I talebani sono tra noi. Mai come in questi giorni il Paese sembra spezzato in due tronconi: da una parte i cittadini moderati che cercano di ragionare e di esporre le proprie considerazioni sull'articolo 18 e sulla necessità di stare al passo con l'Europa attraverso una maggiore flessibilità del mercato del lavoro, che non significa licenziamenti tout court, e dall'altra una frangia consistente di italiani, composta anche da persone illuminate di grande cultura, che scende in piazza contro il governo Berlusconi e considera l'assalto alla riforma proposta da Maroni come se si trattasse dell'ultima presa della Bastiglia, come se fosse in gioco la sopravvivenza stessa della democrazia in Italia. E' difficile parlare di dialogo quando molti italiani sono sordi o fanno finta di essere sordi: rispolverando i vecchi tabù sulla parola «licenziamento», non vogliono ascoltare voci discordi e frappongono un muro invalicabile a qualsiasi avance del «nemico» in nome di Cofferati e della lotta al governo liberticida.
Intendiamoci, anche i ministri di Berlusconi hanno commesso molti errori, così come i vertici della Confindustria che hanno assecondato questo clima di guerra all'ultimo sangue all'insegna del «o la va, o la spacca»: c'è stato, innanzitutto, un grave difetto di comunicazione perché gli italiani non hanno ben compreso tutti gli aspetti della riforma dell'articolo 18 con i pro e i contro; si sono rivelati poi un boomerang le uscite troppo polemiche e inopportune dei ministri Martino e Bossi, che hanno accostato i sindacati ai manovali del terrorismo. E la stessa scelta di Berlusconi di non mollare di un centimetro sulla riforma può prestarsi a qualche riserva, anche se, a nostro parere, ha fatto bene a dichiarare che il governo non si lascia intimidire dalla piazza o dai colpi di pistola: in queste situazioni, come al tempo del sequestro Moro, occorre dimostrare grande fermezza. Ma, con tutte le attenuanti del caso, come giustificare le posizioni di intellettuali radical-chic che finiscono per fomentare il clima di terrore che rischia di farci precipitare nuovamente nella triste stagione degli anni di piombo?
A sentire certi benpensanti, anche Fassino è catalogato tra i moderati: sono proprio loro i primi tifosi di Cofferati come leader della sinistra. Per certi versi, è oggi più comprensibile la posizione dei sindacati che, come nella fortezza Bastiani del Deserto dei tartari, si sono arroccati per difendere il loro ruolo, minacciato a loro avviso dalla riforma dell'articolo 18, piuttosto che l'atteggiamento di molti intellettualoidi. E' ben triste spettacolo godere delle difficoltà del proprio Paese, magari rappresentandolo all'estero in preda al marasma generale.
Ci auguravamo che la tragica morte di Marco Biagi avrebbe fatto riflettere tutti sulla necessità di imboccare subito la strada del dialogo, ma il livello del confronto politico e politico-sindacale di questi giorni ci induce al pessismo: non vorremmo che l'omicidio di Bologna fosse stato vano.
di Giancarlo Mazzuca
Il Resto Del Carlino