Posto di seguito un breve scritto dell'Archimandrita Silvano nella speranza di incuriosire gli amici del Forum alla spiritualità profonda e vera della Santa Ortodossia

Archimandrita Silvano (Livi)
igumeno del Monastero di San Serafino di Sarov in Pistoia

Introduzione alla Spiritualità Cristiana Ortodossa

Non è facile parlare di una “Spiritualità Ortodossa” almeno nel senso che gli
Occidentali sono ormai abituati a dare alla parola “Spiritualità” in quanto la Chiesa
degli Apostoli e dei Padri Teofori (portatori di Dio), in una prospettiva un tempo
comune all’ Oriente come all’Occidente, non distinguevano la cosiddetta
“spiritualità” dagli altri aspetti della vita del Cristiano, individualmente preso, e della
Chiesa nella sua Cattolicità.

Ogni realtà, infatti, se vuol essere affrontata ecclesialmente, deve essere
messa in una prospettiva spirituale. Nell'Ortodossia, nei Padri, la cosiddetta
spiritualità è indissolubilmente unita al dogma, alla teologia, alla liturgia, nonché
alla morale ed al Diritto canonico. In una parola: alla Vita della Chiesa come Corpo
Mistico di Cristo.

Racconta uno scrittore ortodosso prima cattolico-romano, che quando nel suo
Monastero Benedettino stava per divenire sacerdote accadde questo episodio che
riprendo testualmente dalle sue parole:
“Poco prima della mia ordinazione sacerdotale, il Padre Abate mi consigliò di
leggere qualche buon libro sul sacerdozio. Gli risposi che mi sarebbe piaciuto
leggere qualche trattato dei Padri su tale argomento.Egli replicò vivamente: "Ma
mio giovane fratello, non pensarci nemmeno! Sarai ordinato fra tre settimane: ti è
necessario qualcosa di serio sul sacerdozio. I Padri avrai sempre il tempo di leggerli
più tardi, come complemento". Così mi fu concessa una piccola opera del XIX
secolo, altrettanto sentimentale nelle sue effusioni che raziocinante nella sua
teologia. Mi sono spesso imbattuto in analoghi atteggiamenti. Un altro superiore
monastico al quale ho parlato dei Padri mi rispose: "Si, certo ci sono cose belle nei
Padri; ma vi manca la teologia e la mistica. Non vi fu vera teologia nella Chiesa
prima di S. Tommaso. E se in Oriente vi sono stati dei grandi asceti, non vi furono
mistici. Il misticismo, nella Chiesa, comincia con S. Bernardo e non è giunto a
maturità che con S. Giovanni della Croce nel XVI secolo."
(Archimandrita Placide (Deseille) - Tappe di un Pellegrinaggio in “La
Pietra” n.0/1995)

E’ evidente che sia il comportamento dell’Abate che l’affermazione dell’altro
Superiore monastico cattolico-romano sono espressione di una mentalità che tende
a separare la Mistica, terreno troppo alto per la spiritualità ordinaria dei comuni
cristiani, sia dalla teologia che dagli altri aspetti della vita della Chiesa, primi fra
tutti la Liturgia e il culto divino.

Eppure se noi domandassimo ad un antico Padre dove più che in ogni altro luogo
della vita della Chiesa noi possiamo trovare la “Vita Spirituale” della Chiesa stessa è
alla Liturgia che egli ci rimanderebbe, continua dossologia, continua lode, continua
supplica ed intercessione ma soprattutto continua epiclesi, “invocazione” del Santo
Spirito perché compia con la sua forza ciò che noi con la nostra debolezza siamo
incapaci di fare: la trasmutazione della realtà creata in realtà partecipe del divino,
di Dio il Padre,il Figlio ed il Santo Spirito.



Questo atteggiamento della Chiesa Ortodossa e dei suoi Padri si è rivelato
chiaramente nel corso della cosiddetta “controversia palamitica” o “controversia
esicasta”. Di questo dovremo parlare un po’ più diffusamente perché attualmente
molti fanno, in occidente, l’equazione spiritualità ortodossa=preghiera esicasta, oppure
ortodossia=esicasmo. Ora se questo ha un aspetto di verità non è vero in senso
assoluto e deriva da un fraintendimento. Un libro che ha avuto il grande merito di
far conoscere in occidente il mondo dell’anima ortodossa è però lo stesso libro che
ha generato il fraintendimento. Quando i Racconti di un pellegrino russo furono
tradotti nelle lingue occidentali e fece scoprire all’Occidente ormai del tutto
raziocinante ed arido l’esistenza della preghiera interiore, ossia la cosiddetta
“preghiera del cuore” gli occidentali furono subito tentati di vedere in essa una
specie di yoga cristiano, e nell’Ortodossia la forma orientale del Cristianesimo. La
contrapposizione si spostò da ortodossia/eterodossia a oriente/occidente. Mentre noi
sappiamo bene che per secoli è esistita una Ortodossia Occidentale senza che
Sant’Ambrogio o Sant’ Ilario di Poitiers abbiano mai pensato di sentirsi “orientali”.
Questo non per negare che la parte orientale della Chiesa abbia un suo “stile”
peculiare ed una sua peculiare ricchezza ma perché tutto questo nulla sarebbe se
essa avesse perso l’Ortodossia della Fede che è il suo tesoro più prezioso. Esistono
delle Chiese Orientali che sono “eterodosse” ed una Ortodossia Occidentale sta
rinascendo pur tra tanti travagli e difficoltà, e per Ortodossia Occidentale non
intendo solo, né principalmente come taluni fanno, “di rito Occidentale”. Questo
libro che mostra come attraverso la sua esperienza, anche un semplice contadino
può arrivare alla vetta più alta della preghiera e dell’unione con Dio venne
intellettualizzato. Niente di più fuorviante. La “preghiera di Gesù” praticata dal
Pellegrino Russo è una preghiera estremamente semplice e povera, è quella che in
occidente si chiama “giaculatoria” e consiste nella ripetizione del “Kyrie eleison”,
spesso ampliato nell’espressione "Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me
peccatore" o altra espressione consimile. Spesso alla Domenica o nel tempo
Pasquale si sostituisce con l’espressione “O risorto dai morti, salvaci!”, e talvolta si
alterna con invocazioni rivolte alla Deipara o ai Santi. Viene pronunciata con le
labbra a mezza voce finché, con la lunga e costante pratica, non si interiorizza e la
ripetizione vocale diviene superflua. Legata al respiro essa fa sì che tutto l’essere
umano, corpo ed anima, preghi. Presuppone inoltre che l’uomo faccia silenzio
dentro di se , unificando il pensiero sulle parole della preghiera (di qui il nome di
“preghiera monologica”, ossia “di una sola parola” ma anche “di un solo pensiero”) e
soprattutto che alla preghiera si accompagni lo sforzo ascetico che tende alla
purificazione dalle passioni, specie dell’egoismo e del primato dell’esteriore, della
sensualità, dell’edonismo. Così tutte le facoltà umane tendono a riunirsi in
quell’armonia in cui si trovavano nell’uomo edenico, prima del peccato.

E’ però necessario sapere alcune cose.

1 – La “preghiera del cuore” non è certamente l’unica forma di preghiera personale
presente nella Chiesa Ortodossa. E nemmeno la più alta che è invece la Divina
Liturgia dove si celebra l’Eucaristia del Signore e ci si nutre del Suo Corpo
vivificante e del suo Sangue prezioso. Poi il ciclo della ufficiatura quotidiana, la
lettura del salterio e tutte le altre forme di preghiera. Tutte queste forme hanno lo
stesso fine. Quello che rende “singolare” la preghiera del cuore è che, per la sua
semplicità, è adatta a ogni uomo. Per questa ragione, nel mondo ortodosso, talora è
chiamata semplicemente "la preghiera".

2 – Alcuni si sono santificati quasi esclusivamente con “la preghiera”, altri la hanno
pressoché ignorata. Basti pensare alla spiritualità sacramentaria di San Giovanni
di Cronstadt tutta centrata sull’Eucaristia . Questo non deve preoccupare perché
l’Ortodosso sa che la preghiera comunitaria e quella personale, che la preghiera
monologica e quella liturgica non sono tra di loro opposte, sono invece
complementari, sussidiarie e talvolta possono benissimo convivere anche
contemporaneamente. Spesso nel mondo ortodosso capita di vedere cristiani o
monaci nelle chiese inchinarsi, farsi il segno della Croce e recitare sotto voce la
preghiera mentre tra le dita scorre una specie di rosario che è chiamato in greco
“komvoskini” in russo “tciotki”. E questo anche durante lo svolgimento dei sacri
offici.Questo deriva dal fatto che la preghiera ortodossa non è discorsiva ma
contemplativa, risiede nel cuore (inteso non come sentimento ma come centro
dell’essere) non nell’intelletto. E’ la stessa cosa che accade quando lo sguardo si
posa su un’icona nel momento della celebrazione. Non c’è distrazione perché,
mentre gli occhi contemplano l’icona, il cuore è totalmente coinvolto nell’azione
sacra che si sta celebrando. Allo stesso modo esistono varie situazioni per la
preghiera. Si può pregare camminando, lavorando, ma si può anche isolarsi, in
silenzio tranquillo “esichia”, come fanno i monaci detti appunto “esicasti” facendo
partecipare tutto il corpo alla preghiera con una posizione raccolta oppure con delle
inclinazioni del corpo (metanie) più o meno profonde, e dei segni della croce.
L’importante è che la meta a cui si tende è il far sì che lo Spirito che s'impossessi
dell’orante. “Non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me”. La vita di San
Serafino di Sarov ha un episodio magnifico quello dell’”acquisizione della Grazia
dello Spirito santo” che trasfigura il Santo ed il suo discepolo Motovilov sulla bianca
neve della Russia, in una luce sovrumana: la Luce incerata delle energie divine di
cui parlava San Gregorio Palamas.

3 – E’ necessario distinguere “la preghiera” nella sua essenza da tutte le particolari
pratiche “fisiche” ed esercizi vari che la possono accompagnare e – se praticati
correttamente – facilitare. Non bisogna però dimenticare che fine della preghiera
nella sua essenza non è nient’altro che l’unione con Dio, la “deificazione”. ”Dio si è
fatto uomo perché l’uomo possa diventar dio” dicono ininterrottamente i Padri. A
questo tende “la preghiera” come tutta la vita Cristiana. Chi confonde l’anima della
preghiera con gli esercizi di respirazione o di concentrazione trasformandola in
yoga cristiano assume, già lo accennavamo, una posizione totalmente fuorviante. E
queste posizione, in epoca di new-age – sono, purtroppo, molto comuni. La preghiera
senza la partecipazione integrale alla pienezza della vita della Chiesa Ortodossa,
non è nulla. La preghiera senza la vita sacramentale, non è nulla. La preghiera
senza la guida di un padre spirituale ortodosso può addirittura essere pericolosa,
sia sul piano psicologico, che sul piano fisiologico, ma soprattutto sul piano
spirituale, specie se si dà soverchia importanza alle pratiche fisiche.



Dicevamo che ciò che conta nella Preghiera, come in tutta la vita Cristiana è la
tendenza alla “deificazione” che provocò una grande controversia all’epoca di San
Gregorio Palamas prima monaco Athonita poi Arcivescovo di Tessalonica. Non
possiamo qui soffermarci troppo sulla teologia Palamita, che esulerebbe dai limiti di
una introduzione ma, come abbiamo anticipato all’inizio, dobbiamo evidenziare che,
indipendentemente dal fatto che Gregorio Palamas fu il grande difensore dei
monaci esicasti , egli ha avuto il merito di mettere a fuoco una dottrina, che per gli
Ortodossi è ben più di un semplice facoltativo theologumenon, che ha mostrato che è
possibile fin da questa vita terrena l’unione con Dio e la conoscenza di Dio,
distinguendo, sulla linea dei Santi Padri che lo avevano preceduto, l’Essenza divina
dalle sue Energie increate. Dio,infatti, è inconoscibile nella sua Essenza ma è
conoscibile e partecipabile nelle sue Energie increate dette anche Attributi
(Bellezza, Sapienza, Amore, Bontà, Misericordia…. ecc.). Detto in parole semplici la
dottrina Palamita non condanna l’uomo alla realtà Creata ove la salvezza
risiederebbe, come per il Tomismo, in un “organismo sovrannaturale” – la “grazia
creata” – che si sovrappone alla natura umana come un surplus, ma nella reale
soprannaturalità dell’uomo, creato a immagine e somiglianza divina, e capace di
partecipare alle energie increate - “Grazia increata ”- divenendo egli stesso “dio per
grazia”.



Questo è il cuore stesso della vita della Chiesa, il fine a cui tutta la creazione,
insieme all’uomo, tende come nei gemiti del parto, per usare l’espressione Paolina,
finché Dio sarà “tutto in tutti” nella pienezza escatologica anticipata nella
Resurrezione di Cristo e celebrata fin d’ora nella partecipazione ai tutti-immacolati
Misteri.