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    Predefinito L'antropomorfismo Storico E L’antropomorfismo Personale

    26 novembre 1990


    Molti credono che l'antropomorfismo sia un atteggiamento mentale da primitivi cui l’uomo civile sfug-ge ma l'osservazione della realtà rende molto più umili. L'antropomorfismo dei primitivi è smaccato e per così dire ingenuo, il nostro è più sottile e non meno insidioso. Già la lingua è antropomorfica: il vento soffia, il mare mugghia, la primavera sorride, il tempo corre. E non ci si limita alla lingua, non si tratta solo di immagini degli scrittori: anche l'esperienza è vissuta antropomorficamente. Se il vento “si accanisce" con-tro la barca in difficoltà, il pescatore lo ricopre d’insulti. E chiunque, soffrendo d’un forte mal di denti, vorrebbe aver qualcosa su cui sfogarsi, qualcuno cui dare la colpa o ripagare con la stessa moneta. Quando la nostra emotività entra in gioco, ci lasciamo andare tutti ad un atteggiamento antropomorfico.

    Anche nella storia si ha un fenomeno analogo. Chi conosce già la fine delle vicende non resiste alla tentazione di giocare al profeta del passato. I testi inducono a credere che i fatti avvenuti dovevano avvenire, quasi che un’intelligenza o una volontà li avessero guidati. Colui che scrive tradisce la voglia di pensare che le cause cui lui dà importanza siano il motore della storia e che questa abbia una sua direzione, una sua ineluttabilità. Inquadra il nazismo nelle ideologie del Ventesimo Secolo e dimentica che, se un colpo apo-plettico avesse ammazzato Hitler nel 1937, la storia lo avrebbe dimenticato. Come ha dimenticato tanti al-tri suoi coetanei. Quell’uomo era del tutto insostituibile: mancando lui, di nazismo si sarebbe parlato come in Italia si parla del Partito dell’Uomo Qualunque. Dal momento invece che quel provvidenziale colpo a-poplettico non s’è avuto, Hitler è presentato non come quello che fu, un disgraziato, imprevedibile incidente, ma come l’inevitabile portato della prima guerra mondiale, della Repubblica di Weimar, perfino di certa criminalità del popolo tedesco. Della Storia, in totale. Questo avviene perché sembra troppo assurdo che i grandi avvenimenti abbiano cause contingenti o addirittura sciocche. Per la nostra mentalità antropomorfica, tutto rientra nell’ordine se il marasma del tempo di Weimar è preordinato all'ordine di Hitler, le frustrazioni di prima all'arroganza del dopo.
    Nella realtà le cose vanno, se non a caso, in maniera imprevedibile e con molti cambiamenti di direzio-ne. Non esiste nessun piano preordinato. Non esiste “ananche”. Non esiste senso della storia. Chiunque, prima di Hitler, avrebbe affermato che lo sterminio dei vinti era finito con le invasioni barbariche: e si sarebbe sbagliato.

    Un'altra forma d’antropomorfismo simile a quello storico, più privato e più doloroso, riguarda il desti-no degli individui. Secondo Tucidide, nessun vincitore crede alla fortuna. Eisenhower, quando gli chiesero di chi fosse il merito della riuscita dello sbarco in Normandia, rispose saggiamente: "Di chi sia stato il merito dello sbarco non lo so: so che se non fosse riuscito sarebbe stata colpa mia". A se stessi si è disposti a perdonare un po' di fortuna, per gli altri ci si aspetta solo la giustizia. Che vinca la battaglia il miglior generale, che vinca il candidato più preparato, che vinca il migliore. Invece, la realtà non ha scrupoli. Non si pubblica un manoscritto perché è eccellente, ma perché, a parere dell'editore, il mercato è disposto a fargli buona accoglienza. E corrispondentemente un manoscritto può essere rifiutato non perché cattivo, ma perché l’editore pensa che non si venderebbe. Se Dante spedisse oggi la Divina Commedia, se la vedrebbe ce-stinare immediatamente. Magari Dante è troppo vecchio: ma chi pubblicherebbe oggi I Promessi Sposi?
    L’esigenza di giustizia è una sorta d’antropomorfismo etico, cui bisognerebbe rinunciare. È lecito battersi nel proprio interesse o nell’interesse del gruppo di cui si fa parte. Ma senza vagheggiare una giustizia superiore cui anche gli altri, anche il gruppo dagli interessi opposti, dovrebbe sentire l’obbligo di collaborare. Il concetto di giustizia è antropomorfico. È una sorta d’idea innata che noi per giunta applicheremmo ai terzi piuttosto che a noi stessi: non c’è un ricco che reputi la propria ricchezza una vergogna e tutti siamo convinti che avremmo meritato miglior sorte.

  2. #2
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    bel testo.

    concordo sull`analisi della storia come mera casualita`. credo comunque che una visione razionalizzata, progressiva degli eventi serva solo a mettere ordine nelle infinite possibilita` dell`esistenza . si sceglie l`univocita` dell`accadimento storico, la sua implacabilita` per evitare di impazzire.
    l`assoluta casualita` crea insicurezza. pensare al fatto che tutto quello che accade potrebbe accadere diversamente toglie certezza e stimoli per fare qualcosa di produttivo. se tutto e` casuale perche` allora impegnarmi per raggiungere un determinato obiettivo???????

  3. #3
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    Originally posted by benny3
    bel testo.

    concordo sull`analisi della storia come mera casualita`. credo comunque che una visione razionalizzata, progressiva degli eventi serva solo a mettere ordine nelle infinite possibilita` dell`esistenza . si sceglie l`univocita` dell`accadimento storico, la sua implacabilita` per evitare di impazzire.
    l`assoluta casualita` crea insicurezza. pensare al fatto che tutto quello che accade potrebbe accadere diversamente toglie certezza e stimoli per fare qualcosa di produttivo. se tutto e` casuale perche` allora impegnarmi per raggiungere un determinato obiettivo???????
    E' scontato che l'essere passivi non ci porterà da nessuna parte. Ma in ogni azione, comportamento, è la casualità che incide in modo determinante sulla sua riuscita ed evoluzione. Certo, la casualità spesso va "aiutata"....

  4. #4
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    Dammi un paio di ore per comprendere il testo e proverò a darti una risposta sensata.

 

 

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