Da l'Unita' (che ovviamente ha un certo taglio nel fare l'articolo)

17.04.2002
Torna in scena Le Pen, la Francia si allarma
di Gianni Marsilli

Parigi - Noiosa, ripetitiva, di scarso interesse. Anzi, «la più noiosa» delle campagne elettorali nella storia della Quinta Repubblica. Osservatori ed elettori sbadigliano e denunciano: non ci divertiamo, l'offerta è scarsa e scontata. Sarà. A noi sembra la «vieille France» che conosciamo: dolceamara, brontolona e provvida di sonnacchiose sorprese. È un primo turno presidenziale più popolato di ogni altro, questo sì. Sedici candidati in lizza, tutti in cerca di un posto al sole. Per lo più personaggi inediti: un postino trotzkista, un'elegante deputata guyanese che vuol rendere la Repubblica «più gentile», una cattolica integralista che si batte contro le coppie di fatto...
Il primo turno è lì per chiunque ne abbia voglia, purché raccolga le cinquecento firme (di altrettanti detentori di mandati elettivi) necessarie alla presentazione della candidatura. Risultato: c'è il rischio che nessun candidato, domenica prossima, vada al di là del venti per cento. Neanche Chirac, neanche Jospin. Domenica si vota in libertà: per quello di «caccia e pesca», per Arlette Laguiller, per il destro Megret... Oppure non si vota proprio, o si vota bianco. Oppure si decide sul momento, davanti all'urna: ancora due giorni fa 40 interrogati su gli istituti di sondaggio stanno impazzendo. Forniscono forchette , non azzardano previsioni, cercano nuove metodologie. Jérome Sainte-Marie, che dirige la Bva, attribuisce tanta confusione sotto il cielo al fatto che «il paese è stato cogestito per cinque anni»: vuol dire che destra e sinistra non sono più così strutturate, che la coabitazione ha livellato i confini tra «les deux France». Al Csa, l'altro istituto di sondaggio, preferiscono sottolineare che al primo turno la coerenza ideologica non è più il principio ispiratore, e che l'elettore preferisce utilizzarlo per mandare un messaggio al suo azionista politico di riferimento: per allarmare il «suo» Jospin, voterebbe la trotzkista Laguiller, per allertare il «suo» Chirac voterebbe per il thatcherian-berlusconiano Madelin.
Ecco che da qualche giorno, in un simile minestrone, gli stati maggiori cominciano a intravvedere la possibilità di una sorpresa, di quelle che ti lasciano a bocca aperta. «Le Monde» per esempio s'interroga sulla prima pagina: «L'estrema destra al secondo turno?».

Jean Marie Le Pen, 74 anni, fondatore e presidente del Fronte nazionale, ha fatto una campagna elettorale in sordina. Lui che ha sempre denunciato «l'invasione» degli arabo-musulmani ha vissuto l'11 settembre come la conferma delle proprie previsioni. Con lo stesso soddisfatto appetito ha visto il tema della sicurezza imporsi al centro del dibattito. Immigrazione e sicurezza: i suoi cavalli di battaglia da trent'anni. Ne ha fatto oggetto della sua campagna Jean Pierre Chevenement, socialista dissidente. Ai primi di marzo caracollava attorno al 14 per cento delle intenzioni di voto, oggi non va oltre il 7 per cento. Commento inappuntabile del vecchio Le Pen: «L'originale è sempre meglio della copia». Lo stesso Lionel Jospin ha dovuto impegnarsi sul tema, arrivando persino all'autocritica: «Ho peccato di ingenuità. Mi ero detto: se facciamo indietreggiare la disoccupazione indietreggerà anche l'insicurezza». È opinione comune che l'insicurezza sia invece aumentata. Come diceva Le Pen già nell'81, e nell'88, e nel '95. È proprio vero?
Le statistiche non confermano né smentiscono. Ma è vero che in Francia ci sono zone off limits per il comune cittadino: in parecchie banlieues è meglio non metter piede, e questo fa scandalo. La settimana scorsa François Bayrou, candidato centrista, era in visita in una periferia di Strasburgo. Il suo meeting è stato prima disturbato e poi fatto oggetto di una fitta sassaiola da parte di un gruppo di minorenni del quartiere. Lui non si è fatto intimidire: li ha affrontati, e mentre discuteva animatamente un ragazzino di dodici anni gli ha infilato la mano in tasca con l'intenzione di sfilargli il portafoglio. Bayrou se n'è accorto e gli ha rifilato una sberla: «Non mi svuoterai le tasche!», l'ha ammonito. L'altro ha chinato la testa, e intorno di botto tutti muti e mogi. A Bayrou il ceffone è valso tre punti in percentuale, da un giorno all'altro: dal 3 al 6 per cento.
Le Pen per queste cose si lecca i baffi. Era partito con un modesto (per lui) 9 per cento, oggi oltrepassa il 14. Ha adottato un linguaggio quasi moderato, da vecchio padre di famiglia: ve l'avevo detto, ragazzi. È convinto di passare il turno: vorrebbe farlo a spese di Chirac, il suo nemico più acerrimo. Ha già prenotato sei sale nelle due settimane tra i due turni. Si è anche assicurato il budget necessario: 2.300.000 euro. Ci crede, non c'è mai andato così vicino. Una cosa appare sicura: il «terzo uomo», la Grande Incognita che potrebbe stravolgere i giochi, è lui.

Al quartier generale di Lionel Jospin l'ottimismo è d'obbligo: «On va gagner», è la frase che accoglie ogni visitatore esterno alla «maison» dei socialisti. In verità, a scavare un po', si scopre che il maledetto tarlo del dubbio - quello che ti rode e ti consuma - si è installato ed è al lavoro. Si scopre che da un paio di giorni si è lanciato un tam-tam senza fili al fine di mobilitare le truppe: Le Pen soffia sul collo, il pericolo è reale, andate e votate Jospin. Da qui il titolo soccorrevolmente allarmista di «Le Monde»: ci vuole una scossa, un segnale chiaro di pericolo perché l'elettore anche vagamente di sinistra, ma sicuramente antilepenista, domenica prossima alzi il culo dalla poltrona dove sorseggia il suo bicchiere di bordeaux e vada a fare il suo dovere.
Lo spettro di Le Pen per spingere Jospin: giusto, tattica buona, ma segnale preoccupante. Vuol dire che la dinamica della vittoria non ha preso piede, che la maionese è impazzita strada facendo. Dominique Strauss-Kahn, che di Jospin fu ministro dell'Economia e di Jospin potrebbe essere il futuro primo ministro, dice che «la campagna è troppo burocratica». Altri, che preferiscono non essere citati, dicono che burocratico è lui, Jospin. In altre parole non avrebbe «sorpassato se stesso»: ottimo gestore e mediatore, ma privo di quel tocco da moschettiere nel quale deve riconoscersi la maggioranza dei francesi. Ti spiegano che Chirac è un ballerino della politica, ma - più di Jospin - s'identifica con l'anima del paese: conviviale, rurale, voltagabbana quanto basta, nazional-popolare. Vecchiotto, sì, ma sempre in pista, come l'immortale Citroen DS, detta anche «ferro da stiro». Capace di franche risate, e nel contempo buon navigatore nei perigliosi mari internazionali. A un presidente non si chiede tanto di ben governare, quanto di ben rappresentare lo spirito della nazione. Se le cose stanno così, Chirac è meglio armato di Jospin. Dice un grande studioso della Francia, l'inglese Theodore Zeldin, che insegna storia a Oxford: «In questa campagna presidenziale, siccome i principali programmi non sono molto differenti, la decisione si giocherà sul carattere, sulla personalità dei candidati».

Le Pen spinge, ma una sua presenza al secondo turno sfiora l'impossibile. Lo dice anche il politologo Pascal Perrineau, il massimo studioso dell'estrema destra francese: «Non ci arriverà, per quanto sia capace di nutrirsi delle inquietudini e delle angosce legate alla vita economica e sociale». Domenica sera resteranno dunque in lizza Chirac e Jospin, la cui somma dei voti al primo turno non dovrebbe superare il 40 per cento del totale. Per Jospin è una disillusione. Da mesi confidava agli intimi che a Chirac l'avrebbe fatto «esplodere in volo». Da buon calvinista, lo vedeva come un uomo di destra, corrotto e incapace. Considerava la partita chiusa: «Non mi stupisce - dice un altro politologo, Marc Lazar - un simile errore di arroganza. Chirac ha degli scheletri nell'armadio, non c'è dubbio. Ma la cosa non disturba troppo i francesi».
Il presidente assomiglia al paese, anche nei difetti. Il primo ministro no, resta chiuso nella sua torre virtuosa. Dice Lazar che Jospin ha commesso un altro errore: è partito subito come se si giocasse al secondo turno. Aveva detto in febbraio: «Non penso ad una Francia socialista». Voleva rastrellare largo, al centro. Ma al primo turno bisogna innanzi tutto raccogliere tutte le proprie truppe, e poi allargare il campo al secondo: «Adesso si corregge e mette la barra a sinistra - stigmatizza Lazar - ma c'è qualcosa di maldestro, quindi di poco credibile». Ieri Jospin ha evocato «il caso italiano», per dire che con Chirac si rischierebbe di finire con il paese nelle strade come martedì in Italia. Come del resto accadde nel '95, e Alain Juppé, premier di Chirac, dovette fare le valige. Sarà una battaglia all'ultimo voto, questo è sicuro. Sono in molti a prevedere che la partita si giocherà sul filo di una manciata di consensi. Domenica la prima manche, il 5 maggio il responso definitivo.


Precisando che NON sono ASSOLUTAMENTE d'accordo su MOLTISSIME BESTIALITA' che dice Le Pen,da osservatore esterno alla politica francese,NON mi meraviglierei vista l'incredibile presenza allogena se Le Pen facesse un notevole risultato elettorale.Anche perche' tra l'altro pare che destra e sinistra facciano appositamente finta di non vedere il casino che stano creando i magrebini islamici.
Raga,io non so se siete mai stati in Francia,ma se pensate che qui ci sono tanti immigrati,fatevi un giro a Nizza,Marisglia o a Parigi.Da paura!!!