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    Predefinito CINQUE CONSEGUENZE FILOSOFICHE DELLA CRISI

    CINQUE CONSEGUENZE FILOSOFICHE DELLA CRISI


    DI MARCELO JUSTO


    L’attuale crisi economica non si limita a una questione di statistica, né si riduce all’impatto devastante di incertezza e disoccupazione sulla società.

    Con la debacle mondiale è crollata una visione del mondo che era sembrata quella dominante e irreversibile dopo la caduta del muro di Berlino.

    Questa visione è stata catturata da alcune citazioni celebri come “la fine della storia” di Francis Fukuyama, “la società non esiste” del primo ministro britannico Margaret Thatcher o i dieci punti del consenso di Washington che promuovevano la liberalizzazione, la deregolamentazione e la privatizzazione globale.

    Il nuovo dogma seguito alla sconfitta del comunismo era dare tutto il potere al settore privato, assumere il mercato a misura di razionalità economica e utopia e l’individualismo più sregolato come principio etico ordinante.

    Con la recessione economica anche questa visione del mondo è entrata in crisi.

    BBC Mundo ha identificato cinque conseguenze a livello filosofico.

    1. Filosofia politico-economica

    La legge della domanda e dell’offerta ha esercitato un potere assoluto sulle teorie di politica economica degli ultimi tre decenni.

    Secondo il pensiero classico, l’offerta e la domanda funzionano come un perfetto sistema omeostatico (autoregolamentato) che tende all’equilibrio perfetto e fa perno su un principio infallibile: il prezzo.

    Con molta domanda e poca offerta di un prodotto, il prezzo sale fino a raggiungere la somma che il mercato può pagare per quel bene.

    Al contrario, con poca domanda e molta offerta, il prezzo si comprime finché qualcuno non lo acquista con la convinzione di non trovarlo a costo più basso.

    Nemmeno il premio nobel conferito all’economista Joseph Stiglitz per la sua ricerca sul ruolo che l’informazione svolge in questo mercato – l’informazione su cui fanno affidamento le migliaia, milioni di persone coinvolti in un particolare mercato non era perfetta, quindi il prezzo rifletteva altre variabili – ha distrutto questa fiducia cieca nel funzionamento omeostatico.

    Con questa premessa teorica, cosa c’era di meglio che deregolamentare tutto e lasciare che il mercato si incaricasse degli equilibri economico-sociali?

    Il fatto è che la realtà economica è piena di fenomeni imprevedibili.

    Dov’è il meccanismo regolatore del mercato in quelle che vengono chiamate bolle, come quella immobiliare dei mutui sub-prime che ha sguinzagliato la crisi attuale?

    Il prezzo delle proprietà, in costante ascesa, rifletteva la situazione di domanda e offerta?

    La conclusione più ovvia è che domanda, offerta e prezzo fanno parte di un meccanismo socioeconomico infinitamente più complesso di questa ingiustificata semplificazione che è stata applicata per così tanto tempo.

    2. Crisi della razionalità di mercato

    Le domande precedenti danno per scontata una premessa fondamentale della legge della domanda e dell’offerta: la razionalità dei mercati.

    L’essere umano cerca da molto tempo la razionalità in materia economica e filosofica.

    La pianificazione economica che fece furore dopo la crisi del ’29 e il dopoguerra ebbe come obiettivo la sintonizzazione di produzione e consumo con le necessità della società.

    Con il crollo del comunismo il mercato si impose come unica logica globale.

    Secondo questa ideologia il mercato era razionale ed efficiente per la distribuzione delle risorse, tanto in ambito lavorativo che produttivo e finanziario.

    La debacle mostrò che il mercato ha la stessa dose di irrazionalità, capriccio, imprevedibilità di qualsiasi individuo o gruppo umano.

    Il che ci pone di fronte a un problema inquietante.

    Se i mercati o lo stato non sono alla base di un funzionamento socioeconomico razionale, significa che siamo in balia degli elementi?

    3. Conseguenza assiologica: teoria dei valori


    Questa apparente disparità nella consuetudine socioeconomica viene completata da una crisi di fondamenti etici.

    Dagli anni ’80 e in particolare con la caduta del muro di Berlino si è imposto un individualismo basato su una teoria dell’egoismo come valore organizzativo ideale di una società.

    La teoria risale ad Adam Smith e alla sua considerazione del fatto che la miglior maniera di comportarsi socialmente, recando beneficio al prossimo, fosse quella in cui ognuno persegue il proprio interesse, in quanto la mano invisibile del mercato avrebbe messo a posto qualunque problema sul cammino.

    Adam Smith non ha mai negato l’azione sociale né il compito dello stato, e nemmeno la presenza dei valori (la giustizia era fondamentale nel suo sistema) come da interpretazioni seguenti frutto di ignoranza o malafede.

    Ma uno dei suoi seguaci, Frederich Von Hajeck e il suo discepolo Milton Friedman, radicalizzarono le sue idee.

    Ayn Rand, autrice di romanzi e filosofa che cominciò a diffondersi negli anni ’40, ha avvalorato dal punto di vista filosofico questa inversione di tendenza sostenendo che l’egoismo come cieca ricerca del proprio benessere era alla base della civiltà.

    Tra i suoi discepoli c’era Alan Greenspan, anni dopo alla guida della Federal Reserve statunitense dal 1987 al 2006, quindi durante il periodo della più completa deregolamentazione finanziaria.

    Lo stesso Greenspan ha riconosciuto di fronte al Congresso che il suo costrutto teorico faceva acqua.

    “Mi stupisce. Nel corso di 40 anni e oltre le prove sostenevano l’eccezionale efficienza di questo sistema”, ha dichiarato Greenspan.

    Oggi si è trovato un accordo sul fatto che la ricerca sfrenata del proprio tornaconto è stata determinante nelle due megacrisi mondiali degli ultimi 80 anni, la grande depressione e questa.

    Sono necessarie altre prove, oltre all’impatto devastante di queste ultime?

    4. Rischio, casualità, incertezza

    Una premessa dell’illuminismo che si è sostituita alla fede per due secoli è stata la possibilità di una corrispondenza tra ciò che diciamo e la realtà.

    Tale corrispondenza era alla base della conoscenza scientifica e della previsione di fenomeni e tendenze.

    Dall’inizio del XX secolo questa premessa è stata più volte confutata (da Ludwig Wittengstein fino al principio di incertezza del fisico Werner Heisenberg e il relativismo radicale dei postmoderni), ma una fede di fondo nei suoi principi è sopravvissuta in molti campi, tra cui l’economia.

    Due finanzieri ben noti, immersi in dibattiti filosofici, sono convinti che questa crisi metta nella posizione di dover ripensare alle cose.

    George Soros ha studiato filosofia alla London School of Economics con Karl Popper, e ha appena pubblicato le sue conclusioni in Cattiva Finanza. Come uscire dalla crisi, il cui suggestivo sottotitolo è Un nuovo paradigma per i mercati.

    Secondo Soros fingere che i mercati riflettano l'andamento reale dell'economia e che si autoregolino in base a domanda e offerta significa non riconoscere il processo fondamentale che gioca la soggettività, e un fenomeno da lui denominato riflessività.

    Il valore dell'oro e degli immobili non sale perchè riflette la sottostante realtà di domanda e offerta, ma perchè gli operatori del mercato influiscono su esso con la loro interazione, come succede nelle bolle finanziarie che si creano intorno a un prodotto o a un comportamento di massa (tutti vogliono comprare o vendere un prodotto nello stesso momento).

    Un altro investitore con la stessa inclinazione filosofica, Nassim Nicholas Taleb, ha pubblicato nel 2007 Il Cigno Nero, in cui afferme che possiamo prevedere solo gli avvenimenti ovvi e non i cambiamenti.

    Taleb lo esemplifica con il cigno nero. Per molto tempo si pensò che tutti i cigni fossero bianchi perchè l'osservazione aveva abituato l'uomo europeo a questo stato di cose.

    Finché in Australia non apparve un cigno nero, e si dovette rivedere tutto.

    Secondo Taleb nessuno ha previsto alcun terremoto nella storia dell'umanità.

    Dall'avvento del cristianesimo alla caduta del comunismo e agli attentati dell'11 settembre, tutto è successo senza che nessuno lo anticipasse, anche se a posteriori è stata costruita una narrativa esplicativa piena di cause che rendevano inevitabili questi avvenimenti.

    Se non possiamo anticipare le cose più importanti, cosa sappiamo?

    5. Conseguenza ontologica

    Dopo tutte queste considerazioni, si può formulare la domanda centrale dell'ontologia, la branca della filosofia che si occupa dello studio degli enti.

    Cosa esiste, cos'è reale in questo universo socioeconomico?

    Nel XVII secolo Cartesio dovette rifarsi al proprio pensiero per arrivare ad una certezza soggettiva di ciò che esisteva effettivamente: penso, quindi esisto.

    Il povero Cartesio non visse in questo mondo quasi irreale della finanza del XXI secolo.

    Se è relativamente facile trovare delle basi reali per produzione e consumo, è molto più complesso capire lo status degli strumenti finanziari come i noti attivi tossici (debiti praticamente non riscuotibili) o i derivati (contratti di acquisto futuro basati su una scommessa sul valore che il bene avrà: materia prima, ipoteche, liquidità ecc.), fondamentali per comprendere la crisi che stiamo vivendo.

    Nel 2007 si calcolava che il Pil mondiale (tutti i beni e servizi prodotti nel mondo) fosse di 63mila miliardi.

    In quello stesso anno si stimava che il mercato dei derivati facesse girare 596mila miliardi, quasi dieci volte in più di quello che il pianeta produceva.

    Il valore del Pil si riferisce a cose tangibili.

    Cos'hanno di reale i derivati o le bolle, queste scommesse esagerate sui prezzi futuri?

    Non è una domanda che si pongono solo i neofiti in materia economica.

    "In termini filosofici gli economisti sono dei materialisti per cui i sacchi di grano sono molto più reali dei portafogli di buoni", ha spiegato all' Economist Perry Mehrling del Barnard College, alla Columbia University.

    E tuttavia, come dimostra lo stesso funzionamento del denaro, l'economia è una realtà molto più elusiva.

    "Il denaro non è una cosa del tutto reale. E' la promessa che uno potrà comprare qualcosa. Proprio come quello che uno tiene depositato in banca. E' una promessa che la banca pagherà. Se la banca fallisce, la promessa non esiste più", ha illustrato a BBC Mundo Jon Danielsson della London School of Economics.

    Se moltiplichiamo questo per i miliardi di transazioni giornaliere che si fanno in denaro contante o buoni, titoli e altri beni volatili del mondo finanziario, si può vedere quante promesse non sono state mantenute.

    Titolo originale: "Cinco consecuencias filosóficas de la crisis"

    Fonte: BBC - Homepage
    Link
    25.07.2009

    Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di DIEGO VARDANEGA

    Viva la Comune

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    Predefinito Rif: CINQUE CONSEGUENZE FILOSOFICHE DELLA CRISI

    Nessun imbecille con un minimo di senso della realtà sosterrebbe convintamente che il mercato non ha bisogno di regole. Ma far rispettare le regole non significa intervenire economicamente o pianificare, o tassare selvaggiamente ostacolando la libera iniziativa.

    E la finanza, questa specie di casinò elettronico che non produce nulla ma arricchisce migliaia di parassiti esiste perchè dei politici si sono inventati tutti quei meccanismi su cui essa si basa. Cartolizzazioni, rigiro infinito di debiti, concessione forzata a gente che non può permetterselo...

    DI CHI È LA RESPONSABILITÀ IN ULTIMA ANALISI? DEL MERCATO O DI QUELLE TESTE DI CAZZO CHE VOGLIONO SEMPRE DECIDERE PER TUTTI?

 

 

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