In attesa di Obama, un bilancio su Bush

di Marco Bardazzi

16 gennaio 2009


2001: in piedi sulle macerie di Ground Zero, a promettere con il megafono una punizione per i responsabili dell’attacco alle Torri Gemelle. 2008: a testa bassa a Baghdad, per scansare una scarpa che vola. Due immagini che raccontano l’itinerario della presidenza di George W.Bush, che sui libri di storia restera’ segnata da 11 settembre e Iraq e si chiude con indici di popolarita’ che hanno seguito un percorso al ribasso analogo a quelli di Wall Street.

”Mentre gli anni passavano - ha detto Bush nel suo discorso d’addio alla Casa Bianca - la gran parte degli americani hanno potuto tornare alla vita com’era prima dell’11 settembre. Io non ho mai potuto”. Un’ammissione quasi intima per il presidente, che ha rivendicato come maggior merito della sua amministrazione il fatto che l’America ”ha trascorso oltre sette anni senza un altro attacco terroristico”. […]

Gli americani sembrano tutt’altro che convinti che questo basti per fare di Bush un presidente sopra la media. A pochi giorni dall’addio, l’indice di gradimento della Gallup e’ risalito un po’, dal 29 al 34% (era sceso al 25% a novembre), ma Bush se ne va comunque tra la disapprovazione del 61% dell’ opinione pubblica: solo Richard Nixon aveva fatto peggio dal secondo dopoguerra a oggi (66%), ma era un dimissionario travolto dallo scandalo Watergate.
C’e’ chi pensa, come Robert Guttman del prestigioso centro studi Sais della Johns Hopkins University, che la storia sara’ piu’ generosa con Bush della cronaca, come accadde con Harry Truman, soprattutto se tra 30 anni gli americani potranno andare in vacanza in un Iraq democratico e pacifico. Ma lo scenario che il presidente si lascia alle spalle e’ di quelli difficili da difendere anche per lo zoccolo duro dei bushiani.

Due guerre restano incompiute e soprattutto quella in Iraq e’ ritenuta dalla maggioranza dell’opinione pubblica e dei commentatori come sbagliata e nata su presupposti al limite del fraudolento. Saddam Hussein e’ stato rimosso, catturato e giustiziato, ma il fatto di non aver preso Osama bin Laden, responsabile per la morte di quasi 3.000 americani l’11 settembre, resta una macchia sulla presidenza. L’intero apparato di super poteri presidenziali creato dalla Casa Bianca come risposta all’attacco all’America - Guantanamo, Patriot Act, intercettazioni segrete, carceri della Cia, renditions, waterboarding - e’ stato ripetutamente bocciato anche dalla Corte Suprema e va incontro a un quasi completo smantellamento nell’era di Barack Obama. Il ’sogno americano’ della casa per tutti ha ricevuto un durissimo colpo con il crack del sistema creditizio e nelle casse pubbliche Bush lascia un buco di 1.000 miliardi di dollari.

Soprattutto, gli americani non perdonano quella che ritengono una mancanza di competenza su molti fronti da parte del primo presidente che si era presentato nello Studio Ovale con in tasca un MBA e la fama di manager. Il disastro dei soccorsi in occasione dell’uragano Katrina, nel 2005, e’ stato tra i punti piu’ bassi della presidenza.

Nel discorso d’addio, Bush ha difeso il suo lavoro ponendo l’accento sulla guerra al terrorismo. ”Siamo andati all’attacco dei terroristi, portando il combattimento nei loro luoghi e contro chi li sostiene”, ha detto, e l’Afghanistan e’ passato ”dall’essere una nazione dove i taleban ospitavano Al Qaida e lapidavano le donne, a una giovane democrazia che combatte il terrorismo e incoraggia le ragazze ad andare a scuola”. L’Iraq non e’ piu’ ”una brutale dittatura”, ma una ”democrazia araba nel cuore del Medio Oriente e un amico degli Usa”.

Il presidente che aveva aperto il secondo mandato promettendo di ”metter fine alla dittatura nel mondo”, ha chiuso il quadriennio insistendo sulla necessita’ che l’America sia ”alla guida della causa della liberta’. Una nota che echeggia l’idealismo al quale Bush ha improntato la politica estera e che e’ stato, per i critici, tra le cause dei suoi fallimenti.

L’epoca di Obama si presenta invece improntata a un ritorno al ‘realismo’, anche se i bushiani irriducibili respingono l’idea che le due filosofie siano in contrasto. ”E’ falsa la scelta tra una politica estera ‘realista’ e ‘idealista”’, ha detto il Consigliere per la sicurezza nazionale Stephen Hadley, prima di spegnere le luci nel suo ufficio alla Casa Bianca. ”Dopo l’11 settembre - ha aggiunto - Bush ha riconosciuto che una politica estera ‘idealista’ basata sul promuovere la liberta’ era la sola strategia ‘realista’ per gli interessi dell’America”. Un concetto su cui ora tocchera’ agli storici pronunciarsi.