La sinistra e la destra
Chi attacca, chi contrattacca e chi si imbosca
In questi giorni esce per i tipi di Marsilio Editore il libro “La fine di un mito. Destra, sinistra e nuova civiltà”, di Sabino Acquaviva. Il tema, non nuovo nel nostro dibattito politico, è quello della sopraggiunta inadeguatezza delle categorie di destra e sinistra, a vantaggio del pragmatismo o comunque di politiche “terze” che si propongano di andare oltre una schematizzazione di stampo ottocentesco. E’ sintomatico che questa tesi venga storicamente difesa con particolare vigore a destra – accomunando persino intellettuali agli antipodi come Tarchi ed Antiseri -, mentre riceva costantemente poco credito a sinistra. Salvo infatti il volume di qualche anno fa di Marco Revelli, in cui l’Autore era costretto a prendere atto, suo malgrado, del progressivo disinteresse verso il discrimine classico della politica nella società odierna, a sinistra ci si duole piuttosto della sopraggiunta perdita d’identità di una sinistra, la cui presenza sulla scena politica è pur sempre considerata essenziale al fine della democrazia e perciò mai messa in discussione, salvo casi particolari ed estremamente isolati (Preve).
Nel frattempo, in Germania, il partito socialista massimalista di Oskar Lafontaine, Die Linke (La Sinistra), sta ottenendo un rilevante successo elettorale che potrebbe portare di qui a poco ad un’inedito blocco rosso-rosso-verde (SPD, Linke, Gruenen) in grado di mettere all’angolo il pragmatismo democristiano, considerato finora vincente e allo stesso tempo esemplare, della Signora Merkel.
La politica europea ha un carattere non speculare, con la presenza a sinistra di forze inneggianti alla giustizia sociale, al centro(destra) del pragmatismo riformista proprio di formazioni cristiane e liberali, e a destra di partiti euroscettici (o nazionalisti) e antimmigrazionisti. E’ però questa una catalogazione di comodo, in quanto il solo soggetto che rimarchi sul piano teorico l’aderenza all’asse destra/sinistra è la sinistra, in ragione, come si è detto, della sua volontà di ridurre e possibilmente azzerare ogni disuguaglianza sociale. Non è dunque l’europeismo o l’antieuropeismo, non sono le libertà civili, non le radici cristiane, a marcare la differenza, pur essendo, queste, posizioni che rientrano a pieno titolo nel dibattito odierno delle forze politiche di sinistra. Ma è il desiderio di giustizia sociale che si impone su tutto il resto e questa potentissima arma ideologica mette all’angolo le forze avversarie contrassegnandole col marchio “infamante” di essere portatrici di ingiustizia, al seguito di una borghesia reazionaria e classista su cui grava oltretutto il peso di aver favorito la nascita del nazi-fascismo. Così, mentre la Signora Merkel ancora si scusa dinanzi al mondo per Danzica, permane in Europa la mancata identificazione a destra delle forze liberali e conservatrici alla perenne ricerca di un profilo politico non compromettente e dunque antiideologico. Ma c’è dell’altro.
E’ un dato di fatto che oggi, nel Vecchio Continente, nessun politico di destra sia intenzionato a difendere concettualmente le ragioni dell’ineguaglianza di condizioni, limitandosi piuttosto, come fa abilmente Aznar, a sottolineare i meriti dell’economia di mercato nel produrre ricchezza per tutti, laddove il socialismo nella sua forma più pura produrrebbe soltanto miseria. Tuttavia c’è stato un tempo ormai lontano in cui il mercato veniva glorificato a destra per lo stesso motivo col quale veniva legittimamente criticato a sinistra, ovvero perché produceva differenze sociali. Con la sensibile differenza che una volta queste venivano considerate “giuste” dagli apologeti del capitalismo secondo la logica darwinista che mutuava dalla natura il concetto che la continuazione della specie non era altro che la conseguenza della vittoria del forte sul debole. Garantire quest’ultimo a danno del primo avrebbe significato porsi in definitiva contro la volontà di progresso e voler sovvertire le regole della natura stessa. Per cui, all’incirca dalla seconda metà dell’Ottocento fino alla Prima Guerra Mondiale, la differenza tra destra e sinistra, fra conservatorismo e socialismo, fu dovuta ad uno scontro teorico prima ancora che politico, che vedeva da un lato i darwinisti sociali e dall’altro i marxisti.
Questa opposizione radicale generò un aspro conflitto di classi, borghesia contro proletariato, che portò alla ricerca di una “terza via” volta a superare dialetticamente entrambe le posizioni. Questo tentativo - inizialmente tentato senza successo da quelle forze uscite sconfitte dalla Rivoluzione francese e contro cui si era volta contro la rivoluzione industriale, e che portavano avanti un socialismo di tipo “feudale” -, si concretizzò infine grazie ai movimenti fascisti, che per ricucire lo strappo fra le classi identificarono il nemico nell’ebreo, figura di per sé antinazionale, non cristiana, dedito all’usura per via del suo materialismo, considerato colpevole di aver prodotto il declino della civiltà europea. Questo pensiero, che non si opponeva al progresso, spostò il darwinismo dal piano economico a quello del sangue, sostituendo Spencer con Nietzsche.
Inutile dire che la sinistra, uscita vincitrice dal secondo conflitto mondiale, non farà mai una netta distinzione tra le varie destre, considerandole tutte allo stesso modo “reazionarie” e “fasciste”. Identificarsi con gli sconfitti non conveniva a nessuna delle altre forze politiche, cosicché sul Vecchio Continente la categoria della destra rimase improvvisamente vuota, mentre il centro, che ne faceva oggettivamente le veci, era obbligato a dialogare con la sinistra mutuandone in parte il linguaggio (democrazia cristiana) ed i programmi (economia sociale di mercato).
Questa situazione paradossale non si rifletteva di contro in America, dove la teoria del darwinismo sociale, affermatasi dopo la Guerra Civile allo status di religione nazionale, venne intaccata duramente ma non sconfitta e né tanto meno deviata dagli esiti della Depressione del ’29. Il crollo della borsa di Wall Street favorì il nascere, negli USA, di un liberalismo riformista simile a quello che in Europa era stato alla base dei partiti laburisti, ma non riuscì mai ad impedire all’opposizione di poter esercitare il suo ruolo sul piano politico e, ancor più importante, su quello teorico. Fu infatti grazie alla rinascita intellettuale del liberalismo conservatore, avutasi nell’immediato dopoguerra, che la destra americana riuscì a controbattere l’avanzare dell’ideologia socialista che in Europa, non dovendo fronteggiare idee avverse, riuscì presto a contagiare le stesse forze del centro e della destra. Un conservatorismo che, facendo forza sui principi del self-help e dell’individualismo libertario, non solo si ricongiungeva con la tradizione più profonda della politica americana, ma che si poneva di fatto come l’unica destra coerente a se stessa nell’intero panorama internazionale.
Almeno fino a quando in Inghilterra, un’ostinata discepola dell’”estremista” liberale Friedrich Hayek non riportò il conservatorismo continentale alle sue origini. Grazie a Margaret Thatcher la destra conservatrice britannica è riuscita non soltanto a vincere lo scontro col laburismo, ma, cosa ancor più importante, a recuperare quell’autostima che aveva perduto alla fine di una guerra che Churchill aveva vinto, ma i conservatori paradossalmente avevano perso. La rivoluzione della Thatcher si fermò tuttavia in terra d’Albione, scontrandosi sul Continente con l’incapacità di marca liberale, democristiana e nazionalista di andare oltre i vecchi schemi e i vecchi pregiudizi che avevano inconsapevolmente mutuato dagli avversari di sinistra.
L’ostilità di gran parte della politica continentale all’operato della Signora Thatcher spiega anche il motivo per cui sul nostro Continente si continui a guardare alla politica americana con un misto di orrore e di derisione. Non solo, spiega anche la ragione per cui nessuno dei nostri politici si sognerebbe mai di adottare il linguaggio “radicale” dei politici repubblicani, mentre è invece il liberalismo “sociale” di Obama a rappresenta un riferimento comune, proprio oltretutto di una politica che si considera “adulta” e “ragionevole” da parte della destra non meno che della sinistra. Altra “terza via”, il liberalismo riformista è infatti il modello di tutte le politiche pragmatiche che si prefiggono di “salvare il capitalismo da se stesso”, una frase che per i veri capitalisti, ovvero i conservatori USA, risuona ovviamente come una bestemmia.
La politica europea, dunque, continua a reggersi malferma come un tavolino al quale è stata segata una gamba (la destra) e il cui peso finisce col poggiare quasi tutto sull’estremità sinistra. Tra l’altro, essendo stato delegittimato teoricamente, il conservatorismo è costretto a mascherarsi da riformismo, se non vuole sfociare nel nazionalismo, in entrambi i casi venendo meno alle proprie ragioni storiche e ideali. Questo è il motivo per cui in Europa, ad eccezione della Gran Bretagna, vi siano così pochi politici che accettano la denominazione di conservatori e il posizionamento a destra. Nella stragrande maggioranza dei casi l’appellativo viene assegnato loro dalle opposizioni di sinistra consapevoli in tal modo di metterli in difficoltà. Per cui non è conservatore Sarkozy, non è conservatore Fini, non è conservatrice la Merkel. Il loro pragmatismo, spacciato per “nuova politica”, in realtà è solo il vecchio moderatismo e in quanto tale non ha prodotto nulla a livello teorico ed è facilmente immaginabile che non lascerà tracce quando sarà passato di moda. Il che, se la strategia di Lafontaine avrà successo in Germania, potrebbe accadere prima che fosse lecito attendersi.
Stando così le cose, dunque, l’unica contrapposizione tra destra e sinistra, autentica in quanto legittimata da ambo le parti, è quella che vede da un lato il Partito Repubblicano USA e dall’altro la galassia della sinistra radicale internazionale. Nell’ottica della sinistra, che anche in questo caso si impone nel senso comune a quella avversaria, i primi sarebbero da combattere in quanto liberisti, culturalmente nazionalisti e propugnatori di una politica estera imperialista; al contrario dei secondi che sarebbero da applaudire in quanto portavoci di un’economia socialista, culturalmente cosmopoliti e convintamente pacifisti. E’ importante sottolineare come questi temi della sinistra altermondialista, pur depennati di quel tanto che hanno di “radicale”, soprattutto in termini economici, siano pressocchè gli stessi degli stessi partiti governativi europei e rispecchiano in toto l’immagine che comunemente si ha dell’Unione Europea, diventata non a caso il “feticcio” di tutte le sinistre del mondo, ivi compresa quella americana. D’altro verso la stessa destra americana, una volta scomparsa la minaccia del comunismo sovietico, ha avvertito immediatamente come proprio nemico il sistema dei valori europeo, insieme kantiano e marxista, e le politiche che, da destra come da sinistra, ne sono fatalmente espressione.
A questo punto qualcuno potrebbe ragionalmente obiettare che se la contrapposizione a cui abbiamo dato risalto è frutto del pensiero della sinistra, è una contrapposizione soggettiva che si risolve a vantaggio di chi l’ha pronunciata; dunque, è possibile, anzi necessario, valutare altri tipi di contrapposizione bipolare, che poggino magari su un cleavage di tipo non economico, ma culturale.
Questa obiezione riscuote un fortissimo credito a destra, soprattutto in quelle aree culturali fondamentalmente ostili alla modernità e messe ai margini dalla politica ufficiale dopo il 1945. In Italia Marcello Veneziani, intellettuale della “Nuova Destra” ha teorizzato, sulla scia del francese Alain de Benoist, un nuovo bipolarismo che superi le categorie di destra e sinistra, considerate logore e inadatte a rappresentare i nostri tempi, in luogo delle più attuali e trasversali opzioni di “comunitarismo” e di “liberalprogressismo”. Allo stesso modo c’è chi, non da ora, intende difendere, da destra, principalmente i valori cristiani contro il laicismo liberale e delle sinistre; oppure chi fa propria la vecchia ma non del tutto scolorita immagina dell’Europa-Nazione, o si fa paladino dell’Occidente di razza bianca, contro il pericolo “mondialista” rappresentato dalla sinistra (e a volte anche dalla stessa destra) multiculturalista e multirazziale.
Tuttavia questi tentativi volti a ridefinire la destra e la sinistra in chiave non economica (liberismo versus socialismo), pur meritevoli d’attenzione, non hanno finora visto i loro sforzi coronati dal successo e la proposta della destra culturale alla sinistra radicale di riformulare se stessa alla luce della fine delle esperienze novecentesche non ha mai sortito altro che derisione o peggio disinteresse. Questo si spiega presumibilmente per due motivi: uno, perchè la sinistra, sapendo di essere a livello intellettuale molto più forte della destra, non intende ovviamente seguirla sul proprio territorio; due, perché la sinistra radicale nasce privilegiando quegli aspetti economici che la destra culturale vorrebbe anteporre, e tuttora li considera preponderanti rispetto agli altri valori che col tempo hanno contribuito ad arricchire la propria visione del mondo. Cosicché gli altermondialisti odierni, pur essendosi lasciati in buona parte alle spalle l’armamentario concettuale marxista, facendo propri l’anarchismo libertario e uno spiritualismo pacifista di marca buddista, sono rimasti contrassegnati in prima istanza dalle tematiche economiche e nello specifico la loro battaglia rimane orientata a favorire le condizioni dei molti rispetto a quelle dei pochi, che in un’ottica globale significa parteggiare per il Terzo Mondo contro le odiose Multinazionali. Posizioni, queste, che godono di grande rispetto anche presso buona parte del popolo cattolico, compresi coloro che hanno come riferimento politico il Partito popolare europeo.
Per cui, fino a quando la forza della sinistra radicale sarà tale da imporre sul piano culturale, prima ancora che politico, le proprie istanze di uguaglianza, di libertà e di pace, la destra nell’immaginario comune, come per la stessa politologia, assumerà forzatamente i caratteri che a torto o a ragione le saranno conferiti dall’avversario e che sono funzionali ad uno schema bipolare e alla sinistra stessa. La destra USA vi si ritrova a pennello e non rinuncia all'autoidentificazione perchè oltreatlantico il pendolo oscilla sempre dalla sua parte. Tutto il contrario di quanto accade in Europa. Nel nostro continente, l’alternativa ad un ruolo non richiesto rimane sempre quella della simulazione e dell’imboscamento. Questo spiega in definitiva perché nell’Europa politica di oggi tutti cercano una destra che faccia da contraltare alla sinistra e questa destra non c’è.
Florian