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    Post Don Sturzo, presto sarà beato

    Il Tribunale diocesano di Roma dà il via libera al processo di beatificazione. E' stato il fondatore del partito popolare. Castagnetti: "Ha anticipato le tesi del Concilio Vaticano".


    ROMA - Via libera del Tribunale diocesano di Roma per la causa di beatificazione di don Luigi Sturzo, fondatore del Partito popolare italiano, sindaco di Caltagirone per 15 anni ed esiliato per più di un ventennio, dal 1924 al 1946, per la sua contrarietà alla firma dei Patti Lateranensi fra Vaticano e Italia nel 1929.

    ''Ha anticipato le posizioni del Concilio Vaticano II sulla responsabilità dei laici nella vita sociale della Chiesa'' ha ricordato oggi il segretario del Ppi, Pierluigi Castagnetti, a margine della apertura del processo nel Palazzo apostolico Lateranense, presieduta dal cardinale vicario del Papa per la diocesi di Roma Camillo Ruini. Presenti nipoti di don Sturzo e studiosi del suo pensiero politico, oltre al sindaco ulivista di Caltagirone, Marilena Sampieri, che ricorda con un sorriso la ''eredità difficile'' da lei raccolta con l'incarico che fu di Sturzo.


    ''Spero in un processo rapido per una figura così completa, una di quelle he piu' altamente onorano il cattolicesimo italiano e il sacerdozio cattolico'' ha detto il presidente della Cei, ripercorrendo le tappe di una vita interamente dedicata all'impegno politico e alla elaborazione e diffusione della dottrina sociale della Chiesa. Pur astenendosi per molti anni, in quanto sacerdote, dal voto elettorale come prescritto da papa Pio IX nel 1871 con il discusso ''non expedit'' (lett. ''non conviene'') con il quale aveva intimato ai cattolici di non partecipare alla vita politica, don Sturzo lottò in seguito per la sua abolizione.

    Autorizzato da papa Pio X, il sacerdote fu sindaco dal 1905 al 1920 di Caltagirone, ''conducendo una forte battaglia -ha ricordato Ruini- contro la visione del Comune degli interessi privati più forti''. Nel dicembre 1918 fondò il Partito popolare italiano, rivolgendosi con un appello divenuto celebre ''a tutti gli uomini liberi e forti'': ''quella sera -scrisse don Sturzo, secondo quanto riportato dal saggio pubblicato in questi giorni da don Salvo Millesoli- non potra' essere dimenticata da nessuno dei quaranta amici che si erano riuniti. Nulla avevo mai domandato, nulla cercato, ero rimasto semplicemente un prete. Accettati allora quella nuova carica di capo del Ppi con l'amarezza nel cuore, ma come un apostolato, un sacrificio''.

    Invitato dal Vaticano a non creare difficoltà mentre si lavorava alla riconciliazione con l'Italia poi sancita nel 1929 con i Patti Lateranensi, il sacerdote fu allontanato dall'Italia nel 1924 e per 22 anni si sposto' da Londra agli Stati Uniti. ''Si è battuto sempre per la moralizzazione della vita pubblica –ha ricordato il card. Ruini- fino alla morte sopraggiunta a Roma nel 1959, dopo esser rientrato in Italia nel 1946 da un esilio iniziato alla non più giovane età di 53 anni''.

    ''Quando cominciano questi processi di beatificazione -ha detto Castagnetti- penso alla vita di tanti cattolici che nel loro impegno in politica hanno incontrato l'incomprensione anche di una parte della Chiesa, come anche Dossetti e Zaccagnini. Ed è importante che venga riconosciuto il loro impegno''. Il processo di beatificazione, ancora alla primissime battute con la fase istruttoria aperta formalmente oggi, è stato voluto dal Centro internazionale di studi sturziani (Ciss) (oggi presente in 14 regioni italiane e in molti Paesi) e sollecitato prima dall'esecutore testamentario di Sturzo, Giuseppe Palladino, poi, alla sua morte sopraggiunta nel 1994, dal figlio Giovanni, oggi presidente del Ciss.

    ''Non sapevo nulla di Sturzo se non quanto avevo letto in quattro ritagli di giornale'' racconta il postulatore, mons. Luigi Giuliani, che accettò l'incarico. ''Cominciai dalle enciclopedie, e poi, in otto anni, imparai a conoscere la sua ricerca di vivere eroicamente le virtù teologali del sacerdozio e ho avuto la fortuna di interrogare molti testimoni che l'avevano conosciuto. Ora finalmente la causa è aperta''.




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  2. #2
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    Predefinito guardate un pò chi altri vogliono fare santo!...

    Ecco il testo della lettera inviata dall’onorevole Giulio Caradonna al Reverendo Padre Venchi, postulatore per la causa di beatificazione di Giorgio La Pira e a Monsignor Elio Antonelli, arcivescovo di Firenze.

    Io sottoscritto Giulio Caradonna, deputato alla Camera per Roma e Lazio per otto legislature, già due volte consigliere comunale di Roma e per due volte sindaco del comune di Cave [Roma], avvocato, mi onoro di esporre quanto segue. Domenica 7 aprile, in occasione della S. Messa nella parrocchia di S. Maria Maddalena in Saturnia [provincia di Grosseto] officiata da Mons. Mario Meini, vescovo di Pitigliano, ho potuto apprendere nell’omelia finale del presule l’inizio della causa di beatificazione del prof. Giorgio La Pira, già sindaco di Firenze. Al termine dell’omelia ho ossequiato Mons. Meini e gli ho espresso il mio vivo stupore ed il mio rammarico come cattolico praticante per la notizia della suddetta causa di beatificazione, avendo il prof. La Pira istigato il mio linciaggio e quello di altre persone in Firenze. Mons. Meini mi ha consigliato di rivolgermi per iscritto alle autorità preposte all’esame delle virtù eroiche del prof. La Pira, narrando i fatti dei quali sono stato in parte protagonista e testimone. Nella primavera del 1962 venne promossa al cinema Excelsior di Firenze da un Comitato tricolore una manifestazione per protestare contro la ventilata ‘apertura a sinistra’ nel comune di Firenze, che doveva dare l’esempio per una analoga estensione a livello nazionale dei socialisti. Il Comitato Tricolore promotore dell’iniziativa era rappresentato dalle medaglie d’oro al valor militare Berardini, Zigiotti, Castagna, Triboli, dal superdecorato prof. Nistri e da vari sacerdoti ed esponenti del mondo cattolico. Il prof. Giorgio La Pira tentò di vietare la manifestazione rivolgendosi al Ministro dell’Interno Mario Scelba, il quale confermò invece la piena legittimità della manifestazione da lui stesso preventivamente autorizzata. Il prof. La Pira dopo ciò fece affiggere in città un manifesto a sua firma con il quale incitava la popolazione ad aggredire con violenza i manifestanti. Il manifesto conteneva orribili espressioni di odio e falsità nei confronti dei promotori e dei partecipanti alla legittima manifestazione. A seguito dell’appello del sindaco di Firenze e d’intesa con lo stesso, gruppi armati con spranghe di ferro del partito comunista, già da giorni organizzati, aggredirono i manifestanti del Comitato Tricolore. Ne nacquero scontri e tafferugli che interessarono tutto il centro di Firenze per varie ore con la conseguenza di numerosi feriti. Non credo che il comportamento dell’allora sindaco di Firenze sia da considerarsi cristiano; io stesso benchè invalido partecipai alla manifestazione e solo per grazia di Dio sfuggii ad un vero e proprio linciaggio. Tanti devono testimoniare affinchè non vengano confuse le coscienze di molti bravi cattolici che al comunismo si sono opposti evitando che anche in Italia la Chiesa subisse l’orribile persecuzione patita nei paesi dell’est. Pronto a confermare di persona quanto esposto e a fornire ulteriori chiarimenti.

    Giulio Caradonna


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    Nobis ardua

    Comandante CC Carlo Fecia di Cossato

 

 

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