Centinaia di chiamate alle associazioni. E le ucraine ora pensano al ricorso
IMMIGRATI NEL MIRINO
di Marzia Zamattio
TRENTO. I trentini hanno paura. Le famiglie che da anni usufruiscono dell'aiuto delle colf (2.000 per lo più irregolari), dopo la retata di lunedì temono di perdere l'unica soluzione ai loro guai. E di essere denunciati. Centinaia le telefonate giunte ai centralini di associazioni e sidacati. La domanda: cosa ci succederà e come faremo senza "badante"? Loro, intanto, stanno per presentare ricorso.
A spingere le venti donne ucraine espulse dall'Italia a fare ricorso è tutto il mondo dell'associazionismo del Trentino. A cominciare da Acli, Anolf, Atas, Caritas diocesana, Cgil e Cisl che sostengono la necessità dell'azione «affinché i giudici valutino la ragionevolezza, legittimità e opportunità di questi provvedimenti entro il termine previsto dalla legge di soli cinque giorni. L'automaticità dell'espulsione è in contrasto con principi di civiltà giuridica - spiegano tutte le associazioni in un comunicato unitario - già espressi dalle più alte corti, che hanno privilegiato istanze di solidarietà sociale in aderenza alla Costituzione rispetto a cui possono cedere, nel bilanciamento dei valori in gioco, quelle contrapposte del presidio delle frontiere e dell'ordinata regolamentazione del flusso migratorio». E poi le considerazioni sull'utilità delle badanti: «Sono per lo più casi di famiglie gravate da necessità di cura ad anziani o malati che non trovano adeguata risposta da parte dei servizi pubblici».
Tutte le altre colf irregolari, intanto, si nascondono da occhi indiscreti (ma soprattutto dalle forze dell'ordine) per paura di essere scoperte. Mentre le oltre mille famiglie trentine tremano per il timore di rimanere senza badante e per il rischio di essere denunciate. Il problema è serio. Al di là dell'intervento della polizia, spiacevole ma lecito anche se bocciato da molti organi provinciali, la difficoltà in cui si verrebbero a trovare gli assistiti di questi "angeli dell'est" (così le chiamano in molti) sarebbe notevole.
Sono quasi duemila le donne che svolgono il servizio di ausiliare domiciliare in provincia, per il 90% in maniera non regolare ed occupandosi di anziani (per la maggior parte dei casi) e di malati, ma accudendo anche bambini ed occupandosi della casa in veste di governanti. Il timore di perdere quell'aiuto fondamentale che rappresentano le assistenti domiciliari (non regolari) è predominante quasi più che il rischio di una pena che va fino ai quattro anni. Come è accaduto ieri in Veneto a cinque anziane del bellunese e ad una coppia di Padova, denunciati per aver dato lavoro a cinque clandestine.
Centinaia le chiamate ieri ai centralini delle associazioni e dei sindacati. «Siamo stati tempestati di telefonate - ha affermato Antonio Rapanà del coordinamento immigrazione della Cgil - in molti mi hanno chiamato per sapere come comportarsi. Hanno paura che l'esperienza si possa ripetere. È un fatto sconcertante - prosegue Rapanà parlando della retata - proprio quando queste famiglie erano ad un passo dall'uscire dal tunnel». Quale tunnel? «Quello dell'irregolarità - spiega - anche loro vogliono risolvere questa situazione regolarizzando le donne che offrono questo prezioso servizio. La verità è che senza di loro il sistema assistenziale provinciale salterebbe».
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