Il razzismo al contrario adesso rischia di contagiare l’Italia
di Ida Magli
La notizia migliore, nella vicenda del «bianco» costretto a scappare dal Sudafrica per le vessazioni da parte dei «neri», è che non abbia chiesto asilo a noi, ma al Canada. Finalmente qualcuno si è accorto che esistono territori immensi quasi disabitati, come appunto il Canada, secondo Paese al mondo, dopo la Russia, per estensione e con una densità demografica di 3 abitanti per chilometro (noi circa 200). Ho il dubbio, però, che questa scelta non sia dettata dalla scarsa popolazione, quanto dal fondato timore di ritrovarsi ben presto in Europa a rischio di maltrattamenti o almeno di sottomissione ai voleri dei tanti immigrati, di colore e non. Questa è, infatti, la verità: si tengono tanti discorsi per attutire, nascondere, motivare nei modi più diversi le difficoltà di convivenza fra gli immigrati e i vari popoli d'Europa, ma, di fatto, viviamo malissimo; e uno dei fattori principali di questa sofferenza è il timore, ormai inculcato in noi dai nostri governanti fin dalla nascita, che il malessere sia dettato dal razzismo. Bene, tranquillizziamoci: il razzismo non c'entra per nulla. Stiamo male perché siamo costretti a vivere nello stesso territorio con popoli diversi da noi, e diversi prima di tutto fisicamente. Le diversità fisiche colpiscono subito e creano immediatamente un senso d'estraneità. È la Natura che fa sì che i parenti si somiglino fisicamente fra loro, i genitori con i figli, con i fratelli, e poi, gradualmente sempre meno: i nipoti, i cugini, fino alle somiglianze di gruppo…
L'uguaglianza, cui ci si riferisce oggi in continuazione, è un valore meta-fisico, di cui sono in possesso tutti gli esseri umani in quanto esseri umani, prescindendo da qualsiasi altro connotato, fisico, psichico, sessuale, etnico… ma si tratta di un valore filosofico, difficilissimo da comprendere e da realizzare, e che non ha nulla a che fare con uguaglianze concrete, di cui, per fortuna, non esistono esempi in natura. Non c'è foglia uguale ad altra foglia, come dice un vecchio e saggio adagio popolare.
L'estraneità fisica è la caratteristica maggiore che impedisce agli uomini di potersi «identificare» l'uno nell'altro, sentirsi psicologicamente «simili». Maschio e femmina lo sanno benissimo: è impossibile per una donna identificarsi in un maschio, e viceversa. Ma è ugualmente quasi impossibile per un «bianco» identificarsi in un «nero»: comprendere i sentimenti, le percezioni, i gusti, intuire il tipo di intelligenza, le reazioni, gli interessi. Se si aggiunge a questo dato di partenza, la differenza di lingua, di religione, di storia culturale, ci si rende conto che vivere sullo stesso territorio non significa vivere «insieme». Non si amano le stesse cose; non si desiderano le stesse cose; soprattutto non si lavora per lo stesso futuro, non si hanno le stesse mete.
Prendiamo come esempio gli immigrati musulmani da noi. Vivono in un Paese la cui storia è segnata costantemente dalla ricerca del «bello» in tutte le sue forme, disseminato di architetture, sculture, pitture, che ne testimoniano la storia, dai resti dell'antica Roma alle innumerevoli cattedrali, abbazie, castelli, palazzi… Ebbene, ai musulmani, come a tutti i popoli che obbediscono all'Antico Testamento, è vietata ogni forma di «rappresentazione», il che significa che tutte le opere d'arte di cui l'Italia è piena, essi non le possono né capire, né apprezzare, e che, non appena sarà in loro potere farlo, le distruggeranno. Nessuno pensi che non sarà così: non ha, forse, la Chiesa dei primi secoli, distrutto, cancellato, tutt