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  1. #61
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    Predefinito tratto da IL MESSAGGERO 31 dicembre 2004

    [mid]http://pinoulivi.com/midi/dicitenc.mid[/mid]
    [mid]http://www.casentinomusica.net/Spartiti/Midi/D/Daniele,Pino%20Quando%20quando.mid[/mid]
    Spadolini

    Caro Dottor Gervaso, sono un vecchio repubblicano mazziniano e mai come oggi sento la mancanza di un grande uomo e di un grande statista come Giovanni Spadolini, morto nel 1994. I giornali ne parlano spesso e tutti in tono elogiativo, come merita uno dei nostri maggiori politici e storici del Novecento. Anche se vivo a Bologna, vengo spesso a Roma dove ho una figlia e tre nipotini, e in questa città leggo il Messaggero e la sua rubrica. Lei, Spadolini, lo ha sicuramente conosciuto. Me ne parla?


    Raimondo Arcetri
    - Bologna
    ................................

    Spadolini l'ho conosciuto bene, molto bene. Era uno degli amici più cari di Montanelli, cui fu sempre devotissimo. Per quattro anni fu mio direttore al Corriere della Sera , che guidò, più con prudenza che con grinta, negli anni roventi della contestazione. Non era un leone e in un naufragio il suo coraggio sarebbe stato il primo a colare a picco. Ma aveva molte altre virtù, a dispetto di un'ambizione sontuosa e di una vanità patetica. Era intelligente, colto, spiritoso, e nell'intimità di uno spazio ristretto - un salotto o un ristorante - dava il meglio di sé.
    Curioso dei fatti altrui, amava la Storia con la maiuscola, e il pettegolezzo. Ma non quello grossolano e volgare. No: quello raffinato e un po' perfido. Aveva di sé un concetto soprannaturale e, come Crispi, si stupiva continuamente della propria grandezza. Si sentiva un protagonista, e non solo del suo tempo: di tutti i tempi. Il suo aulico aspetto incuteva soggezione e un po' di timore, anche per il solenne incedere e l'eloquio prelatizio.
    Se invece di votarsi prima all'insegnamento, poi al giornalismo, quindi alla politica, mai rinunciando alla cattedra e alle collaborazioni giornalistiche, avesse sposato la Chiesa, sarebbe diventato Papa, un redivivo Leone X.
    Enfant prodige si rivelò subito, andando a scuola prima degli altri, diplomandosi e laureandosi prima, e meglio, degli altri, con tutti trenta, molte lodi e l'abbraccio accademico. Con la stessa autorità discettava di Platone e di Giulio Cesare, di Copernico e di D'Annunzio, anche se l'argomento che più l'appassionava si chiamava Giovanni Spadolini.
    Non era un uomo. Era una biblioteca ambulante e pontificante (per ospitarla - scrisse Fortebraccio sull' Unità - aveva affittato la pianura padana). Pico della Mirandola, al suo confronto, era un apprendista, pur con le sue novecento tesi, che il "segretario fiorentino" (la definizione è di Montanelli) avrebbe esposto non a ventitré anni, ma a quindici.
    Era uno dei pochi politici capaci d'improvvisare. E non solo un comunicato, ma anche un comizio in piazza, una concione in Parlamento, trovando sempre la parola giusta - giusta e alata - il giusto aggettivo - giusto ed enfatico - senza mai sbagliare un congiuntivo o un gerundio.
    Citando ad hoc, e condendo il tutto con sapidi aneddoti e inediti retroscena.
    Era anche uno dei pochi, forse il solo politico, che trattasse a tu per tu Cavour, Mazzini, Giolitti (un po' meno Garibaldi, cui così poco somigliava, e non solo perché nel suo guardaroba c'erano frac, tight, foulard, ma non poncho). I Padri della Patria, gli artefici del Risorgimento erano nati prima di lui per spianargli la strada. Precursori, non antenati.
    Ma l'onniscienza non era il suo unico dono. Quello dell'ubiquità non era meno sbalorditivo. Non c'era appuntamento ufficiale cui mancasse, tavola rotonda, quadrata, esagonale dietro la quale, al centro, non troneggiasse, dibattito cui, come un oracolo, non prendesse parte. Così come non c'era cerimonia che non lo vedesse in prima fila con l'austera lobbia, gl'immancabili guanti e il foulard.
    Il meglio di sé lo dava ai funerali, sia che si svolgessero in una basilica metropolitana o in una remota pieve. Chiunque fosse il morto, prima o poi, gli occhi di tutti si appuntavano su di lui, mai così vivo e vegeto come di fronte a un catafalco, ascoltando una messa di requiem, fra lacrime e gramaglie (altrui). E non solo perché l'orazione funebre la recitava lui, ma anche perché la sua mole s'imponeva fra le navate, assumendone le fattezze. Non meno notevole la sua presenza a battesimi e matrimoni, dove il neonato o lo sposo, il fulcro, cioè, dell'attenzione, diventava lui.
    Il suo cursus honorum fu irresistibile e incontenibile: segretario del Partito Repubblicano, ministro dei Beni culturali, lui così colto, dell'Istruzione, lui così enciclopedico, della Difesa, lui così poco marziale. Ma anche presidente del Consiglio, del Senato e padre coscritto a vita. Capo del governo nell'81-82, sollevò da par suo la "questione morale", assistendo inerte alla più spregiudicata e indiscriminata caccia alle streghe della nostra storia. Più che un Padre della Patria, il Padre dei suoi Padri. E anche dei suoi Nonni. Quanto ci manca.

    atupertu@ilmessaggero.it

  2. #62
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    Predefinito tratto da CORRIERE ROMAGNA 28 gennaio 2005

    Nuovo centro culturale intitolato a Spadolini

    Montefiore - Nasce un nuovo centro culturale all'interno della ex scuola media, un luogo di socializzazione destinato sia ai giovani montefioresi che agli abitanti del resto della Valconca.E con tutta probabilità sarà intitolato alla memoria dell'ex presidente del Consiglio, il repubblicano Giovanni Spadolini.Sono ai nastri di partenza i lavori di ristrutturazione dei locali interni dell'edificio scolastico di Montefiore, ubicato in via Europa, l'ex "Casa del Fascio" che da qualche mese è stata consegnata alla popolazione dopo una lunga serie di interventi di riqualificazione, interventi che porteranno alla realizzazione di un centro culturale polivalente.La nuova struttura ospiterà al suo interno i nuovi locali della biblioteca, l'archivio comunale, due sale dedicate ad attività sociali e ricreative, un Internet point e una sala prove.Sempre nella zona retrostante le vecchie scuole medie, sarà realizzato un parco giochi in quello che era ilò vecchio acquedotto della cittadina della Rocca.“Il nuovo centro culturale di Montefiore si avvale di un contributo regionale di 20 mila euro - sottolinea il vice sindaco Pietro Cipriani - i nuovi locali, in particolare la sala prove per i gruppi musicali, saranno messi a disposizione anche a tutti i cittadini della Valconca".Quanto al nome da attribuire alla nuova struttura sembra profilarsi in via quasi del tutto ufficiale il nome di Giovanni Spadolini.L' intitolazione della nuova struttura pare non aver sollevato alcuna polemica, sorte che non toccò nei mesi scorsi alla locale scuola media in quella che si manifestò come un'accesa querelle tra il sindaco Berselli e il preside del Comprensorio scolastico di Morciano.

    ma.b.

  3. #63
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    Predefinito tratto da CORRIERE ROMAGNA 8 febbraio 2005

    Spadolini e il ruolo del Pri in Italia

    modigliana - La figura di Giovanni Spadolini, in occasione del decimo anniversario della morte e del 156° anniversario della Repubblica Romagna, sarà rievocata oggi, dalle 18, nella sede della sezione “Mazzini” del Partito repubblicano di Modigliana, nell’ambito del convegno intitolato: “Giovanni Spadolini: una vita per l’Italia”. Dopo l’introduzione di Ladislao Linari, segretario della sezione modiglianese del partito dell’Edera, interverranno i docenti universitari Luigi Lotti e Roberto Balzani e il segretario della Consociazione forlivese del Pri Luigi Sansavini. L’incontro servirà a ricostruire l’immagine di Spadolini politico, giornalista e studioso.

  4. #64
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    Predefinito tratto da http://www.pri.it

    4 agosto/Anniversario Spadolini: l'eredità di un grande statista

    Lo scorso anno ricorreva il decennale della scomparsa di Giovanni Spadolini. La "Voce" lo ha celebrato dedicandogli un numero speciale, che conteneva interventi e testimonianze di molti. Certo, se guardiamo indietro, considerando questi undici anni che ci separano dalla sua scomparsa, si può affermare che l'impronta spadoliniana ben sopravviva anche al di là dei tributi, pur doverosi. Spadolini è patrimonio repubblicano, e di sicuro anche personalità con suoi propri tratti: una costante se vogliamo, dei grandi dirigenti repubblicani, che finirono col dare un contributo proprio e originale ad una tradizione, come quella dell'Edera, preziosa, di sicuro da maneggiare con cura, per non stravolgerne l'impronta che ne è alla base, ma anche, costantemente, cercando di modernizzarla.

    Un'operazione indispensabile, di aggiornamento ragionato. Si comportò in tale modo Ugo La Malfa, parimenti comprese questa necessità anche il "segretario fiorentino", il cui innesto nella tradizione non solo non fu traumatico (se vogliamo ebbe tratti più decisi l'entrata di Ugo La Malfa rispetto alla vecchia guardia del Pri), ma tale da recare indiscussi successi all'immagine intera del Partito, con la prima guida non democristiana al governo dal dopoguerra. E' in questo ben mantenuto equilibrio fra ispirazioni personali e appartenenza ad una storica formazione partitica che si può cogliere un'abilità tutta spadoliniana: del resto, la sua vastissima cultura finì proprio col rendere meno arduo il compito. Per descriverne la personalità si sono allora fatti richiami ad echi risorgimentali: la tradizione laica, tramite la sua mediazione, finì per coincidere con un senso rigoroso delle istituzioni. Sono non indifferenti tratti come questi, che aiutano a darci la misura della grandezza di uno statista vero, quale Giovanni Spadolini fu.

  5. #65
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    Spadolini a 13 anni dalla scomparsa/Nel ricordo di un suo collaboratore
    L'amore per l'Italia, per l'Edera e una profonda passione politica

    A tredici anni dalla scomparsa di Giovanni Spadolini, pubblichiamo per i lettori della "Voce Repubblicana" un ricordo di Fabrizio Tomada, che è stato fra i principali collaboratori del Presidente per oltre quindici anni, affiancandolo nei diversi incarichi di Governo sino alla Presidenza del Senato della Repubblica.

    di Fabrizio Tomada

    A Fabrizio, Buona Pasqua
    Giovanni S.
    (convalescente)
    Aprile 1994.

    E' la dedica che Giovanni Spadolini scrisse sulla prima pagina di uno dei suoi innumerevoli libri di storia, In Diretta col Passato - temi e figure della storia contemporanea, che volle portarmi in regalo, alcuni mesi prima di morire, quando venne a casa a cena una sera di primavera inoltrata, accogliendo l'invito che gli aveva rivolto mia moglie Paola.

    Lo accompagnava Gaetano Afeltra per il quale mia moglie ha sempre avuto una istintiva simpatia.

    Il Presidente era da poche settimane uscito dalla clinica. Era in convalescenza.

    Quel libro, uno fra i tanti i libri scritti dal Presidente. Diversi titoli, svariati gli argomenti. Sempre approfonditi e studiati sulle pagine di testi scovati in ogni angolo di quelle numerose biblioteche di tutta Italia, in cima agli scaffali delle innumerevoli librerie che non dimenticava mai di visitare in occasione di una sua andata in questa o in quella città. Luoghi che lui conosceva a perfezione come le stanze di casa sua, della sua casa prediletta a Pian dei Giullari sulle colline di Firenze, quella "sua" dimora che racchiude il "prototipo" della biblioteca che avrebbe desiderato donare ad ogni italiano, ad ogni cittadino di questo grande Paese che amava sopra ogni cosa. Oggi al Pian dei Giullari si può visitare quella biblioteca con oltre centomila volumi donati finalmente alla storia. La villa ed i libri che la stessa conteneva nelle sue stanze sono diventati patrimonio della Fondazione che si trova proprio sulla Collina di Arcetri che guarda Firenze. La Fondazione si chiama: "Giovanni Spadolini - Nuova Antologia" E la biblioteca è aperta al pubblico, a tutti! Un desiderio saputo esaudire da chi è rimasto.

    L'amore per il proprio Paese. Un amore da "patriota", come quello di un eroe del Risorgimento, era il suo amore smisurato per l'Italia. Un sentimento profondo che lo accompagnò fino alla fine dei suoi giorni: il 4 agosto 1994.

    Un sentimento che divideva con l'amore per i libri, quell'insieme di tante pagine stampate con le quali lui sapeva fare breccia nel cuore di ognuno, di ogni lettore, qualsiasi fosse il contenuto dell'opera che aveva in mano.

    Un libro; pensarlo, scriverlo, correggerlo, sentire il profumo della prima copia consegnata fresca di stampa, dalle mani dell'editore. In quegli anni era Mario Spagnol, suo amico estimatore e editore illustre che a capo della casa editrice Longanesi (quella fondata da Leo nel 1946) pubblicava le opere di Giovanni Spadolini. Quello era per lui il momento più felice che potesse trascorrere, qualsiasi fosse l'ora della giornata .

    Non c'erano appuntamenti da uomo di governo, orari, sedute da presidente di Palazzo Madama, o riunioni che giustificassero l'interruzione di quel minuto di profondo raccoglimento che era rappresentato dallo stare a tu per tu con il "suo" scritto. Con il libro.

    A tu per tu, un altro fra i titoli di una delle sue opere, uno dei suoi Bloc-Notes * il primo uscì nel 1984 - che raccoglie le cronache dei suoi viaggi (anche di quelli ideali), dei suoi incontri, lungo l'arco di un decennio che lo vide nelle diverse cariche di uomo di governo, Presidente del Senato, senatore a vita.

    Un diario nel quale vengono trattati temi e figure della storia contemporanea, pagine che a leggerle o a rileggerle ci descrivono "scenari" internazionali dove le riflessioni dell'autore, nel fotografare la realtà di ieri, anticipano ombre e profili che di quelle immagini sono le conseguenze talvolta drammatiche del vivere di oggi.

    Si rileggano le pagine dedicate all'incontro con Mubarak, avvenuto durante la rappresentazione dell'"Aida" ai piedi della sfinge in Egitto e consegnato al capitolo intitolato "Aida alle Piramidi"

    Il contenuto di quelle conversazioni a tu per tu fra i due uomini di stato. I temi del terrorismo, le nubi della guerra Iran-Iraq che minacciano il Mar Rosso sempre più da vicino. I nuovi rapporti con l'Unione Sovietica, l'amicizia con gli Stati Uniti e l'atteggiamento del Cairo di dieci anni fa, le tensioni nel Medio Oriente. Questi alcuni spunti per una riflessione sull'attualità di alcuni passaggi dei diari del Direttore * Presidente - Professore.

    I resoconti dei suoi viaggi a Gerusalemme, a Tel Aviv, i suoi incontri con la comunità ebraica a New York avvenuti in diverse occasioni di viaggio in America. Il futuro di Israele.

    Vi sono poi pagine dedicate al dialogo con il passato dove l'autore racconta alcuni episodi della vita di Mazzini, di Garibaldi. Scrivendo di Leopardi, di Pannunzio, dello studio del direttore del Mondo a Campo Marzio, ci consegna pagine di una cronaca suggestiva in cui i protagonisti, quelli di allora e quelli incontrati oggi, diventano tutti personaggi attuali partecipi di una sorta di "mischia storica" dove si sottolinea come ieri sia il padre dell'oggi, ed è lì che lo storico abilmente intreccia il passato con il presente.

    Ecco che allora i diari del Presidente, se sono la testimonianza di un uomo politico che divenne tale passando per l'università e per il giornalismo, mostrano che è il giornalista appunto che spesso prevale sulle tre anime ora citate: e il giornalista in questo caso non esita a fare il cronista "in diretta", consegnando le sue esperienze al lettore per condividerne insieme ogni emozione. Tutto questo Giovanni Spadolini sapeva trasferirlo e con semplicità. Nonostante il suo carattere di ragazzo timido, sapeva suscitare popolarità attorno, anche se all'apparenza sembrava sofisticato e monumentale. Un monumento vivente, un "monumento a se stesso", come spesso con crudele sarcasmo lo definiva Indro Montanelli. "Un busto di marmo consegnato alle istituzioni"

    Oggi, a tredici anni dalla scomparsa di Giovanni Spadolini ricordare il Presidente per il suo amore per lo scrivere, non ci deve fare dimenticare il ruolo che ebbe nella cronaca politica fino all'ultimo.

    Allora, seppure sostenuto dai senatori del centro, della sinistra, quella di allora, e delle minoranze linguistiche che avevano fatto convergere il proprio voto sul suo nome, venne sconfitto nell'aprile del 1994 nel corso della decisiva votazione al Senato dal candidato presentato dal centrodestra, per un solo voto al quarto scrutinio!

    E anche allora possiamo dire che il senatore a vita si trovò ancora al centro della cronaca, questa volta quella della politica (per la quale lavorò con passione anche se mai amandola sino in fondo), incosciente di rappresentare, nella lettura di quell'episodio, un "passaggio" politico delicato dal quale iniziò a prendere forma l'accordo che successivamente accomunò la coalizione dei democratici e del centrosinistra e che portò Romano Prodi, l'attuale presidente del Consiglio, al risultato del 1996.

    Forse Giovanni Spadolini avrebbe scritto tutto su quel 16 aprile del 1994 a Palazzo Madama, rivelando ancora una volta in questo modo la preferenza per quella parte della vita dedicata al giornalismo.

    E certamente il "Direttore" avrebbe illustrato puntualmente la cronaca di quegli attimi trovandosi questa volta a tu per tu con la sua, di storia, protagonista di un sentimento di profonda passione che lo accompagnò per la maggior parte della sua vita, quella politica. Ma come tale, anche se lunga, destinata a finire .

    Quello che invece lo accompagnò sempre, fino alla morte che avvenne un giovedì pomeriggio d'estate, il 4 agosto 1994, fu il suo amore per l'Italia, un amore che non finì mai, un amore quasi incompiuto

    E' quella la "passione" che ha lasciato nel cuore a tutti coloro che lo hanno conosciuto

    E' quell'"amore" per il nostro Paese che ci unisce e nel quale ancora riusciamo a riconoscerci.

    tratto da http://www.pri.it/3%20Agosto%20Inter...oSpadolini.htm

  6. #66
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    Giovanni Spadolini e la parabola del cattolicesimo politico
    Colloquio con Cosimo Ceccuti

    a cura di Luca Menichetti e Vittorio V. Alberti

    Il nuovo approccio storiografico, l’Opposizione cattolica, la democrazia cristiana di Romolo Murri, la questione romana, il patto Gentiloni, il clero e il laicato, l’Opera dei congressi, la concezione della laicità, il laico Sturzo e l’appello ai liberi e forti del 1919, i cattolici durante il fascismo, la Democrazia Cristiana di De Gasperi e l’incontro dei cattolici con lo Stato nazionale, gli storici steccati. Il giudizio su Amintore Fanfani e Aldo Moro.

    Cosimo Ceccuti è professore di Storia del Risorgimento e Storia del giornalismo presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Firenze.
    Per volontà testamentaria di Giovanni Spadolini, Ceccuti è coordinatore culturale e attualmente presidente della Fondazione Spadolini - Nuova Antologia, e direttore della rivista «Nuova Antologia» diretta dallo stesso Spadolini per quarant’anni. Il 12 dicembre 1986, il presidente della Repubblica Francesco Cossiga, lo ha insignito, per meriti culturali, del titolo di Commendatore della Repubblica.
    É autore di numerose pubblicazioni tra le quali: Il Concilio Vaticano I nella stampa italiana (1970), Un editore del Risorgimento: Felice le Monnier (1974), Il Risorgimento italiano (1977), Carteggio D’Annunzio-Ojetti (1979), Piero Fossi la lotta per la libertà (1980), Mussolini nel giudizio dei primi antifascisti (1921-1925) (1983), La casa editrice Le Monnier dal Risorgimento alla Repubblica (1837-1987) (1987). Curatore dell’introduzione ai discorsi parlamentari di Ferruccio Parri (1990), Giovanni Conti (1991), Pasquale Villari (1992) e di Giuseppe Paratore (1994), editi dal Servizio Studi del Senato della Repubblica, e di Giovanni Spadolini (2003). Nel 1992 Ceccuti pubblica una biografia di Spadolini e, nel 1996, una biografia di Girolamo Savonarola.
    Nel volume Storia della civiltà toscana, L’Ottocento, a cura di L. Lotti, Firenze, 1999, ha pubblicato il saggio Dalla Restaurazione alla fine del Granducato. Ha inoltre curato l’edizione delle opere postume di Giovanni Spadolini, tra le quali i quattro volumi della Bibliografia degli scritti.

    Professor Ceccuti, qual è l’importanza del celebre volume di Giovanni Spadolini L’Opposizione cattolica da Porta Pia al ’98 (Le Monnier) per comprendere la vicenda del cattolicesimo italiano dopo l’unità d’Italia?

    Il libro uscì nel 1954, quando Spadolini aveva 29 anni ma si era già imposto all’attenzione del pubblico con Il Papato socialista (1950). Rispetto ai suoi lavori precedenti questo volume si caratterizzava per un maggiore ricorso alle fonti, in primo luogo quelle di tutta la pubblicistica cattolica dall’unità d’Italia alla fine del secolo scorso, mai utilizzata prima di allora in modo così sistematico ed innovativo. Attraverso gli Atti e documenti ufficiali dell’Opera dei Congressi, punto d’incontro e comitato promotore per l’attività dei cattolici intransigenti nella seconda metà dell’Ottocento, Spadolini analizzò tutto quel composito e dimenticato periodo dall’ “interno” ricostruendo le posizioni dei cattolici ultras e dei cattolici conciliatoristi, l’atteggiamento del clero e quello del laicato, le direttive del papato, il giornalismo e le prime organizzazioni giovanili. Un angolo visuale assolutamente indipendente dalle influenze o dai condizionamenti della storiografia tradizionale: tutto il filone crociano e post-crociano aveva sempre relegato in un angolo la storia dei cattolici politici, e quasi ignorato quella dell’intransigentismo.

    La presenza della D.C. al potere non fece perdere a Spadolini la visione di un retroterra del mondo cattolico italiano diverso da quello che appariva nella visione di maniera di una certa storiografia accomodante; la ricerca dell’Italia del dissenso dopo quella del troppo facile e smaccato consenso, l’individuazione dei filoni di protesta e di negazione della soluzione borghese-liberale quale si era espressa nel sapiente compromesso diplomatico di Cavour. E gli interrogativi suscitati da quel libro tornarono nei dibattiti scientifici, si chiarirono e approfondirono nelle successive indagini degli altri studiosi, si precisarono al vaglio di un nuovo filone di studi.

    L’eco suscitata dal volume fu, come già accennato, grandissima. Contribuivano molto in tal senso il titolo e la copertina, raffigurante Don Davide Albertario (coinvolto nei moti milanesi del 1898) in manette fra i Regi Carabinieri, sullo sfondo delle campagne di Filighera. Un libraio di Napoli, in occasione del Congresso nazionale della Democrazia Cristiana tenutosi nella città partenopea a fine giugno 1954, allestì un’intera vetrina con quella provocatoria copertina.

    Quale era il giudizio di Spadolini sulla democrazia cristiana di Romolo Murri ?

    Per Spadolini Murri era l’uomo che in qualche modo chiuse l’opposizione cattolica, cioè la separazione, la scissione dei cattolici dallo Stato unitario, ed era l’uomo che attraverso quella parola magica, fascinatrice, «democrazia cristiana», aveva rotto le suggestioni legittimiste, teocratiche, reazionarie, che dominavano larga parte del laicato cattolico fino alla fine del secolo.

    Fu il fermento critico di una storia vivente, con pochissime forze. In questo c’era l’origine risorgimentale, perché Murri agiva esattamente come i mazziniani avevano agito 70 anni prima, con pochi seguaci ma dispersi un po’ in tutta Italia, rappresentativi di una realtà, quella dei cattolici democratici o moderni, in parte modernisti, che affiorava nei punti più diversi quasi come un sottomarino, di cui certe punte denunciano la navigazione. Per Spadolini Murri fu il “sottomarino” del movimento cattolico democratico, che agì in mezzo a mille difficoltà, di ogni genere, negli anni tra il 1896 e il 1904: incorse poi nella sospensione a divinis, più per un complesso di incomprensioni che di volontà.

    Quale interpretazione ha dato Spadolini dell’evoluzione politica dei cattolici nella vita nazionale, in particolare negli anni della “questione romana” e del Patto Gentiloni ?

    Giolitti, rispettoso della libertà di coscienza, non ammetteva “mezzadrie” fra Chiesa e Stato in tutto ciò che toccasse la sfera della vita civile: fedele a quel liberalismo che aveva radici e origini cavouriane, che si identificava con un “abito mentale” del vecchio Piemonte. Di conciliazione non si parlò più in quegli anni. Sembrò anzi che il liberalismo italiano considerasse la posizione fatta alla Chiesa in Roma come il non plus ultra della perfezione giuridica, in quanto contemperava tutte le libertà della Curia col margine di sicurezza dello Stato, senza impegnarsi in nessuna di quelle formule aprioristiche, dottrinarie e teologiche che ostacolano il libero movimento della storia.

    Da parte vaticana, riconfermando la sua opposizione incondizionata alle Guarentigie, Pio X, succeduto a Leone XIII nel 1903, riaffermò solennemente la sua condizione di “schiavitù” nella Roma italiana, che aveva usurpato “contro ogni diritto il suo principato civile”, e quando a Roma fu innalzato il monumento a Vittorio Emanuele II il mite Pontefice dichiarò quel giorno “grave lutto per la Chiesa”.

    Rotti ormai i ponti con la diplomazia europea, spente le speranze di uno sfruttamento internazionale della questione romana, Pio X si preoccupò di salvare le ragioni profonde dell'unità cattolica rivendicando l'integrità del proprio messaggio. In Italia come in Francia confusioni di sfere fra clero e laicato non furono consentite; liquidati i fasci democratici cristiani di Murri, sciolta l'Opera dei Congressi lacerata dal contrasto fra giovani e anziani, il cattolicesimo laico venne riorganizzato su nuove basi, con l'enciclica Il fermo proposito, in stretta dipendenza dall'autorità dei vescovi. Nacquero così le “Unioni”, per dirigere rispettivamente l'attività sul terreno sociale (Unione popolare), economico ed elettorale.

    Sarà il presidente della Unione elettorale, Ottorino Gentiloni, a impartire le direttive alle sezioni locali, nel 1909 e nel 1913, diramando i famosi punti da sottoporre all'impegno dei candidati liberali in cambio del voto dei cattolici. Il prezzo e le modalità del loro appoggio ai candidati liberali, verranno mano a mano precisandosi nelle istruzioni dettate all'elettorato cattolico nel 1909 e nel 1913, in occasione del patto Gentiloni. Le sue conseguenze saranno profonde e durature; si sovrapporranno e si intrecceranno con quelle ancora più grandi del Primo Conflitto Mondiale, con il nuovo atteggiamento assunto dalla Santa Sede in quegli anni terribili.

    Spadolini riteneva che nell’appello di Luigi Sturzo “ai liberi e forti” del 1919 fosse esaltato e ben definito il tema della laicità come intelaiatura del partito di ispirazione cristiana ?

    Direi senz’altro di sì, tanto che Spadolini amava parlare del laico Sturzo. E citava spesso un episodio. Quando, il 19 gennaio 1959, cadde il quarantesimo anniversario del manifesto “ai liberi e ai forti”, Sturzo volle ricordare prima di tutto che egli si era proposto di costituire non un partito cattolico, ma un partito costituzionale nazionale che poteva anche qualificarsi “laico”, se tale aggettivo non fosse servito a indicare un anticlericalismo di fondo; in ogni caso “aconfessionale”, contro quanti si arrogavano il diritto e il compito di rappresentare la Chiesa e le autorità ecclesiastiche.

    Professore, quale fu, secondo Spadolini, il ruolo dei cattolici durante il fascismo ?

    Spadolini riteneva che i Patti lateranensi avessero posto fine ad un grande problema nazionale e proprio per i loro riflessi positivi sull’opinione pubblica accrebbero il consenso al regime. Negli anni seguenti le convergenze tattiche fra Vaticano e fascismo saranno larghe, le collaborazioni numerose e le sfere della Chiesa e dello Stato finiranno più di una volta per confondersi. Il pericolo per il papato era notevole e la stessa restaurazione religiosa tentata da Pio XI rischiava di essere annullata dall’identificazione della Chiesa con il fascismo.

    Non mancarono però i contrasti, come quello sui compiti dell’Azione Cattolica, che il regime voleva limitare alla sola sfera religiosa, senza ricaduta alcuna sul sociale. Gradualmente la Santa Sede e i cattolici italiani riusciranno a sottrarsi alle più stringenti conseguenze politiche della Conciliazione, sfuggendo alla collusione ideologica vera e propria: a metterli in guardia saranno soprattutto l’alleanza con la Germania hitleriana e l’introduzione delle leggi razziali.

    Professore, qual era il giudizio complessivo di Spadolini sul partito della Democrazia Cristiana?

    Se si parla della Democrazia Cristiana di De Gasperi, direi che fu senz’altro positivo: Spadolini la riteneva un partito di centro, mediatore di tutte le istanze, conciliatore delle più diverse esigenze di classi e di ceti. La D.C. per la stessa eterogeneità dei suoi componenti, per la varietà dei suoi filoni e delle sue tra*dizioni, non poteva pretendere un’unanimità di posizioni politiche, economiche e sociali. Considerate queste premesse, l’abilità e i meriti di De Gasperi nel farne un partito di governo, funzionale ed articolato, grazie alla costante ricerca di un punto d’incontro, di un termine d’intesa valido per tutti, furono più che mai lodevoli.

    Diverso il giudizio per la DC degli anni seguenti, soprattutto quando taluni – come Fanfani – tentarono di farne un partito-guida, un partito strumento di rottura e di rinnovamento, fuori dei classici schemi di equilibrio parlamentare e politico.

    Spadolini disapprovava che l’ispirazione cattolica della DC fosse ostentata in tutte le occasioni, invocata a discriminante, sentita come arma di predestinazione nella sfera della vita pubblica. Gli appariva quanto mai necessaria l’autonomia delle forze politiche di formazione cristiana dalle schiere dell’apostolato laico, la separazione fra il piano della Chiesa e il piano del partito, al fine di evitare quelle involuzioni confessionali che avrebbero danneggiato fra l’altro la Chiesa stessa.

    Volendo approfondire la valutazione spadoliniana su De Gasperi ?

    Allo statista trentino Spadolini riconosceva in primo luogo il grande merito di aver promosso e attuato l’incontro fra i cattolici e lo Stato nazionale sul terreno politico, sul piano de*gli ordinamenti democratico-*parlamentari, al di fuori di ogni tentazione esclusivistica, di ogni velleità clericale e intollerante. I pur generosi slanci di iniziativa sociale, di riformismo guelfo, agitati dalla “sinistra” dossettiana, non sareb*bero bastati a salvaguardare le posizioni dei cattolici in Italia se non fossero stati ac*compagnati da una ferma e precisa coscienza dei doveri pubblici verso lo Stato democratico-liberale, da un’accetta*zione cordiale e senza riserve dei dati costitutivi della formazione unitaria.

    L’accordo operoso fra D.C. e partiti laici doveva scongiurare una volta per sempre quegli “storici steccati” fra guelfismo e ghibellinismo che avevano caratterizzato tanta parte della storia italiana e che nel nuovo contesto del dopoguerra rischiavano di essere non solo anacronistici ma anche molto dannosi. La mediazione doveva per necessità essere di natura politica, investire lo stesso fondamento istituzionale, l’orientamento democratico parlamentare delle forze cattoliche, quel fondamento che era mancato ai generosi tentavi di Murri e anche di Sturzo.

    Per finire, quale considerazione Spadolini aveva di Amintore Fanfani e di Aldo Moro, i due “cavalli di razza” della Democrazia Cristiana ?

    Spadolini non disconosceva le doti di Fanfani, grande organizzatore, eccellente ministro tecnico, lavoratore instancabile. Avversava invece la sua visione della politica, che finiva per identificare in sé, nella sua persona, la salvezza del paese e nei suoi avversari gli avversari stessi della democrazia e della nazione. Visione, paragonabile per Spadolini a quella dell’ultimo Crispi, per la quale tutte le formule erano strumentali e secondarie rispetto al fine orgoglioso e perentorio della riconquista del potere; visione che comportava il dissolvimento delle categorie stesse di destra e sinistra di fronte alla spregiudicatezza e alla capacità di manovra.

    Spadolini guardava con favore ad un altro centro-sinistra, quello che ravvisava per tanti aspetti nel pensiero e nell’opera di Aldo Moro. Un centro-sinistra condizionato e non incondizionato, sperimentale e non finalistico, lontano da tutti gli utopismi e da tutti i dogmatismi, nei limiti e nei confini classici di una equilibrata coalizione centrista, mediatrice e conciliatrice di forze storicamente differenziate e ideologicamente discordanti. Un centro-sinistra che credeva fermamente nelle riforme sociali ma non nello statalismo, che temeva l’ENEL più come strumento di corruzione politica che non di invadenza economica.

    Questa valutazione positiva di Moro, espressa più volte nel corso degli anni Sessanta dalle colonne del Resto del Carlino e del Corriere della Sera, si tradusse poi in una concreta e convita collaborazione politica, sia pure in un altro contesto, quando Spadolini ricoprì (1974-1976) la carica di Ministro per i Beni Culturali, nel governo bicolore DC-PRI.

    tratto da http://www.sintesidialettica.it/Arti...ervistaceccuti

 

 
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