che esclude ogni tipo di soluzione riformista alla crisi del capitalismo e agli attacchi dei suoi governi.
    Crediamo che tanto più in un marasma economico e sociale come quello che ci troviamo ad attraversare, la soluzione che consiste nell'elemosinare dal governo o dal padrone di turno qualche manciata di diritti o aumenti salariali non sia più praticabile, nemmeno a breve termine: se prima c'era un margine di profitto tale da poter permettere delle concessioni, adesso quel margine si è da tempo estinto e i padroni si riprendono tutto quello che hanno concesso in passato.
    Per questo ogni progetto riformista è destinato a fallire e collassare. Negli ultimi venti anni c'è stato un partito che ha fatto propria la bandiera del riformismo, della politica “di lotta e di governo”, andando per due volte al governo (1996, 2006), votando entrambe le volte per proveddimenti che hanno fortemente penalizzato le condizioni di vita e di lavoro della classe operaia. Questo partito è ovviamente Rifondazione comunista e il suo devastante crollo, cominciato sei anni fa, ha conosciuto una rapida accelerazione negli ultimi mesi ed è sintomatico della crisi del riformismo di cui sopra.
    Al di là dei numerosi progetti diversi e contrastanti che scindono questa organizzazione, la spaccatura principale si è determinata tra la corrente capeggiata dall'attuale segretario, Paolo Ferrero, e la corrente guidata da Claudio Grassi, Essere comunisti. I ferreriani sono interessati a dar vita ad una sorta di Syriza italiana, continuando il cammino intrapreso con la lista Tsipras e quindi cercando di costruire un polo riformista alla sinistra del Pd. Essere comunisti dal canto suo vuole al contrario aprirsi a Sel e alla sinistra del Pd, intraprendendo un percorso che porti alla costruzione di una nuova formazione politica, sempre socialdemocratica e di collaborazione di classe (così come Ferrero) ma spostata più a destra rispetto all'attuale Rifondazione e che intrecci in forma più diretta relazioni con il Pd in vista di futuri accordi. Proprio per questo Grassi e la sua area hanno deciso di fatto di costruire un cantiere per una nuova formazione politica che fuoriesca da Rifondazione: di qui la nascita di Sinistra lavoro le cui assemblee di presentazione hanno visto non a caso la partecipazione di numerosi esponenti di Sel e della Fiom.
    All'interno di questa contesa vanno letti anche altri due significativi accadimenti che hanno scosso Rifondazione nell'ultimo mese. Il primo è stato le dimissioni di Oggionni e di tutti i giovani di Essere comunisti dagli organismi dirigenti dei Gc: il comunicato intitolato “Fuori dall'angolo, per un nuovo iniziio”, reso pubblico alla fine di ottobre, è una chiara anticipazione di quella che sarà la totale fuoriuscita della corrente di Grassi dal Prc (anticipata appunto dai giovani). Il secondo è avvenuto nell'ultimo Cpn di Rifondazione, il 16 novembre: il documento presentato da Ferrero è stato respinto con 54 voti contrari, 50 voti favorevoli e 1 astenuto. Il documento andava appunto nella direzione di una continuazione del progetto dell'Altra Europa ma senza evidentemente l'apporto di Sel. Proprio questo è stato il motivo per cui i grassiani hanno votato contro, seguiti dalle altre minoranze, come Falcemartello, Terzo documento e Ricostruire il Partito comunista.
    Se ciò dovesse ripetersi in occasione della ormai verosimile fuoriuscita di Essere comunisti, allora significherà che in Rifondazione rimarrebbe il solo Ferrero con il suo ormai ridottissimo gruppo: la fine di un partito che un tempo portava anche centomila persone in piazza.
    Questo se da un certo punto di vista porterà numerosi militanti, ormai delusi, a ritirsarsi dalla politica attiva (elemento senz'altro negativo ma diretta conseguenza dell'opportunismo di queste direzioni politiche), per un altro verso apre uno spazio importante per la costruzione di un'organizzazione rivoluzionaria, anche a livello giovanile, sulla base di una prospettiva autenticamente anticapitalistica, di lotta (e non di “governo”), che possa guadagnare quei settori, operai, studenteschi e di movimento, che ormai non hanno più nessun punto di riferimento politico e non ritengono credibili le attuali organizzazioni in campo.


    Il Partito comunista di Rizzo e il Fronte della gioventù comunista
    A sinistra di Rifondazione da qualche tempo è comparsa un'altra sigla che potrebbe essere percepita come alternativa alla politica filopadronale ma che in realtà non lo è. Parliamo del Partito comunista di Marco Rizzo che ha ottenuto nell'ultimo periodo una certa visibilità mediatica e della sua organizzazione giovanile, il Fronte della gioventù comunista (Fgc) nata sulla base di una unione di diversi collettivi, tra cui in particolare Senza tregua di Roma.
    Basterebbe la sola figura di Rizzo a togliere a questo progetto ogni credibilità politica: un signore che per anni è stato presente in tutti i maggiori salotti televisivi del Paese e che in parlamento ha votato, quando era ancora nel Pdci, tutte le misure dei governi borghesi di centrosinistra e persino il bombardamento Nato della Iugoslavia, un vero e proprio crimine che non si dimentica facilmente e soprattutto, che non si può cancellare dicendo semplicemente di aver fatto “autocritica” (come Rizzo ha dichiarato cercando di ripulire la propria immagine in occasione del lancio del nuovo partito).
    Ma non è finita qui: il Partito comunista è infatti un'organizzazione dichiaratamente stalinista, che sfrutta ogni occasione per tessere le lodi dell'Urss staliniana e della componente più marcatamente stalinista del Pci (quella di Pietro Secchia per intenderci), intrisa di nazionalismo e sovranismo (ad esempio in relazione all'euro e alla posizione nei confronti dell'Europa) e che coltiva relazioni internazionali da macchietta dello stalinismo. A questo proposito sono da citare i numerosi e documentati incontri che diversi dirigenti del Partito comunista hanno avuto con ambasciatori e “pezzi da 90” del regime dispotico di Kim-Jong-Un (ebbene sì, parliamo della Corea del Nord), considerato un Paese “socialista”.
    Per questo riteniamo che anche il Partito comunista di Rizzo non rappresenti la soluzione al problema della direzione del movimento operaio, e che anzi contribuisca a macchiare ulteriormente la bandiera dei rivoluzionari e della classe operaia, mischiandola con tradizioni politiche che hanno gravemente danneggiato il movimento operaio del Novecento e che continuano ad alimentare luoghi comuni errati a proposito della prospettiva di emancipazione per la quale ci battiamo.


    Contro la prospettiva di un futuro precario l'unica soluzione è la rivoluzione
    Crediamo che non sia possibile garantire un futuro alle nuove generazioni senza lottare per una prospettiva di lotta rivoluzionaria, una prospettiva che superi l'attuale sistema capitalistico per portare ad una economia pianificata sotto il controllo dei lavoratori e i cui assetti produttivi siano finalizzati al benessere di tutti e non al profitto di pochi.
    In questa prospettiva, la lotta di studenti e giovani lavoratori si rivela importantissima e a volte decisiva: basta guardare alla decisiva presenza giovanile all'interno di tutte le mobilitazioni rivoluzionarie degli ultimi anni (dall'Egitto alla Siria). Oppure alle imponenti mobilitazioni che hanno attraversato Canada e Cile nel 2011-2012 sempre contro le stesse politiche di dequalificazione e mercificazione del sapere e di privatizzazione delle scuole che subiamo anche noi in Italia.
    D'altra parte come abbiamo cercato di mostrare, non esiste oggi nessun soggetto politico che possa conferire a queste lotte una giusta direzione rivoluzionaria e internazionalista. Quel soggetto politico, cioè quel partito che manca, bisogna costruirlo.
    Per questo e con questa prospettiva i Giovani comunisti rivoluzionari, struttura giovanile del Pdac, hanno partecipato alle mobilitazioni studentesche di ottobre e novembre e fanno appello a tutti i lavoratori e le lavoratrici, a tutti gli studenti e le studentesse, ad aderire a questo progetto di lotta e di costruzione dell'unica reale alternativa al massacro sociale: quella comunista, rivoluzionaria e internazionalista.
    partecipate e aderite al partito COMUNISTA in pieno congresso a questo link http://forum.termometropolitico.it/6...l#post13212177

  9. #19
    email non funzionante
    Data Registrazione
    22 Jul 2012
    Messaggi
    16,478
     Likes dati
    3,162
     Like avuti
    3,486
    Mentioned
    101 Post(s)
    Tagged
    8 Thread(s)
    Inserzioni Blog
    1

    Predefinito Re: Partito di alternativa Comunista

    lotito sembra un ragazzo in gamba, il problema è nel numero.
    quanti saranno in totale i giovani di alternativa comunista?
    10? 20?

  10. #20
    Comunista
    Data Registrazione
    05 Oct 2009
    Località
    Pannesi, Liguria, Italy, Italy
    Messaggi
    4,636
     Likes dati
    505
     Like avuti
    657
    Mentioned
    124 Post(s)
    Tagged
    31 Thread(s)

    Predefinito Re: Partito di alternativa Comunista

    si, in tutta italia? ora non conosco bene i dati del tesseramento ma penso che partito ne possa avere 700/800 in tutta italia penso, di giovani appunto come dicevi 10 massimo 20, peccato le scissioni, la giovanile è sempre buona specialmente in un partito comunista e le prospettive di un futuro migliore non penso che avvenga mai, sarebbe opportuno una giovanile forte per un futuro all'altezza del prossimo.
    partecipate e aderite al partito COMUNISTA in pieno congresso a questo link http://forum.termometropolitico.it/6...l#post13212177

 

 
Pagina 2 di 4 PrimaPrima 123 ... UltimaUltima

Discussioni Simili

  1. Alternativa Comunista
    Di Homer nel forum Sinistra Italiana
    Risposte: 14
    Ultimo Messaggio: 23-09-09, 21:38
  2. Risposte: 0
    Ultimo Messaggio: 12-06-08, 00:25
  3. dal sito di Alternativa Comunista
    Di il Sig.Carosi nel forum Destra Radicale
    Risposte: 2
    Ultimo Messaggio: 31-03-08, 20:13
  4. Alternativa Comunista, è possibile?
    Di Mattia_99 (POL) nel forum Sinistra Italiana
    Risposte: 51
    Ultimo Messaggio: 13-02-08, 10:37
  5. Partito Comunista Italiano-partito Comunista Jugoslavo
    Di Sanjica nel forum Comunismo e Comunità
    Risposte: 4
    Ultimo Messaggio: 16-10-06, 19:13

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
[Rilevato AdBlock]

Per accedere ai contenuti di questo Forum con AdBlock attivato
devi registrarti gratuitamente ed eseguire il login al Forum.

Per registrarti, disattiva temporaneamente l'AdBlock e dopo aver
fatto il login potrai riattivarlo senza problemi.

Se non ti interessa registrarti, puoi sempre accedere ai contenuti disattivando AdBlock per questo sito