Casco, i giovani dimenticano l’obbligo
Raddoppiano i morti tra i motociclisti
ROMA - Gli elmetti sono allineati sul tavolo. Sembrano i copricapo che si indossano per le corse di go-kart, al luna park. Invece sono alcuni dei caschi sequestrati a giovani conducenti di motorini. «Quando arriviamo sul luogo dell’incidente l’immagine consueta è il ragazzo steso a terra e questi "affari " volati via cento metri lontano», racconta la sua esperienza Rinaldo Ventriglia, comandante del nucleo radiomobile dei carabinieri di Roma. E conferma un’inversione di tendenza scoraggiante, tracciata dai dati raccolti dalla Società italiana di traumatologia della strada. L’obbligo di portare il casco quando si inforcano le due ruote è stato dimenticato in fretta. Dopo i primi sei mesi nel quale il suo uso corretto aveva ridotto la mortalità del 65% (da 1.700 a circa 600 morti da moto e motorino), ora il margine di guadagno si è assottigliato. La diminuzione è di appena il 15% (poco più di 250 persone salvate, con 1.450 morti). Segno che le buone intenzioni si sono perse per strada. E che i giovani continuano a morire per non essersi protetti. La deludente realtà è stata presentata in un convegno sul trauma cranico organizzato dalla Federazione motociclistica italiana e dai Lions. «Ad un mese dall’entrata in vigore della legge sull’obbligatorietà, il 31 marzo del 2000, era stata registrata una netta diminuzione dei ricoveri di motociclisti rispetto all’anno precedente - mostra le statistiche Andrea Costanzo, presidente Sit, la società italiana di traumatologia - dal 17% al 7%. La mortalità era scesa del 65% ma appena sei mesi dopo l’effetto casco ha cominciato a scemare.
Dopo un anno solo 15% in meno di vittime». In platea gli studenti di cinque licei romani. Ridanciani e strafottenti all’inizio. Poi sgomenti e spaventati dalle diapositive volutamente violente mostrate da Rita Formisano, neurologa dell’istituto di riabilitazione Santa Lucia a Roma, volontaria dell’associazione per il recupero dal coma Arco ’92, che ha creato a Roma la prima casa famiglia per giovani usciti dal grande sonno, «Casa Dago». Nelle diapositive si vedono gli occhi spenti dei ragazzi che hanno sbattuto la testa e si sono risvegliati dopo uno, due, tre mesi di coma.
I segni profondi del decubito lungo le loro schiene, anchilosati nelle carrozzelle. Ogni anno la popolazione di disabili post trauma cranico sono 15-35 mila e hanno da 15 a 35 anni, dall’1 al 3% restano in stato vegetativo permanente. «La gente pensa che una canzone di Venditti possa risvegliare dal coma - dice la Formisano -. Non sanno invece dei disturbi motori o neuropsicologici. Molto spesso la morte è il male minore». I motociclisti reclamano una campagna di sensibilizzazione e rilancio dell’uso del casco. Secondo il loro presidente, Paolo Sesti, solo «con il cambiamento della cultura e l’educazione dei giovani si potranno vedere risultati duraturi». Alcune raccomandazioni: utilizzare solo i caschi omologati e preferibilmente integrali, capaci di proteggere mascella, naso e mandibola, le parti a rischio di frattura.
mdebac@corriere.it
Sarebbe "interessante" avere una distribuzione territoriale di chi non porta il casco,anche se non nego che pure al Nord c'e' chi non lo porta...MA la scienza statistica insegna che e' la MEDIA a fare la differenza.
Anche questo piccolo fatto dimostra che e' PURA ILLUSIONE sperare in cambiamenti radicali nella mentalita' se il popolo rimane quello.
Non c'e' niente da fare:a Napoli continueranno a non portare il casco e in Sicilia a fare le case abusive perche' pensano di essere "furbi".
In Danimarca,i danesi il casco lo porterebbero anche se fossero SICURI di non trovare poliziotti per kilometri.
Ovviamente poi dalla piccola illegalita' nasce la media,e da li' la grande.
Altro che destra al governo,altro che "Law & Order".
Mi scappa da ridere.