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  1. #31
    Il Re del Nord
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    Predefinito Re: Per una sinistra rivoluzionaria

    Ilva e Autostrade – Nazionalizzare subito!

    L’editoriale del nuovo numero di Rivoluzione

    La strage di Genova ha bruscamente posto al centro la questione delle nazionalizzazioni. Dopo decenni in cui si è privatizzato fino all’impossibile e in cui qualsiasi proposta di nazionalizzazione veniva considerata come un’eresia, è un fatto politico dirompente.

    In realtà il sentimento popolare da diversi anni ormai è mutato. Dopo lo scoppio della crisi del 2008 abbiamo visto in tutti i paesi come migliaia di miliardi siano stati spesi per salvare il capitale privato dalla rovina. Le banche, le grandi imprese, sono state salvate mentre milioni di lavoratori hanno vissuto la disoccupazione, il calo dei salari, l’impoverimento di massa e un generale degrado delle loro condizioni.

    Tuttavia ancora nella scorsa campagna elettorale nessuna delle principali forze politiche parlava di nazionalizzazioni. Anche i 5 Stelle tutt’al più richiamavano l’impegno all’acqua pubblica.

    Dopo il crollo del ponte Morandi l’ondata di rabbia e di sdegno si è condensata un messaggio che ormai è incancellabile dalla coscienza di milioni di persone: il capitale privato è in affari solo per il proprio profitto. Non tutela né l’interesse, né la sicurezza o la cosiddetta efficienza in favore della collettività, ma solo i propri profitti.

    Per questo la questione di nazionalizzare Autostrade è diventata un terreno centrale nello scontro politico e di classe nel nostro paese.

    Lo hanno capito molto bene i padroni nostrani, che hanno subito aperto il fuoco di fila sui loro giornali e tv con la solita raffica di “balle spaziali” che usano impiegare quando sentono minacciati i propri interessi. Veniamo così a scoprire che la nazionalizzazione costerebbe “20 miliardi di euro”, che i “piccoli azionisti” verranno rovinati, che le nazionalizzazioni rovinerebbero il paese.

    Per una coincidenza di date niente affatto casuale, negli stessi giorni è riesploso il caso Ilva, col ministro Di Maio che ha accennato alla possibilità di rivedere o annullare la gara che ha assegnato il gruppo al colosso Arcelor-Mittal.

    Dato che il Pd è troppo screditato e diviso, a farsi strumento principale della campagna padronale sono la Lega da un lato e dall’altro quei governi regionali di destra nei quali la Lega collabora con Forza Italia. Ecco così che Salvini, dopo un iniziale assenso all’ipotesi, ha innestato la retromarcia – “Io non sono per le nazionalizzazioni, ma per un sano rapporto tra pubblico e privato” – seguito a ruota dal sottosegretario leghista Giorgetti.

    Al meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, i governatori di Lombardia, Liguria e Veneto si sono espressi contro. Particolarmente duro Giovanni Toti: “Credo che si stia creando un fronte di chi, ricordandosi del passato, sa quali danni hanno prodotto in questo Paese le nazionalizzazioni e vuole trovare soluzioni a problemi che sono giusti, come quello di rivedere le concessioni, quello di rinegoziarle, quello di dare strumenti di controllo superiori al governo e agli enti locali, ma la risposta della nazionalizzazione è sbagliata”.

    Sintetizza il presidente di Confindustria: “Il governo vuole nazionalizzare? Va bene, quando scadrà la concessione (cioè nel 2042! – Ndr), ridiscuterà l’accordo. Ma se si fa ora un decreto per nazionalizzare, si crea un elemento di distonia dello Stato di diritto. Ma davvero vogliamo revocare una concessione ancora prima che le responsabilità siano accertate? Così daremmo una sentenza politica prima di quella penale, mettendo in gioco la credibilità dello Stato. Vedo il rischio di una pedagogia formativa negativa”.

    Questo fuoco di fila dimostra che lo scontro è di fondo. Proprio per questo i 5 Stelle non sono in grado condurlo fino in fondo con coerenza.

    Il punto è semplice: i pentastellati, da Di Maio in giù, sono schiavi della religione della “legalità”, non conoscono altro concetto, non vedono, non capiscono e non intendono che la legge è la legge del capitale e che questo scontro non è un minuetto per avvocati, ma uno scontro di classe che coinvolge gli interessi di milioni di persone. Può essere vinto solo se queste non rimangono spettatrici, ma entrano in prima persona nel conflitto.

    Sull’Ilva Di Maio ha chiesto un parere all’Avvocatura dello Stato riguardo alla regolarità della gara per la vendita. Risultato: “Non possiamo ancora renderlo pubblico perché altrimenti commetteremmo un illecito”. E Toninelli, intervistato su Autostrade: “Dobbiamo stare attenti perché quelli hanno fior di avvocati”. Imbarazzante.

    Su questa strada finirà tutto in una bolla di sapone o, peggio, in una “nazionalizzazione borghese”, ossia in cui lo Stato versa lauti indennizzi ai proprietari, si accolla costi e e problemi per poi rimettere sul mercato un’azienda appetibile. La storia della stessa Ilva, privatizzatata quando rendeva e rinazionalizzata quando è scoppiata la crisi economica e ambientale, deve fare da monito. Per l’11 settembre è convocato lo sciopero di tutto il gruppo Ilva: è un passo importante. Solo l’intervento diretto della classe lavoratrice può dare uno sbocco vittorioso a questo scontro.

    L’interesse dei lavoratori e della maggioranza della popolazione secondo noi è chiarissimo: Autostrade e Ilva devono andare in mano pubblica, non si deve dare un euro al grande capitale, siano i Benetton o le banche che ci hanno lucrato sostenendo l’operazione di acquisizione; vanno indennizzati solo quei piccoli azionisti che ne dimostrino la effettiva necessità; queste aziende devono essere gestite da comitati eletti di lavoratori, tecnici, utenti (nel caso di Autostrade) nell’interesse dei bisogni sociali collettivi.

    Infine, questo deve essere il primo passo di un programma generale di nazionalizzazioni ed espropri su vasta scala, che inverta il saccheggio fatto nei trent’anni passati e crei le condizioni basilari per un’economia finalmente svincolata dal profitto, dallo sfruttamento, dalla speculazione e posta al servizio dei lavoratori e di tutti gli strati popolari.

    31 agosto 2018

    https://www.rivoluzione.red/ilva-e-a...izzare-subito/
    Venezuela e Zimbabwe nei nostri cuori!

  2. #32
    Il Re del Nord
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    Predefinito Re: Per una sinistra rivoluzionaria

    Il piano sgomberi di Salvini e Di Maio

    5 Settembre 2018

    «La proprietà è sacra», ha esclamato compunto ad uso telecamere il ministro degli Interni.
    È questa la bandiera del nuovo piano nazionale di sgomberi di case ed edifici occupati sull'intero territorio nazionale. Minniti si era coperto dietro la foglia di fico di una raccomandazione alle prefetture perché cercassero “abitazioni alternative”: era l'ipocrita ricerca di un ammortizzatore sociale capace di reggere il piano di sgomberi. Salvini fa a meno di ogni finzione: dirama l'ordine di sgombero come atto prioritario e incondizionato. È l'ordine di gettare in mezzo a una strada decine di migliaia di famiglie povere, italiane e immigrate. Persone magari in attesa (vana) di una casa popolare da molti anni, o sfrattate per morosità incolpevole, o impedite ad accendere un mutuo o a pagare un affitto dalla propria condizione precaria o perché licenziate, o lavoratori immigrati costretti alla “clandestinità” da leggi infami nonostante sgobbino spesso per 12 ore al giorno in cambio di un salario da fame. Per tutti costoro la proprietà non è sacra, ma proibita, al pari del diritto di disporre di un tetto. La proprietà sacra è solo quella delle grandi società immobiliari, interessate a mantenere appartamenti sfitti da far lievitare sul mercato, o di banche e assicurazioni detentrici di un patrimonio immobiliare enorme e passivo come pura voce di bilancio, o anche dello Stato e di enti pubblici che hanno abbandonato al degrado centinaia di strutture perché impegnati a tagliare servizi e spesa sociale. Per non parlare delle immense proprietà immobiliari di Chiesa e Vaticano. Questa è oggi la proprietà interessata a gettare in mezzo a una strada quella stessa popolazione povera cui ha negato il diritto alla casa.

    Questa campagna di sgomberi, già operativa, non riguarda la sola questione abitativa. È parte di una campagna "legge e ordine" che il governo delle nuove destre vuole imporre nelle relazioni pubbliche, nelle politiche migratorie, nell'ordinamento giudiziario, nel rapporto di forza con ogni soggetto perturbatore dell'ordine costituito. È la stessa campagna che minaccia i centri sociali, arma di nuove pistole elettriche le forze di polizia, liberalizza la facoltà di sparare a chiunque violi la “sacra” proprietà. È una campagna che cerca il consenso tra le sue stesse vittime dirottando le frustrazioni sociali contro un nemico invisibile, ogni volta diverso e ogni volta uguale: il nemico della “sicurezza”. Ma l'unica sicurezza che in realtà si protegge è quella di chi ha tutto contro chi non ha nulla: è la sicurezza dello sfruttamento, della speculazione, dell'abuso. L'insicurezza del lavoro e della casa per ampie masse è il prezzo della sicurezza per speculatori e parassiti.

    Contro questa campagna poliziesca di sgomberi è necessario costruire una resistenza diffusa, capace di coinvolgere nel più ampio fronte unitario tutte le organizzazioni impegnate sul fronte della lotta per la casa, ma anche le forze del movimento operaio e sindacale. Il diritto alla casa è un diritto universale come il diritto al lavoro. Gli sgomberi della forza pubblica devono trovare ovunque una resistenza organizzata e di massa.
    In Italia vi sono milioni di persone senza casa, e milioni di case vuote, per un'unica e sola ragione, la ragione del profitto. La rivendicazione dell'esproprio delle grandi proprietà immobiliari e la loro destinazione a fini abitativi deve divenire ovunque una parola d'ordine unificante. Risolvere la questione della casa è possibile. Ma per dare sicurezza sociale a chi non ha casa e lavoro occorre violare la sicurezza del capitale. Solo un governo dei lavoratori, rompendo con la società capitalista, può dare la casa a chi non l'ha.

    Il piano sgomberi di Salvini e Di Maio - Partito Comunista dei Lavoratori
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  3. #33
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    Predefinito Re: Per una sinistra rivoluzionaria

    Bologna: assemblea pubblica antifascista

    Qui un'intervista a Michele Terra (PCL Bologna). [Player in fondo alla pagina linkata]

    Il razzismo e una cultura di destra radicale hanno fatto una breccia enorme nelle classi lavoratrici.
    Il governo “del cambiamento” di Salvini e 5 Stelle ha fatto sue le parole d’ordine dell’estrema destra, dal razzismo istituzionale contro i migranti, all’omofobia integralista del ministro Fontana, alla sempreverde campagna antizingaro.

    Ancora una volta razzismo e fascismo vengono utilizzati dalle destre per dividere la classe lavoratrice, ponendo da una parte i cosiddetti lavoratori autoctoni e dall'altra i migranti.
    Sono superflue le richieste di applicazione delle leggi Scelba e Mancino contro le organizzazioni neofasciste, che oggi come ieri godono di sostegni e coperture a livello istituzionale.

    Lo stesso Movimento 5 Stelle si è definito sempre in maniera ambigua rispetto ai temi dell’antifascismo e dell’antirazzismo, definendosi sempre come né di destra né di sinistra. Emblematica la dichiarazione di Grillo nel 2013: “l’antifascismo non mi compete”.

    È necessario e urgente riprendere il filo dell’antifascismo come lotta di classe del mondo del lavoro contro il padronato. In primo luogo recuperandone storia e coscienza.
    Per questo proponiamo un appuntamento per il 22 settembre a Marzabotto, un momento di incontro e riflessione, aperto a tutti e tutte coloro si vogliano ancora porre sul terreno di un antifascismo di classe.

    Partito Comunista dei Lavoratori - sezione di Bologna

    Bologna: assemblea pubblica antifascista - Partito Comunista dei Lavoratori
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  4. #34
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    Predefinito Re: Per una sinistra rivoluzionaria

    Solo la lotta di classe può portare il cambiamento!

    La politica economica del governo è ancora completamente avvolta nella nebbia. In attesa di atti ufficiali (l’aggiornamento al documento di economia e finanza e la presentazione della legge di bilancio) si rincorrono le voci, più o meno interessate, sui capitoli più importanti.

    La confusione non deriva, come dicono gli sconfitti del 4 marzo Pd e Forza Italia, prevalentemente dalla “incompetenza” del governo. È invece il frutto di un dato politico fondamentale: il governo giallo-verde è fermamente intenzionato a fare una manovra che non tocchi gli interessi consolidati.

    Non a caso sia Conte che Tria hanno chiarito al forum di Cernobbio, annuale raduno del padronato italiano, che non faranno fughe in avanti, che non si sforerà il deficit, che i “mercati” (pseudonimo del capitale finanziario) verranno tranquillizzati, che non ci saranno nazionalizzazioni e che insomma sono tutti bravi ragazzi e si comporteranno bene.

    Di conseguenza il promesso “cambiamento” non arriva, e non arriverà.

    Nulla può cambiare se non si è disposti ad attaccare e a scontrarsi duramente con i responsabili dell’attuale situazione, che non sono solo i partiti sconfitti alle elezioni, ma sono gli interessi del capitale di cui sono servitori.

    Non si può migliorare la condizione dei poveri se non si è disposti ad attaccare la ricchezza; non si combatte lo sfruttamento se non si combattono gli sfruttatori; non si difendono i lavoratori se non si lotta contro la borghesia.

    Le anticipazioni fin qui trapelate sui principali provvedimenti lo dimostrano.


    Il reddito di cittadinanza

    I giornali borghesi dicono che la proposta è stata ridimensionata a 300 euro, Di Maio ribadisce che saranno 780. Si litiga anche su quanto sarà larga la platea dei potenziali beneficiari. In attesa di chiarimenti, la domanda importante è: come verrà finanziato? Anche le proposte più ridotte implicano esborsi notevoli, diciamo dai 5 ai 17 miliardi all’anno. Dove trovarli? Le ipotesi sono: fondi europei, assorbimento del reddito di inclusione varato dal governo Gentiloni, assorbimento parziale o totale degli 80 euro di Renzi, assorbimento parziale della Naspi, ossia dell’indennità attualmente in vigore per chi perde il lavoro.

    Al di là di come verranno composte le cifre, è evidente che si tratta di una partita di giro: soldi che bene o male già erano destinati ai lavoratori più poveri o ai disoccupati, che cambiano semplicemente voce in bilancio. Nel migliore dei casi verrà magari aggiunto un altro paio di miliardi per finanziare la riforma dei centri per l’impiego, dove, testuali parole del ministro Di Maio, il disoccupato deve trovare un addetto che “gli sorride e gli stringe la mano”. Che gli trovi un lavoro, specie in certe aree del Paese, è tutt’altra questione.


    Fisco e pensioni

    Come è noto la flat tax è un provvedimento che avvantaggia i redditi alti, in quanto riduce le imposte dirette per le fasce ricche. Questo in accordo alla teoria del noto economista Matteo Salvini secondo il quale “i ricchi spendono” (non lo sfiora il dubbio che i poveri in proporzione spendono di più, dovendo soddisfare bisogni basilari). Ad ogni modo il ministro Tria propone di partire dall’aliquota più bassa, portandola dal 23 al 22 per cento, provvedimento che beneficerebbe tutti. Ottimo. E le famose coperture? Tria ha chiarito che si può coprire la spesa riducendo o abolendo le “tax expenditures”, le quali per farci capire sono le detrazioni fiscali, che effettivamente sono una giungla.

    Peccato però che le detrazioni vadano quasi sempre a beneficio dei redditi bassi o medio bassi. Anche qui pertanto si fa un bel gioco delle tre carte per redistribuire la miseria sempre fra gli stessi.

    Ancora più nebulose le proposte sulle pensioni: criteri, rendimenti, coperture. La “quota 100” (somma dell’età anagrafica e dell’anzianità contributiva) verrà pesantemente annacquata sia mantenendo un’età minima di 64 anni (Salvini chiede 62) per andare in pensione, sia probabilmente andando a ridurre ulteriormente i rendimenti e usando quei criteri selettivi più utili alle aziende che devono ristrutturare e che non sanno cosa farsene degli ultra sessantenni nei reparti.

    Con la “pace fiscale” poi la Lega cerca il classico scambio con quei settori di piccola e media borghesia che costituiscono uno dei suoi bacini elettorali di riferimento. Lo Stato vanta teoricamente 1.000 miliardi di crediti, ma gran parte sono irrecuperabili (soggetti o aziende falliti, deceduti, ecc.) e quanto più spesso si ripropongono misure di sanatoria, quanto più chi deve pagare tenderà ad aspettare la prossima occasione. La realtà è che i condoni (perché di questo si tratta) perdono forza quanto più vengono ripetuti, e sono decenni che si ripetono. Tria prevede entrate per 3 miliardi, Salvini dice che saranno 20… in ogni caso è una entrata una tantum che certo non può coprire provvedimenti strutturali.

    La sostanza è che nel migliore dei casi il governo sposterà alcuni miliardi, diciamo uno 0,5 per cento del Pil, suddividendolo tra i diversi bacini elettorali dei due partiti della maggioranza a seconda dei rapporti di forza che si stabiliranno.


    Il debito pubblico

    Al convegno di Cernobbio Tria ha garantito che non si sforerà il deficit del 3 per cento, spiegando che non ha senso ricavare qualche miliardo in più da spendere in deficit se poi questo va speso in maggiori interessi per l’aumento dello spread. Intanto le tensioni sui mercati di agosto costeranno circa un miliardo in più quest’anno e tra 4 e 4,5 miliardi nel 2019, secondo la Ragioneria generale dello Stato (il Sole 24 ore,
    10 settembre). Si potrebbe quindi arrivare a una spesa per interessi sul debito di 68 miliardi nel 2019, con l’aggravante che la prevista crescita del Pil è già stata ritoccata al ribasso.

    In sintesi, nel migliore dei casi il debito pubblico calerà di ben lo 0,1 per cento rispetto al Pil. L’obiettivo di portare il rapporto debito/Pil sotto il 124 per cento entro il 2020 appare sempre più chimerico. Non sappiamo se l’Unione europea farà finta di non vedere o se tenterà di imporre un maggiore “rigore” sui conti. Ciò che conta è che questi dati confermano in modo inequivocabile che i margini di manovra del governo sono strettissimi e lo saranno anche in futuro.


    La questione delle nazionalizzazioni

    I casi di Autostrade e Ilva confermano in modo esplosivo che fino a quando i principali gruppi industriali sono in mano privata non saranno garantiti occupazione, salvaguardia ambientale, interesse pubblico. Dopo le sparate di agosto il governo ha già cambiato i toni. Conte dichiara che non ci saranno nazionalizzazioni. È vero che Autostrade è sotto scacco dopo la strage del Ponte Morandi e potrebbero essere costretti a fare un passo indietro, ma concretamente non si vede nulla di chiaro.

    In Italia la storia dell’industria di Stato è vecchia di oltre 80 anni, quando il fascismo ricorse all’intervento dello Stato (lo stesso che negli Usa fece Roosevelt col New Deal) per fronteggiare le conseguenze della crisi del 1929. Ma questa storia ha sempre avuto un filo conduttore: socializzare le perdite, privatizzare i profitti. Lo Stato andava bene per rilevare settori in crisi, per costruire infrastrutture troppo onerose per il capitale privato (ferrovie, autostrade, reti), quando poi si trattava di raccogliere i frutti allora si faceva spazio al capitale privato, come è accaduto con i Riva per l’Ilva, i Benetton per Autostrade, i vari capitalisti italiani e stranieri che si sono arricchiti con la svendita di Telecom, Enel, Eni, e via di seguito.

    Se anche oggi passasse la posizione di nazionalizzare Autostrade (cosa quantomai dubbia) non abbiamo dubbi che verrebbero concessi lauti indennizzi, tempi lunghi e compensazioni di ogni genere.

    Eppure salta agli occhi come la nazionalizzazione sia un passo indispensabile per garantire occupazione, servizi, sicurezza e salvaguardia dell’ambiente.

    La vicenda Autostrade ormai è fin troppo chiara, ma anche il caso dell’Ilva lo conferma. Gli impegni della nuova proprietà sono modesti ma soprattutto pressoché impossibili da garantire. Una volta che ArcelorMittal (ricordiamolo: il maggiore gruppo siderurgico al mondo) avrà il controllo dello stabilimento, chi avrà la forza per imporre il rispetto dei limiti delle emissioni o una ristrutturazione assai più costosa che liberi dall’impiego del carbone?

    La storia dei Riva lo dimostra, solo il sequestro dell’impianto ha fermato temporaneamente il disastro ambientale, ma in mancanza di una prospettiva di ristrutturazione e riconversione tutto si è risolto con l’attuale passaggio ad ArcelorMittal. Una diversa prospettiva può essere fornita solo da una gestione pubblica, nella quale: 1) i profitti non vadano a ingrassare gli azionisti e le banche ma servano per i necessari investimenti anche sul terreno ambientale, oltre che per garantire salari, diritti e condizioni di sicurezza per i lavoratori dell’impianto; 2) a questo scopo il controllo sia in mano non a un consiglio d’amministrazione nominato dagli azionisti, bensì ai lavoratori stessi attraverso i loro rappresentanti e le loro organizzazioni, affiancati da rappresentanti pubblici del territorio e nazionali che 3) possano avvalersi della collaborazione dei tecnici, della medicina del lavoro, ecc.

    L’esempio dell’Ilva, che vale alla lettera anche per Autostrade (in questo caso nella gestione dovrebbero entrare anche rappresentanti dell’utenza) dimostra la differenza tra le nazionalizzazioni borghesi (indennizzo ai proprietari, gestione a manager di Stato che seguono la stessa logica dei privati, prospettiva della successiva nuova privatizzazione) e le nazionalizzazioni che dovrebbe portare avanti un governo che rappresenti davvero gli interessi dei lavoratori e delle classi popolari.

    Qualsiasi politica economica realmente alternativa parte necessariamente da un attacco diretto al grande capitale. Se non si attaccano profitto, interesse e rendita il miglioramento delle condizioni delle masse rimane un’utopia, in particolare in una epoca di crisi generale del capitalismo.


    “La proprietà privata è sacra!”

    Non è un caso allora se mentre si promettono miracoli, si preparano nuove misure repressive tra le quali una stretta contro gli occupanti di case. Salvini come sempre si è fatto scudo dei sacrosanti diritti del risparmiatore che magari ha comprato la casa per i figli e se la trova occupata, e ha proclamato che “la proprietà privata è sacra!”, il che potrebbe diventare il vero slogan del suo partito. Peccato che mentre la proprietà privata viene dichiarata sacra il patrimonio pubblico, compreso quello immobiliare, sia stato saccheggiato da decenni di privatizzazioni; che non si costruisca quasi più un alloggio popolare; che banche, assicurazioni e immobiliari siano tra i proprietari che più si sono arricchiti sul mercato degli alloggi e dell’edilizia; che, infine, tutto questo porti a una situazione in cui ci sono circa 7 milioni di case vuote (e non sono tutte in zone turistiche o in comuni spopolati dall’emigrazione).

    Il risultato è che circa 67mila sfratti che potrebbero essere facilmente risolti diventano una emergenza sociale.

    Il “cambiamento” si fa con la lotta di classe!

    1) Colpire il capitale finanziario. Fino a quando ogni anno si devono pagare decine di miliardi di interessi sul debito pubblico, ogni vera riforma rimane utopia. È impossibile alleggerire il carico fiscale sulle classi più povere, in particolare le imposte indirette come l’Iva o le famose accise, che Salvini prometteva di abolire e che sono ancora tutte al loro posto. Il debito pubblico è già stato ampiamente ripagato, se consideriamo che in 20 anni sono stati restituiti circa 1.900 miliardi di soli interessi.

    Il debito va ripudiato, le banche, che hanno beneficiato dei salvataggi pubblici e del denaro facile fornito dalla Bce devono essere nazionalizzate e fuse in un unico sistema pubblico.

    2) Colpire le grandi ricchezze mobiliari e immobiliari: tassare pesantemente i patrimoni, espropriare la grande proprietà immobiliare e fondiaria.

    3) Nazionalizzare Autostrade e Ilva; avviare un piano di nazionalizzazioni a partire da quanto è stato privatizzato negli ultimi trent’anni (Telecom, Eni, Enel, municipalizzate, ecc.), nonché quelle aziende che delocalizzano, inquinano, licenziano, dismettono il patrimonio produttivo.

    4) Si indennizzino solo i piccoli azionisti che ne dimostrano l’effettiva necessità.

    Solo con queste risorse industriali e finanziarie e con la partecipazione attiva e organizzata dei lavoratori, dei giovani, dei disoccupati, sarebbe possibile avviare un piano economico rivolto ai bisogni sociali, ambientali, culturali della grande maggioranza della popolazione e non ai profitti di una minoranza sempre più ristretta e rapace.

    Siamo assolutamente convinti che milioni di persone comuni che attendono con fiducia che questo governo porti loro un reale cambiamento, quando toccheranno con mano che questo non arriva, giungeranno all’unica conclusione corretta: che il cambiamento arriva solo con la lotta collettiva, con la lotta di classe diretta e aperta nella quale i lavoratori e tutti gli sfruttati si organizzano in difesa dei propri interessi e del proprio futuro.

    https://www.rivoluzione.red/solo-la-...l-cambiamento/
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  5. #35
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    Predefinito Re: Per una sinistra rivoluzionaria

    Decreto sicurezza – Clandestinità per i profughi, repressione chi lotta

    Tanto tuonò che piovve.

    Il decreto legge “Sicurezza” approvato all’unanimità dal consiglio dei ministri si inserisce completamente nella propaganda razzista di Matteo Salvini.

    Il Dl cancella nei fatti la protezione umanitaria e ridimensiona lo Sprar (sistema di protezione dei richiedenti asilo), a cui potranno accedere solo i minori non accompagnati e coloro già titolari di protezione internazionale. Numerosi giuristi illustrano che stimano così esclusi il 90 per cento dei richiedenti asilo. Gli immigrati “clandestini” di certo non scompariranno per effetto del decreto legge: avremo semplicemente più persone a cui verrà negato il permesso di soggiorno, che vivranno di espedienti e alla mercè della criminalità organizzata e dei caporali. Si verificherà la crescita della carne da macello da sfruttare da parte dei padroni, a cui Salvini ha già promesso a suo tempo di alleggerire la legge sul caporalato.

    A parole si dichiara guerra ai clandestini, in realtà il decreto sarà una vera e propria fabbrica di clandestinità.

    I reati degli immigrati varranno doppio, arrivando fino alla revoca della cittadinanza italiana! Viene aumentata la casistica per la quale si può procedere al rimpatrio o alla revoca dello status di rifugiato (non a caso sono introdotte la violenza e la resistenza a pubblico ufficiale). Se esisterà più gente che vive ai margini della società sarà più facile soffiare sul fuoco della xenofobia e gonfiare quel clima di emergenza permanente che tanto fa comodo al governo gialloverde.

    In questo provvedimento, Salvini si inserisce sul solco indicato dal suo predecessore, Minniti (Pd) che aveva già limitato i diritti giuridici dei profughi e aumentato il numero dei centri per il rimpatrio. Il governo Gentiloni aveva già creato i presupposti perché gli immigrati diventassero cittadini di serie B, oggi Salvini lo fa diventare realtà.

    Con questo decreto il governo non dichiara solo guerra ai “clandestini”, ma la estende a tutti coloro che oseranno ribellarsi contro l’ordine costituito. Viene esteso l’uso del Taser, anche prima della fine del periodo di sperimentazione, dandolo in dotazione ai vigili urbani nelle città superiori ai 100mila abitanti.

    Le aree di applicazione del Daspo urbano (altra creazione di Minniti e Orlando) vengono allargate ospedali, fiere, mercati, pubblici spettacoli. Insomma il Daspo contro gli ultras, introdotto all’epoca con il consenso unanime di quasi tutte le forze parlamentari, serviva come apripista per una sua futura applicazione generalizzata.

    Per chi partecipa a blocchi stradali, le sanzioni non saranno più solo amministrative, ma anche penali.

    Un evento visto in decine se non centinaia di lotte operaie (e non solo) come il blocco temporaneo di una strada diventa un reato penale, con l’aggravante per i lavoratori extracomunitari una condanna già in primo grado potrebbe portare all’espulsione.

    Per chi si fa “promotore dell’invasione di terreni ed edifici”, la pena passa a 4 anni di reclusione e la multa da 264 a 2064 euro. Chi occupa un edificio può essere punito fino a due anni di carcere. Per le indagini si potranno utilizzare anche le intercettazioni telefoniche. Sono tutte pene raddoppiate rispetto al codice Rocco, ministro della giustizia ai tempi di Mussolini.

    Si vogliono colpire le lotte presenti e future, ma si va anche oltre: vengono criminalizzati tutti coloro che dissentono o semplicemente solidarizzano con le proteste. Lo si fa partendo dall’anello più debole, gli immigrati, credendo di ottenere facili consensi, per passare a tutta la società.

    Al desiderio di “legge e ordine” si allineano tutti i poteri dello Stato. Il caso dell’arresto del sindaco di Riace, Mimmo Lucano, ne è un esempio. La magistratura dimostra ancora una volta di non godere di alcuna indipendenza o autonomia davanti al volere della classe dominante e ai suoi partiti. Il modello di accoglienza del comune calabrese infatti è incompatibile con il vero e proprio “razzismo di Stato” di cui il vicepremier è fra i principali promotori.

    Proprio per questo per fermare questo decreto non ci si può affidare al Presidente della repubblica o alla Corte costituzionale, che al massimo potranno modificarne solo alcuni aspetti del tutto secondari. Solo il conflitto di classe può sconfiggere Salvini. La solidarietà creatasi in questi giorni attorno a Mimmo Lucano fa comprendere che l’arroganza della Lega ha un limite: l’indignazione di milioni di giovani e lavoratori davanti alle ingiustizie. Indignazione che deve essere organizzata, in un programma che unisca lavoratori italiani e immigrati nella lotta.

    https://www.rivoluzione.red/decreto-...one-chi-lotta/
    Venezuela e Zimbabwe nei nostri cuori!

  6. #36
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    Predefinito Re: Per una sinistra rivoluzionaria

    Sinistra e “sovranismo”

    “Sovranista” è l’insulto del momento, l’epiteto che la classe dominante usa per etichettare partiti e leaders politici che giudica ostili agli interessi capitalistici e in particolare alle istituzioni dell’Unione europea.

    La parola d’ordine della borghesia liberale in Europa l’ha riassunta Massimo Cacciari proponendo “un fronte da Macron a Tsipras” contro “populisti e sovranisti”.

    Di conseguenza fra un settore di militanti e di organizzazioni della sinistra si sta affermando una sorta di reazione a specchio: se la borghesia dice che il sovranismo è negativo, allora dobbiamo in qualche modo rivendicare questo concetto.

    Riteniamo importante analizzare le posizioni in questo senso provenienti da organizzazioni come Rete dei Comunisti, Usb, Eurostop che giustamente rifiutano l’ennesima riproposizione di una alleanza di centrosinistra e che promuovono per il 20 ottobre una manifestazione che pone al centro la parola d’ordine delle nazionalizzazioni.

    Ma proprio perché crediamo esista un terreno possibile di azione comune non vogliamo nascondere le nostre critiche, convinti come siamo che la chiarezza teorica sia indispensabile per costruire qualcosa di solido nel campo di una sinistra che si voglia rivoluzionaria. Per motivi di spazio rimandiamo a un testo futuro la disamina di questo dibattito a livello europeo.

    “Sovranità popolare” o dominio di classe?

    Dante Barontini nel testo Sovranità, sovranismo e sciocchezze spiega giustamente che parlare di sovranità in politica si riduce a una semplice tautologia, e che la questione decisiva è chi esercita tale sovranità. Giustissimo. Ma altrettanto giusto è domandarsi come, per quale mezzo, si esercita tale sovranità. Scrive Barontini: “In una democrazia in senso lato questo potere sovrano appartiene al popolo, come recita anche l’articolo 1 della Costituzione nata dalla Resistenza”.

    Ci permettiamo di chiedere: il “popolo” non si divide forse in classi sociali contrapposte e in lotta fra loro? E la “sovranità”, non si esercita forse attraverso un apparato repressivo, poliziesco, burocratico, giudiziario e politico che stabilisce le leggi e ne garantisce l’applicazione, se necessario con la forza? Davvero possiamo buttare a mare duecento anni di elaborazione del marxismo e di esperienza concreta del movimento operaio e tornare al Contratto sociale?

    Non a caso nell’elaborazione della sinistra “sovranista” non si incontra mai una definizione precisa dello Stato e del potere politico. Tanto varrebbe a questo punto accontentarsi delle parole del primo ministro Conte, che nel suo discorso all’Assemblea generale dell’Onu ha appunto esordito dicendo che quando accusano il governo Salvini-Di Maio di essere sovranista e populista lui risponde citando l’articolo 1 della Costituzione: “La sovranità appartiene al popolo” ecc.

    In una società divisa in classi la sovranità non appartiene mai al “popolo”, ma alla classe che detiene il potere economico e che difende tale potere attraverso il suo monopolio della forza, ossia col controllo dell’apparato statale. Possibile che dei comunisti, dei militanti classisti, abbiano dimenticato questa verità elementare?

    Recentemente Di Maio e altri esponenti del governo si sono scagliati contro quegli alti dirigenti dei ministeri che boicottano il nuovo governo. Hanno scoperto così che “prendere il governo” in questa società significa ben poco. Che l’intero apparato amministrativo, burocratico, repressivo, soprattutto nei suoi livelli dirigenti, è formato da una burocrazia consolidata, selezionata da generazioni per servire gli interessi della classe dominante.

    Di Maio, che è un piccolo borghese ignorante, attribuisce questa cattiva volontà ai dirigenti “nominati dai partiti”. Ma per i marxisti la questione è ben più profonda e va diretta al punto del dominio di classe.

    Il ruolo degli Stati nazionali

    Lo Stato nazionale è stato la creazione per eccellenza della borghesia sul piano politico. La rivoluzione borghese si è affermata storicamente creando gli Stati nazionali in contrapposizione tanto alla frantumazione economica, politica e amministrativa degli staterelli feudali, quanto agli imperi multinazionali. Tuttavia il capitalismo dal punto di vista economico è un sistema mondiale, il primo che ha stabilito l’unità economica del pianeta e una divisione del lavoro su scala mondiale.

    Questo sviluppo, già prefigurato nelle pagine del Manifesto comunista, costituisce una enorme conquista e progresso di questo sistema rispetto ai suoi predecessori, ma al tempo stesso è anche uno dei fattori della sua crisi. Da un lato, infatti, le forze produttive (industria, trasporti, comunicazioni, ricerca scientifica, ecc.) si sviluppano su scala planetaria; dall’altro il potere della classe che le controlla, ossia della borghesia, rimane strutturato sulla base degli Stati nazionali. Oggi l’esistenza dello Stato nazionale, e in particolare dei “piccoli” Stati europei, è altrettanto irrazionale e reazionaria di quanto lo era quella degli staterelli dell’Italia o della Germania prima che venissero unificate. Questo è precisamente uno dei motivi della crisi storica del capitalismo, altrettanto fondamentale dell’altra grande contraddizione, ossia la proprietà privata dei mezzi di produzione.

    Il problema è che tutte le posizioni “sovraniste” a sinistra ignorano completamente il punto centrale, ossia i limiti insuperabili dell’economia capitalista e dello Stato borghese, o cercano di aggirarli con proposte confuse. Gli economisti Luciano Vasapollo e Rita Martufi ad esempio presentano nel loro nuovo libro La vendetta dei maiali la proposta di uscire dall’euro: 1) Uscita concertata dall’euro dell’area “euromediterranea” (Italia, Spagna, Grecia, Portogallo) mediante 2) creazione di un “simbolo monetario inizialmente anche virtuale – criptomoneta, moneta di conto e compensativa”. 3) Ridenominazione del debito nella nuova moneta. 4) Rifiuto di una parte del debito e rinegoziazione o azzeramento dello stesso e infine 5) Nazionalizzazione delle banche e controllo, fino al blocco temporaneo, dei movimenti dei capitali in uscita.

    Uscire dall’euro senza uscire dal capitalismo?

    Ma queste proposte assumono un senso realmente progressivo solo all’interno di una prospettiva di potere dei lavoratori, ossia se messe in atto da un potere che non è più l’apparato statale costruito dalla borghesia, bensì una struttura di autogoverno dei lavoratori e delle classi popolari (soviet, consigli, assemblee popolari). Altrimenti non staremmo parlando altro che di come gestire l’insolvenza dello Stato: certo anche in quel caso sarebbe nostro compito lottare per fare ricadere il più possibile le perdite sul capitale e sulla rendita, ma si tratterebbe di una lotta difensiva paragonabile a quella dei lavoratori che di fronte al fallimento della fabbrica lottano per farsi riconoscere i propri crediti o per ottenere una buonuscita dalla svendita dei macchinari.

    Vasapollo e Martufi riconoscono esplicitamente che “il cambio di moneta non porta in sé nessun tipo di avanzamento nella correlazione delle forze a favore dei lavoratori; anzi, è il contrario.” Tuttavia non avanzano mai chiaramente la prospettiva di una rottura con il capitalismo. Usano invece un campionario di espressioni confuse: “monete sganciate dai circuiti finanziari egemonizzati dai poli imperialisti… progetti di politica monetaria a chiaro connotato antimperialista e di protezionismo solidale di classe… processi di transizione reali perché possibili”, ecc.

    L’esempio del Venezuela e dell’Alba, l’area di cooperazione attorno ad esso, viene portato in maniera completamente acritica come modello da seguire, quando è del tutto evidente che la crisi economica profondissima e l’iperinflazione che attanagliano l’economia venezuelana (oltre al burocratismo dilagante) dimostrano precisamente i limiti insuperabili di queste “transizioni” generiche che rifiutano la rottura col capitalismo.

    Un altro errore di questi autori è l’idea che tra i paesi “euromediterranei” ci possa essere una cooperazione paritaria e vantaggiosa per tutti che invece sarebbe preclusa nell’area dell’Euro a causa del dominio industriale tedesco. In realtà Italia, Grecia, Spagna e Portogallo non sono affatto economie simili né particolarmente integrate fra loro. Per fare solo un esempio, in termini di Pil pro capite la Grecia è più lontana dall’Italia di quanto l’Italia non sia dalla Germania. Su basi capitaliste non esiste una cooperazione vantaggiosa per tutti. Basti pensare alla divisione nord-sud che il capitalismo italiano perpetua e aggrava da un secolo e mezzo.

    Si idealizza la democrazia borghese

    Se Vasapollo e Martufi non esplicitano la necessità della rottura col capitalismo come sistema economico, Barontini fa lo stesso sul piano politico, ossia dello Stato. La sua critica all’Unione europea è infatti la seguente: “La sovranità si concentra in centri decisionali non elettivi (…). Il soggetto della sovranità è qui una oligarchia tecno-burocratica, quasi una nuova “classe di prescelti” con criteri non democratici, che prende decisioni che riguardano mezzo miliardo di esseri umani senza mai passare dalla verifica elettorale.”

    E, dopo una critica del tutto condivisibile al “potere dei mercati”, conclude come segue:

    “Abbiamo scoperto che ci sono diversi livelli di sovranità e anche diverse fonti di legittimazione.

    C’è quella popolare, che storicamente può avere un ambito territoriale di applicazione anche assai variabile (nazionale o internazionale, in prospettiva storica anche mondiale), orientamenti politici anche opposti (socialismo, democrazia liberale, fascismo).

    C’è quella sovranazionale a dimensione quasi continentale, che viene incarnata tipicamente da trattati e istituzioni dell’Unione europea.

    C’è quella dei mercati, che non ha confini precisi, è tendenzialmente globale pur essendo orientata da interessi di piccolissimi gruppi (gli azionisti di controllo).”

    Siamo quindi alla completa idealizzazione della “sovranità popolare”, che però da marxisti rivoluzionari vorremmo chiamare col suo nome, ossia democrazia borghese. Dove si possa arrivare su questa china lo dimostra Stefano Fassina, che in quanto neofita del campo “sovranista” si sente in dovere di fare sfoggio di zelo e si è sperticato in lodi per il “coraggioso e necessario” sforamento del deficit al 2,4 per cento, schierandosi di fatto a fianco del governo gialloverde.

    Si parla della “sovranità dei mercati”, che più correttamente dovremmo chiamare “dittatura del capitale”. Ma tale sovranità non esiste nel vuoto, si esercita precisamente attraverso l’apparato statale, le sue leggi, il suo monopolio della repressione. A prescindere dalla sua forma istituzionale (parlamentare, dittatoriale, civile, militare, federale, ecc.) il contenuto reale della sua attività è il medesimo: la difesa del potere della classe dominante.

    A meno di non voler tornare alle fantasie no global di moda qualche anno fa, quando i vari Toni Negri, Bertinotti, ecc. teorizzavano che lo Stato nazionale non esisteva più e che il potere capitalistico prescindeva da esso. Ma ci pare che oggi, in un’epoca di guerra commerciale, corsa al riarmo, protezionismo, autoritarismo rampante, il ruolo decisivo dello Stato come strumento centrale del dominio capitalistico sia difficile da contestare.

    La prospettiva rivoluzionaria

    Tutto questo significa che la questione dell’Unione europea, della rottura con i suoi Trattati e con la moneta unica sia questione indifferente? Assolutamente no. Politica interna e politica estera sono l’una conseguenza dell’altra. Gli accordi internazionali stretti dalla classe dominante sono parte importante del rafforzamento del suo potere, sia su scala interna (dove vengono usati per imporre una politica economica regressiva), sia per difendere il proprio potere nel mercato mondiale.

    Il fatto che l’Unione europea viva una profonda crisi e contraddizioni enormi tra le diverse borghesie nazionali è quindi un grande vantaggio per chi lotta contro il sistema capitalista:

    1) Perché l’avversario è diviso e quindi meno capace di rispondere in modo compatto a una lotta di classe condotta con decisione dal movimento operaio.

    2) Perché l’Ue è uno strumento fondamentale di integrazione e cooptazione delle burocrazie riformiste sia nella sinistra che nel movimento sindacale, e la sua crisi a sua volta le indebolisce.

    Non può esistere alcuna alternativa economica e politica all’interno dell’Unione europea, non perché sia un potere “oligarchico”, “sovranazionale” o altro, ma per lo stesso esatto motivo per cui non può esistere all’interno di questo Stato: per la sua natura di classe. Ogni altra lettura porta inevitabilmente a uno scivolamento opportunista nei confronti del populismo borghese e piccolo borghese che politicamente disarmerebbe la sinistra di classe così come la subordinazione all’europeismo ha demolito il riformismo di sinistra in Italia e non solo.



    (Sono qui citati i testi di D. Barontini Sovranità, sovranismo e sciocchezze, L. Vasapollo e Rita Martufi, I paesi europei hanno visogno di una moneta diversa dall’euro, entrambi reperibili su contropiano.org. L’appello di Fassina per “Patria e Costituzione” è pubblicato sull’Huffington post).
    Venezuela e Zimbabwe nei nostri cuori!

  7. #37
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    Predefinito Re: Per una sinistra rivoluzionaria

    Devo dire che pur essendo trozkisti, problema difficilmente superabile, i compagni di Sinistra Classe Rivoluzione sono molto più ragionevoli e usano argomenti molto più condivisibili rispetto alla maggior parte dei trozkisti, che solitamente sono ultra-settari, rabbiosi e identitari.
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  8. #38
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    Predefinito Re: Per una sinistra rivoluzionaria

    I socialcomunisti come Gian Maria, dicono che il marxismo leninismo non è mai stato applicato perchè c'era il capitalismo di stato.

    Ma in Unione Sovietica c'era il Partito Unico che controllava tutto, e la proprietà privata non esisteva, quindi mi pare strano.

    Allora c'erano persone libere di possedere beni che non erano controllate dallo stato a me non pare.

  9. #39
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    Predefinito Re: Per una sinistra rivoluzionaria

    Citazione Originariamente Scritto da Geralt di Rivia Visualizza Messaggio
    I socialcomunisti come Gian Maria, dicono che il marxismo leninismo non è mai stato applicato perchè c'era il capitalismo di stato.
    Il comunismo (o socialismo) non è mai stato applicato. Il capitalismo di stato è un prodotto del "marxismo-leninismo".
    "Ma chi è quel mona che continua a inquinare?" (cit. Mosconi variata)
    "Tanti di loro sono così assuefatti, così dipendenti dal sistema, che combatterebbero per difenderlo." The Matrix
    Cos'è il Socialismo

 

 
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