BETLEMME - Bastano dieci ore e un cattivo maestro, a preparare un kamikaze: «Il tempo di confezionare la bomba. Non dobbiamo più addestrarli, sono già pronti. Spieghiamo solo la strada da fare e il luogo dove scoppiare». Nasser lo sa bene. Una settimana fa è stato lui a salutare per ultimo Mahmud Mussa Awad, suo cugino, e a dirgli quant’era fiero del panciotto pieno d’esplosivo che gli stava legando stretto stretto sotto il maglione, allacciandolo al telefonino.
Mahmud s’è messo a un semaforo di Gerusalemme, ha aspettato il rosso, è corso davanti a un bus. Ha ucciso solo se stesso, ma a Nasser non importa: «E’ il martire di Betlemme, al 100%. Chiedi a questi bambini, se non vogliono morire come mio cugino».
Nasser non ci va, a fare il kamikaze. Trentott’anni, faccia adolescente, due baffetti radi: a Betlemme, è uno dei 5 capi delle Brigate Al Aqsa «settore sud», 500 palestinesi. Uno che comanda le azioni. Uno che manda gli uomini bomba. Davanti alla casa di Mahmud, qualche sedia di plastica per sedere e un piatto di riso unto da mangiare, Nasser racconta perché era un muratore e oggi è un signore del terrore.
Quando è entrato nelle Brigate? «Un anno e mezzo fa, all’inizio dell’Intifada». Che cosa ci vuole, per arruolarsi? «Avere 18 anni ed essere patrioti. Disposti a versare il sangue santo: non importa la religione, fra noi ci sono anche 70 cristiani. Gli aspiranti sono migliaia».
Dove trovate le armi? «Il nemico: le compriamo da lui». Vuol dire che ve le danno gli israeliani? Nasser apre il baule di un’Opel Astra, mostra due lanciarazzi. Stacca un’etichetta in ebraico: «Vengono da Hebron. Tutte le settimane ce li portano i beduini di Bir Sheva, a sud. Le armi, le troviamo anche sul mercato nero. I soldati israeliani vendono il fucile e coi soldi scappano all’estero. Riservisti chiedono in cambio droga, alcol».
Quanto vi costa? «Una bomba da kamikaze, mille dollari. Le fabbrichiamo noi. Uno staff che fa solo quello, sulle montagne. Vivono in un posto isolato perché maneggiano roba pericolosa». I kamikaze di Betlemme fanno in genere meno vittime di quelli di Jenin. C’è un motivo? «Non c’è una strategia particolare: noi dobbiamo sviluppare le nostre conoscenze, lavorare meglio con le dosi d’ossigeno, l’esplosivo».
E’ mai capitato che un kamikaze cambiasse idea? «Sarebbe umano. Ma non è mai successo». Mi dice qualche altra cifra? «Un M-16 costa 4mila dollari, un kalashnikov settemila. Poi ci sono le munizioni: uno shekel (25 centesimi di euro, n.d.r.) per ogni proiettile M-16, quindici per le pallottole dei kalashnikov. C’è differenza di prezzo, perché gli M-16 sono in dotazione all’esercito israeliano e li troviamo, i kalashnikov invece no. Ma il denaro non è un problema».
Chi paga? «Tutte le donne palestinesi che vogliono sposarsi, devono versare la loro dote: dai tre ai cinquemila dollari. Danno soldi, oro, pietre preziose. Se nasce un bambino alla famiglia non si fa nessun regalo, si dà tutto ai combattenti».
Dove vi addestrate? E’ vero che ci sono irlandesi dell’Ira, con voi? «No. Se hai un’arma in mano per due anni, e spari tutti i giorni, è facile diventare un buon tiratore. Il 90% di noi è stato nelle formazioni dell’autorità palestinese, ha imparato a sparare in Russia. Qualcuno s’è esercitato perfino nei poligoni americani».
I giornali israeliani scrivono che trattare con Arafat ormai è inutile: per fermare queste stragi si deve parlare con Narwan Barghouti, il vostro leader.
«Vogliono dividerci, è il loro gioco. Possono anche trattare con ciascun capo di Al Aqsa in ogni città, separatamente: sarebbe inutileArafat è l’uomo chiave. Se lui ci dice "andate avanti", noi andiamo. Se vuole fermarci, ci fermiamo. La nostra azione militare è connessa ai colloqui politici.Arafat è l’uomo chiave. Se lui ci dice "andate avanti", noi andiamo. Se vuole fermarci, ci fermiamo. La nostra azione militare è connessa ai colloqui politici».
Ma Arafat ha condannato i vostri attentati.«Lui è sotto pressione degli israeliani. Se non ci condanna, ha dei problemi. Quello che si dice in tv, però, non ha nulla a che fare con la politica vera».
Lei ha figli? «Due bambini». L’ultimo kamikaze, a Gerusalemme, ha ucciso una coppia che aveva due figli. Un giorno le potrebbe capitare d’incontrarli. Nasser tace per qualche secondo: «Guardate l’esercito israeliano: ha ottime armi, soldati ben addestrati, grandi mezzi. Eppure uccide donne, bambini. Noi siamo pochi e non facciamo la guerra di professione. Gli errori succedono, a volte non possiamo sapere chi c’è su un’auto che passa. Ma la maggior parte delle nostre operazioni negli ultimi due mesi è stata contro i militari, non contro i civili».
Questo lo dice lei. «No, è così. I nostri hanno un codice di comportamento: primo target, i soldati; secondo, i religiosi; terzo, ma solo quando è impossibile raggiungere gli altri due obbiettivi, si va sui civili. E’ successo che qualche kamikaze abbia rinunciato a farsi esplodere, perché in giro c’erano troppi bambini. Anche quello di giovedì, sulla King George Street di Gerusalemme, prima di morire ha camminato un po’: sperava d’incrociare un militare».
Dal "Corriere della Sera" di oggi.
Cordiali saluti a tutti
G. - L'Entità un tempo nota come "Jeronimus"