[mid]http://pinoulivi.com/midi/dicitenc.mid[/mid]
[mid]http://www.casentinomusica.net/Spartiti/Midi/D/Daniele,Pino%20Quando%20quando.mid[/mid]
Spadolini
Caro Dottor Gervaso, sono un vecchio repubblicano mazziniano e mai come oggi sento la mancanza di un grande uomo e di un grande statista come Giovanni Spadolini, morto nel 1994. I giornali ne parlano spesso e tutti in tono elogiativo, come merita uno dei nostri maggiori politici e storici del Novecento. Anche se vivo a Bologna, vengo spesso a Roma dove ho una figlia e tre nipotini, e in questa città leggo il Messaggero e la sua rubrica. Lei, Spadolini, lo ha sicuramente conosciuto. Me ne parla?
Raimondo Arcetri - Bologna
................................
Spadolini l'ho conosciuto bene, molto bene. Era uno degli amici più cari di Montanelli, cui fu sempre devotissimo. Per quattro anni fu mio direttore al Corriere della Sera , che guidò, più con prudenza che con grinta, negli anni roventi della contestazione. Non era un leone e in un naufragio il suo coraggio sarebbe stato il primo a colare a picco. Ma aveva molte altre virtù, a dispetto di un'ambizione sontuosa e di una vanità patetica. Era intelligente, colto, spiritoso, e nell'intimità di uno spazio ristretto - un salotto o un ristorante - dava il meglio di sé.
Curioso dei fatti altrui, amava la Storia con la maiuscola, e il pettegolezzo. Ma non quello grossolano e volgare. No: quello raffinato e un po' perfido. Aveva di sé un concetto soprannaturale e, come Crispi, si stupiva continuamente della propria grandezza. Si sentiva un protagonista, e non solo del suo tempo: di tutti i tempi. Il suo aulico aspetto incuteva soggezione e un po' di timore, anche per il solenne incedere e l'eloquio prelatizio.
Se invece di votarsi prima all'insegnamento, poi al giornalismo, quindi alla politica, mai rinunciando alla cattedra e alle collaborazioni giornalistiche, avesse sposato la Chiesa, sarebbe diventato Papa, un redivivo Leone X.
Enfant prodige si rivelò subito, andando a scuola prima degli altri, diplomandosi e laureandosi prima, e meglio, degli altri, con tutti trenta, molte lodi e l'abbraccio accademico. Con la stessa autorità discettava di Platone e di Giulio Cesare, di Copernico e di D'Annunzio, anche se l'argomento che più l'appassionava si chiamava Giovanni Spadolini.
Non era un uomo. Era una biblioteca ambulante e pontificante (per ospitarla - scrisse Fortebraccio sull' Unità - aveva affittato la pianura padana). Pico della Mirandola, al suo confronto, era un apprendista, pur con le sue novecento tesi, che il "segretario fiorentino" (la definizione è di Montanelli) avrebbe esposto non a ventitré anni, ma a quindici.
Era uno dei pochi politici capaci d'improvvisare. E non solo un comunicato, ma anche un comizio in piazza, una concione in Parlamento, trovando sempre la parola giusta - giusta e alata - il giusto aggettivo - giusto ed enfatico - senza mai sbagliare un congiuntivo o un gerundio.
Citando ad hoc, e condendo il tutto con sapidi aneddoti e inediti retroscena.
Era anche uno dei pochi, forse il solo politico, che trattasse a tu per tu Cavour, Mazzini, Giolitti (un po' meno Garibaldi, cui così poco somigliava, e non solo perché nel suo guardaroba c'erano frac, tight, foulard, ma non poncho). I Padri della Patria, gli artefici del Risorgimento erano nati prima di lui per spianargli la strada. Precursori, non antenati.
Ma l'onniscienza non era il suo unico dono. Quello dell'ubiquità non era meno sbalorditivo. Non c'era appuntamento ufficiale cui mancasse, tavola rotonda, quadrata, esagonale dietro la quale, al centro, non troneggiasse, dibattito cui, come un oracolo, non prendesse parte. Così come non c'era cerimonia che non lo vedesse in prima fila con l'austera lobbia, gl'immancabili guanti e il foulard.
Il meglio di sé lo dava ai funerali, sia che si svolgessero in una basilica metropolitana o in una remota pieve. Chiunque fosse il morto, prima o poi, gli occhi di tutti si appuntavano su di lui, mai così vivo e vegeto come di fronte a un catafalco, ascoltando una messa di requiem, fra lacrime e gramaglie (altrui). E non solo perché l'orazione funebre la recitava lui, ma anche perché la sua mole s'imponeva fra le navate, assumendone le fattezze. Non meno notevole la sua presenza a battesimi e matrimoni, dove il neonato o lo sposo, il fulcro, cioè, dell'attenzione, diventava lui.
Il suo cursus honorum fu irresistibile e incontenibile: segretario del Partito Repubblicano, ministro dei Beni culturali, lui così colto, dell'Istruzione, lui così enciclopedico, della Difesa, lui così poco marziale. Ma anche presidente del Consiglio, del Senato e padre coscritto a vita. Capo del governo nell'81-82, sollevò da par suo la "questione morale", assistendo inerte alla più spregiudicata e indiscriminata caccia alle streghe della nostra storia. Più che un Padre della Patria, il Padre dei suoi Padri. E anche dei suoi Nonni. Quanto ci manca.
atupertu@ilmessaggero.it