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    Predefinito Chi è Dario Franceschini

    Dario Franceschini
    primopiano
    Dario Franceschini è nato a Ferrara il 19 ottobre 1958.
    E’ sposato dal 1986 con Silvia ed ha due figlie, Caterina e Maria Elena. Si è laureato in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Ferrara con una tesi in Storia delle Dottrine e delle Istituzioni politiche.
    Il suo impegno politico inizia nell’autunno del 1974 quando fonda, al Liceo Scientifico "Roiti" di Ferrara, l’Associazione Studentesca Democratica di ispirazione cattolica e centrista.
    Si iscrive alla DC dopo l’elezione a segretario di Benigno Zaccagnini e dopo due anni viene eletto Delegato Provinciale dei giovani DC. Nel 1980 viene eletto Consigliere Comunale di Ferrara e nel 1983 capogruppo consiliare. Alle successive elezioni amministrative del 1985 e del 1990 è capolista della DC e primo degli eletti.
    Nel 1984 entra nella Direzione Nazionale del Movimento giovanile dc per il quale fonda la rivista mensile "Nuova Politica".
    Chiusa l’esperienza dei giovani Dc entra negli organismi provinciali e regionali del partito e dirige a Roma il mensile "Settantasei" che raccoglie i giovani quadri della sinistra dc. Viene chiamato anche alla vicedirezione del mensile "Il Confronto" e nella redazione del settimanale del partito "La Discussione".
    Nella fase di trasformazione della DC in PPI invita il partito, all’Assemblea Costituente di Roma del 1993, a scegliere con determinazione, come conseguenza del nuovo sistema elettorale. maggioritario, la via dell’alleanza tra centro e sinistra. Conseguentemente, dopo la decisione del PPI di candidarsi alle elezioni del 1994 come "terzo polo", aderisce ai Cristiano Sociali, fondando il movimento a Ferrara e divenendone Consigliere Nazionale.
    Nel 1994 diventa Assessore alla Cultura e Turismo del Comune di Ferrara. Nel 1995, a seguito di una spaccatura nel centrosinistra della provincia, accetta di candidarsi a Sindaco per una lista composta da Cristiano Sociali, Laburisti e Verdi e raccoglie il 20% dei voti.
    Dopo la scissione del PPI e l’adesione dello stesso a L'Ulivo rientra nel partito. Dal 1997 al 1999 è chiamato all’incarico di vicesegretario nazionale. Nell’ultimo Congresso nazionale del PPI è fra i tre candidati all’incarico di Segretario Politico e successivamente entra a far parte della Direzione nazionale e dell’Ufficio di segreteria con l’incarico per le politiche della Comunicazione.
    Entra nel secondo Governo D’Alema come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alle Riforme Istituzionali e viene confermato nello stesso incarico nel successivo governo Amato. A nome del Governo segue in particolare il tema della legge elettorale, e sino all'approvazione definitiva, la legge costituzionale di riforma degli Statuti delle Regioni a Statuto speciale, l'introduzione del Diritto di voto per gli italiani all'estero e le modifiche al Titolo V della Costituzione.
    Alle elezioni politiche del 2001 è candidato dell’Ulivo alla Camera dei Deputati nel Collegio maggioritario di Ferrara e capolista della Margherita nella quota proporzionale nelle Marche. Eletto Deputato diviene componente della Giunta delle elezioni e della I Commissione permanente Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni.
    E' stato componente dell'Assemblea Parlamentare dell'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE).
    E' socio fondatore dell'Associazione interparlamentare per il commercio equo e solidale.
    Tra i fondatori della Margherita, nel luglio 2001 entra a far parte del Comitato Costituente del partito, del quale diventa Coordinatore dell'Esecutivo Nazionale. Viene confermato in Direzione e in Assemblea Federali e nell’incarico di Coordinatore al Congresso Costituente di Parma del 2002 e al Congresso di Rimini del 2004.
    E' membro del Direttivo del Partito Democratico Europeo.
    Alle elezioni politiche del 2006 è capolista dell'Ulivo nella circoscrizione Lombardia II e candidato in Emilia-Romagna, per la quale opta. E' stato Presidente del nuovo gruppo parlamentare "L'Ulivo" alla Camera dei Deputati dal maggio 2006 all'ottobre 2007.
    Dopo aver ricoperto l'incarico di Vicesegretario del Partito Democratico il 21 febbraio 2009 durante l'Assemblea Nazionale si candida a Segretario Nazionale in seguito alle dimissioni di Walter Veltroni e viene eletto con 1.047 voti.
    E' componente della Commissione parlamentare Unione Europea e membro della delegazione italiana presso il Consiglio d'Europa e l'Unione dell'Europa Occidentale.
    Perché l'unico tipo di rapporto che riusciva a concepire era di tipo feudale. Non aveva la minima idea di cosa fosse il cameratismo al quale anelava l'anima. (E. M. Forster)



  2. #2
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    Predefinito Rif: Chi è Dario Franceschini

    Un ex Dc che guida ex Pci…
    «Fino a qualche mese fa c’era un ex Pci che guidava ex Dc. Ma ci sono milioni di elettori che non sono né ex Pci, né ex Dc. Tutti quelli che hanno meno di 36 anni non possono avere votato né Dc, né Pci, perché, quando hanno cominciato a votare, questi due partiti non esistevano più. Alle primarie che hanno eletto Veltroni hanno votato tre milioni e mezzo di persone. Gli iscritti ai Ds e alla Margherita erano un milione. Più di due milioni di italiani si sono dichiarati fondatori del Pd senza venire dai due partiti».

    Fa comunque impressione.
    «Quelli della mia generazione vivevano un mondo diviso in blocchi. Ma con la consapevolezza che qualcosa li univa: la Resistenza, la Costituzione, la lotta al terrorismo, la crisi… Moro e Berlinguer avevano preparato il terreno. Alla fine sono confluiti nella stessa alleanza e poi nello stesso partito».

    Dicono che tu sei il contrario del veltroniano “ma anche”…
    «Sbagliato. La vita è tutta fatta di “ma anche”. Non esiste il tutto bianco o tutto nero».

    Allora aveva ragione Giancarlo Perna a chiamarti, sul Giornale, “ghiaccio bollente”. Citava il caso Welby. Dicevi: “Capisco, ma l’eutanasia no”.
    «Voglio vedere chi riesce a non ragionare col “ma anche” su temi così delicati».

    Sui gay dicevi: “Bisogna riconoscere che la coppia di fatto ha dei diritti ma anche che la famiglia è un’altra cosa”.
    «Non è “ma anche”. E’ buon senso».

    Cossiga dice: Franceschini non è “ma anche”. E’“sì però”.
    «Il “sì però” è una variante post-democristiana».

    Tu sei di Ferrara, antico feudo della sinistra.
    «E’ una città di grande vivacità culturale e solidarietà. Tra avversari politici c’erano legami fortissimi».

    Tu eri minoranza.
    «Delegato provinciale dei giovani Dc. Consigliere comunale. Capogruppo… sempre minoranza. Anche dopo. Per i due terzi della mia vita politica ho fatto opposizione».

    Ricordi i vecchi amici?
    «Sono quelli con cui vado in vacanza, con cui gioco a carte».

    Tressette come De Mita? Burraco come Andreotti? Scopone come Pertini?
    «Trionfo, il gioco più divertente del mondo, praticamente tressette con la briscola».

    Gli amici...
    «Ero compagno di classe di un ragazzo comunista, Alessandro Bratti. Siamo ancora molto amici. Adesso siamo anche parlamentari nello stesso partito».

    Allora invece…
    «C’era un clima molto goliardico, ce ne facevamo di tutti i colori. Io arrivavo in classe ostentando il “Popolo” e lui me lo bruciava. Siamo rimasti amici, abbiamo sposato due amiche, abbiamo fatto sempre le vacanze insieme».

    Ricordi la tua canzone dell’amore?
    «Canzoni che si alternano nel tempo. Da ragazzo ascoltavo De Gregori, De André, i cantautori».

    La canzone italiana più bella in assoluto?
    «Atlantide di De Gregori».

    Tu canti?
    «Per un po’ di tempo ho tentato di suonare il saxofono».

    Il saxofono?
    «Mi piaceva l’idea che un giorno, in un locale jazz, mi sarei alzato tra il pubblico e mi sarei messo a suonare, improvvisando. Feci sei mesi di lezione con un vecchio professore. Commisi l’errore tragico di registrarmi. Quando mi sono risentito, sono caduto in una crisi depressiva e ho venduto il sassofono».

    Da giovane facevi lo sbandieratore del palio di Ferrara.
    «E’ uno sport, non uno scherzo. Ci sono i campionati nazionali, bisogna allenarsi».

    E’ pericoloso sbandierare?
    «Se ti arriva in testa la bandiera sì».

    Ti è arrivata mai in testa?
    «Sì. Ho ancora la cicatrice. Facevamo l’allenamento di sera, era buio, non l’ho vista».

    Sbandieri ancora?
    «Lo sogno a volte. Nel sogno mi accorgo che non ce la faccio. Ma se mi danno in mano una bandiera sono ancora capace».

    Tua moglie ha dichiarato che volevi fare il tennista.
    «Mia moglie ha dato una sola intervista nella sua vita e ha giurato di non farlo più. Le han fatto dire cose assolutamente false. Compreso che lei di politica non si occupa e si fida di quello che dico io. E’ l’esatto opposto. In politica mi incalza e mi critica».

    Da destra?
    «No, da sinistra. Quando io ero in lista votava per me. Altrimenti più a sinistra. Adesso tutti e due Pd».

    Non viaggi in aereo.
    «Più cresce la notorietà più dicono cavolate su di me. L’aereo lo prendo da sempre. Però preferisco il treno».

    Seconda classe…
    «Con la famiglia in seconda classe. Ma siccome i parlamentari non pagano, inutile contare balle, quando sono solo spesso vado in prima».

    Il soprannome ciuffolino è un’invenzione?
    «E’ la prima volta che lo sento».

    Altri soprannomi?
    «Ferrara ha una grande tradizione di scutmai, “soprannome” in ferrarese».

    Il tuo scutmai?
    «“Onorevole”, quando avevo 20 anni, “Ministro”, quando ero consigliere comunale».

    La tua passione per le moto. Questa è vera?
    «Non passione, vero amore. Facevo sempre tutte le vacanze in moto. Prima avevo una Ducati scrambler, quella arancione. Poi una Bmw 100/7. Andavamo io, Bratti e Stefano Scavo, anche lui ex comunista, oggi dirigente dell’Unipol. Con le mogli. Grecia, Jugoslavia, Creta, vacanze bellissime. Quando è nata la mia prima figlia abbiamo smesso. Ho venduto la moto, soffrivo vedendola invecchiare in garage. La Bmw va curata, va amata. La cosa incredibile è che venti anni dopo due amici parlamentari, Alberto Losacco e Antobello Giacomelli, l’hanno rintracciata e me l’hanno regalata».

    Altri sport?
    «Giocavo a calcio. Portiere».

    Come mai in porta?
    «In porta giocavano quelli che fuori erano schiappe».

    In famiglia: partigiani da parte di padre, fascisti da parte di madre…
    «Ho capito in casa che era possibile la riconciliazione. Ma non ho mai avuto il minimo dubbio su quale fosse la parte giusta».

    Una volta De Mita ti disse: “Quello non sarà mai un politico perché scrive romanzi”. Tu avevi già scritto due romanzi.
    «Ma non li avevo ancora pubblicati e stetti zitto, codardo».

    Perché uno che scrive romanzi non può fare politica?
    «Al politico serve freddezza, razionalità, distacco. Al narratore è richiesta profondità, sentimento».

    Politica e letteratura non vanno d’accordo…
    «Se uno va in libreria e vede un romanzo scritto da un politico scappa. Perché pensa che gliel’abbia scritto un ghost writer, o che sia un’operazione di marketing».

    Quante copie hai venduto?
    «In Francia il mio primo libro, “Nelle vene quell'acqua d'argento”, pubblicato da Gallimard, è arrivato a 12 mila copie».

    Nel ’68 avevi dieci anni. Se fossi stato più grande?
    «Sarei stato tentato. I moti collettivi e generazionali ti coinvolgono al di là delle appartenenze politiche».

    A Ferrara giravi con l’eskimo e la lunga barba rossa…
    «I giovani dc mica andavano in giro in doppio petto e cravatta».

    Frequenti salotti?
    «Non faccio pubbliche relazioni. La sera, se esco, esco con gli amici. La vita dei politici è già talmente distorta… Tre mesi ero fermo a un semaforo, mi si avvicinò un signore e mi disse: “Complimenti”. E io: “Grazie, ma perché?”, e lui: “Perché sta fermo al semaforo come gli altri!”. “Guardi che se passo mi fanno secco!”».

    Eri una dei “ragazzi di Zac”. Chi erano gli altri?
    «Fabris, Lusetti, Garofani, Digiovanpaolo, Giuntella, David Sassoli… Avevamo vent’anni. Entrammo nella Dc di allora perché Zaccagnini rappresentava un momento di rottura. Lo avevano fatto segretario perché era palesemente onesto».

    “Il peggior segretario che la Dc abbia avuto”, scrisse Moro prigioniero delle Br.
    «Appunto. Prigioniero delle Br. Da quel dolore Zaccagnini non s’è mai più ripreso».

    Moro non era padrone di sé, dissero quelli del partito della fermezza…
    «No. Moro, legittimamente e giustamente, tentava di uscirne vivo. Molte cose le scriveva per far credere alle Br che lui sarebbe stato molto più pericoloso da vivo che da morto».

    Anche tu eri per la fermezza?
    «Sì. Pensavamo: se si cede su Moro, poi come dovremmo comportarci se rapissero un operaio? Per Moro si tratta e per un operaio no?»

    Il capo della segreteria di Zaccagnini era Pisanu. Adesso è con Berlusconi. Voltagabbana?
    «Ha scelto Forza Italia dal primo giorno. Finita la Dc lui è andato con Berlusconi».

    E adesso è nello stesso partito di Fini, Gasparri e La Russa. Zaccagnini non era di sinistra?
    «Si vede ogni giorno quanto Pisanu sia a disagio con Berlusconi. Ogni cosa che dice è l’opposto di quello che dice il suo schieramento».

    Berlusconi ha detto di te: “Con quella faccia da bravo ragazzo buca il video”.
    «Poi ha smentito, naturalmente!»

    Buchi il video?
    «Io mi sono dato la regola di non ascoltare i consulenti di immagine».

    Però porti il maglioncino blu…
    «Un autorevole quotidiano ha scritto: “Ha scelto il maglione blu come Marchionne per dare il messaggio che anche lui solleva un’azienda in crisi”. Meravigliosa dietrologia».

    Il maglioncino blu di Marchionne ce l’hai.
    «Ma io l’ho comprato all’Upim…»

    I tuoi nemici…
    «Non voglio fare il buonista, ma la categoria “nemici” non mi piace».

    Buonista…
    «Ho avuto degli scontri politici».

    Con Parisi…
    «Era molto critico sulle modalità di nascita del Pd. Ma poi si andava fuori a cena».

    Con Rutelli…
    «Rutelli è uno preparato. L’opposto di come viene descritto. Approfondisce, è capace di fare squadra. Politicamente ci sono delle cose che non condivido».

    Tipo?
    «Sui temi etici ha imboccato una strada troppo rigida».

    Il documento dei sessanta della Margherita, da te sponsorizzato, fu bollato dai rutelliani come una “mignottata”.
    «Non è corretto dire “rutelliani”. Era una parte dei teodem. I rutelliani sono una cosa un po’ più ampia».

    Con Bettini…
    «Tutto esagerato dai giornali».

    La storia che gli avresti ceduto la poltrona per enfatizzare che era il vero vice di Veltroni?
    «Il Corriere ci fece mezza pagina sostenendo che il mio era un gesto polemico».

    Invece?
    «Tutto inventato. Con Bettini abbiamo lavorato nella segreteria un anno. Abbiamo avuto dei momenti di distinzione, ma è normale».

    Sei più buonista di Veltroni…
    «Sono anche cattivo quando è giusto. Ma se c’è uno scontro con una persona, non è per tutta la vita. Mi sono scontrato anche con Marini. Dopo due mesi amici come prima. E anche con Castagnetti… adesso andiamo perfettamente d’accordo».

    Chi ti piace a destra?
    «La Prestigiacomo, Alemanno… Ti dirò una cosa su cui mi prenderò degli insulti: la Carfagna. Gli uomini italiani hanno mostrato tutto il loro razzismo inconsapevole, il loro tardo-maschilismo. Se la Carfagna fosse brutta, tutti ne parlerebbero bene. Siccome è bella, si esclude che possa essere brava. Io l’ho vista, parla a braccio, dice cose approfondite».

    Sei d’accordo con la Carfagna?
    «Dice spesso cose sbagliate. Però è preparata».

    Perfino Paolo Guzzanti ha detto che è strano che si facciano ministri persone che non hanno mai fatto politica.
    «Con questa legge elettorale ci sono stati molti altri casi simili. Nel governo di destra come in quello di sinistra».

    Qualche esempio? Qualche uomo magari? C’è un Carfagno?
    «Più di uno. Ma non sono belli e fanno meno notizia».

    Chi altri ti piace?
    «Alfano. Non come fa il ministro. Ma si vede che ha fatto la gavetta».

    All’opposizione chi non ti piace?
    «Di Pietro. Non mi piacciono i partiti personali. Sono fisiologicamente a termine».

    Chi sarà il successore di Berlusconi?
    «A volte temo che sarà Piersilvio, il figlio. Non sto scherzando. In Italia purtroppo nessuno si scandalizzerebbe. Anzi temo che alla gente piacerebbe».

    Un partito che ha la Bindi a sinistra e la Binetti a destra, somiglia un po’ alla vecchia Dc…
    «Assomiglia a tutti i grandi partiti. I partiti identitari, in cui tutti sono d’accordo su tutto, sono partiti piccoli».

    Prodi dice che la scelta di correre da soli ha fatto cadere il suo governo…
    «Assolutamente no. Berlusconi lavorava fin dall’inizio della legislatura per convincere alcuni senatori a far cadere il governo. Gennaio era l’ultima occasione. Era in calendario la legge sul conflitto di interessi. Che così è saltata. Alcune persone hanno fatto cadere il governo e sono state ricandidate con Berlusconi. C’erano nomi e cognomi».

    Nomi e cognomi…
    «Dini e i diniani. E Mastella».

    Mastella non è stato ricandidato.
    «E infatti se ne lamentò. E adesso, alle Europee, è in lista con Berlusconi».

    Vi accusano di aver fatto sparire la sinistra dal Parlamento.
    «Sono stati gli elettori, non noi».

    Vogliono ricostruire il Grande Centro…
    «Tutti quelli che ci provano vanno a sbattere. Casini ha annunciato che il Grande Centro nascerà in ottobre. Forse se è grande dovrebbero deciderlo gli elettori in giugno».

    Rai: sei rimasto scottato dall’episodio De Bortoli?
    «Ci aveva dato la disponibilità. Poi ci ha ripensato. E devo dire che aveva buone ragioni».

    Debora Serracchiani ti è piaciuta?
    «Mi ha stupito positivamente. Ha preso la parola da sconosciuta in una assemblea di 2500 persone. Dopo due minuti la stavano ascoltando tutti. Parlava a braccio. E’ stata coraggiosa perché era un momento di entusiasmo, anche nei miei confronti».

    C’è una critica che ti è parsa ingiusta?
    «No, erano tutte giuste, compreso quando mi ha detto: “Tu non sei una faccia nuova”. Anche se…»

    Anche se?
    «Debora ti frega. Ha la faccia da 20 anni e ne ha 38. E’ una donna matura».

    A Vittorio Zincone hai detto: “Non mi piace spendere soldi per abiti e scarpe”. Essendo nel partito di D’Alema non avresti dovuto nominare le scarpe…
    «Infatti non le avevo nominate. Le ha aggiunte Zincone. Io avevo detto: “Non mi piace spendere soldi per vestirmi”. Il furbo Zincone ci ha infilato le scarpe».

    Ti piace l’Unità?
    «Mi piace ma molto spesso non ne condivido i contenuti. Su alcune posizioni non rappresenta la sintesi delle posizioni del Pd, ma la parte più a sinistra».

    Hai detto che il ciclo di Berlusconi è finito. Una botta di ottimismo…
    «“Non ho mica detto che finirà domattina. Ma il suo ciclo dura da 14 anni. Se finisce questa legislatura fanno 19 anni».

    Un ventennio. A proposito: c’è regime in questo momento in Italia?
    «Il regime nel significato del ‘900, no. Il rischio di una cosa che rispetti la democrazia da un punto di vista formale, ma che da un punto di vista sostanziale sia totalmente squilibrata, sì. Svuota il Parlamento facendo solo decreti legge e fiducie. Controlla il sistema della comunicazione…»

    Mi sembra di capire che c’è regime…
    «Una versione moderna. Io non userò mai quella parola, perché per noi ha un altro significato. Però ci sono delle anomalie, siamo unici in Europa».

    Quando un premier dice che il Parlamento è inutile e andrebbe abolito, si può parlare di voglia di regime?
    «E l’idea di far votare solo i capigruppo? A Berlusconi è consentito tutto, c’è assuefazione. Lui e Bossi possono dire qualsiasi cosa. Lui smentisce. E per l’altro si dice: “Vabbé… dai».

    Alla fine del ciclo Berlusconi fonda un partito che mira ad avere il 51%.
    «Beh, io miro al 90 per cento».

    Ma tu sei all’inizio del ciclo.
    «E infatti punto più in alto».

    Quelle di Berlusconi sono gaffes oppure è un profondo conoscitore dell’animo umano?
    «Sono gaffes. Ma piacciono alla gran parte degli italiani».

    I sondaggi…
    «Mitologia. Berlusconi va a naso. Il suo naso è molto meglio dei sondaggi, è in sintonia con un pezzo di opinione pubblica che non a caso si è formato con vent’anni di sua televisione».

    Berlusconi ha detto che avrebbe dato le sue case ai terremotati.
    «E non ha smentito. Manderemo i picchetti davanti alle sue case a controllare...»

    Gioco della torre. D’Alema o Veltroni?
    «Mi butto io».

    Marini dice che quando, con uno dei due, parli bene dell’altro, quello si rabbuia.
    «Hanno avuto alti e bassi nei loro rapporti. Adesso siamo al punto basso, speriamo che torni quello alto».

    Tremonti o Brunetta?
    «Butto Brunetta. Molta immagine e pochi fatti. Vuole i titoli dei giornali».

    Grillo o Travaglio?
    «Tutti e due. Non hanno mai dubbi. Son sempre gli altri che sbagliano».

    Tu hai dubbi?
    «Abbondo».

    Qualche domanda epocale. La prima: Rutelli crede in Dio?
    «Certo!»

    Una volta non ci credeva…
    «Se ci arrivi da adulto la fede è più forte».

    Seconda domanda epocale: Di Pietro è di sinistra?
    «Raramente».

    Terza domanda epocale: Mina riapparirà?
    «Prima o poi cederà alla tentazione, magari in penombra».

    Quarta domanda epocale: Fini è un compagno?
    «Chissà. Forse la mattina davanti allo specchio fa le prove di come gli verrebbe bene il pugno chiuso».

    Dario Franceschini - La Stampa - Le interviste di Claudio Sabelli Fioretti
    Perché l'unico tipo di rapporto che riusciva a concepire era di tipo feudale. Non aveva la minima idea di cosa fosse il cameratismo al quale anelava l'anima. (E. M. Forster)



  3. #3
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    Predefinito Rif: Chi è Dario Franceschini

    Doveva uscire il 5 settembre, ma il suo arrivo nelle librerie è stato rimandato al 24 ottobre, esattamente dieci giorni dopo le primarie. Politico e romanziere: «Due momenti della mia vita che voglio continuare a tenere separati.
    Per questo ho spostato l’uscita del romanzo: non volevo che interferisse con il voto per l’elezione del segretario del Partito democratico, e viceversa.

    E poi, considerato che racconto la follia improvvisa di un uomo, non volevo che si ironizzasse su possibili riferimenti autobiografici. Che non ci sono affatto».
    Non vuole che venga messo in discussione il suo equilibrio mentale Dario Franceschini, 49 anni, aria da eterno ragazzo e ciuffo sbarazzino, ex Dc, pupillo di Benigno Zaccagnini, poi leader della Margherita e candidato con Walter Veltroni alla guida del Pd. Strano destino il loro: oltre a condividere, forse, la leadership del nuovo partito, in comune hanno la passione di scrivere romanzi. Ma se in politica Franceschini è il secondo di Veltroni, in campo letterario ha vinto lui: con il premio Chambery per l’opera prima, e la soddisfazione di veder pubblicato il suo Nelle vene quell’acqua d’argento dal prestigioso editore francese Gallimard.


    Numero due in politica, numero uno in letteratura?

    «Io mi sarei accontentato di essere pubblicato in Croazia: uscire in Francia

    con Gallimard è come aver vinto la lotteria, ma il successo e la qualità

    di un libro più che dalle critiche si misurano dai lettori, e in questo Walter

    ha stravinto: 15 a 1».


    Quanto ha contato la passione comune per la scrittura nella vostra

    intesa politica?

    «Certo nel rapporto personale è stata importante, ma con Veltroni, ben prima

    che quella passione ce la confessassimo reciprocamente, c’è sempre

    stato un percorso comune di esperienze e di aspettative. Tante volte

    ci siamo detti: arriverà il momento in cui saremo nello stesso partito.

    Abbiamo lavorato per questo. E che adesso quella speranza si realizzi anche

    cominciando insieme l’avventura del Pd è davvero bello».


    Quando ha raccontato a Veltroni che anche lei aveva nel cassetto un

    romanzo?

    «Quando lui ha pubblicato Senza Patricio. Gli ho detto: “Mi hai fregato, io

    ho sempre scritto, ma ora se deciderò di cercare un editore tutti mi diranno

    che ho copiato da te”».


    E lui che cosa le ha risposto?

    «Mi ha incoraggiato moltissimo: “Vai avanti, non ti preoccupare, tanto

    se vogliono parlare male lo fanno ugualmente, se hai una vocazione seguila”.

    Così mi sono deciso e ho mandato il mio primo libro alla direttrice

    editoriale della Bompiani, che mi ha poi confessato di aver provato un brivido

    lungo la schiena quando lo ha visto, perché se ti arriva un romanzo
    scritto da un uomo politico il primo pensiero è che sia orribile. Poi invece

    lo ha letto, e le è piaciuto».


    Nel suo primo libro alcuni critici, particolarmente entusiasti, hanno

    visto una traccia di realismo magico latino-americano.

    «Magari! Tutta la nostra generazione è cresciuta ispirata dalla lettura di

    Gabriel García Márquez, ma non esageriamo... Però è vero che nella Pianura

    padana, nella terra del Grande fiume, di personaggi come quelli raccontati

    dalla letteratura latino-americana, che passano dall’ordinarietà della vita
    quotidiana agli eventi più fantastici, ce ne sono molti. È la terra di Zavattini,
    di Fellini e delle pitture naïf di Ligabue».


    E nel secondo, La follia improvvisa di Ignazio Rando?

    «È la storia di un uomo, un impiegato modello, che di botto impazzisce.

    Mentre gira per Ferrara in stato confusionale, il più ambizioso e meschino

    dei suoi colleghi va a casa sua per cercare di capire che cosa sia successo

    e scopre una stanza segreta piena di cartoncini su cui maniacalmente

    Rando annotava migliaia di sogni. Così il protagonista diventa l’ideale

    capro espiatorio di ciò che succederà dopo. Ma, per scaramanzia, non posso

    dire di più».


    Se potesse essere il protagonista di un libro scritto da qualcun altro, chi

    vorrebbe essere?

    «Lo scarafaggio della Metamorfosi di Kafka. Mi piacerebbe scoprire come

    si vive da insetto, ma certo prima mi dovrebbero garantire che è possibile

    tornare indietro».


    Una cosa da cui non può più tornare indietro: manca meno di un mese

    alle primarie per l’elezione del segretario del Pd. Come si sente?

    «Bene, perché penso che stiamo costruendo qualcosa di veramente i

    portante. È la prima volta che il segretario di un partito viene scelto non

    con un accordo notarile stipulato nelle segrete stanze, ma direttamente

    dagli elettori dopo un lungo percorso di confronto. E anche se c’è stata

    qualche esasperazione nei toni, la discussione è stata comunque molto

    positiva».


    Quando parla di qualche esasperazione nei toni a chi si riferisce, a Enrico

    Letta o a Rosy Bindi?

    «Chi conosce Rosy, e io la conosco da anni, sa che ha un bel caratterino, poi

    è anche toscana… Insomma, non riesce a rinunciare alla battuta. Ma non

    credo che dietro ci siano motivazioni politiche inconciliabili. Non dobbiamo

    dimenticare che siamo tutti candidati non gli uni contro gli altri, ma

    a costruire insieme un nuovo partito. È legittimo che ci siano posizioni

    e sfumature diverse, ma non c’è nessun bisogno di diventare avversari. E

    poi mi lasci dire una cosa…».


    Prego.

    «Quando nelle elezioni primarie del 2005 Ds e Margherita in modo compatto

    hanno sostenuto Prodi, nessuno ha parlato di designazione dall’alto.

    Adesso che la maggioranza di questi due partiti si è schierata per

    Veltroni, non capisco perché si debba puntare il dito contro la scelta degli

    “orridi apparati”.
    E se, una volta eletto Veltroni segretario del Pd, il secondo classificato

    dovesse rivendicare il posto di numero due del partito?

    «Non penso che né nelle intenzioni di Rosy Bindi né in quelle di Letta

    ci sia questa premeditazione: mi candido alle primarie per incassare un

    ruolo dopo. E l’idea del ticket Veltroni-Franceschini è nata da un rapporto

    leale tra noi. Del resto, se Walter non mi avesse chiesto di fare il suo vice,

    le primarie si sarebbero inesorabilmente trasformate in una conta

    tra il candidato Ds e quello della Margherita: sarebbero diventate una prova

    muscolare dei rapporti di forza tra i due partiti. Bloccando la cosa più

    importante: il mescolamento».


    Avrebbe mai potuto immaginare trent’anni fa, da democristiano, di

    diventare il numero due di un leader che è stato un importante dirigente

    del Pci?

    «Personalmente no, politicamente sì. Il fatto di ritrovarsi nello stesso partito

    ha le radici nella storia italiana, in particolare di quelle generazioni che

    sono cresciute negli anni ’70. Già allora, nei momenti di crisi del Paese,

    si avvertiva che erano solo gli equilibri del mondo, le barriere ideologiche

    a impedire di trovarsi dalla stessa parte. I punti che univano erano più

    di quelli che dividevano. E io ho lavorato, lavorato, nel mio piccolo, perché
    questo avvenisse».


    Era stato detto che il Pd avrebbe rafforzato il governo, ma ancora

    non è nato e già sembra destinato a metterlo in crisi.

    «Non penso affatto che sia così. I problemi di oggi sono gli stessi che

    c’erano prima. Il male di questa coalizione si chiama frammentazione:

    troppe sigle, troppe facce, troppa ricerca di visibilità. Se nella maggioranza

    ci fosse un unico soggetto della sinistra radicale e un unico soggetto

    riformista, cioè il Pd, tutto sarebbe più semplice».


    Ma non è inevitabile la competizione tra Prodi e Veltroni?

    «No: le strategie di Prodi e Veltroni devono necessariamente convergere.

    Il governo ha bisogno del Pd, e il partito ha bisogno che il governo funzioni:

    nessuno ci voterà se sarà insoddisfatto di questo esecutivo».


    Il Partito democratico deve guardare più a sinistra o più al centro?

    «Io penso che la scelta del centrosinistra sia strategica, ma non possiamo

    più costruire coalizioni fondate esclusivamente sull’ostilità verso l’avversario.

    Va rafforzata la nostra unità interna intorno a un programma conciso,

    chiaro, condiviso. Superando le attuali divisioni, e questo anche a costo

    di perdere qualche voto».


    Quando stacca, riesce a dimenticare la politica?

    «Io penso di sì. La mia famiglia sostiene di no. Questa estate sono stato

    negli Stati Uniti e, quando sono tornato, i giornali parlavano della scomparsa

    di Franceschini, del mio tramonto politico, del ticket già finito.

    Come vede, staccare non è facile».


    A chi regalerà la prima copia del nuovo romanzo?

    «A mia moglie».


    E se escludiamo moglie e figlie?

    «A tre persone citate nel romanzo: Francesco De Gregori, Roberto Benigni,

    Roberto Vecchioni».


    E Veltroni?

    «Lo riceverà un solo secondo dopo».
    Perché l'unico tipo di rapporto che riusciva a concepire era di tipo feudale. Non aveva la minima idea di cosa fosse il cameratismo al quale anelava l'anima. (E. M. Forster)



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    Predefinito Rif: Chi è Dario Franceschini

    Nome: Dario. Cognome: Franceschini. Professione: ah, saperlo. E’ un politico che ha tradito il romanziere che c’era in lui? O è andata esattamente al contrario? Ossia è il romanziere che alla fine ha avuto la meglio? Ciuffo castano chiaro, faccia da ragazzino, Franceschini è uno dei pochi volti giovani della politica italiana. Dirigente di spicco della Margherita, a sorporesa, ha deciso di pubblicare un libro. Non un saggio politico, ma un romanzo vero e proprio. E in questa intervista spiega perché il politico non ha tradito lo scrittore e perché lo scrittore non tradirà il politico.

    Nelle vene quell’acqua d’argento: che titolo poetico, Franceschini, per il libro di un politico.
    << Quel titolo spiega già che è un romanzo che non ha niente a che vedere con l’attualità e la politica. Ho sempre scritto, ma è un’attività che ho tenuto nascosta gelosamente>>.

    Finchè non si è deciso, e il suo romanzo arriverà mercoledì 11 gennaio in libreria. Ma di che parla?
    <<E’ difficile sintetizzare tutto in poche parole. Proverò a farlo. E’ la storia di un unomocui improvvisamente viene in mente una domanda che gli ha fatto un compagno di classe quarant’anni prima e allora si mette a cercarlo per rispondergli. Così torna sul fiume della sua giovinezza. E sa che cosa mi ha fatto piacere?>>

    No, dica pure.
    <<Chi lo ha letto ha detto che c’era qualcosa del realismo magico latino-americano. E vengono proprio di li gli autori che mi piacciono di più: da Marquez in giù… Per carità, non voglio certo fare paragoni, dico solo ch quello è forse il più grande scrittore del Novecento>>.

    Com’e’ che si è deciso a pubblicare un romanzo? Narcisismo?
    <<Mi ha convinto Veltroni>>.

    Oddio, che c’entra Veltroni?
    <<Quando lui ha pubblicato Senza Patrocinio, che è una raccolta di bei racconti, gli ho detto: “Mi hai fregato, io ho sempre scritto, ma ora se deciderò di pubblicare qualcosa tutti diranno che ho copiato te>>.

    Veltroni che cosa le ha risposto?
    <<Mi ha detto: “Fregatene, tanto se vogliono parlar male lo fanno lo stesso. Se hai una vocazione seguila.>>

    E lei gli ha dato retta. Ma i suoi amici, i pochi che sapevano del libro in gestazione, che cosa le hanno detto?
    <<Qualcuno mi ha consigliato la prudenza per il timore che scrivere romanzi si conciliasse poco con la mia immagine esterna. Ricordo che anni fa (io già scrivevo) parlavo con De Mita di un politico che aveva pubblicato qualche romanzo con delle case editrici minori>>.

    Il Nome?
    << Non lo faccio>>.

    Peccato, vabbè, prosegua.
    <<Insomma in quell’occasione De Mita mi disse: “Quello non sarà mai un politico: scrive romanzi”. Questa frase mi è rimasta stampata nella memoria e mi ha frenato Q. Anche perché c’è un punto di verità. Dal politico ci si aspetta razionalità, freddezza e anche professionismo, mentre nella semplificazione che viene fatta la scrittura sembra quasi un momento di debolezza in cui si rivela una parte interiore di sé. Insomma, sono due ruoli che mai si conciliano: il fatto che scrivi può instillare dubbi sulle tue capacità di politico, ma il fatto d’essere un politico fa germinare dubbi sul tuo potenziale ruolo di scrittore>>.

    Un disastro.
    <<No, perché se io fossi stato obbligato a scegliere a tavolino una vocazione prioritaria avrei sicuramente scelto di scrivere e quindi ho deciso di seguire il consiglio di Veltroni>>.

    Lei ha cominciato prima a scrivere o a fare politica?
    << Ho cominciato a afre politica talmente presto che scrivere era un’idea come quella che hanno tanti ragazzini. Per tanta parte della mia vita ho avuto un’attività pubblica e una, diciamo così, privata. Ora con questo libro sono entrambe pubbliche e può esserci il cortocircuito!>>.

    E sua moglie che dice di questa attività parallela?
    <<L’ha sempre condivisa e incoraggiata. Ora anche lei è curiosa di vedere l’esito>>.

    Ma nel suo partito a chi lo ha annunciato?
    <<Praticamente a nessuno>>.

    Confessi, si vergognava?
    <<Si, un poco. Ma sa qual è il problema? Quando si legge un romanzo o un racconto si tende sempre, sbagliando, a cercare il riferimento autobiografico, il che è assurdo. Magariè vero che c’è una parte di te stesso in ogni personaggio, ma non è così automatico. Ed è chiaro che essendo io in qualche misura personaggio pubblico questa tendenza sarà ancor di più forte, e questo mi spaventa un’po’>>.

    Se lei potesse essere il protagonista di un romanzo scritto da qualcun altro chi le piacerebbe essere?
    << Tendezialmente alla fine di ogni romanzo ci si identifica in tutto o in parte in un personaggio, quindi non saprei chi dire ….. forse l’acquaiolo Quincas di un bellissimo racconto di Joege Amado: si libera di tutto e decide di fare veramente quello che vuole, anche se un po’ esagera ….>>

    Scelta indicativa. Franceschini, lei è un politico giovane. Provi a rispondere a questa domanda: perché la classe dirigente italiana è di gran lunga più “vecchia” di quella degli altri paesi?
    <<Intanto perché negli altri paesi la pratica dell’alternanza di potere è un fatto abituale mentre da noi per quarant’anni non c’è stata. E anche quando è cambiato il sistema politico siamo sempre vissuti nelle transizioni e quindi non è emersa una classe dirigente giovane.Comunque non bisogna mai lamentarsi del fatto che una generazione non lascia spazio ma del fatto che una generazione, la nostra, tende ad aspettare la successione per eventi naturali e non invece guadagnandosela. Questo è il limite di noi quarantenni e cinquantenni>>.

    Gran limite: in Gran Bretagna i conservatori hanno scelto un leader di 39 anni, in Spagna Zapatero ne ha 45. Romano Prodi e Silvio Berlusconi invece ne hanno molti di più.
    <<E’ chiaro che noi siamo un’anomalia, ma la prossima legislatura dovrebbe essere finalmente quella in cui emerge una calsse dirigente nuova perché i protagonisti - e lo dico senza nessuna critica – sono gli stessi da oltre dieci anni sia nel centrosinistra sia nel centrodestra>>.

    Franceschini, lei fa politica, scrive … Che altro?
    <<Faccio una vita assolutamente normale. Ho due figlie, una di diciassette anni, l’altra di dieci, e cerco di ritagliare più spazio possibile per la vita in famiglia. Sto con le ragazze, faccio la spesa>>.

    Giuri che è possibile incontrarla per strada carico di buste della spesa.
    <<Assolutamente sì, lo giuro. E anche un po’ troppo spesso! Quanto alle figlie, è ovvio che, come in tutti i casi in cui i padri hanno molti impegni, sono le madri che si fanno carico di una presenza non solo fisica ma anche psicologica più costante. Sono grato a mia moglie per questo. Però cerco comunque di ritagliarmi degli spazi di “vita normale” perché il rischio di chi fa politica è quello di perdere il contatto con la realtà. Non a caso i miei amici veri, quelli con cuoi esco e con cui faccio le vacanze, sono fuori dal giro della politica nazionale.

    Ma le sue figlie le sgridano mai?
    <<Assolutamente si: mi sgridano spesso, e hanno ragione. Tento di difendermi ma non sempre ci riesco.

    C’è un politico di centrodestra che non le dispiace?
    <<Gianni Alemanno. Viene da una storia talmente diversa dalla mia, è uno di destra, ma ha mantenuto alcuni valori sociali. Eppoi negli anni della politica muscolare della Cdl lui, invece, ha usato il dialogo con le organizzazioni di categoria>>.

    Franceschini, in politica il tradimento è inevitabile?
    <<Rifiuto la logica secondo cui è uno strumento obbligato per fare politica. Il tradimento capita come capita nella vita, ma è comunque una cosa negativa, un aspetto deteriore della politica.

    Lei è un politico abbastanza presente in tv, che rapporto ha con questo elettrodomestico?
    <<Per essere onesti le prime volte mi piaceva andare in tv, ma ora non mi piace più, o meglio, alcune trasmissioni sono gradevoli, altre le giudico come un’appendice inevitabile del mio lavoro>>.

    Continuerà a scrivere?
    <<Certo, ma mai cose legate al mio mestiere di politico: lo troverei noiosissimo. Per me scrivere è fuggire in un’altra dimensione.

    Franceschini, i suoi attori preferiti?
    <<Antonio de Curtis e Julia Roberts>>.

    Strana commistione. Un’ultima domanda: andrebbe in vacanza con Rutelli o con Prodi?
    <<Con Rutelli, perché è più vicino a me d’età. E in vacanza, in genere, ci si va con i coetanei …>>

    Il sito di Dario Franceschini
    Perché l'unico tipo di rapporto che riusciva a concepire era di tipo feudale. Non aveva la minima idea di cosa fosse il cameratismo al quale anelava l'anima. (E. M. Forster)



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    Predefinito Rif: Chi è Dario Franceschini

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    Cantanti preferiti: De Gregori, Tenco, musica popolare ferrarese, padana e partigiana, Bob Dylan
    Canzone preferita: Atlantide di F. De Gregori
    Idoli politici: Benigno Zaccagnini, don Mazzolari, don Milani, padre David Maria Turoldo, Bob Kennedy
    tratti caratteristici: ciuffo sbarazzino, accento ferrarese con la labiale ballerina e gutturale
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    Predefinito Rif: Chi è Dario Franceschini

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