User Tag List

Pagina 1 di 2 12 UltimaUltima
Risultati da 1 a 10 di 14
  1. #1
    memoria storica di PoL
    Data Registrazione
    07 Mar 2002
    Località
    Piacenza
    Messaggi
    4,109
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito A chi giova, a 58 anni dai fatti, rievocare Marzabotto?...

    '...quando penso ai bambini e alle madri, alle donne e alle famiglie intere, vittime dello sterminio di quella giornata di 58 anni fa, in cui i Tedeschi hanno portato violenza e immenso dolore a Marzabotto, mi pervade un profondo senso di dolore e vergogna. Mi inchino davanti ai morti...'.

    Queste le parole pronunciate di fronte ai familiari delle vittime dell'eccidio di Marzabotto, dal Presidente della Repubblica Federale Tedesca, Johannes Rau, durante la cerimonia tenutasi ieri a Monte Sole, davanti alle rovine della chiesa di S.Maria dell' Assunta. Naturalmente era presente anche il collega Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi, il cui 'discorso' è stato, come da aspettarsi, il solito miscuglio di banalità retoriche che, sia detto senza offesa, non fa oramai presa più in nessuno:

    '...mai più!...mai più odio, mai più sangue fra i popoli d'Europa!... ricordiamo gli esseri umani inermi, in gran parte donne, vecchi e bambini, che furono trucidati nei villaggi, nelle chiese, nelle piazze, nei casolari di questa montagna, divenuta la montagna dei martiri fatti oggetto ad atti di crudeltà disumana, frutto di una folle ideologia luciferina [sic!!...- n.d.r.]...la coscienza degli uomini ha condannato quell'orribile scempio, la storia lo ha giudicato...siamo oggi qui riuniti, il Presidente Tedesco e il Presidente Italiano, per rendere onore a quelle vittime innocenti, affinchè il ricordo rimanga vivo, affinchè la memoria, tramandata di generazione in generazione, costituisca monito e guida a vigile garanzia della dignità della persona umana...'

    Tralasciando, soprattutto perchè superflua, la parte rimanente del discorso che in ogni caso è reperibile facilmente, veniamo ai [pochi oramai] superstiti presenti alla cerimonia, schierati anch'essi davanti al sacrario di Monte Sole. Vi è Enrico Beccari, che ricorda il sacrificio del parroco don Giovanni Fornatini:

    '...fu lui a salvarmi e poi fu ucciso. A lui abbiamo eretto, noi superstiti che a lui dobbiamo la vita, con i sassi, il monumento che si vede salendo qui a Monte Sole...non bisogna mai dimenticare...ma qui a Marzabotto non abbiamo mai condannato il popolo Tedesco...’

    Premesso che sul fatto che 'non bisogna mai dimenticare' tutti ci troviamo d'accordo con Enrico Beccari, alcune domande, forse un poco prolisse se vogliamo, vengono assolutamente spontanee: perchè, a distanza di 58 anni, ancora si ritira fuori la vicenda di Marzabotto?... cosa vi è ancora da dire che non sia stato già detto?... non è forse tutto ciò una strumentale messainscena per 'usare' i morti di Marzabotto in chiave 'opportunistica' da parte di certe 'solite forze politiche'?...

    Per agevolare qualcuno nella rispopta a questi legittimi interrogativi potrà essere utile sapere che, memori del mostruoso episodio giudiziario che ha visto Erik Priebke comparire dinnanzi ad un tribunale della Repubblica Italiana, imputato [e poi condannato] per crimini sui quali la sentenza, per lui e per altri, di innocenza era passata in giudicato già cinquant'anni prima, alcuni magistrati italiani pensano di ripetere il 'colpaccio' e portare in tribunale alcuni ufficiali e sottoufficiali appartenenti ai reparti protagonisti degli episodi di Sant'Anna di Stazzema e Marzabotto. E' notizia di questi gioni infatti che una dozzina di ex ufficiali e sottufficiali delle SS che parteciparono alle stragi naziste di Sant'Anna di Stazzema e di Marzabotto sono ancora vivi, sono stati identificati e presto saranno interrogati dai magistrati italiani che in queste settimane si sono rivolti ai colleghi tedeschi.
    L'attenzione sarebbe concentrata su diversi nomi, ma è stato accertato che sono perlomeno ancora vivi, tra coloro già indicati oltre cinquant'anni fa, il sergente Albert Meier, 79 anni, di Essen, il sergente Albert Piepenschneider, 78 anni, di Braunschweig, il caporale Franz Stockinger, di Mauth/Heinrichsbrunn. Questi tre sottufficiali sono stati individuati e intervistati dalla televisione pubblica tedesca Ard. La Procura militare della Spezia ha già preso contatti con i magistrati tedeschi. Gli elementi emersi nel corso della trasmissione televisiva Kontraste, hanno offerto infatti agli inquirenti la possibilità di riaprire un fascicolo che sembrava essersi chiuso con la condanna all'ergastolo di Walter Reder nel 1951 e con la breve detenzione di Max Simon [condannato nel 1947 e rilasciato nel 1954]. Il maggiore Walter Reder comandava il battaglione esploratori della 16ma divisione meccanizzata delle SS, di cui il generale Max Simon era il comandante, battaglione che operò, tra gli altri, il 'rastrellamento' nel corso del quale avvenne l'episodio di Marzabotto.

    E' semplicemente superfluo rilevare che, al apri di tantissimi fatti avvenuti nel sanguinoso periodo dell'occupazione tedesca e della 'lotta partigiana', oltre cinquant'anni di storiografia e propaganda 'resistenziale' accuratamente somministrata a tutti, cominciando dalle scuole elementari, hanno totalmente distorto la 'verità' di Marzabotto. Per mostrare fino a che punto questo 'scempio' è stato portato avanti, riporterò nel mio prossimo intervento la ricostruzione, basata come sempre su accurate testimonianze e fonti documentali, dell'episodio di Marzabotto fatta da Giorgio Pisanò...

    a risentirci!...

    --------------

    Nobis ardua

    Comandante CC Carlo Fecia di Cossato

  2. #2
    memoria storica di PoL
    Data Registrazione
    07 Mar 2002
    Località
    Piacenza
    Messaggi
    4,109
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    Giorgio Pisanò

    Sangue chiama sangue

    Le terrificanti verità sulla guerra civile in Italia che nessuno ha mai avuto il coraggio di dire

    Capitolo V

    LA VERITA’ SULLA RAPPRESAGLIA DI MARZABOTTO

    [29 settembre 1944]

    Vi è una località dell’Appennino Bolognese che i comunisti hanno eretto a simbolo della gloria e del sacrificio dei partigiani e , più precisamente, dei partigiano rossi. Questa località è Marzabotto. Sui monti di Marzabotto, secondo una leggenda che oramai è diventata storia e , come tale, viene insegnata nelle scuole di ogni ordine e grado, agirono, dal settembre 1943 al settembre 1944, gli eroici partigiani della ‘Stella Rossa’, la formazione più rinomata di tutto lo schieramento resistenzialista dell’Emilia. Quelli della ‘Stella Rossa’, sempre secondo la leggenda, tennero testa strenuamente ai Tedeschi e ai fascisti, infliggendo loro perdite spaventose nel corso di cento epiche battaglie, fino a quando, il 29 settembre 1944, vennero assaliti da schiaccianti forze germaniche. I partigiani, dice sempre la leggenda, si batterono allora con coraggio leonino contro le SS, difesero i monti di Marzabotto palmo a palmo, seminando il terreno di uomini caduti con le armi in pugno; anche il comandante della ‘Stella Rossa’ restò fulminato da una raffica nemica. Alla fine questi eroi furono però sopraffatti e i superstiti riuscirono a stento a raggiungere le linee angloamericane. Vinta la resistenza della ‘Stella Rossa’, racconta ancora la leggenda, i Tedeschi si scagliarono come bestie feroci contro la popolazione civile della zona e 1800 innocenti caddero massacrati, confondendo il loro sangue con quello dei gloriosi partigiani rossi che erano morti per difendere Marzabotto e i suoi abitanti.
    Ma se questa è la leggenda, ben altra è la verità, ed è una verità spietata, che demolisce completamente il ‘mito di Marzabotto’ così come è stato imposto dai comunisti e dai loro alleati. Una verità terribile, che illumina fino in fondo il comportamento dei partigiani rossi; essi infatti furono i primi responsabili di quanto accadde a Marzabotto. Provocarono con ogni mezzo la rappresaglia tedesca, abbandonarono poi nelle mani delle SS i civili della zona, non levarono un dito per impedire che i Tedeschi massacrassero centinaia di innocenti la loro compromessi, fuggirono verso le linee angloamericane e uno di loro, approfittando dell’attacco germanico, assassinò anche il comandante della formazione per impadronirsi degli ingenti fondi che questi conservava.
    Precisiamo subito, data la gravità dei fatti che ora racconteremo, che la nostra documentazione poggia su decine e decine di testimonianze da noi raccolte sui luoghi stessi del grande dramma: testimonianze di superstiti, di familiari di caduti, di sacerdoti, di molte persone che poterono seguire con i loro occhi lo svolgersi degli avvenimenti. Precisiamo inoltre che queste testimonianze sono state raccolte in un ambiente ancora oggi incredibilmente dominato dal terrore che i comunisti sparsero a piene mani durante la guerra civile e nel periodo successivo; non potremo quindi rendere noti i nomi di tutti coloro che ci hanno fornito le notizie, perchè abbiamo dovuto espressamente impegnarci in questo senso. E’ bene però che si sappia che le testimonianze più importanti ci sono state rese alla presenza del giornalista Antonio De Carlo e di un maresciallo dei Carabinieri. Entriamo subito in argomento.

    Lo scenario in cui si svolse la tragedia è una specie di triangolo montagnoso, lungo circa trenta chilometri e largo alla base non più di tredici, che si estende dai primi contrafforti dell’Appennino a circa venti chilometri a sud di Bologna. Questo triangolo ha per vertice, a nord, il paese di Sasso Marconi; i due lati più lunghi sono segnati da due vallate nelle quali scorrono importantissime linee di comunicazione stradali e ferroviarie: a est, nella vallata del Setta, la ‘direttissima’ Bologna-Firenze e la strada Bologna-Prato che toccano i paesi di Vado e Rioveggio, a ovest, nella vallata del Reno, la ‘Porrettana’ e la strada Bologna-Pistoia, che attraversano Marzabotto e Vergato. Il lato sud del triangolo è costituito dalla strada che collega la valle del Reno con quella del Setta, passando per l’abitato di Grizzana. Si tratta di un territorio anche allora scarsamente popolato, la cui altezza si aggira sui 700 metri, e dove spiccano le cime dei monti Sole, Caprara e Giovine. Una zona boscosa, piena di anfrattuosità, ottima come base per bande partigiane. Lì, nel settembre del 1943, si costituì il primo nucleo della brigata partigiana comunista ‘Stella Rossa’, agli ordini di Mario Musolesi, detto ‘Lupo’, un meccanico nato a Vado 29 anni prima.
    Non è possibile scrivere la storia della brigata ‘Stella Rossa’ e della strage di Marzabotto senza tratteggiare, per prima cosa, la figura di Mario Musolesi: un personaggio senz’altro di rilievo, pieno di contraddizioni, che si trovò coinvolto ad un certo momento in una avventura certamente più grande di lui. I comunisti ne hanno fatto uno dei loro eroi più celebrati: ma Musolesi non era comunista e questo fu certo uno dei motivi per cui venne freddamente eliminato dai suoi stessi compagni non appena si scatenò il feroce rastrellamento tedesco del 29 settembre 1944.
    Temperamento inquieto e ribelle, Mario Musolesi venne soprannominato ‘Lupo’ fin da ragazzo. Acceso nazionalista, si era battuto con valore nel deserto africano guadagnandosi, come carrista, due ricompense al valore. ‘Tornò a Vado - ci hanno raccontato alcuni suoi vecchi amici - poco prima della caduta del regime fascista’. Sui libri partigiani è scritto che ‘Lupo’ aveva manifestato il suo antifascismo già durante la guerra, correndo il rischio di finire dinanzi al tribunale militare. Ciò è falso. Musolesi era fascista ed era restato tale anche durante i 45 giorni badogliani. A Vado e Monzuno tutti se lo ricordano bene. Venne l’8 settembre e ‘Lupo’ fu tra i primi a manifestare simpatia per la nuova repubblica di Mussolini, tanto è vero che, da più parti, venne fatto il suo nome quale possibile segretario politico del fascio di Monzuno. Ma si verificò allora un episodio che doveva imprimere un corso ben diverso agli avvenimenti: i Carabinieri avevano fermato ‘Lupo’ in seguito ad alcune denuncie presentate contro di lui tempo prima. Non si trattava di denuncie a sfondo politico; in ogni caso nulla di eccezionalmente grave. Il fatto aveva procurato malumore tra i fascisti che consideravano ‘Lupo’ uno di loro; convinti anzi che i Carabinieri avessero agito per avversione nei confronti degli aderenti alla Repubblica Sociale, erano penetrati nella caserma dei Carabinieri e avevano costretto il comandante del presidio a rimettere in libertà Mario Musolesi.
    ‘Lupo’ si diede così alla macchia e una volta raggiunte le montagne tra Vado e Marzabotto, si incontrò con altri elementi: prigionieri di guerra alleati fuggiti dai campi di prigionia, alcuni Russi disertori dalle file dell’esercito tedesco, qualche avventuriero deciso a pescare nel torbido e i primi comunisti incaricati dal partito di organizzare la guerriglia contro i Tedeschi e i fascisti. I comunisti, bene addestrati da decenni di lotta clandestina a trarre partito da ogni situazione, non tardarono ad accorgersi che ‘Lupo’ poteva rappresentare per loro una validissima carta. Il giovane infatti era molto noto nella zona e quindi poteva contare su appoggi e amicizie preziose. Era inoltre dotato di un certo fascino e nutriva grandi ambizioni. Riuscirono a lavorarselo molto bene; fecero leva sui suoi sentimenti nazionalistici e lo convinsero a riunire attorno a lui un primo gruppo di uomini per costruire la banda partigiana, garantendogli tutto l’appoggio possibile da parte dell’organizzazione clandestina comunista, che nel Bolognese faceva capo a Ilio Barontini, detto ‘Dario’.

    [continua]

  3. #3
    memoria storica di PoL
    Data Registrazione
    07 Mar 2002
    Località
    Piacenza
    Messaggi
    4,109
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    LA BRIGATA ‘STELLA ROSSA’

    Nacque così la brigata ‘Stella Rossa’, agli ordini di un nazionalista ma in realtà fermamente inquadrata da elementi del partito comunista. I rossi infatti sottoponevano chiunque al controllo dei loro ‘commissari politici’, affidando i comandi di reparto a individui spregiudicati e sanguinari. E nella vasta zona montagnosa a cavalo delle vallate del setta e del Reno cominciò l’attività dei partigiani. All’inizio non erano molti; una quarantina appena. Ma le popolazioni non tardarono ad accorgersi della loro presenza.
    ‘L’attività principale dei comunisti della ‘Stella Rossa’ - ci è stato documentato ovunque a Marzabotto, Vado, Rioveggio, Grizzana, Monzuno e così via - consisteva nella sistematica spoliazione dei civili. Casa per casa, i partigiani comunisti rastrellavano gioielli, oro, argento, denaro liquido. E guai a chi si ribellava. Guai a chi tentava di opporsi’. Su questa attività dei partigiani comunisti della ‘Stella Rossa’ abbiamo raccolto una documentazione imponente. Ecco per esempio che cosa ha raccontato un testimone che ci ha reso una deposizione scritta e firmata: ‘Una notte un capo partigiano comunista si presentò nella casa di un certo Bernabei, agricoltore e proprietario di un piccolo fondo, e gli ingiunse di consegnargli subito 150.000 lire [circa 10 milioni del 1962]. Il Bernabei rispose che non aveva assolutamente quella cifra e che anzi era in debito anche nei confronti di un suo contadino di oltre 70.000 lire. Il contadino, presente alla scena, confermò. Il partigiano però non volle intendere ragioni; disse che voleva quei soldi e che sarebbe passato il mattino seguente a ritirarli. Se non avesse trovato la somma, aggiunse, avrebbe ‘fatto fuori’ il Bernabei. Quest’ultimo, che aveva già allora settant’anni, scongiurò il partigiano di avere pietà. Riuscì solo ad ottenere però uno ‘sconto’: invece di 150.000 lire ne sarebbero bastate 100.000. Per tutta la notte il povero Bernabei si aggirò con la moglie e i due figli tra le famiglie amiche per mettere insieme la somma. Raccolse però solo 60.000 lire,. La mattina dopo, puntuale e scortato da altri comunisti, riapparve il capo partigiano, che, alla vista di quanto gli veniva offerto, divenne furibondo. Minacciò di sterminare tutti, di dare fuoco alla casa. Fortunatamente non venne sparso del sangue. Un paio dei suoi amici infatti gli consigliarono un semplice sistema per rifarsi: svaligiare la casa di Bernabei. E così fu. I comunisti portarono via tutto: le provviste alimentari, il vino, le stoviglie’.
    Ed ecco un’altra testimonianza, della quale conserviamo l’originale debitamente firmata: ‘Verso la metà di giugno del 1944 furono rinvenuti, sparsi per le strade e nella piazza principale di Monzuno, dei volantini firmati da un capo partigiano comunista della ‘Stella Rossa’. Il testo dei volantini era il seguente: Se entro il 24 giugno la milizia fascista non avrà abbandonato Monzuno, il paese verrà raso al suolo. Il terrore scese tra gli abitanti del borgo bolognese. Invano i componenti del presidio fascista, un’ottantina di ragazzi quasi tutti di età inferiore ai vent’anni e comandati da tre ufficiali, cercarono di convincere la popolazione che si trattava di un bluff. Quelli di Monzuno, in preda al panico, decisero di sfollare dal paese e , tra il 22 e il 23 giugno, abbandonarono le loro case trasportando nei casolari di campagna i loro averi, specie gli oggetti d’oro, l’argenteria, il vasellame, la biancheria. Era proprio quello che i comunisti volevano. La notte del 24 giugno infatti essi si guardarono bene dall’assalire e ‘radere al suolo’ Monzuno. Divisi in squadre invece, ‘visitarono’ ad una ad una le case di campagna dove si erano rifugiati gli sfollati e li rapinarono di tutti gli oggetti preziosi’.
    Ma non basta. Abbiamo un raccolto testimonianze ancora più gravi. Tra le altre quella di un sacerdote, don Alfredo Carboni, che visse nella zona di Marzabotto durante il periodo della guerra civile. Una testimonianza che avremo occasione di citare spesso, nel corso di questa rievocazione, perchè è una delle più esaurienti e precise. Ecco che cosa racconta don Carboni a proposito delle rapine e delle inutili crudeltà compiute dai partigiani comunisti della ‘Stella Rossa’. ‘I ribelli, che oramai tutti chiamavano partigiani secondo il termine messo in uso dalle trasmissioni radio alleate, riscuotevano all’inizio la simpatia di molti, me compreso, perchè non si prestavano al gioco dei Tedeschi e del Duce ed erano contro la continuazione della guerra ormai perduta. Dopo un poco però si misero a cercare i fascisti, e siccome i più influenti tra quelli si erano ritirati in città, se la presero con quelli rimasti a casa, con coloro, in altre parole, che erano stati fascisti come milioni di altri Italiani, non avevano mai fatto nulla di male a nessuno e di conseguenza erano certi di non avere nulla da temere. Contro questa povera gente, i comunisti si comportarono ferocemente; penetrarono nelle loro case e li spogliarono di ogni cosa. Coloro che si lamentavano o si ribellavano chiamandoli ‘ladri’ era subito prelevati, bastonati a sangue e uccisi. Di questi episodi se ne raccontano a centinaia. Ricordo il caso di un certo Dante, di Termine di Salvaro. Gli portarono via il cavallo, poi gli saccheggiarono la casa. Alla fine, siccome il poveretto, per reazione, aveva impedito alle figliole di andare a ballare con i partigiani, lo presero, lo seviziarono e lo seppellirono vivo alla Steccola di San Martino. Anche il vice podestà di Grizzana fece la stessa fine. Costui , data la posizione che occupava, aveva consigliato al figlio di rispondere alla chiamata della Repubblica di Mussolini. Il figlio però andò con i partigiani e commise l’imprudenza di raccontare che suo padre era stato contrario a questa decisione. I comunisti allora prelevarono il vecchio, portarono pure lui alla Steccola e lo seppellirono vivo. Tra gli stessi partigiani comunisti vigeva la legge della giungla: il più forte, il più furbo faceva fuori chi gli dava noia...altri uccidevano per rivalità personali o per rivalità di donne. Come moralità: zero. Non rispettavano alcuno dei dieci comandamenti [!?...tranne forse...’ricordati di santificare le feste’ don Carboni...- n.d.r.]. Bestemmiavano come demoni, ammazzavano senza scrupolo alcuno. La macchia, le stalle, i fienili erano tutto un postribolo...’.
    Nessuno riuscì mai ad impedire queste atrocità. Coloro che ci provarono, infatti, vennero implacabilmente eliminati. Il primo a morire per questo motivo fu un certo Olindo Sammarchi, di Vado. Vecchio amico del ‘Lupo’, il Sammarchi fu tra i primi a seguirlo in montagna. Quando si accorse però delle rapine e delle ruberie non volle più saperne di restare tra quelli della ‘Stella Rossa’. Dopo aver tentato invano di convincere il ‘Lupo’ che nei ranghi della brigata militava un gran numero di autentici banditi, tornò a valle. Questo fatto creò una situazione difficile tra le file della formazione. I partigiani apertamente accusati da Sammarchi di essere ladri e rapinatori si difesero accusandolo a sua volta di essere un traditore e decisero poi di togliere di mezzo l’incomodo testimone delle loro ‘imprese’, chiedendo al ‘Lupo’ di eliminarlo. Mario Musolesi però si oppose; un po' probabilmente perchè sapeva che Olindo Sammarchi non aveva mentito, e un po' perchè il sentimento della vecchia amicizia era sempre vivo in lui. Gli altri allora decisero di agire ugualmente e inviarono a Vado una squadra di esecuzione. Olindo Sammarchi fu sorpreso si di una corriera mentre tornava da Bologna in paese. Lo fecero scendere e lo freddarono a colpi di pistola sotto gli occhi terrorizzati degli altri passeggeri. Era il 22 marzo 1944. Il 4 maggio successivo anche il fratello di Olindo, Aurelio, venne colpito a morte mentre stava cercando di identificare gli uccisori del congiunto.
    Per essersi opposto alle rapine venne assassinato anche un altro giovane di Bologna, Alberto Menini. Ufficiale del Genio, il Menini, che aveva 22 anni, raggiunse la zona di Marzabotto dopo un breve periodo trascorso nelle file della Rsi. Ciò che vide lo sbalordì e l’indignò. Ben presto entrò in urto con alcuni capi della ‘Stella Rossa’; una sera infine, venuto a conoscenza che i partigiani avevano depredato una povera famiglia di contadini, reagì violentemente. Lo uccisero subito. Poi sparsero la voce che era caduto in combattimento contro i Tedeschi. A fine guerra simularono il ritrovamento della salma e organizzarono solenni funerali. I suoi famigliari riuscirono ugualmente scoprire la verità, ma oggi Alberto Menini figura tra i caduti della brigata comunista ‘Stella Rossa’.
    Fino a che punto ‘Lupo’ fu mandante e complice in queste rapine e in questi delitti?...Non è difficile rispondere a questa domanda. In realtà Mario Musolesi fu solo in parte direttamente responsabile di quanto accadde nella zona di Marzabotto; moltissime delle iniziative partirono dai comandanti in seconda, dai ‘commissari politici’. La colpa principale del ‘Lupo’ consistette nel chiudere spesse volte tutti e due gli occhi e di avvallare le atrocità e le rapine compiute dai suoi uomini. ‘C’erano tanti comandanti in seconda - racconta don Alfredo carboni - e ognuno di questi faceva quello che più gli garbava, soprattutto per quanto riguarda le rapine e i prelevamenti di persone’. D’altra parte Musolesi sapeva benissimo di non avere altre soluzioni se voleva mantenere il comando della brigata e, cosa molto più importante, salvare la vita. ‘Lupo’ del resto partecipò anche personalmente a ‘sequestri’ di particolare importanza, ma bisogna anche dire che non un grammo d’oro finì nelle sue tasche. Con tutti i preziosi di cui riuscì ad impadronirsi e che ottenne di farsi consegnare dai suoi uomini formò il ‘tesoro della brigata’, che occultò in una caverna la cui ubicazione era nota solo a lui e a pochi capi della ‘Stella Rossa’. Vale la pena, a proposito del ‘tesoro’, di riportare la testimonianza di un fascista che nel giugno del 1944 restò per 19 giorni prigioniero della ‘Stella Rossa’ e fu quindi liberato in seguito ad uno scambio. ‘Avevo conosciuto ‘Lupo’ prima dell’8 settembre - ci ha raccontato questo fascista - e non ne avevo un cattivo ricordo. Quando me lo vidi davanti, lui comandante della brigata partigiana e io prigioniero ricoperto di piaghe e lividi per le bastonate subite, mi accorsi che non era molto cambiato. Con me si comportò correttamente, quasi con gentilezza. Forse influì su questo suo atteggiamento il sapere che pochi giorni prima i suoi uomini avevano assassinato mio padre a colpi di pietra. Ricordo che mi parlò anche del suo ‘tesoro’; mi disse che lo stava accumulando perchè con quell’oro, a guerra finita, avrebbe beneficato le famiglie dei caduti dell’una e dell’altra barricata’. Come vedremo più avanti però, ‘Lupo’ fu ucciso da qualcuno dei suoi anche a causa di questo ‘tesoro’ che infatti non venne mai trovato.
    [continua]

  4. #4
    memoria storica di PoL
    Data Registrazione
    07 Mar 2002
    Località
    Piacenza
    Messaggi
    4,109
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    UNA LUNGA SCIA DI SANGUE

    In questo clima allucinante di rapine, uccisioni, scorrerie a danno della popolazione civile, i partigiani comunisti non ebbero molto tempo, almeno all’inizio, da dedicare alle imprese di guerriglia vere e proprie. Le prime azioni comunque consistettero in alcuni agguati ad automezzi isolati tedeschi sulla Porrettana, presso Vergato, e a un camion della Milizia Fascista. Queste azioni provocarono rappresaglie che costarono alla popolazione civile i primi fucilati. L’attività della brigata si intensificò con la primavera del 1944. Il bando di chiamata alle armi della Rsi aveva spinto sulle montagne alcune centinaia di giovani renitenti. Una buona percentuale di questi si arruolò nella ‘Stella Rossa’, che raggiunse così, nel maggio 1944, circa 500 effettivi. Si trattava in gran parte di comunisti o di simpatizzanti comunisti che non tardarono ad assimilare i feroci sistemi di guerriglia instaurati dagli emissari del Pci. Gli Angloamericani, dal canto loro, provvidero a potenziare la formazione rossa con nutritissimi lanci di armi e munizioni.
    Le uccisioni divennero così all’ordine del giorno. Indossando divise tedesche o fasciste, i partigiani della ‘Stella Rossa’ riuscirono a penetrare nelle caserme dei Carabinieri di Marzabotto, Savigno, Tolè e Monzuno, massacrando i militi che’ ignari, avevano spalancato le porte. A Rioveggio uccisero alle spalle due ufficiali tedeschi che stavano passeggiando in compagnia di alcune ragazze del posto. ‘Questo attentato - ci hanno detto a Rioveggio - provocò una feroce rappresaglia tedesca. I soldati nazisti cercarono i partigiani, dando loro 24 ore di tempo per presentarsi, poi scelsero undici ostaggi e li fucilarono. E pensare che partigiani che avevano compiuto l’attentato erano nati qui, a Rioveggio; eppure lasciarono che , al posto loro, pagassero undici innocenti’.
    Ma la sempre più pesante ritorsione tedesca non parve fermare i partigiani della ‘Stella Rossa’, saldamente arroccati nel triangolo montagnoso. Incuranti di quanto poteva capitare ai civili, essi continuarono ad uccidere Tedeschi e fascisti. ‘Un giorno - ci hanno raccontato a Vergato - un camion fascista venne attaccato dai partigiani. A bordo c’erano un milite, che rimase ucciso sul colpo, e un ufficiale, che restò ferito e venne ricoverato in una casa colonica. Ma i partigiani, che dopo l’attentato si erano subito ritirati nei boschi, riuscirono a sapere che l’ufficiale non era morto. Si recarono allora nella casa colonica. Là trovarono un medico che stava curando il ferito. ‘Dottore - gli domandarono - c’è speranza che si salvi?...’. Timidamente il medico rispose: ‘...io penso di si...’. Allora i partigiani, senza aggiungere parola, scaricarono le loro armi sul ferito e se ne andarono’.
    ‘Ne abbiamo viste di tutti i colori - ricordano a Vado - In una frazione qui vicino si erano accampati per un po' di tempo alcuni soldati tedeschi che dovevano impiantare una teleferica. Erano, per lo più, dei buoni figlioli, e avevano stretto amicizia con le famiglie del luogo. Alla fine se ne andarono. Un giorno però, a metà giugno del 1944, uno di questi tornò nella frazione per salutare i suoi amici italiani. Nella casa dove si recò però era presente anche un giovane componente della famiglia, già da tempo partigiano della ‘Stella Rossa’. Questi simulò grande cordialità nei confronti del soldato tedesco, tanto che ad un certo punto lo invitò a seguirlo nei campi per prendere una boccata d’aria in attesa della cena. Fatti pochi passi, senza valutare il terribile pericolo di rappresaglia cui esponeva tutta la sua famiglia, uccise il soldato tedesco con un colpo d’accetta. Poi fuggì. Fortuna volle che il comando tedesco non riuscì a sapere che fine avesse fatto quel soldato i cui resti ancora oggi riposano nella campagna bolognese’.
    I Tedeschi tentarono, invano e in più di una occasione, di circondare i partigiani della ‘Stella Rossa’. I comunisti però riuscirono quasi sempre a sganciarsi tempestivamente senza il combattimento. Uno dei rastrellamenti più massicci venne compiuto negli ultimi giorni di maggio del 1944. In quella occasione, secondo i testi di storia partigiana, i Tedeschi vennero sconfitti ed ebbero 554 morti e 639 feriti. Non è assolutamente vero. I Tedeschi non persero un solo uomo perchè gli scontri con i partigiani si limitarono a brevi scambi di fucileria. Furono i partigiani a perdere quattro dei loro che, catturati, vennero subito passati per le armi. Ma chi fece le spese della situazione fu, come al solito, la popolazione civile, abbandonata dai partigiani rossi alla mercè delle truppe rastrellatrici. I partigiani comunisti non mossero un dito per difendere quella povera gente. ‘Scomparso il pericolo - racconta don Alfredo Carboni rievocando quelle giornate - i partigiani comunisti tornarono nella zona e ripresero le scorrerie per requisire animali, viveri e denaro. Rincominciarono anche ad uccidere Tedeschi e fascisti isolati. Di questi fatti poco eroici se ne verificarono a decine. A Gabbiano di Monzuno, per esempio, due Tedeschi che stavano acquistando uova dai contadini furono sorpresi da una pattuglia partigiana guidata da un certo ‘Aeroplano’. I Tedeschi capirono subito di non essere in grado di opporre resistenza e alzarono le mani in segno di resa. I comunisti spararono ugualmente uccidendone uno. L’altro venne trascinato prigioniero alla base partigiana. Conoscendo la fama di ferocia dei partigiani rossi, il soldato germanico tentò inutilmente di impietosirli mostrando anche le fotografie della moglie e dei suoi due bambini. Lo legarono con i piedi ad un paletto e gli inchiodarono le mani al suolo con due pugnali. Poi lo lasciarono morire così’.
    Ma l’episodio che ancora oggi [la prima edizione di questo testo è degli anni ‘60 - n.d.r.] è ricordato con raccapriccio in tutta la zona si svolse tra il 18 e il 20 giugno del 1944. Ne furono vittime tredici giovani, tutti di Parma: Bruno Abati, Arrigo Benelli, Mario Bernini, Vittorio Bertoli, Lavinio Brunelli, Antonio Merli, Orlando Orlandini, Aves Prioli, Walter Quintavalle, Ugo Rolli, Alfredo Sbrollini, Giulio Scandola. Questi ragazzi, dopo la costituzione della Rsi e il successivo bando di chiamata alle armi, nel timore di essere inviati in Germania, avevano preferito arruolarsi nella Milizia Ferroviaria ed erano stati destinati a sorvegliare un tratto della linea Porrettana, presso Ricoveggio di Grizzana. I rapporti tra questi giovani militi, arruolati per forza, e i partigiani della zona non furono mai cattivi; fin dall’inizio i militi fecero capire che alla prima occasione sarebbero passati armi e bagagli nelle bande comuniste, ad un certo momento, intavolarono trattative precise in questo senso. La sera del 18 giugno, rassicurati che sarebbero stati accolti fraternamente dai partigiani, i tredici militi disertarono riuscendo a portare con loro, prigionieri, anche tre graduati che non intendevano passare con i partigiani e due soldati tedeschi. Tutto ciò risulta non solo da precise testimonianze di alcuni civili che assistettero alle trattative, ma anche da un documento rilasciato in data 29 novembre 1945 dalla federazione bolognese della Associazione Nazionale Partigiani [ANPI] ai famigliari dei tredici militi, e nel quale è confermato che i giovani, passati in una formazione partigiana, ‘erano stati assunti in forza non essendo risultate a loro carico prove dirette di collaborazione con i nazifascisti’.
    Nemmeno 48 ore dopo però i tredici militi vennero invece barbaramente massacrati. Siamo riusciti a rintracciare gli atti del procedimento penale che i parenti delle vittime cercarono di muovere nei confronti degli assassini e, soprattutto, siamo riusciti ad identificare e avvicinare dei testimoni bene al corrente, per conoscenza diretta, di come si svolsero gli avvenimenti. Appena giunti tra i partigiani della ‘Stella Rossa’ i tredici militi vennero disarmati e scortati al comando della formazione per essere interrogati. Tutto ciò non mancò di sollevare l’inquietudine dei ragazzi che credevano di essere accolti a braccia aperte dai comunisti. Il trattamento loro riservato poi fece cadere molte altre illusioni e, la notte tra il 19 e il 20, uno di loro tentò la fuga. Venne però ripreso e, come già era capitato ad altri, orribilmente seviziato e sepolto ancora vivo. Subito dopo toccò ai suoi compagni. Senza avere alcuna colpa, senza essere minimamente complici o responsabili della fuga, essi furono dati in pasto agli elementi più criminali della formazione. Dopo sevizie spaventose i dodici vennero poi condotti fino alle pendici del monte Vignola e lì massacrati insieme a un carabiniere e a un soldato tedesco. I corpi furono sepolti in una fossa comune.
    Le indagini condotte a guerra finita dai famigliari non tardarono ad appurare ciò che del resto era ben noto a tutti, e cioè che l’ordine di massacrare i prigionieri era stato impartito dal vicecomandante della formazione comunista, Gianni Rossi, diventato poi nel dopoguerra ricco proprietario di autocorriere. Nei confronti del Rossi venne presentata regolare denuncia. Il processo però non ebbe mai luogo. Nel corso dell’istruttoria infatti, coloro che sapevano la verità non vollero deporre e coloro che si presentarono davanti ai magistrati per ‘illuminare la giustizia’ deposero il falso. Questi falsi testimoni giunsero infatti ad affermare che i giovani non si erano spontaneamente consegnati ai partigiani, ma erano stati catturarti,. Sostennero inoltre che la fucilazione venne decisa in quanto i prigionieri avevano tentato la fuga durante un rastrellamento tedesco a Monte Pastore, quando invece è storicamente accertato che il rastrellamento in questione venne sferrato il 15 giugno, tre giorni prima cioè che i giovani disertassero passando nelle file partigiane. Precisarono infine che l’ordine di esecuzione era stato impartito personalmente dal comandante della ‘Stella Rossa’, Mario Musolesi, ben sapendo che Musolesi, morto il 29 settembre 1944, non avrebbe potuto smentirli. I magistrati, trovandosi nella impossibilità di confutare queste false testimonianze e di spezzare il muro di omertà che allora legava in maniera ferrea gli ex appartenenti alla ‘Stella Rossa’, non poterono far altro che prosciogliere il Rossi. In data 26 gennaio 1953 il giudice istruttore del Tribunale di Bologna dichiarò ’non doversi procedere contro Giovanni Rossi od altro partigiano in sua vece, perchè non punibile per avere compiuto una azione di guerra’.
    Venne l’estate e l’avanzata alleata verso nord fece pensare a molti che gli Angloamericani non avrebbero tardato a superare l’Appennino e a dilagare nella Pianura Padana. In quei giorni la ‘Stella Rossa’ giunse a contare più di ottocento uomini e il triangolo montagnoso cominciò a popolarsi anche di civili. Erano gli abitanti di Marzabotto, Vergato, Vado, Monzuno, Monzuno, Grizzana e degli altri centri del fondovalle, che sfollavano non solo a causa dei bombardamenti, ma anche in vista dei combattimenti che sarebbero certamente infuriati lungo le linee di comunicazione tra le truppe germaniche e quelle angloamericane avanzanti.
    La certezza che gli Angloamericani stavano per arrivare moltiplicò l’aggressività dei partigiani. Si trattò sempre e comunque di imboscate, agguati a soldati o a mezzi isolati. La leggenda che i comunisti della ‘Stella Rossa’ abbiano inflitto bravi perdite ai Tedeschi e ai fascisti attaccandoli, distruggendone le basi e interrompendo le grandi linee di comunicazione che scorrono nelle vallate del Setta e del Reno è frutto di fantasia. In realtà tutto si risolse in uno stillicidio quotidiano di uccisioni, contrarie ad ogni legge di guerra, che ottennero il solo risultato di inferocire i Tedeschi e di scatenare violente rappresaglie che si abbatterono purtroppo quasi esclusivamente sulla popolazione innocente. ‘La notte tra il 2 e il 3 giugno - ricorda ancora don Carboni - una pattuglia di partigiani sparò contro una colonna di automezzi in marcia sulla Porrettana, tra Silbano e Pioppe. Due camion in fiamme precipitarono nel fiume Reno. Poche ore dopo, all’alba del 3 giugno, le SS giunsero sul posto e, come era accaduto nei giorni precedenti a Casaglia, misero a ferro e fuoco le case dei contadini. Gli abitanti di una piccola frazione, Malfolle, furono tutti costretti a trasferirsi a Bologna. Alcuni civili vennero fucilati sulle aie delle case o uccisi mentre tentavano la fuga. I partigiani rossi non si fecero vedere; erano scomparsi dalla zona subito dopo l’imboscata. I Tedeschi rastrellarono anche il versante di San Martino e Salvaro, bruciando quattro case. Invano gli abitanti, sapendo che i partigiani erano nascosti lì vicino, sperarono di essere difesi. I comunisti anche in questa occasione non si mossero. Altri attacchi a vetture isolate furono compiuti a Monzuno, Trasasso, Gabbiano, su per la strada di Monte Pastore. Se non furono eseguite rappresaglie fu per merito dei sacerdoti che intervennero presso i comandi tedeschi per scongiurarli’.
    Agguati, imboscate, delitti di ogni genere, assai spesso originati da motivi che con la guerra nulla avevano a che fare, vennero in seguito sistematicamente presentati come ‘epici e gloriosi episodi’. Molto interessante a questo proposito si è rivelato il controllo dei ‘bollettini di guerra’, diramati dal comando della ‘Stella Rossa’ e pubblicati poi, in parte, sull’Indicatore partigiano, un periodico edito a cura dell’ANPI di Bologna, nel numero 4 del 1949 interamente dedicato a Marzabotto. Vi si legge, per esempio. ‘1 agosto. Nostra pattuglia in servizio esplorativo si scontrava, nei pressi di Castel d’Alpe, con pattuglia guardafili tedesca composta da un sottufficiale e un graduato. All’intimazione ‘altolà’ tentavano di fuggire. Venivano presi, interrogati, e confessavano di trovarsi in servizio. Venivano passati per le armi’. A quanto ci è risultato il fatto si svolse esattamente in questi termini, ma vale la pena di rilevare lo strano principio, contrario alle norme accettate in qualsiasi Paese e in qualsiasi esercito, in base al quale dei soldati fatti prigionieri potevano essere fucilati perchè ‘confessavano di trovarsi in servizio’.
    Ecco un altro esempio di come i partigiani della ‘Stella Rossa’ intendessero la guerra. ‘2 agosto. Squadra d’azione del 1° distaccamento in servizio esplorativo nella zona di Piamaggio di Monghidoro attaccava nella notte una autocorriera tedesca. Venivano uccisi due Tedeschi e ferito uno. Sono stati recuperati: 1 fucile, 1 rivoltella, 60 colpi, 1 borsa di cuoio contenente carte topografiche dell’Italia del tipo aeronautico, documenti vari, 1 coperta, 2 pastrani di gomma’. Siamo stati in grado poi di appurare che la autocorriera attaccata di notte era in realtà una camionetta con a bordo tre soldati tedeschi che non si accorsero dell’imboscata e non fecero in tempo a difendersi.
    Ancora: ‘10 agosto. Una pattuglia del 4° distaccamento procedeva al fermo del fascista Bortolotti Duilio in località Farneto. E’ stato in seguito giustiziato’. ‘11 agosto. Una pattuglia del 4° distaccamento catturava i fascisti Preti Gaetano e Masetti Ernesto che venivano giustiziati’. ‘11 agosto. Una pattuglia del 1° distaccamento procedeva al fermo di un fascista repubblicano del battaglione della morte in permesso a Castel d’Alpi. Veniva recuperato un moschetto con relative munizioni. Il fascista veniva passato per le armi’. ‘14 agosto. Da una nostra pattuglia veniva catturato il fascista Zagnoni Lucio, che veniva giustiziato’.
    Potremmo continuare per un pezzo ma, in definitiva, la storia della banda partigiana comunista ‘Stella Rossa’ è fatta tutta di episodi del genere. E’ necessario comunque precisare che di questi ‘fascisti giustiziati’ solo uno, quello catturato mentre era in permesso a Castel d’Alpi, era effettivamente iscritto al partito fascista repubblicano. Gli altri sono stati definiti ‘fascisti’ nei bollettini partigiani per motivi facilmente intuibili; in realtà erano dei civili che vennero assassinati per rapina o per motivi personali. Questa elencazione di ‘azioni di guerra’ lascia comunque comprendere molto chiaramente le cause che determinarono le rappresaglie e i rastrellamenti, senz’altro spietate e spesso feroci, compiuti nella zona di Marzabotto da fascisti e Tedeschi. Non bisogna dimenticare infatti che i soldati tedeschi e quelli fascisti appartenevano a formazioni regolari, riconosciute e protette dalla Convenzione Internazionale dell’Aia, mentre i partigiani erano considerati a tutti gli effetti dei ‘fuori legge’ e dei ‘franchi tiratori’. Le valutazioni di opportunità politica in base alle quali nel dopoguerra il governo italiano ha voluto parificare i partigiani alle forze regolari dello Stato, non possono in realtà annullare una realtà di fatto che, del resto, è stata abbondantemente consacrata a guerra finita da numerose sentenze del Tribunale Supremo Militare.
    Per gli abitanti delle vallate del Setta e del Reno, presi tra i due fuochi degli attentati partigiani e delle ritorsioni tedesche, quelli furono giorni spaventosi. Il 21 luglio 1944 a Pian di Setta i Tedeschi effettuarono arresti, perquisizione e incendiarono delle case. Il 23 luglio fucilarono sette ostaggi a Molinelle di Veggio e dieci a Malfolle. Pochi giorni dopo, a Sasso Pontecchia, altri dieci ostaggi finirono al muro. Nessun comunista sparò mai un sol colpo per difendere quella povera gente.
    Quanti furono gli innocenti che in quelle settimane vennero sacrificati sull’altare della ‘guerra privata’ comunista?...E’ difficile fare un conto esatto anche perchè, a guerra finita, i comunisti hanno inserito i nomi di molti di questi morti tra i caduti partigiani o tra le vittime della strage di Marzabotto. Si tratta comunque di due o trecento persone. E molte di queste, va aggiunto, furono uccise dagli stessi comunisti che colpivano senza misericordia chiunque si avventurava, senza essere segnalato preventivamente, tra le montagne dove si era attestata la brigata ‘Stella Rossa’, oppure chi, tra gli sfollati, tentava per qualsiasi motivo di tornare a valle.

    [continua]

  5. #5
    memoria storica di PoL
    Data Registrazione
    07 Mar 2002
    Località
    Piacenza
    Messaggi
    4,109
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    LE PREMESSE DELLA TRAGEDIA

    In questa paurosa realtà di sangue e di terrore giunse il mese di settembre, allorchè gli Angloamericani, superato il crinale dell’Appennino Tosco-Emiliano, cominciarono ad avanzare nelle vallate che sfociano nella pianura emiliana. A Marzabotto, Vergato, Vado, Monzuno e sulle montagne dove si erano sistemati alla meno peggio centinaia di sfollati, in assoluta maggioranza persone anziane, donne e bambini, cominciò a udirsi distintamente il rombo delle cannonate. Ebbe inizio così l’ultimo atto della tragedia, quello che doveva culminare il 29 settembre nella strage di Marzabotto.
    Ai primi di settembre le truppe alleate giunsero a pochi chilometri dalla zona montagnosa dove, ormai da mesi, si erano attestati i partigiani comunisti della brigata ‘Stella Rossa’. Questo fatto suscitò nei partigiani rossi la certezza che, almeno per loro, la lotta stava per finire. Si determinò così nelle file della brigata una euforica aspettativa nella quale si dissolveva l’incubo della presenza tedesca nelle valli sottostanti. Questo stato d’animo, abilmente sfruttato dagli onnipresenti ‘commissari politici’ comunisti, gli unici che in realtà avevano l’effettivo controllo della formazione, accellerò i tempi della tragedia. Ecco infatti che cosa racconta a questo proposito un abitante di Rioveggio che raggiunse nel mese di settembre la zona della ‘Stella Rossa’ per sfuggire ai pericoli del passaggio del fronte nella vallata del Setta e che si salvò poi miracolosamente dalla strage. ‘La ‘Stella Rossa’ in quei giorni aveva raggiunto 1500 uomini. Si trattava, in assoluta maggioranza, di comunisti il cui unico sogno ormai era quello di scendere a valle per imporre, col mitra e col terrore, la nuova legge di marca sovietica. La vicinanza delle truppe alleate moltiplicò la baldanza dei comunisti; sicuri che i Tedeschi e i fascisti erano troppo impegnati per eseguire altri rastrellamenti, i rossi accentuarono le puntate a valle. Ma su questo punto è necessario essere estremamente chiari: le azioni non erano tutte dirette, come poi si volle far credere, contro le truppe germaniche in ritirata. Gran parte degli attentati venivano compiuti contro altri Italiani e per motivi che con la guerra o con la democrazia poco avevano a che fare. Quel mese di settembre, e basta sfogliare i registri parrocchiali per accertarsene, vice cadere nelle valli del Setta e del Reno decine di persone, quasi tutte liquidate con la sbrigativa e mai provata accusa di essere delle ‘spie nazifasciste’, in realtà per questioni personali. L’euforia del momento ebbe anche un’altra grave conseguenza: i comunisti abbandonarono gran parte delle misure di prudenza che in passato avevano permesso loro di avvistare in tempo eventuali truppe rastrellatrici e di abbandonare tempestivamente la zona. I posti di guardia restarono vuoti. Sulle aie dei cascinali occupati dagli sfollati e dai partigiani ogni sera si organizzarono balli. Gran parte dei capi e dei gregari della ‘Stella Rossa’ si gettavano sui giacigli solo all’alba, ubriachi fradici. Così accadde anche la sera del 28 settembre. Ecco perchè i Tedeschi ci piombarono addosso senza che nessuno facesse in tempo a dare l’allarme’.
    ‘I partigiani della ‘Stella Rossa’ - conferma don Carboni - restarono del tutto impreparati di fronte alla possibilità di un ultimo massiccio rastrellamento tedesco. Il fatto è che si credevano ormai invincibili, si facevano vedere in giro spavaldi, armati fino ai denti, invitavano i civili a trasferirsi nelle loro basi sui monti di Marzabotto, assicurandoli della loro protezione. Fu così che centinaia di abitanti delle vallate del Setta e del Reno si portarono sulle montagne, e questo spiega come mai, in quelle zone impervie e di solito disabitate, i Tedeschi trovarono tanta gente innocente da massacrare [il corsivo è aggiunto da me - n.d.r.]. Poi la situazione precipitò. Gli Angloamericani sfondarono a Monghidoro e Castiglione dei Pepoli. I Tedeschi pensarono allora di farla finita con i partigiani che si annidavano nella zona di Marzabotto, e più specificatamente a Monte Sole, Monte Salvaro, Grizzana e Monte Vicese, lungo la linea cioè sulla quale le truppe germaniche avrebbero dovuto trincerarsi per contenere l’avanzata alleata. I partigiani però, convinti che le truppe tedesche si sarebbero ritirate lungo la Porrettana e la ‘direttissima’ senza neppure voltarsi indietro, invece di preparasi a sostenere l’attacco germanico, pensarono soltanto a festeggiare l’imminente liberazione. Requisirono grandi quantità di vino, rastrellarono tutte le giovani donne che erano andate a vivere sui monti di Marzabotto e cominciarono a ballare e divertirsi. la festa durò intere notti’.
    ‘In quei giorni di settembre - ci ha confidato inoltre un ex partigiano della ‘Stella Rossa’, uno dei pochi non comunisti che militavano nella formazione - molti di noi si accorsero che tra il comandante ‘Lupo’ e i commissari politici comunisti si era aggravato un dissidio da tempo esistente. ’Lupo’ infatti, più che mai convinto che gli alleati stavano per arrivare, aveva una sola preoccupazione: limitare le azioni di guerriglia, risparmiare i suoi uomini, preparare la calata a valle della brigata in maniera da assumere il controllo della situazione prima che i comunisti si imponessero con la forza della loro organizzazione [idem - n.d.r.]. Purtroppo per lui, e noi lo sapevamo bene, gran parte dei suoi comandanti in seconda e dei componenti lo stato maggiore erano comunisti o succubi dei comunisti. Ci domandavamo spesso e con preoccupazione che cosa sarebbe accaduto il giorno che i comunisti della ‘Stella Rossa’ fossero giunti a Marzabotto, Vergato, Vado, Monzuno, Rioveggio, Sasso Marconi [molto semplice...esattamente quanto è accaduto nel resto di quello che è stato chiamato poi il ‘triangolo della morte’... - n.d.r.]’.
    Questo dissidio tra ‘Lupo’ e i commissari politici comunisti appare anche nella rievocazione delle imprese della ‘Stella Rossa’ apparsa nel settimanale Cronache, di Bologna, in data 27 aprile 1946. In quel resoconto, a firma Massimo Dursi, compilato sulla scorta di relazioni ufficiali, si legge infatti: ‘...vi erano pure commissari politici. Per essere obiettivi bisogna dire che ‘Lupo’ era assai scettico sulla loro necessità. Diceva che la politica si doveva fare ‘dopo’ e che, per il momento, avrebbe preferito ricevere munizioni anzichè commissari’.
    ‘L’urto tra ‘Lupo’ e i comunisti - ci ha raccontato un ex esponente partigiano bolognese - irritò ancora di più i capi dell’organizzazione rossa, che già da tempo sopportavano a malincuore la presenza, in una zona ritenuta nevralgica, di un capo partigiano tutt’altro che ligio alle loro direttive. Fu così che impartirono ordini precisi ai loro seguaci che militavano nella ‘Stella Rossa’ affinchè nella zona di Marzabotto la guerriglia si sviluppasse con maggiore violenza. I comunisti avevano un solo scopo : far dilagare l’incendio e provocare a tutti i costi rappresaglie, per atteggiarsi poi ad unici vendicatori degli innocenti massacrati[idem - n.d.r.] Con i Tedeschi esasperati, resi ancora più feroci dalle sconfitte, il giochetto sarebbe riuscito perfettamente. I comunisti ben sapevano inoltre che già in numerose località dell’Italia Centrale, in specie in Toscana, nel tentativo di eliminare i partigiani nelle zone che stavano per diventare strategicamente importanti, i tedeschi avevano massacrato senza misericordia anche tutti coloro che vi abitavano [idem]. Gli ordini dei capi comunisti trovarono rapida attuazione. Le squadre della ‘Stella Rossa’, spesso all’insaputa dello stesso ‘Lupo’, continuarono a portarsi all’attacco. Ma non basta, i comunisti giunsero a trasportare nella zona di Marzabotto, Vergato e Rioveggio, i cadaveri di soldati tedeschi uccisi in altre località affinchè i comandi germanici si convincessero che quelli della ‘Stella Rossa’ rappresentavano un pericolo gravissimo per le retrovie tedesche e si decidessero a scatenare la rappresaglia’.
    Rapidamente, si può dire di ora in ora, la situazione si fece incandescente. Il 10 settembre le truppe angloamericane giunsero in vista di Rioveggio, nella valle del Setta, e di vergato, nella valle del Reno. Le avanguardie alleate si attestarono a breve distanza dalla strada che unisce le due vallate passando per Grizzana e che costituiva, allora, il lato sud del triangolo montagnoso occupato dai comunisti della ‘Stella Rossa’. Se gli alleati, sfondata la linea di Grizzana, avessero trovato ancora i partigiani comunisti nel ‘triangolo’, avrebbero potuto calare in poche ore su Sasso Marconi. Da quel momento nessun ostacolo naturale avrebbe più arrestato la loro marcia su Bologna.
    I Tedeschi questo lo sapevano benissimo. Si preoccuparono quindi di consolidare le loro posizioni tra la valle del Setta e quella del Reno e pensarono in un primo tempo di neutralizzare la presenza della ‘Stella Rossa’ proponendo ai partigiani una tregua: ‘...se vi impegnate a restare tranquilli nei vostri accantonamenti, se vi impegnate a sospendere gli attacchi alle nostre linee di comunicazione, noi vi garantiamo la cessazione di ogni rappresaglia...’. La proposta suscitò, naturalmente, violente discussioni tra quelli della ‘Stella Rossa’ , anche perchè, come ci è stato raccontato, ‘Lupo’ non era affatto alieno dall’accettarla. Mai comunisti ruppero gli indugi e troncarono ogni discussione: allorchè i parlamentari tedeschi tornarono nella zona e si avvicinarono a Cadotto, una località sui monti di Rioveggio dove si era sistemato il comando del ‘Lupo’, vennero attirati in una imboscata e massacrati.
    Quest’imboscata, contraria a tutte le norme di guerra, imbestialì i Tedeschi che decisero di agire. La pressione alleata tra l’altro si faceva più pesante di momento in momento e, nella zona tra il Setta e il Reno, dovevano attestarsi i paracadutisti della divisione Hermann Goering. Il 17 settembre sul quotidiano bolognese Il Resto del Carlino apparve il seguente comunicato, che venne affisso anche in tutta la zona di Marzabotto, firmato Der SS und Polizeifuehrer Oberitalien West [Comando delle SS e della Polizia in Italia] e che diceva: ‘Ultimo motto ai sabotatori. Italiani...i sistemi di lotta dei banditi hanno assunto il carattere bolscevico. Questi criminali prezzolati da Mosca ricorrono a sistemi criminali per combattere le autorità preposte al mantenimento dell’ordine. Ciò non può essere ulteriormente tollerato. D’ora innanzi si agirà con le sanzioni più severe. In alcune regioni d’Italia i cittadini non solo tollerano, ma sostengono addirittura questi delinquenti. A questi individui ripetiamo: 1) I tempi dell’attesa sono passati. Chi aiuta i banditi è un bandito egli stesso e ne subirà lo stesso trattamento. 2) Tutti i colpevoli saranno puniti con la massima severità. In caso di nuovo attacco a persone, mezzi di comunicazione, pneumatici di automezzi, ferrovie, tram, telegrafo, telefono, eccetera, le località dove si saranno verificati tali attentati saranno incendiate e distrutte. Gli autori dei delitti e i loro favoreggiatori saranno impiccati sulla pubblica piazza. Questo è l’ultimo avviso per gli indecisi’.
    Il comunicato era fin troppo chiaro, e tutti sapevano bene che i Tedeschi non erano tipi da minacciare a vuoto. ‘Anche noi, sulla montagna dove eravamo sfollati e dove vivevamo accanto a quelli della ‘Stella Rossa’ - ci ha raccontato un superstite della strage - venimmo a conoscenza del comunicato tedesco. Molti si impressionarono. Qualcuno tentò di abbandonare la zona, ma i comunisti intervennero minacciando di morte chiunque avesse osato tornare a valle. Poi per tranquillizzarci dissero: ‘...non preoccupatevi. Lo sapete anche voi che gli alleati sono vicini. Se anche i Tedeschi osassero salire fin qui, gli Angloamericani ci aiuterebbero con ogni mezzo. Non muovetevi e state calmi...’...’.
    Mai una menzogna venne propalata con tanta freddezza e con scopi più precisi. I comunisti infatti sapevano che gli Angloamericani difficilmente avrebbero rischiato la vita di un solo uomo dei loro per soccorrere dei partigiani e tanto meno dei partigiani comunisti. Sapevano bene inoltre, e questo conferma il comportamento criminale dei capi dell’organizzazione comunista, che i Tedeschi stavano preparando un rastrellamento decisivo. Tra il 20 e il 25 settembre infatti nelle valli del Setta e del Reno erano cominciate ad affluire le SS di un battaglione ormai famoso per aver compiuto stragi spaventose in altre località italiane: il battaglione esploratori della 16-ma SS Panzer Grenadier Division Reichfuehrer. Lo comandava un maggiore di 29 anni, Walter Reder, un austriaco che aveva già perso il braccio sinistro sul fronte russo. Si trattava di un nazista fanatico che aveva ai suoi ordini ottocento ‘boia’ specializzati in ‘soluzioni radicali’.
    Era chiaro che da un momento all’altro i Tedeschi sarebbero piombati sulla ‘Stella Rossa’ e, secondo le disposizioni contenute nel comunicato, avrebbero trattato come ‘favoreggiatori dei banditi’ anche tutti i civili sorpresi nella zona. Eppure i capi della ‘Stella Rossa’ non presero alcun provvedimento per sostenere l’urto tedesco e mettere in salvo i civili. E non è accettabile la tesi che ciò non avvenne perchè la rappresaglia si scatenò all’improvviso. Vi sono troppe testimonianze che provano il contrario. La prima è quella di don Carboni: ‘...mi trovavo a Salvaro - racconta il sacerdote - quando mi resi conto che i Tedeschi stavano per scatenare un grande rastrellamento. Cercai di avvisare i partigiani, ma quelli risposero che ero matto...’. Una seconda è contenuta nella relazione del Dursi citata prima: ‘..il 25 settembre - si legge infatti su Cronache - don Fornasini [parroco di Sperticano, ucciso poi dai Tedeschi il 13 ottobre] mandò un biglietto in cui avvertiva che i nemici stavano preparandosi e si concentravano nella zona di Marzabotto, Grizzana e Vado’.
    Un’altra testimonianza, ancora più grave, ci viene dal signor Lorenzo Mingardi, ex segretario del fascio repubblicano di Marzabotto. Il Mingardi, che a fine guerra venne due volte condannato a morte per i fatti di Marzabotto, ai quali peraltro non aveva assolutamente partecipato, e che fu poi scarcerato quando i magistrati si accorsero che le accuse a lui rivolte erano false, ci ha detto: ‘...io restai a Marzabotto fino alla sera del 26 settembre, vale a dire fino a quarantotto ore prima che i Tedeschi entrassero in azione. In quegli ultimi giorni, e precisamente il 25 e 26 settembre, per ordine preciso ricevuto dal comando tedesco, mi recai nella zona della ‘Stella Rossa’ e avvisai quante più famiglie potei che i Tedeschi stavano per scatenare un rastrellamento terribile nel corso del quale avrebbero ammazzato tutti quelli che incontravano...tenete presente tra l’altro che tra gli sfollati nella zona vi erano anche alcuni famigliari di fascisti bolognesi; si trattava di persone che i partigiani non avevano mai identificato come tali, ma che io conoscevo bene. Feci quindi quanto era in mio potere anche perchè questi famigliari di miei camerati potessero sfuggire alla rappresaglia...avrei continuato anche il 27, ma al tramonto del 26 i Tedeschi mi ordinarono di abbandonare immediatamente Marzabotto con la mia famiglia. Al momento di partire anzi, alcune SS Arrestarono i miei figlioli per inviarli a lavorare nelle fortificazioni in prima linea e io dovetti intervenire per farli rilasciare. Sulla montagna quindi la voce del prossimo rastrellamento corse di sicuro. Non ho mai saputo perchè nessuno sia riuscito a mettersi in salvo in tempo...’.
    Ed ecco, sempre a questo proposito, che cosa racconta un ex partigiano, non comunista, che militò nella ‘Stella Rossa’ negli ultimi giorni di settembre e che si trovava a Cadotto, la località sopra Rioveggio dove aveva sede il comando della formazione la notte del 28 settembre, allorchè i Tedeschi partirono all’attacco. Questo ex partigiano, che abita nella valle del Reno, riuscì a salvarsi restando nascosto due giorni in un fosso. ‘La sera del 28 - ci ha detto l’ex partigiano - il tempo peggiorò e piovve molto. Durante il temporale giunse a Cadotto un ragazzo di Rioveggio che per arrivare fino a noi aveva attraversato il Setta in piena. Questo ragazzo ci avvisò concitatamente che i Tedeschi erano in movimento e che stavano per guadare il torrente. Ma a Cadotto quella sera tutti facevano baldoria. Le sentinelle avevano abbandonato i loro posti. Si ballava, si cantava, si beveva. La grande casa colonica nella quale era ospitato il comando della ‘Stella Rossa’ risuonava di risa e urla di gioia. Nessuno diede retta al ragazzo. Io almeno non me ne accorsi, anche se quello che è accaduto dopo mi ha sempre fatto dubitare che molti tra i capi quella notte non si ubriacarono affatto, visto e considerato che furono straordinariamente lesti a tagliare la corda al momento opportuno...io comunque rimasi scosso dalle parole dell’informatore e per precauzione mi gettai a dormire con il mitra a portata di mano in una stalla fuori dal corpo principale del fabbricato. la festa terminò verso le tre del mattino. Verso quell’ora infatti i miei compagni andarono a gettarsi sui loro giacigli, quasi tutti in compagnia di ragazze. Nemmeno un’ora dopo i Tedeschi, silenziosi come fantasmi, circondarono Cadotto, penetrarono nella sede del comando e incominciarono ad ‘innaffiare’, è il termine esatto, di proiettili i partigiani, le loro donne e i civili che dormivano gli uni accanto agli altri...’.

    [continua]

  6. #6
    memoria storica di PoL
    Data Registrazione
    07 Mar 2002
    Località
    Piacenza
    Messaggi
    4,109
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    L’ECCIDIO

    I Tedeschi lasciarono i loro accantonamenti verso la mezzanotte del 28 settembre e mossero simultaneamente da Marzabotto, Vergato, Vado, Rioveggio, Grizzana e da altre località attorno al triangolo montuoso. La letteratura del dopoguerra e in particolare i propagandisti comunisti si sono sbizzarriti su questo tragico argomento sfornando un numero infinito di versioni. Diciamo subito che non una di queste rievocazioni è esatta ed aggiungiamo anzi che sempre la verità è stata ignorata oppure falsata. Vale la pena di citarne qualcuna. Per esempio Luigi Longo, vice segretario del Pci, nel suo libro Un popolo alla macchia [ed. Mondadori], vale a dire uno dei testi più accreditati di storia partigiana, sostiene che il rastrellamento venne compiuto da ‘due reggimenti di SS’ [due reggimenti equivalgono a circa 4-5000 uomini - n.d.r.]. Secondo Federico Zardi, autore del libro La resistenza al fascismo [ed. Feltrinelli], le truppe rastrellatrici erano composte da ‘due divisioni di truppe scelte, appoggiate da squadriglie dell’aviazione e dotate di artiglierie e lanciafiamme’ [evidentemente ciò è indice affidabile del ‘grado di intelligenza’ richiesto ai ‘lettori’ di simili pubblicazioni - n.d.r.]. Anche il Dursi [op. citata pag. 163] parla di ventimila Tedeschi contro ottocento partigiani. Su Epopea partigiana infine, testo ‘ufficiale’ edito a Bologna nel 1945 a cura del comando unico partigiano per l’Emilia-Romagna. l’attacco tedesco è così descritto: ‘...il 29 settembre i Tedeschi attaccarono in forze tutta la zona. Avevano cannoni, carri armati, mortai, lanciafiamme e tutte le specie di armi. Erano quattro divisioni [il corsivo è mio...’quattro divisioni’ sono parecchie decine di migliaia di uomini - n.d.r.] fra SS, paracadutisti della Goering e brigata nera. Vennero da tutte le parti e la montagna si trasformò in un inferno. Gli uomini della ‘Stella Rossa’ si difesero eroicamente e la battaglia durò a lungo. Furono poi sopraffatti da quell’immensa superiorità di soldati e mezzi...’.
    Ebbene tutto ciò è assolutamente inesatto. I Tedeschi non erano ventimila, non erano nemmeno mille. E non ci fu nessuna ‘difesa eroica’ da parte dei comunisti della ‘Stella Rossa’, ci fu, salvo rarissime eccezioni di elementi rimasti isolati, una fuga generale verso le linee alleate. Non solo...i comunisti , ben nascosti nella boscaglia, spesso assistettero al massacro degli innocenti senza mai intervenire in difesa di quei poveretti che morivano per colpa loro. Racconta don Alfredo Carboni: ‘...i partigiani che non furono subito uccisi fuggirono. Nessuno pensò a difendersi con le armi o a difendere i civili che abbandonarono in balia dei Tedeschi...’.
    Per ricostruire nella sua realtà storica quello che accadde sui monti di Marzabotto a partire dall’alba del 29 settembre è sufficiente del resto sfogliare gli atti del processo intentato nei confronti del maggiore Reder, che comandò la rappresaglia, e ascoltare quanto ricordano quei superstiti della strage che non si siano venduti al partito comunista. Prima di tutto va precisato che i Tedeschi erano solo ottocento. E non avevano l’appoggio dell’artiglieria, dell’aviazione o dei carri armati. Con loro infine non c’era alcun fascista. L’unico italiano, e lo riveliamo con un senso di orrore e di vergogna, che partecipò al massacro al fianco dei Tedeschi, fu un ex partigiano comunista della ‘Stella Rossa’ divenuto spia delle SS. Il nome di questo Caino preferiamo non scriverlo, diremo solo che era noto nella zona con lo pseudonimo di ‘Cacao’. Fu ‘Cacao’ a guidare i Tedeschi, fu lui ad indicare con precisione i casolari e le fattorie dove si erano insediati i comandi della brigata, fu lui ad indicare alle SS molti dei civili che avevano ospitato ed aiutato i partigiani. Ecco come lo ricorda Maria Tiviroli, l’unica sopravvissuta alla strage operata dalle SS in località Steccola: ‘...ci fecero fermare in mezzo al campo, sempre in fila, e i nazisti [saranno stati una ventina] si riunirono per parlare. Notai con sorpresa che tra loro c’era un biondastro con un dente d’oro in mezzo alla bocca, in precedenza da me conosciuto in casa mia, dove veniva sempre con in partigiani. Lo chiamavano con un nome ridicolo, ’Cacao’, e adesso mi meravigliavo di vederlo con i nazisti, da pari a pari. Anzi questo ‘Cacao’ ad un certo punto si diresse alla nostra fila e puntando il dito verso mia madre disse: ‘...questa donna cucinava per i partigiani...’. Quindi segnò altre donne, e di ognuna disse che lavorava, cuciva o faceva staffetta per i partigiani...’.
    La feroce determinazione dei Tedeschi di annientare ogni essere vivente nella zona del rastrellamento rende ancor più evidente il tradimento cinicamente perpetrato dai comunisti della ‘Stella Rossa’ nei confronti dei civili, Questi ultimi vennero abbandonati alla loro tragica sorte e, del resto, basterebbero poche cifre per documentare che i partigiani rossi non fecero assolutamente nulla per difenderli. Sulle montagne di Marzabotto, allorchè le SS scatenarono il rastrellamento, erano presenti più di un migliaio di civili, in gran parte donne e bambini, e circa 1500 partigiani comunisti. Ebbene, la barbara e organizzatissima ondata distruggitrice falciò l’esistenza di quasi settecento civili innocenti. I partigiani comunisti invece perdettero pochissimi uomini, una decina in tutto, come venne accertato nel corso del processo Reder. Non solo, tutti i capi comunisti della brigata si salvarono, con la sola eccezione del comandante ‘Lupo’ che venne assassinato [vedremo più avanti come e perchè] dai suoi stessi uomini.
    Si tratta di cifre e fatti che nessuno potrà mai smentire e che si commentano da soli, ma a confermare il tradimento comunista di Marzabotto vi sono anche le testimonianze dei superstiti. Basta scorrere attentamente questi documenti per veder saltar fuori, viva e raccapricciante al di là delle falsificazioni, delle menzogne e dei voli retorici, la spaventosa e incredibile realtà di Marzabotto.
    Una cosa risulta subito chiara ed evidentissima: i civili, nella maggioranza dei casi, si videro piombare addosso i Tedeschi senza che nessun partigiano di fosse dato la briga di avvisarli. Racconta la maestra Antonietta Benni, sfollata da Bologna nella frazione di Cerpiano: ‘...la mattina era tetra e fredda, come accade in montagna quando piove. Prima delle 8 del 29 settembre i Tedeschi piombarono tra le case, ci fecero uscire all’aperto e ci rinchiusero nell’oratorio. Eravamo in molti: quarantanove, tutti donne, vecchi e bambini...’. Di questi quarantanove sventurati, se ne salveranno solo tre.
    ‘...il mattino del 29 settembre - racconta Carlo Ciardi che a Creda di Grizzana vide massacrare dieci suoi congiunti - mi ero alzato che non faceva ancora giorno. Verso la stalla vidi arrivare una massa scura di gente che credetti partigiani, perchè spesso questi passavano nelle nostre case. Quando furono vicini mi accorsi che erano nazisti delle SS e gente rastrellata, amici, conoscenti, e come vidi poi, anche sfollati che erano venuti da noi per essere al sicuro. Mi rinchiusi in casa e svegliai i famigliari ancora a letto. Cominciarono a battere alla porta con il calcio del fucile, e quando stavano ormai per abbatterla, l’apersi. Si precipitarono dentro e così come ci si trovava, la maggior parte svestiti, ci fecero ammucchiare sotto una specie di portico, assieme a quelli che avevano trascinato con loro...’. Sempre sulle tragiche ore di Creda, ecco che cosa racconta Attilio Comastri, un altro superstite: ‘...la mattina del 29 settembre eravamo tutti a letto. Non faceva ancora giorno. A colpi di calcio di fucile sfondarono l’uscio e ci buttarono fuori di casa svestiti, a botte e pugni. Con gli altri di Creda e gli sfollati [forse novanta e più persone] ci chiusero in una rimessa per carri agricoli che poteva sembrare un portico. Eravamo stretti nel camerone pieno di urla e pianti...’. In quel camerone morirono sotto la mitraglia delle SS ottantuno innocenti; dov’erano i partigiani della ‘Stella Rossa’ mentre si compiva la strage?...E dov’erano mentre i Tedeschi trucidavano 148 innocenti a Casaglia, 38 a Casa Benuzzi, 107 a Caprara di Marzabotto, 47 a San Giovanni, 145 a Cadotto, Prunaro e Steccola, 49 a Cerpiano, 19 a Sperticano, 48 a Pioppe di Salvaro?...
    E’ una domanda questa alla quale i comunisti, così solleciti nell’inscenare manifestazioni di protesta in nome dei caduti di Marzabotto, dovrebbero dare finalmente una risposta. Ma poichè è da presumere che si guarderanno bene dall’accettare la sfida, la risposta la diamo noi: i comunisti della ‘Stella Rossa’, mentre centinaia di donne e bambini morivano per colpa loro, stavano fuggendo verso le ospitali linee angloamericane. E’ ora di chiarire infatti che la brigata ‘Stella Rossa’ non combattè ‘strenuamente’ sulle montagne di Marzabotto per difendere il ‘suo territorio’ dall’attacco nazista, è ora di specificare che non uno dei millecinquecento partigiani comunisti della ‘Stella Rossa’ morì per difendere l’esistenza di quella povera gente presa nella morsa di ferro e fuoco delle SS.
    La prova di questa cruda realtà ce la fornisce un volumetto [Marzabotto parla, ed. Omnibus, scritto da un ex partigiano socialista, Renato Giorgi] che raccoglie un gran numero di racconti di superstiti di quelle terribili ore. Ebbene non c’è una sola riga nella quale si parli o si accenni a combattimenti sostenuti dai comunisti in difesa dei civili [il corsivo è nell’originale - n.d.r.]. Pur nella evidente e dichiarata intenzione di magnificare le ‘gesta’ della brigata ‘Stella Rossa’, il volumetto non riesce a tenere celata la verità su quanto accadde: ‘...il 29 settembre, verso le sei del mattino - si legge per esempio a pag. 58, la dove è pubblicata la testimonianza di Augusto grani che alla Steccola perdette la moglie e due figli - per primo mi accorsi che le pattuglie naziste venivano alla Steccola. In casa mia da qualche giorno v’erano una settantina di partigiani che avvisai immediatamente della cosa. Decisero di ritirarsi più in alto, verso il Monte Sole in una zona lontana dalle abitazioni, e lì schierarsi per affrontare i nemici. Infatti, al sopraggiungere dei nazisti, da noi non vi era più un solo partigiano, e neppure segno alcuno della loro presenza...’.
    In altre parole: settanta comunisti [armati fino a denti e in posizione coperta - n.d.r.] si ritirarono davanti a due pattuglie di SS, abbandonando i civili al loro destino. Nè vale che si attribuisca a questi partigiani l’intenzione di ritirarsi per ‘resistere più in alto’, a Monte Sole, perchè sul Monte Sole gli unici che tentarono una breve resistenza furono alcuni Russi, già prigionieri di guerra dei Tedeschi.
    Ma non basta, i comunisti della ‘Stella Rossa’ non intervennero nemmeno quando videro con i loro occhi le SS massacrare le donne e i bambini. Ecco infatti l’incredibile testimonianza del partigiano Guerrino Avoni [Marzabotto parla pag. 46 e 47]: ‘...prima dell’alba del 29 settembre, assalita da soverchianti forze nemiche [800 Tedeschi contro 1500 partigiani comunisti - n.d.r.] la nostra brigata si trovò stretta in una morsa di fuoco. Dopo alterne vicende una parte di noi fu assalita sulla cima scoperta di Monte Sole, chiusa in una trappola impossibile da infrangere date le nostre scarse forze in confronto al numero e all’armamento nemico...dalla cima del monte, col binocolo seguivo i movimenti dei nazifascisti. Appena giorno avevo contato 54 grandi falò, case isolate o a gruppi, bruciare intorno vicini e lontani. Dal mio posto di osservazione vidi quanto i nazisti facevano nel cimitero di Casaglia, la gente ammucchiata tra le tombe e loro che preparavano le mitraglie. Provammo a sparare, ma la distanza era troppa per un tiro efficace. Più tardi, sempre stretti in quel cerchio inesorabile, potei col binocolo seguire i nazifascisti nella loro opera di distruzione in Caprara. Vidi cinque nazisti trascinarsi dietro quindici donne legate una all’altra con un grosso cavo, una stringeva un bimbo di pochi mesi. Anche in questo caso provammo ad intervenire e sparare, ma senza possibilità di portare un valido aiuto. Era per noi straziante assistere a fatti simili, impotenti ad intervenire, e tale visione terribile era più debilitante che il fuoco nemico...’.
    Non intendiamo mettere in dubbio l’autenticità della testimonianza dell’ex partigiano Guerrino Avoni e noi siamo senz’altro certi che egli si trovava veramente nel piccolo gruppo che cercò di resistere su Monte Sole. L’Avoni però dovrebbe spiegare con maggiore chiarezza i veri motivi per cui egli e i suoi compagni non andarono in soccorso dei civili destinati alla più atroce delle morti. Il massacro del cimitero di Casaglia infatti venne compiuto dalle SS tra le 9 e le 10 del 29 settembre, quando cioè intorno a Monte Sole non c’era ancora alcun Tedesco.
    Ma fu a Cadotto, nei primi minuti del rastrellamento tedesco, che la criminalità dei comunisti, e specie di alcuni capi della ‘Stella Rossa’, si manifestò in tutta la sua bassezza. Fra l’altro fu proprio lì che, approfittando della caotica situazione determinatasi in seguito all’assalto germanico, un partigiano comunista assassinò il comandante della formazione, Mario Musolesi detto ‘Lupo’.
    Cadotto è una piccolissima frazione, composta da una sola grande casa colonica che sorge a mezza costa sulla montagna, di fronte a Rioveggio nella vallata del Setta. In questa casa colonica già da tempo aveva posto il suo comando Mario Musolesi. All’alba del 29 settembre vi abitavano, oltre a ‘Lupo’ e il suo stato maggiore, i proprietari dello stabile e alcune famiglie di sfollati da Bologna. Complessivamente una trentina di partigiani e una quarantina di civili.
    Non è facile, a distanza di tanti anni, ricostruire con esattezza ciò che accadde nella grande casa colonica allorchè giunsero le SS. I resoconti ufficiali sono, a questo proposito, estremamente evasivi e le testimonianze dei superstiti troppo frammentarie. Sta di fatto, come già abbiamo raccontato, che nella notte tra il 28 e il 29 settembre i partigiani di Cadotto festeggiarono a lungo l’imminente arrivo delle truppe angloamericane. Corse molto vino e la baldoria terminò solo verso le tre del mattino. Anche i partigiani che dovevano effettuare il servizio di guardia parteciparono al festino e poi si gettarono a dormire. Conclusione: i Tedeschi poterono circondare Cadotto senza che nessuno fosse in grado di dare l’allarme.
    A questo proposito ecco la testimonianza di Aldo Gamberini, che a Cadotto perse l’intera famiglia: ‘...il 29 settembre mi alzai che era ancora buio e pioveva. Mi allacciavo una scarpa nei pressi della stalla conversando con tre partigiani. Improvvisamente sentimmo delle urla dalla parte opposta della casa. I tre partigiani corsero, ma si trovarono di fronte ad una grande ondata di SS. Li comandava uno basso e grosso che mi parve un capitano. Immediatamente i tre partigiani cominciarono a sparare, ma c’era troppa differenza di numero e dovettero retrocedere; sempre difendendosi presero la scala per il loro comando. Io corsi a nascondermi in località Ca’ di Dorino, a circa un chilometro da Cadotto...’. E più oltre, ricostruendo la strage di Cadotto: ‘...quando le SS arrivarono a Cadotto, chiusero dentro tutta la gente, poi diedero fuoco alla casa. Il fuoco iniziò dal basso e la gente, mano a mano che le fiamme salivano, correva nelle camere di sopra e nel solaio. Ciò aveva fatto una prima squadra di SS che però si era allontanata subito. Quando la gente, per non morire bruciata, tentò di scappare dalle finestre e dalle porte, una seconda squadra di SS li attendeva fuori e li fucilava. Così perirono i miei famigliari: sette figli, il maggiore dei quali aveva ventidue anni e il minore cinque, la moglie, una nipotina di trenta mesi, una sorella e due fratelli...’.
    E i partigiani che si trovavano a Cadotto?...Si salvarono quasi tutti, fatta eccezione per alcuni che furono colti dalle prime pallottole e per il ‘Lupo’. Il cerchio di fuoco e di morte si chiuse solo intorno ai civili. Ma tutto ciò non fu determinato dalla fatalità. e nemmeno dall’alto grado di addestramento raggiunto dai partigiani nel sottrarsi fulmineamente a qualsiasi attacco, avversario. Tutto ciò venne provocato dalla fredda attuazione di un piano già da tempo prestabilito che mirava a far scaricare sugli innocenti la furia germanica. Ecco perchè i capi comunisti della ‘Stella Rossa’, pur sapendo che i Tedeschi stavano per scatenare il rastrellamento, impedirono ai civili di lasciare la zona e, peggio ancora, tralasciarono qualsiasi precauzione consentendo persino alle sentinelle di andare a dormire. Al momento opportuno però, questi signori furono molto rapidi nel mettersi in salvo abbandonando i civili al loro destino. Le testimonianze da noi pubblicate ne offrono la schiacciante conferma.
    Ma a confortare in maniera decisiva tutto quello che abbiamo raccontato in queste pagine sul tradimento perpetrato dai comunisti della ‘Stella Rossa’ nei confronti dei civili, esiste un ultimo documento, il più importante di tutti: la sentenza emessa il 31 ottobre 1951 dal Tribunale Militare di Bologna, con la quale il maggiore Reder venne condannato all’ergastolo per la strage di Mazabotto.
    Nel testo della sentenza infatti, pubblicato nel 1961 a cura dell’ufficio stampa del Ministero della Difesa, sono contenute frasi inequivocabili. Per quanto riguarda il massacro dei civili in località Casaglia per esempio ecco quanto si legge: ‘...rileva il Collegio che nessuno dei sopravvissuti ha parlato di partigiani presenti. Il Ruggeri [uno dei testimoni d’accusa] ha detto che il giorno in cui vennero i Tedeschi non vi erano partigiani, e da nessuno è fatta menzione di scambio alcuno di colpi [il corsivo è nell’originale - n.d.r.]...’. Identica la situazione a Cerpiane: ‘...nessuna lotta, nessuna resistenza. Gli uomini validi si nascosero nei boschi [idem - n.d.r.]...’. E ancora: ‘...anche qui assenza totale di partigiani all’arrivo dei Tedeschi. Il teste Lamberti nel dibattimento ha affermato che la sera del 28, cioè prima dell’inizio dell’azione antipartigiana, vide qualche amico che sapeva essere partigiano. Il 29 però non vi era alcuno di essi [idem -n.d.r.]...’. Così in tutte le frazioni, in tutti i paesi della zona di Marzabotto raggiunti dalla furia distruggitrice delle SS.
    Ma il testo della sentenza rivela anche la vasta e ben congegnata manovra organizzata dai comunisti durante il processo contro Reder per trasformare la vergognosa fuga dei partigiani della ‘Stella Rossa’ in un’epica pagine di storia. Una manovra condotta con largo spiegamento di falsi testimoni, che riuscì a sorprendere la buona fede dei magistrati militari.
    Nella sentenza infatti si leggono frasi di questo tenore: ‘...anche qui [il località San Giovanni di Sopra] non c’erano partigiani il 29 settembre 1944. Erano sul Monte Sole e sul Monte Caprara [idem -n.d.r.]...’. E più oltre: ‘...ritiene il Collegio essere abbondantemente provato che alle date indicate la brigata partigiana si trovava schierata sui monti della zona Monte Sole-Caprara- Monte Salvaro [idem -n.d.r.]...’. E qui la sentenza cita una serie di testimoni a sostegno di questa affermazione. ma chi sono questi testimoni?...Tutti partigiani comunisti della ‘Stella Rossa’, che dichiararono concordemente e spudoratamente il falso. E siccome nessuno ebbe il coraggio o la possibilità di smentirli, i magistrati militari finirono con l’essere certi che davvero la brigata ‘Stella Rossa’ non aveva potuto difendere i civili perchè ‘si era schierata ed aveva combattuto sui monti’. Siamo infatti assolutamente sicuri che l’estensore della sentenza era intimamente convinto di quanto andava scrivendo quando vergò questa frase: ‘...in quei tre giorni i partigiani della ‘Stella Rossa’, con fierezza di uomini e dignità di soldati, vollero disgiungere il destino proprio di combattenti da quello delle popolazioni civili [idem - n.d.r.]...’. E ancora: ‘...i partigiani non si fecero scudo di bimbi o donne piangenti e invece andarono ad attendere il nemico sulle ben definite posizioni della montagna [sic!!!...anche qui il corsivo è originale...-n.d.r.].
    Con tutto il rispetto che nutriamo per i magistrati, e proprio in nome di questo rispetto, non esitiamo un solo istante ad affermare che la sentenza di Bologna, per quanto riguarda il comportamento dei partigiani della ‘Stella Rossa’, ha consacrato purtroppo una delle più ignobili manovre comuniste del dopoguerra. Una delle prove di questa nostra gravissima affermazione è contenuta del resto proprio nella sentenza, là dove, a sostegno della tesi secondo la quale i comunisti della ‘Stella Rossa’ si sarebbero schierati sulle montagne per ‘combattere’, si cita il teste Fortuzzi Luciano [definito ‘attivo partigiano della brigata’] che dichiarò in udienza: ‘...la mattina del 29 settembre 1944 il Musolesi ordinò di ritirarci in alta montagna per evitare rappresaglie alla popolazione civile [idem - n.d.r.]...’.
    Ebbene il partigiano Fortuzzi Luciano testimoniò il falso. Quella mattina del 29 settembre 1944 infatti, Mario Musolesi detto ‘Lupo’, comandante della ‘Stella Rossa’, non fece in tempo a diramare nessun ordine. Sorpreso a Cadotto, come abbiamo già documentato, dall’assalto delle SS, fece appena in tempo ad abbandonare la casa colonica dove aveva stabilito il suo comando e, pochi secondi dopo, venne assassinato da uno dei suoi uomini. Questa è la verità, un’altra delle tante amarissime ed ignobili verità di Marzabotto, dove i comunisti della ‘Stella Rossa’ si coprirono d’infamia non solo perchè lasciarono ammazzare donne e bambini, ma anche perchè uccisero l’uomo che per tanti mesi avevano acclamato loro comandante: il ‘Lupo’. Questo delitto, uno dei più odiosi che i rossi abbiano compiuto durante la guerra civile, è stato circondato finora da una ferrea, impenetrabile cortina fatta di terrore e di omertà. I comunisti infatti, coloro che si sono impadroniti della memoria e della figura di ‘Lupo’ trasformandolo in un mitico eroe di marca bolscevica, non potevano certo permettere che la verità venisse a galla. Ora però una breccia si è aperta nel muro di silenzio. Ecco come morì ‘Lupo’, ecco le cause del delitto.

    [continua]

  7. #7
    memoria storica di PoL
    Data Registrazione
    07 Mar 2002
    Località
    Piacenza
    Messaggi
    4,109
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    L’ASSASSINIO DEL ‘LUPO’

    ‘...la presenza di Mario Musolesi al comando della ‘Stella Rossa’ - abbiamo sentito raccontare a Sasso Marconi da un vecchio amico di ‘Lupo’ - non fu mai di pieno gradimento dei comunisti. ‘Lupo’ non era il tipo capace di assoggettarsi alle direttive di una organizzazione come quella comunista. Il suo spirito di indipendenza rappresentava perciò un pericolo che i comunisti dovevano, prima o poi, eliminare. Togliere di mezzo il ‘Lupo’ costituiva però un problema di difficile soluzione. Mario Musolesi era molto ben visto da quasi tutti i suoi uomini. I comunisti decisero allora di attendere il momento opportuno per farlo sparire. Meno difficile per loro fu la ricerca dell’individuo capace di compiere il delitto. Attorno a ‘Lupo’ infatti essi avevano piazzato elementi spregiudicati e sanguinari, capaci di qualsiasi atrocità. Uno di questi si assunse il compito di uccidere ‘Lupo’, Io conosco il nome dell’assassino. Siamo in molti a sapere chi è, dove abita e il suo lavoro attuale. Ma non vale la pena di denunciarlo pubblicamente. Troverebbe ancora oggi decine di testimoni pronti a giurare il falso per scagionarlo. Posso precisare comunque che questo individuo accettò di uccidere il ‘Lupo’ anche per un altro motivo. Il ‘Lupo’, come forse già sapete, aveva accumulato in una grotta un ingente tesoro: gioielli, oro, denaro. Intendeva usarlo per lenire, a guerra finita, i dolori e i lutti provocati dalla guerra civile. L’assassino conosceva l’ubicazione di questa grotta. il resto è facilmente intuibile. Allorchè i Tedeschi attaccarono Cadotto, ‘Lupo’ e gli altri componenti del comando [molti dei quali si aspettavano l’assalto proprio quella notte] abbandonarono tempestivamente l’edificio. Ma ‘Lupo’ non andò molto lontano. L’assassino gli stava alle calcagna. Lo freddò con un colpo di rivoltella. Di ‘Lupo’ non si seppe più nulla. Lo ritrovarono solo a guerra finita, un anno dopo il rastrellamento, in un fossato a poca distanza da Cadotto. Subito dopo la scomparsa del ‘Lupo’ i comunisti fecero circolare la voce che il comandante della ‘Stella Rossa’ era eroicamente caduto combattendo contro i Tedeschi. Ma ben pochi ci credettero, anche se nessuno osò sostenere il contrario. I primi a dubitare sempre che ‘Lupo’ fosse stato ucciso dai Tedeschi furono proprio i suoi famigliari...’.
    Questa testimonianza sulla morte del ‘Lupo’ non è stata la sola che abbiamo raccolto nel corso dell’inchiesta. La stessa versione ci è stata resa a Vado, Rioveggio, Marzabotto e dovunque ci è stato fatto il nome dell’assassino. Sempre quel nome. Ma la conferma che il ‘Lupo’ è stato ucciso dai comunisti ci è venuta anche da altri due documenti. Il primo è una relazione sulla strage di Marzabotto, firmata dalla sorella di Musolesi, Bruna, e comparsa sul già citato volume di Epopea partigiana [vedi pag. 169]. Il secondo è il resoconto dell’udienza che si tenne il 27 settembre 1951 a Bologna, davanti al Tribunale Militare, nel corso del processo contro il maggiore Reder.
    Cominciamo con la relazione. Allorchè giunse a parlare della morte del fratello, Bruna Musolesi non sostiene affatto che questi cadde combattendo. Dice testualmente: ‘...la notte scese sul fuoco degli incendi. Il ‘Lupo’ mancava. Non sapemmo niente di lui. Dopo un anno lo trovammo morto. Era in un campo, rannicchiato in una fossetta. Era voltato su di un fianco come uno che capisce di morire e si mette giù, senza più forza, ad aspettare la fine...’. Niente altro.
    E passiamo al processo Reder. Interrogato sugli avvenimenti che si svolsero a Cadotto, l’ufficiale tedesco affermò: ‘...circondammo la località ed eliminammo qualsiasi resistenza. Sapevamo che lì era il comando partigiano. Prima di allontanarci riuscimmo ad avere la certezza che anche il comandante della brigata era caduto. Accanto ad un edificio trovammo il cadavere di un partigiano che, sulle spalline, portava i gradi di comandante. Feci strappare le spalline che più tardi consegnai ai miei superiori...’. A queste parole il fratello ‘Lupo’, Guido Musolesi, insorse dichiarando: ‘...quel morto non era mio fratello, ma un comandante subalterno. Quando trovammo la salma del ‘Lupo’ infatti ci accorgemmo che, sulla divisa, erano ancora applicati i gradi. Mio fratello fu ucciso sì a Cadotto, ma non dai Tedeschi...’.
    ‘Lupo’ quindi non morì combattendo contro le SS, cadde per mano assassina. Tutto ciò che è stato detto e scritto di diverso su questo argomento fa parte della colossale mistificazione organizzata dai comunisti per nascondere la terribile, e per loro indegna, verità di Marzabotto. Ma la mistificazione e la speculazione comunista non hanno avuto limiti. Non contenti di aver provocato la rappresaglia e il massacro, essi crearono attorno al tragico episodio un alone di epopea che non ha alcun riferimento con ciò che realmente accadde a Marzabotto prima e durante il massacro. Piovve così sui partigiani comunisti, e specialmente su quelli che avevano coperto incarichi nella ‘Stella Rossa’, una pioggia di decorazioni al valore. Il vice comandante della brigata, Gianni Rossi, riuscì perfino a far decorare con la medaglia d’oro alla memoria il suo giovane fratello Gastone, morto alcune settimane prima della rappresaglia. E nessuno trovò il coraggio di dire che Gastone Rossi non era morto combattendo contro i Tedeschi, ma per una banale incidente: mentre puliva la rivoltella un colpo era esploso, trapassandogli il cervello.
    Anche i morti, i poveri settecento morti, vittime innocenti sacrificate sull’altare dello sporco gioco comunista, sembrarono troppo pochi. Vennero perciò elaborati lunghi elenchi nei quali furono inseriti ‘di autorità’ tutti coloro che erano deceduti nelle valli del Setta e del Reno tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945. Morti per malattie, per bombardamenti angloamericani, per scoppi di mine, fascisti o ‘presunti tali’ uccisi dai partigiani, partigiani non comunisti uccisi da partigiani comunisti [il corsivo è mio - n.d.r.]. Lo conferma autorevolmente lo storico Luigi Villari, che nel suo volume The liberation of Italy [edito dalla Nelson Publishing Company, London 1959] scrive: ‘...nello sforzo di rendere la favola attendibile [sic!!...- n.d.r.] i comunisti eressero a Marzabotto un mausoleo di pietra, nel quale sono incisi i nomi di coloro che sarebbero morti nel massacro, ivi compresi cinque preti e ottanta donne, per un totale di 1800 persone. In realtà i nomi incisi sono quelli di tutti gli abitanti della regione circostante, morti per qualsiasi causa, bellica o meno, durante tutta la seconda guerra mondiale...’.
    E’ sufficiente del resto una rapida visita al sacrario inaugurato a Marzabotto nel 1961 per rendersi conto della mistificazione comunista. Nel sacrario infatti sono raccolte solo 808 salme. Di queste però 195 sono di persone che morirono per scoppi di mine, o di militari deceduti nella prima guerra mondiale [sic!!...n.d.r.] . Solo 613 appartengono a vittime del massacro. Altre infatti sulle montagne di Marzabotto non ne sono state trovate.
    Ma c’è un’ultima cosa che va detta, forse la più dolorosa e amara di tutte. Quei settecento innocenti morirono invano. Il loro sangue non servì a nessuno, salvo che ad alimentare la menzogna comunista. Il loro sacrificio non affrettò di una sola ora l’avanzata delle truppe angloamericane. Sulle montagne di Marzabotto, trasformate in un grande cimitero completamente sgombro di partigiani, le truppe germaniche restarono abbarbicate per altri sette mesi, fino alla sera del 17 aprile 1945.
    Questa è la vera storia della brigata ‘Stella Rossa’ e della rappresaglia di Marzabotto, anche se la motivazione della medaglia d’oro al valor militare concessa al comune bolognese dice:


    Incassata fra le scoscese rupi e le verdi boscaglie dell’antica terra etrusca, Marzabotto preferì ferro, fuoco e distruzione piuttosto che cedere all’oppressore. Per quattordici mesi sopportò la dura prepotenza delle orde teutoniche che non riuscirono a debellare la fierezza dei suoi figli, arroccati sulle aspre vette di Monte Venere e di Monte Sole, sorretti dall’amore e dall’incitamento dei vecchi, delle donne e dei fanciulli. Gli spietati massacri degli inermi giovinetti, delle fiorenti spose e dei genitori cadenti non la domarono, ed i suoi 1830 morti riposano sui monti e nelle valli a perenne monito alle future generazioni di quanto possa l’amore per la Patria

  8. #8
    memoria storica di PoL
    Data Registrazione
    07 Mar 2002
    Località
    Piacenza
    Messaggi
    4,109
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito

    cari amici
    puntualmente anche qust'anno, all'approssimarsi del fatidico '25 aprile', una certa parte politica risfodera i soliti arnesi che non invecchiano mai: Fosse Ardeatine, S. Anna di Stazzema, i fucilati in Piazzale Loreto, San Sabba, ... e naturalmente quello che da sempre è il 'pezzo forte' della collezione, Marzabotto.

    La 'miccia' questa volta è stata accesa dal deputato 'verde' Paolo Cento con questa dichirazione...

    ... questa destra non è degna di nessuna commemorazione. Sarebbe meglio che il 25 aprile se ne stessero a casa anzichè contribuire ad un revisionismo storico che ha già fatto troppi danni a questo paese...

    Chiaro no?... rivedere la storia, o meglio smascherare le menzogne e falsità che per oltre mezzo secolo ci sono state propinate in continuazione a partire dall'età scolastica, costituisce per costoro uno dei peggiori danni che si possa fare agli italiani...

    Questa la replica del portavoce di Forza Italia Sandro Bondi...

    ... il 25 aprile è la festa di tutti gli italiani. E' venuto il momento innanzitutto di riconoscere il ruolo determinante svolto dagli americani. In secondo luogo occorre ricordare che i protagonisti della lotta di liberazione non sono stati i comunisti, i quali in caso di loro vittoria avrebbero instaurato un'altra dittatura, bensì i combattenti della libertà e dell'autonomia nazionale. Per quanto riguarda la strage nazista di Marzabotto il rispetto dovuto alla resistenza non può impedire di approfondire, in sede storica, la strategia politica seguita dai comunisti volta a radicalizzare lo scontro con le truppe naziste in ritirata, una strategia che ha fatto pagare alla popolazione civile un prezzo troppo alto...

    Se finalmente qualcuno nella CdL parla in questo modo il merito, lasciatemelo dire, è dovuto all'opera instancabile fatta da 'revisonisti' come lo scomparso Giorgio Pisanò, del quale in questa occasione voglio riproporre alla vostra attenzione la ricostruzione della strage di Marzabotto... basta tornare all'inizio del topic, da me aperto giusto un anno fa...

    al solito... buona lettura!...


    --------------

    Nobis ardua

    Comandante CC Carlo Fecia di Cossato

  9. #9
    memoria storica di PoL
    Data Registrazione
    07 Mar 2002
    Località
    Piacenza
    Messaggi
    4,109
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Cool ... meglio non commentare!...



    Comunicato ANSA del 19 settembre 1951

    Bologna – Nel corso del processo per la strage contestata a Reder, il presidente del tribunale gli ha contestato : ‘Lei tenne rapporto prima dell’azione criminosa e diede ordini tali da suscitare perfino la ripugnanza dei suoi ufficiali…’. L’imputato: ‘Non so spiegarmi che cosa sia la parola ‘ripugnanza’… forse che i comandanti dei bombardieri alleati quando sganciavano bombe sulle città, certi di provocare la morte di civili, sentivano ‘ripugnanza’?…’

    Il maggiore delle SS Walter Reder, nella foto sopra durante il processo di Bologna nel 1951, il quale aveva perduto un braccio combattendo sul fronte russo, era il comandante della formazione di SS che eseguì materialmente il ‘rastrellamento’ di Marzabotto. Condannato all'ergastolo, ha trascorso il suo tempo nel carcere militare di Gaeta fino all’anno 1985, allorché è stato ‘graziato’ dal presidente della Repubblica Cossiga nel 1985 in seguito ad una richiesta avanzata dal governo austriaco. La decisione di concedere la grazia a Reder [dopo oltre trent’anni di carcere!…] scatenò violente proteste da parte dei familiari delle vittime…

    Chi mai avrebbe potuto immaginare che a più di vent'anni dalla liberazione di Reder e a più di sessanta dai fatti si potesse riaprire la vicenda giudiziaria di Marzabotto?… Già ma con i giudici comunisti ‘mai dire mai!...’ e così la scorsa settimana sono stati condannati all’ergastolo Paul Albers, 88 anni, aiutante maggiore di Reder, i sergenti comandanti di plotone Josef Baumann, 82 anni, Max Roithmeier, 85, Max Schneider, 81, Heinz Frits Trager, 84, Georg Wache, 86, il maresciallo capo Adolf Schneider, 87 anni, Helmut Wulf, 84, il maresciallo delle SS Hubertt Bichler, 87 anni, e il soldato Kurt Spieler, 81. Tutti costoro sono oggi ottantenni ma all’epoca [a parte Albers…] erano di età intorno ai vent’anni, alcuni addirittura minorenni. La domanda che più che mai si impone è la seguente: che senso ha avuto riaprire il caso?…

    Una possibile risposta ci viene da quanto riportato da più organi di stampa che così recita…

    … i dieci ex-militari nazisti sono anche stati condannati a risarcire la presidenza del consiglio dei ministri, la regione Emilia Romagna, la provincia di Bologna, i comuni di Marzabotto, Grizzana e Monzuno costituiti parte civile assieme a 100 familiari delle vittime. In tutto, se la sentenza diverrà operativa, gli ottuagenari tedeschi saranno tenuti a risarcire i parenti per una somma di circa un milione di euro a testa più 13.500 euro ciascuno da versare ai tre comuni coinvolti, più il comune e la provincia di Bologna…

    Meglio non commentare…



    --------------

    Nobis ardua

    Comandante CC Carlo Fecia di Cossato

  10. #10
    Socialcapitalista
    Data Registrazione
    01 Sep 2002
    Località
    -L'Italia non è un paese povero è un povero paese(C.de Gaulle)
    Messaggi
    89,492
     Likes dati
    7,261
     Like avuti
    6,458
    Mentioned
    340 Post(s)
    Tagged
    30 Thread(s)
    Addio Tomàs
    siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i 5 stelle

 

 
Pagina 1 di 2 12 UltimaUltima

Discussioni Simili

  1. Risposte: 28
    Ultimo Messaggio: 22-08-13, 18:25
  2. A 10 anni dai fatti di Genova, dentro la globalizzazione
    Di Sandinista nel forum Comunismo e Comunità
    Risposte: 0
    Ultimo Messaggio: 08-07-11, 09:51
  3. Videolina: domani alle 21,00 i fatti degli anni '80
    Di amsicora nel forum Sardegna - Sardìnnia
    Risposte: 29
    Ultimo Messaggio: 08-12-06, 23:17
  4. Bertinotti, Marzabotto.....
    Di salerno69 nel forum Politica Nazionale
    Risposte: 0
    Ultimo Messaggio: 29-04-06, 13:10
  5. Risposte: 37
    Ultimo Messaggio: 01-06-04, 19:43

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
[Rilevato AdBlock]

Per accedere ai contenuti di questo Forum con AdBlock attivato
devi registrarti gratuitamente ed eseguire il login al Forum.

Per registrarti, disattiva temporaneamente l'AdBlock e dopo aver
fatto il login potrai riattivarlo senza problemi.

Se non ti interessa registrarti, puoi sempre accedere ai contenuti disattivando AdBlock per questo sito