Le Chiese dei Balcani e dell’Europa orientale fanno parte dell’insieme più vasto chiamato Oriente cristiano, denominazione che comprende le Chiese sorte nella parte orientale dell’Impero romano e quelle sorte in dipendenza da esse, fuori dei confini dell’Impero.
Le Chiese orientali
Un primo gruppo è rappresentato dalle Comunità cristiane del Vicino e del Medio Oriente. Esse discendono dalle prime Chiese cristiane e si sono staccate, dalla comunione della Chiesa universale, in seguito ai dibattiti teologici dei primi cinque secoli, riguardanti la definizione dei misteri cristiani della Trinità e dell’Incarnazione. Queste Chiese hanno origine dalle due tendenze dottrinali combattute dai primi concili ecumenici, fino al concilio di Calcedonia (451): il Nestorianesimo e il Monofisismo. Si parla, quindi, di Chiese nestoriane e monofisite, o anche di Chiese pre-Calcedoniane.Un altro gruppo di Chiese cristiane, invece, comprende le comunità legate, per ragioni storiche e religiose, al Patriarcato di Costantinopoli, le quali, seguendo la Chiesa Madre, si staccarono dalla Chiesa di Roma, definitivamente nel 1054. Si tratta, appunto della Chiesa greca, delle Chiese dei paesi balcanici e lituani, e dell’Europa orientale: quelle che formano la cosiddetta Ortodossia. Se alcune di queste Chiese dei Balcani subirono l’influenza del cristianesimo latino (vedi la Chiesa della Croazia, per esempio), la maggioranza di esse devono la loro origine alla Chiesa di Costantinopoli. Esse, quindi, seguirono tutte le fasi del progressivo distacco da Roma, guidato da Costantinopoli: lo scisma di Acacio nel 5 secolo, lo scisma Monotelistico nel 7, la lotta per le immagini sacre, nel secolo 8, lo scisma di Fozio nel secolo 9, fino alla separazione definitiva del patriarca Michele Cerulario, nel 1054.Il grande problema che spiega queste ed altre difficoltà sorte fra la Chiesa d’Occidente e la Chiesa d’Oriente, è il modo di concepire i rapporti fra i vescovi, fra le diverse Chiese locali, e specialmente l’autorità del Vescovo di Roma sugli altri vescovi e quindi su tutta la Chiesa. La separazione da Roma favorì un vero frazionamento del cristianesimo orientale, dove prevalse il fenomeno delle Chiese autocefale, cioè indipendenti di diritto e di fatto, che si amministrano da sé, indipendentemente da legami o rapporti con le Chiese madri dalle quali hanno avuto origine. Pur conservando una certa unità di rito (bizantino), di dottrina e di disciplina, la separazione ha rotto i legami di giurisdizione e di autorità che legavano queste Chiese fra loro. Ogni capitale di un regno cristiano rivendicava il diritto all’autonomia e alla preminenza, all’indipendenza dalla Chiesa madre: così la Chiesa Bulgara nel 927, la Chiesa Serba, nel 1235, la Chiesa russa nel 1448.Il fenomeno era favorito anche dal disgregamento dell’Impero; la protezione che esso non poteva assicurare alle Chiese era assicurata dai poteri politici dei singoli stati, ai quali in cambio si concedeva una certa autorità su materie ecclesiastiche (amministrazione dei beni ecclesiastici, leggi matrimoniali, ecc.). E’ l’insieme di queste Chiese autocefale, derivanti dall’antico Patriarcato di Costantinopoli, che costituisce quella che si chiama la Chiesa Ortodossa, o l’Ortodossia, che oggi comprende circa 180 milioni di fedeli. Il carattere nazionale di queste Chiese, la loro partecipazione e coinvolgimento agli avvenimenti che hanno forgiato le rispettive nazioni, insieme ad un certo ritardo nell’assumere la moderna distinzione del fattore religioso da quello politico, spiegano l’accusa di nazionalismo, di collusione col potere politico che viene loro mossa spesso.
La Chiesa Serbo-Ortodossa.
La Chiesa Serba Ortodossa, della quale si è tanto parlato in questi ultimi anni, rientra in questa storia. Già unita a Costantinopoli, si costituì in Chiesa autocefala nel 1235, per opera di San Sava Nemanjic, monaco, iniziatore della letteratura serba, fratello del re Stefano I Nemanjic, che lo creò arcivescovo, coll’incarico di organizzare la Chiesa Serba. Il carattere nazionale di questa Chiesa si accentuò nei secoli successivi, quando il regno serbo raggiunse una grande prosperità e una vasta espansione territoriale, inglobando la Macedonia, l’Epiro e l’Albania. Nel 1346, il re Stefano Dusan (1331-1355) si proclamò "zar" (imperatore) "dei Serbi e dei Romani, dei Bulgari e degli Albanesi" e nominò Patriarca l’arcivescovo della Chiesa Serba.
L’Islam e l’Impero Ottomano
Una componente religiosa importante della storia e della cultura di questi paesi è la religione musulmana. Mentre il Medio e Vicino oriente furono occupati dalla prima espansione musulmana effettuata dagli Arabi già nel secolo 7°, i paesi balcanici, slavi e russi caddero sotto l’interesse dell’Islam solo più tardi, per opera dei Turchi e dei Mongoli, popoli nomadi di origine asiatica, convertiti all’Islam.I Turchi Ottomani, consolidato il loro potere in Asia Minore, verso la metà del secolo 14° si rivolgono all’Europa e penetrano nei Balcani. Procedendo da sud-est, una prima serie di conquiste assicura agli Ottomani la Bulgaria (1389) e sconfigge la potenza Serba nella storica battaglia di Kossovo Polije (28 giugno 1389). L’occupazione dei territori serbi sarà completata in un secondo tempo, nella prima metà del secolo 15°, e si estenderà fino alla conquista dell’Albania, ritardata dalla resistenza di Skanderbeg (Giorgio Kastriota), tra il 1443 e il 1467. Questi paesi entrarono a far parte dell’Impero Ottomano, la cui capitale, Costantinopoli, cadde in mano turca nel 1453, e venne chiamata Istanbul.La lotta contro i Turchi è entrata non solo nella storia, ma nella epopea di questi popoli. L’ideale patriottico e il sentimento religioso si confondevano nell’esaltazione della resistenza armata contro l’invasore. Le battaglie, le vittorie, le sconfitte stesse, le gesta dei vari personaggi assunsero un valore nel definire e rinsaldare l’identità nazionale, dei Serbi, degli Albanesi e degli altri popoli che conobbero la stessa sorte. La loro letteratura popolare è piena di canti che celebrano vari episodi della secolare lotta tra turchi e cristiani e quello che potremmo chiamare il ciclo della battaglia del Kosovo (1389) è uno dei più ricchi. Per i Serbi il Kosovo, culla della potenza serba e campo di battaglia contro i Turchi, è diventato "terra storica e santa". L’occupazione turca comportò una certa islamizzazione, che si protrasse per parecchi secoli ed ebbe andamento differente, secondo i paesi. Risultati cospicui essa raggiunse soprattutto in Albania (oggi il 70% ca. della popolazione è musulmana), in Bosnia ed Erzegovina. In Kosovo la grande maggioranza della popolazione è pure musulmana. In generale le popolazioni dei balcani e dell’Europa orientale mantennero la fede e la pratica cristiana, a costo di sacrifici eroici e grazie proprio al fatto che le Chiese nazionali furono le uniche custodi delle tradizioni sacre e civili, l’unica forza di coesione dell’identità nazionale e cristiana.
Le Chiese cattoliche di rito orientale
Sotto l’influenza dell’occidente e della Chiesa latina, molti cristiani orientali hanno ripreso la comunione con la Chiesa di Roma. Ci furono tentativi di una riconciliazione comune, di tutta l’Ortodossia, nel 1274, all’occasione del Concilio di Lione, al quale parteciparono anche l’Imperatore bizantino e il Patriarca di Costantinopoli, e specialmente nel 1439 al Concilio di Firenze, dove dopo cinque mesi di serrate discussioni si arrivò ad un "Decreto di unione".Gli Ortodossi accettarono la formula del Credo che conteneva il discusso "Filioque", e anche il primato del Vescovo di Roma. Ma la pubblica opinione, in Grecia e in altri paesi interessati, sconfessò la scelta dei vescovi e dei membri orientali del Concilio. Pochi anni dopo, la caduta di Costantinopoli metteva fine all’Impero bizantino e le Chiese orientali cadevano sotto il potere dell’Impero ottomano. Da allora fu la "Santa Russia" che si considerò la guardiana dell’Ortodossia, "la Terza Roma".Nei secoli seguenti, tuttavia, per opera dei missionari in Medio Oriente e anche per la protezione dei poteri europei, particolarmente della Francia, un certo movimento favorevole alla riunione, diede origine a comunità cattoliche orientali, staccate dalle corrispondenti comunità originarie, anche da quelle non appartenenti all’Ortodossia. Unendosi a Roma esse tuttavia conservavano il rito, la lingua liturgica, le disposizioni canoniche delle rispettive comunità orientali, secondo i decreti del Concilio di Firenze. Praticamente, se si esclude la Chiesa Maronita, sempre rimasta fedele a Roma, tutte le altre Chiese cattoliche di rito orientale provengono dalla riunione con Roma di fedeli che appartenevano a Chiese separate. Si calcola che in tutto essi siano circa 12- 15 milioni. Gli Ortodossi li chiamano "Uniati", denominazione non priva di una punta di disprezzo.La posizione di queste comunità cristiane, infatti, non è delle più facili. I loro fedeli sono mal visti dai cristiani separati, perché considerati transfughi, frutto di un proselitismo inopportuno. In molti paesi non sono riconosciuti dal governo, spesso per opposizione delle Chiese ufficiali, nazionali. Essi vorrebbero essere come un ponte per facilitare il processo di riunione; ma talora sono visti, anche dai cattolici, piuttosto come un ostacolo all’unione, che oggi si preferisce perseguire per la via del dialogo, piuttosto che per quella delle singole conversioni.Le vicende delle Chiese orientali sono la testimonianza della cattolicità della Chiesa, che deve abbracciare la diversità dei riti, delle culture e delle nazioni.