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    Predefinito Io insisto; vediamo un po'!!

    La Mappa Lunardi

    “Mafia e camorra ci sono sempre state e ci saranno sempre, bisogna imparare a conviverci, ogni imprenditore risolva il problema come vuole”.
    Alla fine di un assolato agosto il ministro delle Infrastrutture del governo Berlusconi II, tale Lunardi, spiega al Paese come gestire il rapporto criminalità – grandi opere.
    Dal giorno dopo in poi segue la solita recita a soggetto. Dopo il coro di reazioni sdegnate, il ministro si cimenta nel tentativo impossibile di fornire una spiegazione riparatrice: “La mia battuta è stata forse imprecisa o infelice. Lo Stato combatterà la malavita organizzata con impegno sempre crescente ma non è onesto illudere i cittadini sulla possibilità di sanare dall'oggi al domani questi mali profondi della nostra società”.
    Ma in fondo importa poco se davvero voleva dire questo o quest’altro. La dichiarazione di Lunardi è importante perché finalmente ristabilisce un’aderenza fin qui smarrita tra realtà verbale e realtà fattuale.
    Osserva Antonio Ingroia, pm a Palermo: “È proprio lo spirito di convivenza con la mafia che in questi decenni ha consentito a Cosa nostra di diventare l'organizzazione criminale più pericolosa in
    Italia al punto di trasformarsi in una macchina da guerra ed in un vero e proprio potere criminale che ha costantemente cercato i rapporti con la politica e con le istituzioni”.
    “Ci dobbiamo arrangiare o dobbiamo credere nella legalità, dobbiamo accettare la cinica arrogante irrisione per quanti ci hanno rimesso la vita o dobbiamo dare una lezione di civiltà con la dignità del lavoro?”, ha chiesto Pina Maisano, vedova di Libero Grassi, in una lettera al presidente Ciampi.
    Secondo l’Associazione Nazionale Magistrati le parole del ministro potrebbero rappresentare la riproposizione del famoso "tavolino" attorno al quale, fino a qualche tempo fa e forse anche adesso, politici, mafiosi e imprenditori si spartivano finanziamenti pubblici e appalti”.
    In effetti, il metodo Lunardi è quello di fatto vigente da sempre, la regola aurea cui quasi tutti si sono attenuti, imprenditori amici di Berlusconi e cooperative rosse, uomini di governo del centrosinistra e del centro destra, pregiudicati incalliti e tromboni frequentatori di celebrazioni antimafia.
    Negli ultimi anni, gli anni dei governi del centrosinistra, la regola Lunardi ha trovato sistematica applicazione, nonostante chiacchiere ipocrite e antimafia da commemorazione.
    Dunque, per gratitudine al ministro che finalmente ha messo da parte l’ipocrisia, chiameremo Mappa Lunardi la cartina dei grandi appalti cogestiti da imprese e criminalità organizzata, con la benedizione, l’indifferenza o il lasciapassare dello Stato.
    Occorre specificare che vengono solo segnalati gli appalti maggiori e che le schede riassumono i fatti in estrema sintesi. Sebbene limitate, possono però fornire un quadro di massima, per cominciare a capire con cosa dovremmo rassegnarci a convivere…
    Calabria.
    Autostrada Salerno – Reggio Calabria [1996 - 2001].
    Appaltata nel 1996 dall’appena insediato governo Prodi, rappresentava il lancio del ministro delle opere pubbliche Antonio Di Pietro e della sua volontà di garantire trasparenza e realizzazione delle opere.
    Era il più grande appalto del Sud all’indomani della stagione di Mani Pulite. Dalle inchieste delle procure di Salerno e Reggio Calabria emerge che alcuni subappalti nei rispettivi tratti sono finiti ad imprese della camorra e della ‘ndrangheta.
    Già la prima costruzione dell’autostrada fu gestita dalla criminalità calabrese, ed anzi fu l’occasione per un salto di qualità “imprenditoriale” del crimine in Calabria.
    La prova dell’estate 2001 ha messo in evidenza che i cantieri procedono a rilento, aumentando il traffico e la pericolosità della strada, una delle peggiori per il numero di incidenti. Ma anche al termine dei lavori non dovrebbe essere realizzata più che una corsia d’emergenza.
    Scuola allievi ufficiali dei Carabinieri di Reggio Calabria [1998].
    Centocinquanta miliardi di appalto finiti alla ditta “Ferrocemento”, che a sua volta ha subappaltato forniture a personaggi come Giancarlo Liberati, imprenditore reggino indagato nell’oparazione “Porto” di cui si parla nel paragrafo successivo. Accusa: concorso esterno in associazione mafiosa col gruppo Piromalli – Molè. Altri tronconi dei lavori sono finiti alla EdilMil ed all’Impegilo, che hanno ancora affidato subappalti allo stesso Liberati, che sarebbe stato anche mediatore tra i membri della cosca Rosmini e i tecnici dell’Edilmil, garante di un accordo per una tangente del 5% sull’importo totale dei lavori.
    Porto di Gioia Tauro [1998 - 2000].
    Il fiore all’occhiello dell’economia calabrese, ma anche l’unico polo economico di rilievo, è cresciuto ed è stato gestito sotto l’egida dei Piromalli, controllori storici della Piana e dei dintorni.
    “Abbiamo il passato, il presente e il futuro”, dicevano teatralmente gli uomini del clan ai dirigenti della Medcenter-Contship, la società che ha inventato lo scalo marittimo calabrese facendolo diventare in breve tempo il più grande del Mediterraneo, con tremila navi all'anno in banchina e due milioni di containers movimentati.
    All’inizio del 1999 una inchiesta della Criminalpol provava che le società di comodo dei “casati” mafiosi della Piana di Gioia Tauro in contatto con la politica, l'economia e le istituzioni, riuscivano a monopolizzare servizi, forniture e manodopera, a godere di agevolazioni finanziarie e sovvenzioni comunitarie. Erano i clan a incassare il pizzo e, addirittura, a rifornire d'acqua potabile le navi in partenza. Era la mafia a gestire gli approdi, a regolare l'accesso al porto, a controllare le manovre delle grandi portacontainers.
    In che modo ? Condizionando le scelte della pubblica amministrazione, godendo di coperture politiche e fruendo quantomeno delle “disattenzioni” della Medcenter. Due anni di indagini concluse con con 23 arresti, otto ricercati, i più bei nomi della 'ndrangheta di Gioia Tauro, di Rosarno e della Piana, dai Piromalli, ai Pesce e ai Bellocco, presi con le mani sporche assieme ai loro "uomini di paglia". Tra essi nomi importanti dell'imprenditoria, secondo i magistrati inquirenti "asserviti" al clan Piromalli-Molè, come Sebastiano Zappia e Giancarlo Liberati.
    Quest'ultimo è amministratore della Edilmil, impresa che ha lavorato alla costruzione della Scuola allievi carabinieri di Reggio.
    I due, annota il Gip, avevano messo a disposizione di Girolamo Molè, "le loro capacità tecniche e imprenditoriali, i loro rapporti e contatti con il mondo politico, economico e istituzionale". Agivano insomma da “intestatari fittizi” e hanno fatto in modo di far partecipare il gruppo criminale ai lavori che l'impresa Todini si era aggiudicata nell'area portuale. Liberati, inoltre, secondo l'accusa, si era adoperato per stabilire rapporti tra il clan, il deputato di Forza Italia Amedeo Matacena, già rinviato a giudizio per associazione mafiosa, e la società Sogesca.
    Secondo i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria la retata, tagliando le gambe alle imprese mafiose monopolistiche (Mariba, Babele...) che hanno scacciato aziende concorrenti, aiuta a ristabilire la libera concorrenza. "Pensavamo che l'arrivo di imprese di livello internazionale, come la Contship, servisse a respingere naturalmente gli appetiti mafiosi", spiega il procuratore aggiunto antimafia, Salvatore Boemi, "invece abbiamo capito che i clan di Gioia Tauro, una vera borghesia mafiosa, non hanno trascurato un bel niente di fronte alle opportunità offerte dal porto".
    L'avevano battezzata "Ultima" questa inchiesta. Ma ultima non sarà. "La storia della 'ndrangheta è questa", dice Mario Blasco, il capo della Criminalpol calabrese, "rilancia proprio quando subisce i colpi più duri". Così, mentre la Medcenter si è blindata contro incursioni 'ndranghetiste e gli investigatori si affidano a sistemi satellitari per il controllo dei containers sbarcati, la polizia ha "sistemato" nell'area portuale ben 150 agenti: "Ci sarà ancora da lavorare", afferma il questore Franco Malvano. Incominciando dalle coperture politiche che s'intravedono nel troncone dell'indagine in cui, come testimoni, sono stati sentiti Romano Prodi, il ministro Vincenzo Visco, l'ex sottosegretario ai Trasporti Giuseppe Soriero ("Il disegno mafioso che avevo denunciato alla Camera non è passato"), il deputato del Ppi Armando Veneto, per anni sindaco di Palmi, per tre governi – D’Alema II, Prodi, Amato - sottosegretario alle finanze.
    Il clan Piromalli imponeva un pizzo di un dollaro a container. In un anno da Gioia Tauro ne transitano circa due milioni. Ma da Gioia passano tabacco di contrabbando e soprattutto stupefacenti.
    Il 3 settembre del 1999 la guardia di Finanza sequestrava nel porto di Gioia Tauro 1450 chili di cocaina purissima, quasi una tonnellata e mezza di droga per un valore commerciale di 360 miliardi.
    In totale 1203 pani, uno dei più grandi sequestri mai effettuati in Europa grazie alla collaborazione di diverse polizie del continente.
    Il carico consisteva in cocaina surgelata all’interno di fusti di frutta tropicale predisposti da una società colombiana di import export legata ai cartelli di Medellin. Faceva tappa a Gioia Tauro in un complicato itinerario: dalla Colombia al Guatemala, quindi in Italia, poi in Grecia, a Salonicco, di nuovo in Italia a Trieste e quindi a Vienna. Nella capitale austriaca è avvenuto il blitz con nove arresti: tre olandesi, tra cui Robert Van De Bleek, uno dei più noti esponenti del narcotraffico europeo, due slovacchi, un macedone, un cittadino austriaco e uno greco.
    Quando il carico è arrivato in un container al porto di Gioia Tauro, ufficialmente diretto in Macedonia, i finanzieri hanno deciso di intervenire.
    “C'era una segnalazione ben precisa e una opportunità da non perdere", ha dichiarato il procuratore della Repubblica di Palmi Elio Costa, che lamentava la mancanza di un sistema di controllo video che con 35 miliardi consentirebbe di passare ai raggi X i due milioni e mezzo di container in transito nel porto ed eviterebbe tra l’altro, come è già stato accertato, evasioni per 55 miliardi per l'ingresso di tabacchi di contrabbando.
    Sicilia.
    Nuovo ospedale Garibaldi di Catania [1994 - 1997]
    I lavori per la costruzione del secondo lotto del nuovo ospedale Garibaldi avrebbero dovuto essere assegnati con la gara d’appalto conclusa nel settembre del 1997. Vinse la “Fratelli Costanzo”, ma l’appalto venne revocato per eccesso di ribasso. Fu quindi avviata la revisione della gara: la “Costruzioni Generali CGP” di Giulio Romagnoli si ritrovò prima e vinse.
    Questa la vicenda ufficiale. In realtà, Romagnoli avrebbe vinto grazie ad un accordo a tre con politici e mafiosi. Pippo Intelisano, reggente del clan Santapaola, avrebbe garantito l’appalto in cambio di lavori assegnati in subappalto e di una quota in denaro, che comprendeva il servizio di protezione al cantiere.
    Le accuse, dunque, vanno dal concorso esterno in associazione mafiosa fino alla corruzione. Una tangente da duecento milioni sarebbe stata versata all’ingegnere Franco Mazzone, presidente della commissione che ha assegnato l’appalto.
    L’accusa di turbativa d’asta, infine, è dovuta all’irregolare sostituzione dell’offerta originaria. Romagnoli, cioè, vinse la gara cambiando le carte in tavola ed abbassando l’offerta. Giuseppe Mirenna, titolare di una delle ditte sconfitte nella gara, spiega che Romagnoli si sarebbe incontrato con Pino Firrarello - deputato dell'Udr e membro della Commissione nazionale antimafia - in un albergo romano. In questo luogo sarebbe nato l’accordo per l'appalto.
    Veniamo adesso al primo lotto, assegnato nel 1994 nell’ambito del sistema Nicolosi-Siino. Michele Cavallini, responsabile della cooperativa “Iter Ravennate” avrebbe versato a Rino Nicolosi 80 milioni di tangente: si sarebbe trattato di un accordo in ottemperanza alla regola del 2,5 % del valore delle opere. In 3 anni, l’importo dell’appalto fu gonfiato dai 63 miliardi iniziali fino a 120.
    In una precedente inchiesta erano stati coinvolti l’imprenditore agrigentino Filippo Salamone, l’economista ex Pci Elio Rossitto, consulente di Nicolosi, e lo stesso Cavallini.
    Tra le accuse, anche quella di aver falsamente certificato lo stato di avanzamento dei lavori. A volte intonaci e piastrelle erano presenti sulla carta ma inesistenti nella realtà. Alcune aree del primo lotto erano state dichiarate pronte ma di fatto sono ancora inagibili. Secondo Nicolosi, “l'ingresso delle cooperative rosse avvenne senza traumi perché le stesse avevano accettato il metodo” e, dunque, partecipavano alla spartizione.
    Salvatore Gennaro - detto Turi Innaro - è titolare della ditta “Emt”, cui la Iter Ravennate affidò alcuni subappalti per operazioni di sbancamento (del resto, la “Emt” figura anche nella lista dei subappaltatori di Romagnoli). Gennaro è ritenuto il mediatore tra i mafiosi e le imprese aggiudicatrici dell'appalto. “Le indagini su Gennaro, iniziate a partire dal 1987, hanno consentito di appurare l’esistenza di una fitta rete di rapporti tra lo stesso ed alcuni noti esponenti dell’organizzazione capeggiata da Benedetto Santapaola”, affermano i giudici della DDA nel loro rapporto su Sigonella.
    La storia di Gennaro sembra paradigmatica: da vittima di estorsioni a imprenditore complice, che condivide i fini dell’organizzazione e ne ricava cospicui vantaggi.
    Stadio di baseball dello Zen di Palermo - Tavoliere, Palazzetto dello Sport e piscina di Nesima a Catania [Universiadi 1997]
    Progettato in vista delle Universiadi, lo Stadio di baseball di Palermo è risultato gestito in base al collaudato “metodo Siino”: accordo mafia-imprenditori e tangenti per tutti. E’ stato costruito dal consorzio formato da Romagnoli di Milano (indagati anche a Catania per il Garibaldi ed a Siracusa per gare sospette) ed i Mollica della provincia di Messina.
    Stesso discorso a Catania: il Tavoliere, un edificio di edilizia per studenti rimasto incompleto per anni era stato previsto come struttura residenziale per gli atleti, in attesa della destinazione definitiva.
    Ideato a metà degli anni ’70, era stato affidato allo IACP (Istituto autonomo case popolari) per la progettazione ed alla Regione Sicilia per il finanziamento. Subito arrivarono difficoltà nel reperimento fondi, e la progettazione slittò. I soldi – 67 miliardi di lire – arrivano soltanto nel 1993.
    Contemporaneamente, l’Istituto veniva commissariato dalla Regione, che affidava l’incarico al proprio dipendente Alessandro Tusa, di area PDS-CGIL. L’ingegnere Tusa era dirigente superiore presso l’assessorato ai Lavori pubblici ed aveva una grande esperienza come collaudatore di opere pubbliche. Nel 1995, Tusa presentava al pubblico il “Tavoliere”, assicurando che sarebbe stata completato prima del ’97, anno delle Universiadi. In questo modo, gli alloggi sarebbero stati proficuamente utilizzati (anni dopo, a gare abbondantemente concluse, risultava incompleto).
    Ad agosto ’97 si bandisce finalmente il nuovo appalto. Vince la Co.Ge.Co di Vincenzo Randazzo, un imprenditore nativo di Grotte (Agrigento). La CGP di Romagnoli ricorre al Tar.
    Si ripropone così lo scontro tra le due imprese già in lotta per l’appalto del Garibaldi e per gli alloggi popolari di Librino. Sappiamo oggi che lo scontro reale riguardava l’ala moderata e quella stragista di Cosa Nostra, rispettivamente rappresentate da Bernando Provenzano e Vito Vitale.
    In particolare, secondo l’ipotesi della Procura di Palermo, l’iniziale vittoria della Co.Ge.Co è stata determinata dalla volontà dei corleonesi ed in particolare di Angelo Siino. Provenzano ed i suoi referenti catanesi sostenevano al contrario Romagnoli. Si arriva così al paradossale risultato per cui lo scontro non è tra imprese “pulite” e ditte mafiose, come spesso avvenuto in passato, ma tra le due ali di Cosa Nostra !
    Anche altri due appalti catanesi delle Universiadi, la Piscina di Nesima ed il Palasport di Corso Indipendenza sono stati ottenuti dalla Romagnoli e tutto lascia presupporre che abbia funzionato lo stesso meccanismo degli altri appalti. In altre parole, nonostante l’isolameto del 41 bis, era Nitto Santapaola attraverso i suoi uomini a decidere gli appalti di una manifestazione che nei discorsi ufficiali avrebbe “mostrato al mondo il vero volto della Sicilia”.
    Autostrada Messina – Palermo tratto Caronia S.Stefano [1999] – Appalti Anas Palermo [2001]
    A marzo del 1999 gli abitanti di Messina e Palermo apprendevano che il “sogno” di un accettabile collegamento autostradale tra le due città subiva un ennesimo stop: chiuso per mafia, ancora una volta. Veniva revocato l’appalto da 89 miliardi all’associazione temporanea d’imprese “TE.DI.G” che operava nel tratto tra Caronia e Santo Stefano. Motivazione: un’informativa della prefettura di Agrigento che individuava “fondati elementi di infiltrazione mafiosa” nell’impresa “Tecnofin” già di proprietà di Filippo Salamone.
    Le conseguenze: 300 operai a spasso, lavori sospesi, appalto da rifare e A20 che da una ventina d’anni attende di essere completata.
    Ma anche le opere viarie non sono sfuggite al controllo del blocco sociale composto da imprenditori complici e crimine organizzato. Nel settembre del 2001 il Tribunale di Palermo e la Guardia di Finanza sequestrava beni mafiosi per ventitré miliardi a Nello Vadalà e Santo Schimmenti, accusati di aver partecipato alla spartizione delle gare di appalto bandite dall'Anas dall'88 al ‘98. Il patrimonio sequestrato per ordine del tribunale di Palermo consisteva in società e beni mobili e immobili delle ditte edili dei due costruttori.
    Scheda - chi è Pietro Lunardi [dal sito ufficiale del governo italiano]
    Luogo di nascita: Parma
    Data di nascita: 19 luglio 1939
    Incarico: Ministro per le Infrastrutture e i Trasporti
    Nato a Parma il 19 Luglio 1939. Laureato in Ingegneria civile trasporti all'Università di Padova nel 1966.
    In ambito professionale, la sua attività inizia nel 1967 con l'Impresa COGEFAR S.p.A., nella quale dal 1972, come responsabile dell'ufficio Geotecnico e Geomeccanico, segue la progettazione e la realizzazione di importanti opere in Italia ed all'estero. Tra esse, diverse dighe (in Camerun, in Guatemala, in Kenia, ecc. e, in Italia, a Ridracoli), gallerie e stazioni sotterranee per metropolitane (Singapore, Atene, Lione), grandi trafori (Gran Sasso e Frejus).
    All'inizio degli anni '80 intraprende la libera professione e fonda la ROCKSOIL S.p.A, distinguendosi per l'impegno profuso nello studio di soluzioni innovative, soprattutto nel campo del tunnelling e delle grandi opere in sotterraneo, che trovano larga diffusione anche al di fuori dei confini nazionali.
    Nel 1982 risolve brillantemente, utilizzando schemi progettuali innovativi, i problemi di ripristino delle fondazioni del ponte ferroviario sul fiume Taro, parzialmente crollato nel mese di Novembre a seguito di un'eccezionale piena. Il ponte venne ripristinato in tempi eccezionalmente brevi e il traffico tra il nord e il sud d'Italia riaperto addirittura prima delle ferie natalizie.
    Nel 1987 acquisisce definitiva notorietà per la riuscita gestione dell'esperimento della tracimazione del lago formatesi nella Val Pola durante l'emergenza Valtellina. Da allora è investito di numerosi incarichi pubblici e governativi. Fa parte della Commissione d'inchiesta sul tragico incendio che nel marzo 1999 portò alla chiusura del Traforo del Monte Bianco, di cui ha redatto il progetto di ripristino.
    È Presidente della Società Italiana Gallerie ed ideatore e Presidente di "Progetto Quarta Dimensione", nato nell'intento di sensibilizzare l'opinione pubblica sulla necessità di utilizzare sistematicamente il sottosuolo, concepito come "quarta dimensione" e come riserva potenziale di nuovi spazi fino ad oggi pressoché inutilizzati.
    INCARICHI MINISTERIALI
    Consigliere del Presidente del Consiglio della Repubblica Italiana per i problemi della difesa e conservazione del territorio in relazione alle grandi infrastrutture (1987-88).
    Membro permanente della Commissione Grandi Rischi del Ministero per la Protezione Civile (1984-95).
    Membro del Comitato Nazionale per la difesa del suolo (Ministero LL. PP.) (1991-94).
    Membro del Comitato Tecnico Consultivo del Capo dell'Ufficio Opere Pubbliche di Emergenza.
    Membro esperto (Art. 7) II e IV Sezione del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici dal 1987.
    INCARICHI PUBBLICI
    Presidente della Commissione tecnico-scientifica della Regione Lombardia per la ricostruzione e la riconversione della Valtellina e delle zone della Lombardia colpite dalle calamità idrogeologiche del luglio 1987.
    Vice-presidente della "Commissione Valtellina" del Ministero per il Coordinamento della Protezione Civile.
    Consulente dell'I.N.F.N. (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) per il Progetto Gran Sasso.
    Membro della "Commissione di esperti" costituita dalla Traforo del Monte Bianco S.p.A. a seguito del tragico incendio del 24 marzo 1999
    Membro della commissione tecnico-scientifica mista italo/francese nominata,a seguito seguito del tragico incendio del 24 marzo 1999, dal Comitato Comune di Amministrazione delle Concessionarie del Traforo del Monte Bianco.
    ATTIVITÀ DIDATTICA
    Docente all'Università di Padova
    Negli anni accademici 1972 - 1973 e 1973 -1974 , nel "corso di geotecnica" tenuto dal Prof. Colombo, ha collaborato in qualità di esercitatore per i temi riguardanti la meccanica delle rocce.
    Docente all'Università di Firenze
    Docente di "Consolidamento del suolo e delle rocce" presso la Facoltà di Ingegneria dal 1974 al 1989.
    Primo relatore della Tesi di laurea "Direttissima Roma-Firenze: studio per l'attraversamento in sotterraneo della città di Firenze" a cui è stato attribuito il "Premio Pontello" per la migliore laurea in ingegneria civile 1977-1978.
    Docente all'Università di Parma
    Docente di "Difesa e conservazione del suolo" presso la Facoltà di Ingegneria dal 1989 al 1994.
    Fonti: www.palazzochigi.it, la Repubblica, quotidiani locali.

  2. #12
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    Predefinito Non se ne parla più

    RICICLAGGIO SOLDI DELLA MAFIA
    Attualmente Silvio Berlusconi è sotto inchiesta da parte della Procura della Repubblica di Palermo - magistrato delegato alle indagini il sostituto procuratore Domenico Gozzo - per l'ipotesi di reato di riciclaggio di capitali provenienti dalla mafia siciliana, la meglio nota Cosa Nostra. Questa indagine nasce, per così dire, come "costola" del processo in corso sempre a Palermo contro Marcello Dell'Utri, a sua volta accusato di connivenza con questa organizzazione criminale.
    Stando alle scarne informazioni raccolte in ambienti giudiziari palermitani, a dare impulso a quest'azione della magistratura contro il Cavaliere è stato un testimone, Filippo Alberto Rapisarda, potente finanziere siciliano operante a Milano dai primi anni Settanta. Rapisarda - hanno riferito alcuni giornali fra luglio e agosto - avrebbe reso a più riprese testimonianze il cui contenuto sarebbe di estrema gravità. Avrebbe riferito di miliardi ottenuti da Berlusconi dalla "famiglia" (in senso mafioso) dei Salvo, boss di Salemi. Nino e Ignazio Salvo, oggi entrambi deceduti, entrarono nel mirino di Giovanni Falcone già a metà degli anni Ottanta, tanto che vennero rinviati a giudizio nel primo maxi processo alla mafia istruito proprio da Falcone. Nino non fece a tempo a vedere la fine del dibattimento, morì di cancro in un ospedale di Bellinzona, in Svizzera, la notte del 18 gennaio 1986. Ignazio verrà ucciso in un agguato teso da Leoluca Bagarella e altri sicari, tra i quali - pensate - anche Gaetano Sangiorgi, marito di sua nipote, Angela Salvo, la sera del 17 settembre 1992.Ebbene, stando alle dichiarazioni di Rapisarda, sentito - ripeto - in qualità di testimone dalla Procura palermitana, il Cavalier Berlusconi avrebbe ottenuto dai cugini Salvo tramite i "buoni uffici" di Marcello Dell'Utri un ingentissimo capitale.Il "prestito", sempre che si possa chiamare così, sarebbe stato erogato a cavallo tra il 1977 e il 1978, la somma era di 5 miliardi (25 miliardi e 353 milioni di oggi - fonte Istat). Vero, falso? I magistrati, coadiuvati dalla Direzione Investigativa Antimafia e da esperti della Guardia di Finanza, stanno verificando. Sempre quest'estate, la Procura di Palermo ha sequestrato i libri societari delle 22 Holding (Dalla Holding Italiana Prima alla Ventiduesima) che detengono il capitale della Fininvest. Anche in questo caso, sono in corso accertamenti. Soprattutto, si cerca di capire la ragione per la quale Silvio Berlusconi per una larga parte degli anni Settanta e Ottanta fece amministrare in maniera fiduciaria forti quote di queste società-cassaforte alla finanziaria Par.Ma.Fid di Milano, società che contemporaneamente amministrava parte dei beni di pericolosi gangster e finanzieri di mafia operanti all'ombra della Madonnina. Come vedete, al di là delle parole di molti "pentiti", non ultimo Francesco Di Carlo, che ha "narrato" di incontri diretti avvenuti a Milano fra Silvio Berlusconi, Stefano Bontate e Mimmo Teresi, - questi ultimi due all'epoca dei fatti (metà-fine anni Settanta) ai vertici dell'organizzazione mafiosa - c'è ben altro su cui i magistrati vogliono fare chiarezza. E per la verità, anche noi.

  3. #13
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    Quando fa comodo dimenticare la mafia
    GIAN CARLO CASELLI

    Nella precedente legislatura, quando la maggioranza era di centrosinistra, la Repubblica ospitò un mio intervento intitolandolo "La mafia abrogata per legge". Era un titolo "forte", per denunziare che la mafia non era più al centro delle attenzioni (e preoccupazioni) istituzionali. Che dire oggi, con la nuova maggioranza di centrodestra?
    La pessima uscita del ministro Lunardi («con la mafia si deve convivere…») in altre stagioni avrebbe scatenato un putiferio di reazioni indignate. Questa volta, invece, la tesi che si era trattato di una banale gaffe è stata presa per buona e tutto è finito lì. Non è stata invece una gaffe, ma una scelta precisa, quella di non includere la mafia fra le priorità di ordine pubblico citate nella circolare del Ministro degli Interni del settembre 2001 che detta nuovi criteri per le scorte. Il problema, allora, non è soltanto di capire (ed è già un interrogativo angosciante) perché mai si sia pensato di poter ridurre la protezione di molti magistrati che sono stati o sono tuttora impegnati nel contrasto della criminalità mafiosa. Prima ancora – trattandosi di questione generale con evidenti risvolti politici – si vorrebbe sapere in base a quali valutazioni la mafia non dovrebbe più considerarsi un'emergenza criminale di "serie A".
    Vero è che la mafia ha subito in questi anni colpi duri (nel solo anno 2000, ad esempio, la Corte d'Appello di Palermo ha inflitto ben 116 ergastoli per delitti di mafia; e l'operazione di questi giorni contro i fiancheggiatori di Bernardo Provenzano è forte prova di continuità). E' vero che la mafia, per cicatrizzare le ferite, si è "inabissata". Non più stragi né omicidi eclatanti. Non più azioni capaci di accendere i riflettori sull'organizzazione e di scatenare crisi di rigetto. Meglio trafficare nell'ombra. Meglio cercare di farsi dimenticare, per riuscire più tranquillamente a riproporre la propria egemonia sul territorio e sugli appalti, tessendo una rete di alleanze e appoggi. È però altrettanto vero che il potenziale di aggressione "militare" della mafia è ancora alto. Valorosi magistrati hanno recentemente segnalato che sarebbe in atto un serrato "confronto" fra mafiosi detenuti (non vogliono marcire in carcere e premono perché si trovi loro un qualche sbocco) e mafiosi ancora liberi, che non si impegnerebbero abbastanza a tal fine. Il "confronto" potrebbe avere, a seconda degli esiti, le ricadute più diverse. Non escluso un ritorno della strategia terroristica, sulla cui possibilità – del resto – esplicito è stato l'ammonimento di alcuni Procuratori Generali in sede di inaugurazione dell'anno giudiziario.
    E allora: perché quella circolare del settembre 2001? Perché una riduzione del livello di guardia quanto alla sicurezza di molti magistrati, che certamente sono esposti sia alle vendette postume sia alle rappresaglie contingenti della mafia?
    Un altro fatto su cui riflettere è il licenziamento in tronco di un uomo come Tano Grasso. Un uomo simbolo. Simbolo di resistenza contro l'oltraggio del "pizzo" imposto ad imprenditori e commercianti. Simbolo di coraggio e capacità organizzativa anche nei frangenti più difficili. Simbolo della possibilità di sconfiggere la mafia se si trovano (come Tano Grasso ha saputo trovare) forme efficaci di solidarietà e contrasto civile. Il suo licenziamento, in altre parole, non è soltanto un "normale" caso di "spoils system", perché ad essere stata "spogliata" non è tanto una carica, ma piuttosto un valore simbolico. E si sa quanto contino, nella lotta alla mafia, simboli e relativi messaggi.
    Un altro fatto ancora riguarda la Commissione, presieduta dal prof. Giovanni Fiandaca, che nella passata legislatura era stata incaricata di redigere un testo unico della legislazione antimafia, indispensabile per rivitalizzare tutta una serie di norme cui il decorso del tempo ha tolto incisività. Si sa che tale Commissione ha svolto un lavoro importante (in particolare per le misure di prevenzione patrimoniale) che però è necessario completare o tradurre in testo normativo. Nella nuova legislatura, invece, non sembra che sia neppure in discussione una tale eventualità, a differenza di quanto accaduto per la Commissione di riforma del codice penale, che invece è stata rinnovata (anche se il nuovo Presidente, Carlo Nordio, risponde a requisiti ben diversi da quelli propri del suo predecessore, Carlo Federico Grosso).
    Sullo sfondo, infine, vi è la sistematica aggressione contro i magistrati. Che non risparmia nessuno, se sono in gioco imputati "eccellenti". Così, quando sarà arrestato Provenzano, per i magistrati saranno lodi e incenso (sacrosanti). Ma se per caso dovessero occuparsi – facendo il loro dovere – anche di mafia e politica, sarebbero di nuovo (come sempre è stato quando hanno deluso certe "aspettative") insulti e fango. Non proprio l'ideale, per l'antimafia.

 

 
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