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  1. #1
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    Predefinito Fatta l'Europa, facciamo gli Europei.

    L'egemonia degli Stati Uniti prima e le tensioni antiglobal dopo, le spinte identitario-localistiche e la confusione delle teorie glocal : tra l'euro e l'Europa resta un oceano di ostacoli, rinvii, resistenze. Eppure, come sottolinea Maurice Aymard (sociologo francese, direttore della Maison de Sciences de l'Homme di Parigi) "Il Mediterraneo sarà il centro della politica di mediazione tra Occidente ed Islam nel nuovo secolo". Il Mediterraneo, ovvero l'Europa meridionale, potrebbe essere uno dei motori principali per la realizzazione di un nuovo ordine mondiale.

    Del passaggio dall'Europa monetaria all'Europa politica si parlerà nella giornata di studi organizzata dalla Facoltà di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Milano e dalla Federazione delle Relazioni Pubbliche Italiana. Nel corso dell'incontro, intitolato Dall'Euro all'Europa Politica , studiosi, storici, economisti e opinionisti si confronteranno sul tema: "Quale passaggio dalla moneta unica all'Unione politica?" Le varianti che intervengono in questo percorso sono molteplici e spesso discordanti: il rapporto fra l'Unione Europea e i particolarismi delle singole nazioni, l'educazione culturale e i temi legati al lavoro. Lo storico Aymard sarà uno dei relatori della giornata di studi (divisa in due sezioni, una, in mattinata, alla Casa della Cultura e una, nel pomeriggio, alla sala Lauree della facoltà di Scienze Politiche), che diventa così l'occasione per analizzare le resistenze maggiori sul cammino che porta all'unificazione politica europea.

    L'adozione dell'euro, resa obbligatoria dalle tensioni valutarie franco-tedesche, è stata solo il primo passo. Ma le recenti posizioni antiunitarie dei diversi partiti minori (non per questo poco influenti) hanno fatto sì che molti processi ritardassero. Al convegno, gli storici faranno il punto sui condizionamenti del passato e gli economisti illustreranno gli ostacoli più recenti. In primo piano, la scuola, il processo di comunicazione, l'incentivazione al turismo e allo scambio culturale. Obiettivo è l'Europa allargata, non più da considerarsi un'opzione, ma una necessità. Un obiettivo non solo da perseguire politicamente, ma anche da comunicare attraverso i canali massmediatici.




    Chissà che non venga a trovarti, Alberich...
    Se vuoi amarmi, amami per null'altro che l'amore stesso.
    Non dire mai " io l'amo per il suo sorriso, il volto, il modo di parlare " perchè queste cose col tempo possono cambiare, o cambiare per te.

  2. #2
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    Mi sai dire quand'è?
    Nell'eventualità -remota- che non venisse lui a cercare me vado io da lui, se riesco.
    saluti

  3. #3
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    Fare gli europei? NO!!!.... Non si può continuare con le spinte uniformatrici destinate ad omologare i popoli e a renderli consumatori standard, soggetti interscambiabili e sradicati, poco attenti alla propria storia e completamente aperti a un futuro fatto di banche, cibi insapori, poteri inarrivabili, benessere sfrenato, relativizzazione dei valori, strenui sostenitori di una società che a forza di aprirsi diventerà rarefatta e atomizzata,che a forza di costruire "ponti" culturali dimenticherà ogni tradizione e ogni legame originario, che etichetterà come provinciale tutto ciò che è locale, che negherà l'importanza della famiglia e della comunità .Tanto prima i figli andranno a studiare via da casa tanto meglio sarà per chi li vuole manipolare ai fini della produzione e del pensiero globale, sottraendoli a un'educazione autentica e profonda. Tanto più l'individuo sarà europeo, tanto più la creazione di VALORI morali ed economici prenderà le distanze da quei tradizionali nuclei che non sono che impedimenti al mondo della produzione, dell'informazione e dei consumi.
    E' inutile idealizzare quello che è un processo nato per servire al meglio la modernità e le sue dinamiche disumanizzanti.

  4. #4
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    Predefinito Re: Fatta l'Europa, facciamo gli Europei.

    Se 'sto thread lo vede Erasmus si fa una pippa...

  5. #5
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    Predefinito

    "Seguendo il dibattito che si sta sviluppando intorno alla “Convenzione sul futuro dell’Europa” c’è da restare per lo meno perplessi. In un recente discorso al Parlamento europeo, Romano Prodi ha invocato una costituzione “per dar vita ad una entità politica europea” capace di far fronte efficacemente alle sfide del XXI secolo. Ciò non implica, secondo Prodi, la creazione di un superstato, di un’alleanza fra stati, e neppure di una federazione, ma piuttosto di “una democrazia sovranazionale avanzata che deve essere irrobustita”.

    Continuando nelle sue argomentazioni, il Presidente della Commissione ha sottolineato che quella europea dovrà essere una costituzione diversa da tutte le altre perché deve rispettare il “metodo comunitario” e i diritti di tutti gli stati membri, piccoli o grandi che siano. Inoltre, la nuova Europa non dovrà ridursi ad una semplice cooperazione intergovernativa ma, nello steso tempo, il ruolo del Consiglio non dovrà essere in alcun modo limitato. Insomma, un bel maquillage per far brillare di nuova luce la superficie senza tuttavia intaccare la sostanza.

    Dal canto suo il Vice Presidente della Convenzione Giuliano Amato ha rilasciato qualche giorno fa una lunga intervista nella quale indica, con una suggestiva immagine, il problema da risolvere: “La Convenzione deve porre l’asta al punto al quale gli stati europei devono compiere il salto. Volete avere il ruolo di attori globali nel mondo? Volete dare maggiori garanzie di sicurezza e stabilità ai vostri cittadini? Bene, questo è il minimo che dovete fare: prendere atto che ciascuno di voi nel mondo non conta nulla. Che la somma delle vostre sovranità nazionali è la somma delle vostre impotenze. Portiamo in giro per il mondo solo i nostri sorrisi e i nostri aerei di stato”.

    Che fare, allora, per superare questa impotenza? La risposta più logica sarebbe quella di creare, in Europa, una vera unione politica, come esiste da oltre due secoli in America. D’altronde, durante l’ultimo viaggio negli Stati Uniti per partecipare ad un incontro promosso dal Council on Foreign Relations, un interlocutore americano gli ha fatto notare: “Noi parliamo con una sola voce, possiamo essere democratici o repubblicani, ma abbiamo un solo presidente, andando avanti così voi resterete in alto mare”.

    Giuliano Amato non è rimasto insensibile di fronte a questa osservazione ma non ha trovato di meglio che proporre l’elezione, in seno al Consiglio europeo, di un presidente che rappresenti l’Unione europea non per sei mesi come accade ora, ma per due anni o più. La stessa rappresentanza unitaria dovrebbe essere estesa alle altre istituzioni internazionali (l’Onu, la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale ecc.). Non si è chiesto, l’onorevole Amato, se è pensabile che la Francia, la Germania o anche la piccola Danimarca, deleghino la tutela dei loro interessi vitali al rappresentante di un altro paese? Dal momento che, come confessa nella sua intervista, sta leggendo gli scritti di Madison sulla Convenzione di Filadelfia, potrebbe fare un ulteriore sforzo e rileggersi anche quelli di Hamilton dove si spiega chiaramente che senza il meccanismo federale il problema americano (e, aggiungiamo noi, quello europeo) non sarebbe stato risolto.

    Il fatto è che nella confusione concettuale che caratterizza il dibattito, federazione e confederazione, federazione di stati e di popoli, stato federale e superstato, vengono considerate etichette prive di significato perché la sostanza è un’altra: nessuno vuole rinunciare al simulacro di sovranità di cui ammantano ancora gli stati e si va perciò in cerca di soluzioni fantasiose. Ma le alternative non sono molte: o si decide di costruire lo stato federale europeo oppure, come spiegava l’interlocutore americano, l’Europa resterà davvero “in alto mare”. "

    Un'integrazione politica, parallela a quella economica, è indispensabile più che necessaria... Ma questo non significa, che si debba andare anche verso un'integrazione culturale, che è aspetto ben diverso rispetto ai primi due, caro Zena...
    Se vuoi amarmi, amami per null'altro che l'amore stesso.
    Non dire mai " io l'amo per il suo sorriso, il volto, il modo di parlare " perchè queste cose col tempo possono cambiare, o cambiare per te.

  6. #6
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    Se 'sto thread lo vede Erasmus si fa una pippa...
    Se vuoi amarmi, amami per null'altro che l'amore stesso.
    Non dire mai " io l'amo per il suo sorriso, il volto, il modo di parlare " perchè queste cose col tempo possono cambiare, o cambiare per te.

  7. #7
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    Alberich, si dovrebbe tenere Venerdi 19 Aprile...

    Ciao.
    Se vuoi amarmi, amami per null'altro che l'amore stesso.
    Non dire mai " io l'amo per il suo sorriso, il volto, il modo di parlare " perchè queste cose col tempo possono cambiare, o cambiare per te.

  8. #8
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    Originally posted by Sir Demos

    Un'integrazione politica, parallela a quella economica, è indispensabile più che necessaria... Ma questo non significa, che si debba andare anche verso un'integrazione culturale, che è aspetto ben diverso rispetto ai primi due, caro Zena...
    L'integrazione politica è dannosa perchè allontana sempre più le decisioni politiche dalla gente. Invece di dare potere alle autonomie locali si accorpano realtà diverse per formare un Superleviatano.
    Non credo a questa idea di Europa e lo dico da tempo.

  9. #9
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    La creazione di organismi di governance sovrastatali, o meglio, organismi che superino le vecchie e anacronistiche divisioni degli stati-nazione -senza cancellarle- è una delle sfide fondamentali di questo periodo storico. Non è possibile continuare a pensare con criteri di stato-nazione o di stato etnico. Le nazioni stanno perdendo ogni potere e sono obbiettivamente insufficienti a reggere il peso di un equilibrio globale. Gli stati etnici, inoltre, non hanno modo di esistere, vista l’estrema mobilità di uomini e idee in questo periodo, mobilità destinata ad accrescersi e a dissolvere le supposte etnie, piaccia o non piaccia. Questo non significa affatto creare d’autorità una cultura standardizzata, piuttosto indica la presa di coscienza di una esigenza, quella di gestire la globalizzazione.
    L’affidarsi ad unità statali sempre più piccole come reazione legittima alla globalizzazione è giusto, ma non deve essere una crociata culturale, bensì un giusto contrappeso che garantisca la libertà e la partecipazione alla vita associata, in tutti i sensi che ad essa si possono dare. Il processo di autonomismo non va inteso come frammentazione scissionistica di un tessuto statale, ma come un processo di bilanciamento.
    L’Europa in questo senso offre un esempio unico, perchè il primo, di cessione di competenze da parte di organismi statali a favore di un organismo superiore. Spetta a noi capire quale saranno le necessità per il futuro e creare delle istituzioni che abbiano validità tra dieci, venti, cento anni.
    La vera sfida odierna è quella di dare una sostanza a ciò che fino ad ora è stato fatto. Creare, cioè, uno stato federale, seppure di tipo nuovo, in Europa e, a livello mondiale, forme di progressiva integrazione politica, tali da garantire uno sviluppo equilibrato.
    Appena ho tempo sarò più chiaro.
    salut

  10. #10
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    Originally posted by Alberich
    La creazione di organismi di governance sovrastatali, o meglio, organismi che superino le vecchie e anacronistiche divisioni degli stati-nazione -senza cancellarle- è una delle sfide fondamentali di questo periodo storico. Non è possibile continuare a pensare con criteri di stato-nazione o di stato etnico. Le nazioni stanno perdendo ogni potere e sono obbiettivamente insufficienti a reggere il peso di un equilibrio globale. Gli stati etnici, inoltre, non hanno modo di esistere, vista l’estrema mobilità di uomini e idee in questo periodo, mobilità destinata ad accrescersi e a dissolvere le supposte etnie, piaccia o non piaccia. Questo non significa affatto creare d’autorità una cultura standardizzata, piuttosto indica la presa di coscienza di una esigenza, quella di gestire la globalizzazione.
    L’affidarsi ad unità statali sempre più piccole come reazione legittima alla globalizzazione è giusto, ma non deve essere una crociata culturale, bensì un giusto contrappeso che garantisca la libertà e la partecipazione alla vita associata, in tutti i sensi che ad essa si possono dare. Il processo di autonomismo non va inteso come frammentazione scissionistica di un tessuto statale, ma come un processo di bilanciamento.
    L’Europa in questo senso offre un esempio unico, perchè il primo, di cessione di competenze da parte di organismi statali a favore di un organismo superiore. Spetta a noi capire quale saranno le necessità per il futuro e creare delle istituzioni che abbiano validità tra dieci, venti, cento anni.
    La vera sfida odierna è quella di dare una sostanza a ciò che fino ad ora è stato fatto. Creare, cioè, uno stato federale, seppure di tipo nuovo, in Europa e, a livello mondiale, forme di progressiva integrazione politica, tali da garantire uno sviluppo equilibrato.
    Appena ho tempo sarò più chiaro.
    salut
    L'hai detto: gestire la globalizzazione. Proprio l'errore più grosso, lo stato che regola il mercato...

 

 
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