Questa è l'inesorabile destino europeo, corona spada e moneta
però non sono stati inventati per creare l'unione

di Daniele Lazzeri

Da quella maestra di vita rappresentata dalla storia, risulta oggi più semplice osservare come nel mondo tradizionale il destino dei popoli fosse legato a tre elementi inseparabili: la Corona, la Spada e la Moneta. In una società alla base della quale è posto il sacro, l’Imperatore, unico ed indiscusso deus ex machina, incarna fisicamente la divinità e si fa mistico rappresentante dei popoli sottomessi. La Spada con la quale difende i sacri confini è un elemento che unifica, sotto l’egida dei vessilli imperiali, i sudditi, fornendo il più tangibile segno di appartenenza ad una realtà geopolitica. Solo successivamente la Moneta, vista non solo come metro di misura e valore di scambio ma soprattutto in qualità di simbolo imperiale, irrompe nelle vicende sociali assumendo, col passare del tempo, un’importanza sempre più significativa. Nell’epoca attuale, nella quale si è verificata una evidente inversione dei principi tradizionali, non è più il sacro a pervadere la vita quotidiana ma è la moneta ad aver assunto la funzione di principale “valore” all’interno del sistema-mondo. Ecco perché non è azzardato immaginare la triade più sopra ricordata, Corona-Spada-Moneta, esattamente capovolta. In un mondo fondato sul dominio economico è la moneta a svolgere il ruolo di legame, di principio unificante in grado di porre le basi per stadi successivi di aggregazione. I passi compiuti dall’Unione Europea in questo senso vanno esattamente nella direzione sopra tracciata; l’euro come moneta comune è il primo sintomo di una volontà (se vogliamo inconscia) di rifondare un nuovo ordine europeo in grado di competere con le sfide proposte dalla civiltà moderna. Il significato della Spada sta già prendendo forma con le voci insistenti riguardanti la creazione di un unico organismo di difesa europeo, caldeggiato in particolar modo dai francesi ed ovviamente ostacolato più volte dall’establishment americano, orami sempre più convinto di dover affrontare nel breve termine un competitore, non solo valido ma potenzialmente invincibile, sia da un punto di vista economico sia geopolitico che militare. Seguendo il percorso delineato la conclusione appare ovvia: attraverso le spinte culturali ed antropologiche, che premono per un’integrazione europea basata sul riconoscimento dell’unione nella diversità in un’ottica euroregionale, risulta inevitabile la definizione di una costruzione geopolitica in forma neoimperiale, sedimento incancellabile nell’animo europeo. Dobbiamo tentare dunque di approdare ad una diversa forma d’analisi, scavare per trovare un’altra dimensione della moneta rispetto a quella meramente economicistica ancor prima che economica. E questa dimensione potremmo chiamarla simbolica, spirituale, animistica, culturale, antropologica. Già gli studi di Georg Simmel, rivolti ad un approccio filosofico e psicologico alla moneta, spostarono il campo d’attenzione dalle formule econometriche e dalle previsioni micro e macroeconomiche ad una osservazione oserei dire metafisica e fenomenologica del concetto monetario. Un’interpretazione teologica ci avvicinerebbe decisamente di più al senso del nostro discorso. Abbandoniamo dunque per il momento il concetto di moneta/strumento (strumento di scambio, di politica economica) e passiamo ad interessarci dell’aspetto essenziale (potere mistico/simbolico e geopolitico/culturale). A tal proposito non stupisce affatto che l’idea di creare la prima Banca Centrale Europea non venne ad un economista ma al filosofo Leibnitz. Quel che manca al giorno d’oggi è la capacità di saper sfruttare gli spazi politici creati dall’avvento della moneta unica. Partendo da una, banale se vogliamo, intuizione è necessario riuscire ad inserirsi nel processo di europeizzazione del continente. Prendere, e far prendere, coscienza della diversa e più profonda dimensione nella quale un semplice aspetto monetario ci ha catapultato: «Sarebbe bene – scrive Michel Oriol – che l’uso dell’Euro potesse essere legato fin da subito al sostegno, con la moneta, di attività culturali come la creazione artistica, magari con l’istituzione di fondazioni in modo che l’eurizzazione non appaia come un’alternativa priva di significato rispetto alla dollarizzazione del mondo economico moderno». Probabilmente è proprio questo il quid che ci differenzierebbe dalla politica imperialista americana. Un deciso salto di qualità rispetto all’esaltazione della bandiera e dell’inno nazionale, una presa di coscienza dell’unitarietà di destino dell’Europa, cancellando sciocche convinzioni di sudditanza e di impotenza nei confronti degli organi sovranazionali come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale (la quota di rappresentanza degli Stati Uniti nell’FMI è solo del 17%, minoritaria non solo in valore assoluto ma anche in rapporto alla ben più significativa presenza dei paesi aderenti all’Unione Europea). Né risulta essere particolarmente utile scagliarsi contro la Banca Centrale Europea, riproduzione gigantografia delle banche centrali nazionali, per le problematiche inerenti la proprietà dell’istituzione e della cartamoneta stampata. La BCE ha come obiettivo il mantenimento della stabilità dei prezzi, questo è stabilito dal Trattato di Maastricht e tanto ci basta. Dovremmo invece prestare maggiore attenzione agli sviluppi geopolitici del fenomeno Euro; se noi consideriamo infatti che l’impatto della moneta unica oltre ai membri dell’UE finisce per coinvolgere una serie di paesi (la cosiddetta area di influenza) che vanno dalla Russia a numerose nazioni dell’Africa centro-orientale, possiamo anche comprendere perché gli Stati Uniti si dimostrino visibilmente preoccupati dalla volontà di indipendenza totale europea, visto che la diffusione del dollaro, non solo in senso fisico ma anche in senso geopolitico, si sta significativamente riducendo. La situazione internazionale, apparentemente convulsa ed incandescente, è infatti rappresentabile sinteticamente con poche linee tracciate sulle pagine di un atlante geografico. Queste linee rappresentano in modo quanto mai chiaro il disegno strategico statunitense nel mondo. Andando a rileggere quel capolavoro della geopolitica “operativa” che si materializza nel testo di Zbigniew Brzezinsky,“ La grande scacchiera’’, è possibile constatare, ex post, l’instancabile volontà di realizzare a tutti i costi progetti e programmi geopolitici, trasformandoli da semplici studi militari ed economici in veri e propri esempi di realpolitik del “fare”. La coscienza della condizione di superiorità (meditate gente… meditate) in determinati settori chiave della modernità ed ora della postmodernità, consentono la comprensione di come sia possibile proiettare idee e Weltanschauung in tutto il mondo conosciuto: «L’America – sostiene Brzezinsky – ha una posizione predominante nei quattro settori decisivi del potere mondiale: militarmente, ha un controllo mondiale incontrastato; economicamente, resta la principale locomotiva della crescita internazionale anche se incalzata in alcuni settori dal Giappone e dalla Germania (che non possiedono tuttavia le altre prerogative di potenza mondiale); tecnologicamente, mantiene un primato generale nei settori più avanzati dell’innovazione; e culturalmente, nonostante qualche aspetto grossolano, esercita un richiamo senza pari, specialmente fra la gioventù del mondo intero».