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Discussione: Libri di Thiriart ?

  1. #21
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    Predefinito Rif: Libri di Thiriart ?

    Citazione Originariamente Scritto da Spetaktor Visualizza Messaggio
    ottimo ottimo..sarebbe da tradurre anche questa!:gluglu:
    Se qualcuno la divide a metà mi ci metto, contatti in pvt.

  2. #22
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    Predefinito Rif: Libri di Thiriart ?

    jean thiriart | Eurasia Unita

    Claudio Mutti

    Jean Thiriart: L'Impero che verrà

    Da: C. Mutti, Imperium. Epifanie dell'idea di impero, Effepi, Genova 2005

    L'ultimo ricordo che ho di Jean Thiriart è una lettera che mi scrisse alcuni mesi prima di morire: mi chiedeva di indicargli una località isolata sugli Appennini, dove potersi accampare un paio di settimane per fare qualche escursione sui monti. Quasi settantenne, era ancora pieno di vitalità: non si lanciava più col paracadute, però navigava con la barca a vela sul Mare del Nord.

    Negli anni Sessanta, in qualità di giovanissimo militante della Giovane Europa, l'organizzazione da lui diretta, ebbi modo di vederlo diverse volte. Lo conobbi a Parma, nel 1964, accanto a un monumento che colpì in maniera particolare la sua sensibilità di "eurafricano": quello di Vittorio Bottego, l'esploratore del corso del Giuba. Poi lo incontrai in occasione di alcune riunioni della Giovane Europa e in un campeggio sulle Alpi. Nel 1967, alla vigilia dell'aggressione sionista contro l'Egitto e la Siria, fui presente a un'affollata conferenza che egli tenne in una sala di Bologna, dove spiegò perché l'Europa doveva schierarsi a fianco del mondo arabo e contro l'entità sionista. Nel 1968, a Ferrara, partecipai a un convegno di dirigenti della Giovane Europa, nel corso del quale Thiriart sviluppò a tutto campo la linea antimperialista: "Qui in Europa, la sola leva antiamericana è e resterà un nazionalismo europeo 'di sinistra' (…) Quello che voglio dire è che all'Europa sarà necessario un nazionalismo di carattere popolare (…) Un nazionalcomunismo europeo avrebbe sollevato un'ondata enorme di entusiasmo. (…) Guevara ha detto che sono necessari molti Vietnam; e aveva ragione. Bisogna trasformare la Palestina in un nuovo Vietnam". Fu l'ultimo suo discorso che ebbi modo di ascoltare.

    Jean-François Thiriart era nato a Bruxelles il 22 marzo 1922 da una famiglia di cultura liberale originaria di Liegi. In gioventù militò attivamente nella Jeune Garde Socialiste Unifiée e nell'Union Socialiste Anti-Fasciste. Per un certo periodo collaborò col professor Kessamier, presidente della società filosofica Fichte Bund, una filiazione del movimento nazionalbolscevico amburghese; poi, assieme ad altri elementi dell'estrema sinistra favorevoli ad un'alleanza del Belgio col Reich nazionalsocialista, aderì all'associazione degli Amis du Grand Reich Allemand. Per questa scelta, nel 1943 fu condannato a morte dai collaboratori belgi degli Angloamericani: la radio inglese inserì il suo nome nella lista di proscrizione che venne comunicata ai résistants con le istruzioni per l'uso. Dopo la "Liberazione", nei suoi confronti fu applicato un articolo del Codice Penale belga opportunamente rielaborato a Londra nel 1942 dalle marionette belghe degli Atlantici. Trascorse alcuni anni in carcere e, quando uscì, il giudice lo privò del diritto di scrivere.

    Nel 1960, all'epoca della decolonizzazione del Congo, Thiriart partecipa alla fondazione del Comité d'Action et de Défense des Belges d'Afrique, che di lì a poco diventa il Mouvement d'Action Civique. In veste di rappresentante di questo organismo, il 4 marzo 1962 Thiriart incontra a Venezia gli esponenti di altri gruppi politici europei; ne esce una dichiarazione comune, in cui i presenti si impegnano a dar vita a "un Partito Nazionale Europeo, centrato sull'idea dell'unità europea, che non accetti la satellizzazione dell'Europa occidentale da parte degli USA e non rinunci alla riunificazione dei territori dell'Est, dalla Polonia alla Bulgaria passando per l'Ungheria". Ma il progetto del Partito europeo abortisce ben presto, a causa delle tendenze piccolo-nazionaliste dei firmatari italiani e tedeschi del Manifesto di Venezia.

    La lezione che Thiriart trae da questo fallimento è che il Partito europeo non può nascere da un'alleanza di gruppi e movimenti piccolo-nazionali, ma deve essere fin da principio un'organizzazione unitaria su scala europea. Nasce così, nel gennaio 1963, la Giovane Europa (Jeune Europe), un movimento fortemente strutturato che ben presto si impianta in Belgio, Olanda, Francia, Svizzera, Austria, Germania, Italia, Spagna, Portogallo, Inghilterra. Il programma della Giovane Europa si trova esposto nel Manifesto alla Nazione Europea, che esordisce così: "Tra il blocco sovietico e il blocco degli USA, il nostro compito è di edificare una grande Patria: l'Europa unita, potente, comunitaria (…) da Brest sino a Bucarest". La scelta è a favore di un'Europa decisamente unitaria: "Europa federale o Europa delle Patrie sono delle concezioni che nascondono la mancanza di sincerità e la senilità di coloro che le difendono (…) Noi condanniamo i piccoli nazionalismi che mantengono le divisioni tra i cittadini della NAZIONE EUROPEA". L'Europa deve optare per una neutralità forte e armata e disporre di una forza atomica propria; deve "ritirarsi dal circo dell'ONU" e sostenere l'America Latina, che "lotta per la sua unità e per la sua indipendenza". Il Manifesto abbozza un'alternativa ai sistemi sociali vigenti nelle due Europe, proclamando la "superiorità del lavoratore sul capitalista" e la "superiorità dell'uomo sul formicaio": "Noi vogliamo una comunità dinamica con la partecipazione nel lavoro di tutti gli uomini che la compongono". Alla democrazia parlamentare e alla partitocrazia viene contrapposto una rappresentanza organica: "un Senato politico, il Senato della Nazione Europea basato sulle province europee e composto delle più alte personalità nel campo della scienza, del lavoro, delle arti e delle lettere; una Camera sindacale che rappresenti gli interessi di tutti i produttori dell'Europa liberata dalla tirannia finanziaria e politica straniera". Il Manifesto conclude così: "Noi rifiutiamo l'Europa teorica. Noi rifiutiamo l'Europa legale. Noi condanniamo l'Europa di Strasburgo per crimine di tradimento. (…) O vi sarà una NAZIONE o non vi sarà indipendenza. A questa Europa legale che rifiutiamo, noi opponiamo l'Europa legittima, l'Europa dei popoli, la nostra Europa. NOI SIAMO LA NAZIONE EUROPEA".

    Accanto a una scuola per la formazione politica dei militanti (che dal 1966 al 1968 pubblica mensilmente "L'Europe Communautaire"), la Giovane Europa cerca di dar vita a un Sindacato Comunitario Europeo e, nel 1967, a un'associazione universitaria, Università Europea, che sarà attiva particolarmente in Italia. Dal 1963 al 1966 viene pubblicato un organo di stampa in lingua francese, "Jeune Europe" (con frequenza prima settimanale, poi quindicinale); tra i giornali in altre lingue va citato l'italiano "Europa Combattente", che nel medesimo periodo riesce a raggiungere una frequenza mensile. Dal 1966 al 1968 esce "La Nation Européenne", mentre in Italia "La Nazione Europea" continuerà ad uscire, a cura dell'autore di queste righe, anche nel 1969 (un ultimo numero sarà pubblicato a Napoli nel 1970 da Pino Balzano).

    "La Nation Européenne", mensile di grande formato che in certi numeri raggiunge la cinquantina di pagine, oltre ai redattori militanti annovera collaboratori di un certo rilievo culturale e politico: il politologo Christian Perroux, il saggista algerino Malek Bennabi, il deputato delle Alpi Marittime Francis Palmero, l'ambasciatore siriano Selim el-Yafi, l'ambasciatore iracheno Nather el-Omari, , i dirigenti del FLN algerino Chérif Belkacem, Si Larbi e Djamil Mendimred, il presidente dell'OLP Ahmed Choukeiri, il capo della missione vietcong ad Algeri Tran Hoai Nam, il capo delle Pantere Nere Stokeley Carmichael, , il fondatore dei Centri d'Azione Agraria principe Sforza Ruspali, i letterati Pierre Gripari e Anne-Marie Cabrini. Tra i corrispondenti permanenti, il professor Souad el-Charkawi (al Cairo) e Gilles Munier (ad Algeri).

    Sul numero di febbraio del 1969 appare una lunga intervista rilasciata a Jean Thiriart dal generale Peròn, il quale dichiara di leggere regolarmente "La Nation Européenne" e di condividerne totalmente le idee. Dal suo esilio madrileno, l'ex presidente argentino riconosce in Castro e in Guevara i continuatori della lotta per l'indipendenza latinoamericana intrapresa a suo tempo dal movimento giustizialista: "Castro - dice Peròn - è un promotore della liberazione. Egli si è dovuto appoggiare ad un imperialismo perché la vicinanza dell'altro imperialismo minacciava di schiacciarlo. Ma l'obiettivo dei Cubani è la liberazione dei popoli dell'America Latina. Essi non hanno altra intenzione se non quella di costituire una testa di ponte per la liberazione dei paesi continentali. Che Guevara è un simbolo di questa liberazione. Egli è stato grande perché ha servito una grande causa, finché ha finito per incarnarla. È l'uomo di un ideale".

    Per quanto riguarda la liberazione dell'Europa, Thiriart pensa a costituire delle Brigate Rivoluzionarie Europee che intraprendano la lotta armata contro l'occupante statunitense. Già nel 1966 egli ha avuto un colloquio col ministro degli Esteri cinese Chu En-lai, a Bucarest, e gli ha chiesto di appoggiare la costituzione di un apparato politico-militare europeo che combatta contro il nemico comune (1). Nel 1967 l'attenzione di Thiriart si dirige sull'Algeria: "Si può, si deve prendere in considerazione un'azione parallela e auspicare la formazione militare, in Algeria, fin da ora, di una sorta di Reichswehr rivoluzionaria europea. Gli attuali governi di Belgio, Paesi Bassi, Inghilterra, Germania, Italia sono in diversa misura i satelliti, i valletti di Washington; perciò noi nazionaleuropei, noi rivoluzionari europei, dobbiamo andare a formare in Africa i quadri di una futura forza politico-militare che, dopo aver servito nel Mediterraneo e nel Vicino Oriente, un giorno potrà battersi in Europa per farla finita coi Kollabos di Washington. Delenda est Carthago" (2). Nell'autunno del 1967 Gérard Bordes, direttore de "La Nation Européenne", si reca in Algeria, dove entra in contatto con la Segreteria Esecutiva del FLN e col Consiglio della Rivoluzione. Nell'aprile del 1968 Bordes ritorna ad Algeri con un Mémorandum à l'intention du gouvernement de la République Algérienne firmato da lui stesso e da Thiriart, nel quale sono contenute le proposte seguenti: "Contributo europeo alla formazione di specialisti in vista della lotta contro Israele; preparazione tecnica della futura azione diretta contro gli Americani in Europa; creazione di un servizio d'informazioni antiamericano e antisionista in vista di un'utilizzazione simultanea nei paesi arabi e in Europa".

    Siccome i contatti con l'Algeria non hanno nessun seguito, Thiriart si rivolge ai paesi arabi del Vicino Oriente. D'altronde, il 3 giugno 1968 un militante di Jeune Europe, Roger Coudroy, è caduto con le armi in pugno sotto il fuoco sionista, mentre con un gruppo di al-Fatah cercava di penetrare nella Palestina occupata.

    Nell'autunno del 1968 Thiriart viene invitato dai governi di Bagdad e del Cairo, nonché dal Partito Ba'ath, a recarsi nel Vicino Oriente. In Egitto assiste ai lavori d'apertura del congresso dell'Unione Socialista Araba, il partito egiziano di governo; viene ricevuto da alcuni ministri e ha modo di incontrare lo stesso Presidente Nasser. In Iraq incontra diverse personalità politiche, tra cui alcuni dirigenti dell'OLP, e rilascia interviste a organi di stampa e radiotelevisivi. Ma lo scopo principale del viaggio di Thiriart consiste nell'instaurare una collaborazione che dia luogo alla creazione delle Brigate Europee, le quali dovrebbero partecipare alla lotta per la liberazione della Palestina e diventare così il nucleo di un'Armata di Liberazione Europea. Davanti al rifiuto del governo iracheno, determinato da pressioni sovietiche, questo scopo fallisce. Scoraggiato da questo fallimento e ormai privo di mezzi economici sufficienti a sostenere una lotta politica di un certo livello, Thiriart decide di ritirarsi dalla politica militante.

    Dal 1969 al 1981, Thiriart si dedica esclusivamente all'attività professionale e sindacale nel settore dell'optometria, nel quale ricopre importanti funzioni: è presidente della Société d'Optométrie d'Europe, dell'Union Nationale des Optométristes et Opticiens de Belgique, del Centre d'Études des Sciences Optiques Appliquées ed è consigliere di varie commissioni della CEE. Ciononostante, nel 1975 rilascia una lunga intervista a Michel Schneider per "Les Cahiers du Centre de Documentation Politique Universitaire" di Aix-en-Provence ed assiste Yannick Sauveur nella compilazione di una tesi universitaria intitolata Jean Thiriart et le national-communautarisme européen (Università di Parigi, 1978). Quella di Sauveur è la seconda ricerca universitaria dedicata all'attività politica di Thiriart, poiché sei anni prima era stata presentata all'Università Libera di Bruxelles una tesi di Jean Beelen su Le Mouvement d'Action Civique.

    Nel 1981, un attentato di teppisti sionisti contro il suo ufficio di Bruxelles induce Thiriart a riprendere l'attività politica. Riallaccia i contatti con un ex redattore della "Nation Européenne", lo storico spagnolo Bernardo Gil Mugarza (3), il quale, nel corso di una lunga intervista (centootto domande), gli dà modo di aggiornare e di approfondire il suo pensiero politico. Prende forma in tal modo un libro che Thiriart conta di pubblicare in spagnolo e in tedesco, ma che è rimasto finora inedito.

    All'inizio degli anni Ottanta, Thiriart lavora a un libro che non ha mai visto la luce: L'Empire euro-soviétique de Vladivostok à Dublin. Il piano dell'opera prevede quindici capitoli, ciascuno dei quali si articola in numerosi paragrafi. Come appare evidente dal titolo di quest'opera, la posizione di Thiriart nei confronti dell'Unione Sovietica è notevolmente cambiata. Abbandonata la vecchia parola d'ordine "Né Mosca né Washington", Thiriart assume ora una posizione che potrebbe essere riassunta così: "Con Mosca contro Washington". Già tredici anni prima, d'altronde, in un articolo intitolato Prague, l'URSS et l'Europe ("La Nation Européenne", n. 29, novembre 1968), denunciando gli intrighi sionisti nella cosiddetta "primavera di Praga", Thiriart aveva espresso una certa soddisfazione per l'intervento sovietico e aveva cominciato a delineare una "strategia dell'attenzione" nei confronti dell'URSS. "Un'Europa occidentale NON AMERICANA - aveva scritto - permetterebbe all'Unione Sovietica di svolgere un ruolo quasi antagonista degli USA. Un'Europa occidentale alleata, o un'Europa occidentale AGGREGATA all'URSS sarebbe la fine dell'imperialismo americano (…) Se i Russi vogliono staccare gli Europei dall'America - e a lungo termine essi devono necessariamente lavorare per questo scopo - bisogna che ci offrano, in cambio della SCHIAVITU' DORATA americana, la possibilità di costruire un'entità politica europea. Se la temono, il modo migliore di scongiurarla consiste nell'integrarvisi".

    A Mosca, Thiriart ci va nell'agosto 1992 assieme a Michel Schneider, direttore della rivista "Nationalisme et République". A fare gli onori di casa è Aleksandr Dugin, il quale nel marzo dello stesso anno ha accolto Alain de Benoist e Robert Steuckers e in giugno ha intervistato alla TV di Mosca l'autore di queste righe, dopo averlo presentato agli esponenti dell'opposizione "rosso-bruna". L'attività di Thiriart a Mosca, dove si trovano anche Carlo Terracciano e Marco Battarra, delegati del Fronte Europeo di Liberazione, è intensissima. Tiene conferenze stampa; rilascia interviste; partecipa a una tavola rotonda con Prokhanov, Ligacev, Dugin e Sultanov nella redazione del giornale "Den'", che pubblicherà sul n. 34 (62) un testo di Thiriart intitolato L'Europa fino a Vladivostok; ha un incontro con Gennadij Zjuganov; si intrattiene con altri esponenti dell'opposizione "rosso-bruna", tra cui Nikolaj Pavlov e Sergej Baburin; discute con il filosofo e dirigente del Partito della Rinascita Islamica Gejdar Dzemal; partecipa a una manifestazione di studenti arabi per le vie di Mosca.

    Il 23 novembre, tre mesi dopo il suo rientro in Belgio, Thiriart è stroncato da una crisi cardiaca.

    Apparso nel 1964 in lingua francese, nel giro di due anni Un Empire de 400 millions d'hommes: l'Europe vide la luce in altre sei lingue europee. La traduzione italiana venne eseguita da Massimo Costanzo, (all'epoca redattore di "Europa Combattente", organo italofono della Giovane Europa), il quale presentò l'opera con queste parole: "Il libro di Jean Thiriart è destinato a suscitare, per la sua profondità e per la sua chiarezza, un forte interesse. Ma da dove deriva questa chiarezza? Da un fatto molto semplice: l'autore ha usato un linguaggio essenzialmente politico, lontano dai fumi dell'ideologia e dalle costruzioni astratte o pseudometafisiche. Dopo una lettura attenta, nel libro si possono anche trovare impostazioni ideologiche, ma queste traspaiono dalle tesi politiche e non il contrario, come fino ad oggi è avvenuto nel campo nazionaleuropeo". Nonostante le riserve che alcune "impostazioni ideologiche" dell'Autore (eurocentrismo, razionalismo, giacobinismo ecc.) potranno suscitare, il lettore di questa seconda edizione italiana probabilmente concorderà con quanto scriveva Massimo Costanzo quarant'anni or sono; anzi, si renderà conto che questo libro, senza dubbio il più famoso dei testi redatti da Thiriart (4), è un libro preveggente ed attuale, per quanto inevitabilmente risenta della situazione storica in cui venne concepito. Preveggente, perché anticipa il crollo del sistema sovietico, e questo una decina d'anni prima dell'"eurocomunismo"; attuale, perché la descrizione dell'egemonia statunitense in Europa è ancor oggi un dato reale; anzi, l'analisi thiriartiana dell'imperialismo si avvale della lettura di un autore come James Burnham, che già negli anni Sessanta candidava gli USA al dominio mondiale assoluto.

    Nella mia biblioteca conservo un esemplare della prima edizione di questo libro ("édité à Bruxelles, par Jean Thiriart, en Mai 1964"). La dedica che l'Autore vi scrisse di suo pugno contiene un'esortazione di cui vorrei si appropriassero i lettori delle nuove generazioni, questa: "Votre jeunesse est belle. Elle a devant elle un Empire à bâtir". Diversamente da Luttwak e da Toni Negri, Thiriart sapeva bene che l'Impero è l'esatto contrario dell'imperialismo e che gli Stati Uniti non sono Roma, bensì Cartagine.


    Claudio Mutti

    (1) Nel 1985 Thiriart rievocò l'episodio nei termini seguenti. "Nella sua fase iniziale, il mio incontro con Chou En-lai non fu che uno scambio di aneddoti e ricordi. Chou En-lai si interessò ai miei studi sulla scrittura cinese ed io al suo soggiorno in Francia che per lui rappresentava un gradevole ricordo giovanile. La conversazione si orientò poi sul tema degli eserciti popolari - tema caro tanto a lui quanto a me. Le cose si guastarono quando progressivamente si arrivò al concreto. Dovetti subire allora un vero e proprio corso di catechismo marxista-leninista. Chou stese poi l'inventario dei vari errori psicologici commessi dall'Unione Sovietica. E la lezione si spostò sulle nozioni di 'alleanza gerarchica' e 'alleanza egualitaria'. Per distendere l'ambiente, affrontai il tema dei disordini che avevo organizzato a Vienna nel 1961, durante l'incontro Krusciov-Kennedy. Ma il tentativo di fargli accettare il concetto della lotta globale quadricontinentale di tutte le forze anti-americane nel mondo, quali che siano i loro orientamenti ideologici, fallì. Attirai a tal scopo la sua attenzione sul fatto che era anche l'opinione del generale Peròn, un amico di lunga data. Si inalberò un po' quando gli feci notare che in Argentina Peròn - sul piano psicologico - era una forza incommensurabilmente più forte che il comunismo. Io sono un uomo pragmatico. Gli domandai dunque dei mezzi - del denaro per sviluppare la nostra stampa ed un santuario per la nostra organizzazione - per la preparazione e la strutturazione di un apparato politico-militare rivoluzionario europeo. Mi rinviò ai suoi servizi. Il solo risultato fu, alla fine dell'incontro, un eccellente pranzo, consumato in un clima molto disteso. Ricomparvero allora gli ufficiali rumeni, che non avevano assistito agli incontri politici. In seguito, non riuscii ad ottenere nulla dai servizi cinesi, la cui incomprensione dell'Europa era totale sia sul piano psicologico che su quello politico" (Da Jeune Europe alle Brigate Rosse. Antiamericanismo e logica dell'impegno rivoluzionario, Società Editrice Barbarossa, Milano 1992, pp. 24-25). (2) J. Thiriart, USA: un empire de mercantis, "La Nation Européenne", 21, ottobre 1967, p. 7. (3) Autore di España en llamas 1936, Acervo, Barcelona 1968. (4) Oltre a questo libro, Thiriart pubblicò anche La Grande Nation. 65 thèses sur l'Europe, Bruxelles 1965 (ed. it. La Grande Nazione. 65 tesi sull'Europa, Milano s. d.; 2° ed. italiana Società Editrice Barbarossa, Milano 1993; ed. tedesca Das Vierte Reich: Europa, Bruxelles 1966). Nel 1967 Thiriart progettò un libro intitolato Libération et unification de l'Europe. L'incarico di redigere gli ottocento paragrafi di questa opera venne assegnato a un collettivo composto di redattori della "Nation Européenne".

  3. #23
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    Predefinito Rif: Libri di Thiriart ?

    Entrevista a Jean Thiriart (1983) Jean Thiriart

    Jean Thiriart

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    «La revolución nacional-europea y otros escritos» »

    Entrevista a Jean Thiriart (1983)

    By Tercera Vía

    Entrevista a Jean Thiriart


    Julio 1983


    El presente texto corresponde a la entrevista que Bernardo Gil Mugarza realizó a Jean Thiriart, uno de los principales ideólogos de la Unidad Europea desde un punto de vista socialpatriótico. Son más de un centenar de preguntas a las que Thiriart responde dejando así un documento excepcional donde condensa su pensamiento y su visión sobre el futuro de Europa, teniendo en cuenta, lógicamente, que al estar escrito de 1983, muchas de las consideraciones sólo podían tener sentido en aquella Europa dipolar separada por el Muro de Berlín.


    Sin embargo, la esencia del problema europeo sigue en los mismos términos que planteó el autor de “¡Arriba Europa!”. De ahí el valor del presente documento.


    Habla Jean Thiriart, el pensador de la Nueva Europa.


    No he tenido ninguna actividad política desde 1965 a 1982. Actualmente preparo mi obra capital El Imperio Eurosoviético desde Vladivostok a Dublín.


    Hacia finales de 1981 mi amigo Mugarza me había pedido contestar a 106 preguntas. Desgraciadamente esto me ha llevado quince meses. Quince meses de retraso en escribir El Imperio Eurosoviético.


    Mugarza es periodista e historiador. Ha publicado, sobre todo, una obra magistral, España en llamas, 1936 (Ed. Acervo – Barcelona, 1968).


    Mugarza, con el general Perón, el coronel Otto Skorzeny y yo mismo formábamos un grupo de amigos en los años de 1962 a 1969.


    Mis respuestas a las 106 preguntas de Mugarza serán incorporadas a un volumen 3 de la tesis universitaria de Sauveur. En primer lugar aparecerán las versiones española y alemana. A continuación, la francesa.


    Varios de mis antiguos colaboradores de la época Jeune Europe también me han planteado preguntas. Espero encontrar algún día tiempo para contestarles y unirlas a las 106 preguntas de Mugarza.


    Yo tengo que ser juzgado por mis pensamientos reales y no por conceptos que jamás he tenido.


    Gran cantidad de periodistas de izquierdas y de derechas han deformado totalmente mi pensamiento político. Han usado clichés, estereotipos, amalgama.


    Entre los trabajos referentes a mi acción y a mi pensamiento político hay que clasificar en primer lugar las dos tesis universitarias que me han sido consagradas.


    La primera, cronológicamente, es la de Jean Beelen, de la Universidad de Bruselas (1), y la segunda la de Yannick Sauveur, de la Universidad de París (2).


    Estas dos tesis son relativamente objetivas.


    No se puede decir lo mismo de las obras de polémica o de pura delación escritas por Serge Dumont (3), por Walter de Bock (4), por el grupo De Bock y Graindorge (5), por E. Verhoeyen (6). Por lo que a Bélgica se refiere.


    En Italia, la mejor obra sobre mí es, sin género de dudas, la de Angelo del Boca (7).


    El trabajo de Patrice Chairoff (8) es ya rencoroso. Está la obra de Frederic Laurent L´orchestre noir (9), que se engaña clasificándome entre los “nazi-maoístas” (sic). Luego se llega a la “novela política”. Dennis Eisenberg, en su L´Internazionale Nera (10), me otorga el mando de la División SS Charlemagne (”…da Jean Thiriart -che fu capo della legione dei volontari francesi che combatterono sul fronte russo accanto la Wehrmacht-…”).


    Algunos, como Genevieve Tabouis, escriben como pitonisas, pretendiendo saber lo que se ha hablado con ocasión de mi encuentro con Chu-En-Lai en Bucarest.


    Llamo la atención, en especial a mis detractores, sobre el hecho de que existe una edición xerografiada que reproduce la colección completa de mis editoriales aparecidos en los 30 números de La Nation Europeenne entre 1965 y 1969.


    Algunos testigos importantes de la época Jeune Europe han desaparecido. Gerard Bordes ha muerto en 1982, muy joven todavía. Quittelier, mi brazo derecho en la redacción, ha sucumbido a su cáncer a principios de julio de 1983. Por otra parte, no se llamaba Quittelier, sino André.


    En 1983 he llegado a la conclusión de que la Unión Soviética es la última oportunidad para la unificación europea.


    Todo consiste en saber lo que hará la URSS de Europa. Si cometerá de nuevo el error de Hitler (la Europa alemana) intentando una Europa rusa, o si, vuelta inteligente, hará la Europa soviética (es decir, poniendo fin a los estúpidos nacionalismos que nos desgarran).


    La historia está llena de ocasiones perdidas.


    Julien Benda, en 1932, en su libro Discours a la Nation Europeenne (11), ponía en evidencia el error histórico cometido por el Imperio Romano.


    Benda escribía hace 50 años:




    “Liga, por otra parte, a Europa que, aunque nada más fuera por el interés de su ser material, no debe detenerse en sí misma, enclaustrarse en un nacionalismo al cuadrado. Muéstrolo en el ejemplo de Roma, que ha perecido el día en que ha contrariado el principio extensivo del que se alimentaba desde hacía siglos y en que ha negado a los Bárbaros insertarse en su órbita.


    Tal vez el Imperio estaría todavía en pie y los hombres se hubieran ahorrado dos mil años de matanzas si hubiera concedido francamente, como su ley se lo ordenaba, el derecho de ciudadanía a los Godos y a los Alemanes.”




    Fichte ha contestado diciendo que son los alemanes los que han rechazado este derecho de ciudadanía que el Imperio les ofrecía. Es muy inexacto.


    Mañana habrá que saber si la URSS va a intentar rusificar a Europa -en lo que fracasará con toda seguridad- o si va a crear un imperio soviético y darnos “el derecho de ciudadanía”. En esta última hipótesis habrá sido creada la mayor potencia del mundo.


    JT


    Notas


    (1) Jean BEELEN, Le Mouvement d´Action Civique, 245 páginas. Université Libre de Bruxelles (Section des Sciences politiques et administratives). 1971-1972.


    (2) Yannick SAUVEUR, Jean Thiriart et le National Communautarisme Européen. Institut d´Etudes Politiques de l´Université de Paris (Profesor Gerbet). 1978.


    (3) Serge DUMONT, Les Brigades noires. Editions EPO, Berchem (Belgique). 1983.


    (4) Walter DE BOCK, Les plus belles années d´une génération. Editions EPO. 1983.


    (5) DE BOCK, GRAINDORGE et Cie, L´Extrême-droite et l´Etat. Editions EPO. 1982.


    (6) E. VERHOEYEN, L´Extrême-droite en Belgique. Centre de Recherche et d´Information Socio-politiques (Cahiers 642 et 643 -avril 1974-), Bruxelles.


    (7) Angelo DEL BOCA, I figli del Sole, 610 páginas. Feltrinelli. 1965.


    (8) Patrice CHAIROFF, Dossier Neo-nazisme. Editions Ramsay, Paris. ISBN 2-85 956-030-0.


    (9) Frederic LAURENT, L´Orchestre noir. Stock, Paris. 1978.


    (10) Dennis EISENBERG, L´Internazionale nera. Sugar Editore, Milano. 1964.


    (11) Julien BENDA, Discours à la Nation Européenne. Reedición por Gallimard-Idées (nº 412 en Livre de Poche).



    Per il testo completo in spagnolo vedi link sopra.

    Per acquistare il libro in spagnolo:
    «La revolución nacional-europea y otros escritos» Jean Thiriart



    Sommario:
    «La revolución nacional-europea y otros escritos» Jean Thiriart
    Ultima modifica di Harm Wulf; 01-10-09 alle 18:09

  4. #24
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    Predefinito Rif: Libri di Thiriart ?

    Intervista di Thiriart a Perón
    07/03/2009 · Dejar un comentario

    Parla Juan Domingo Peròn
    Intervista a cura di Jean Thiriart

    “Aurora” ha il piacere di pubblicare l’intervista concessa da Juan Domingo Peròn il 7 novembre 1968 a Jean Thiriart e che fu pubblicata in francese per la rivista belga “La Nation Europeen” n° 30 nel febbraio 1969. Il presente testo è indubbiamente un importante documento che ci mostra il vero contenuto rivoluzionario del Generale Peròn, conduttore indiscutibile di un movimento di liberazione nazionale decisamente contrario agli imperialismi, principalmente a quello yankee e che, come tale, propone l’unificazione continentale dell’America Latina, così come la coordinazione militante con le forze rivoluzionarie del Terzo Mondo e con tutti coloro che si confrontano con l’ingiusto ordine stabilito dalle grandi potenze. Il peronismo si trova così, per non rinnegare i suoi postulati, ad adottare una terza posizione: né capitalismo né comunismo, esplicitamente vicino a rivoluzionari come Fidel Castro, Ernesto «Che» Guevara, Nasser e Mao Tse Tung, seguendo il principio «i nemici del mio nemico, l’imperialismo, sono i miei amici». Un messaggio, in definitiva, che niente ha a che vedere con la tradizione liberale di Menem, che è passato, armi e bagagli, a quel nemico oligarca e imperialista che il vero peronismo ha sempre combattuto.

    J. Thiriart: Juan Peròn, potrebbe parlarci brevemente dell’opera appena pubblicata “L’ora dei popoli”?

    J. D. Peròn: In quel libro ho voluto dare una visione congiunta dell’impresa per la dominazione capitalista in America Latina. Io penso che i paesi latino-americani si incamminino verso la loro liberazione. È chiaro, questa liberazione sarà lunga e difficile giacché interessa la totalità dei paesi dell’America del Sud. Non è pensabile affatto che ci sia un uomo libero in un paese schiavo, ne un paese libero in un continente schiavo. Durante dieci anni in Argentina con il governo giustizialista abbiamo vissuto in una nazione sovrana. Nessuna persona poteva intromettersi nei nostri affari interni senza dover discutere con noi. Però durante questi dieci anni l’insieme delle forze imperialiste, che dominano attualmente il mondo, ci ha presi in noia. Una quinta colonna di «lacchè», come noi li chiamiamo, ha iniziato un efficace lavoro di zappa e il governo da me presieduto fu abbattuto. Ciò prova che se i popoli possono arrivare a liberarsi dalla schiavitù imperialista, rimane molto più difficile per loro conservar l’indipendenza, poiché le forze internazionali che io denuncio, prendono loro la mano. In tal senso la caduta del giustizialismo deve essere una lezione e una esperienza per tutti i paesi che vogliono liberarsi e tali rimanere. Bisogna intraprendere la lotta di liberazione dei paesi dell’America del Sud come una lotta globale o a livello di continente e in tale lotta ogni paese deve essere solidale coi propri vicini e fra loro deve esserci pieno appoggio. Il primo imperativo per questi paesi è perciò unirsi e integrarsi. Il secondo punto è realizzare una alleanza effettiva con il Terzo Mondo. Così come noi, i miei collaboratori e io, prevedemmo venticinque anni fa. Questa è la via che bisogna indicare ai popoli sud-americani; non solo ai dirigenti, ma anche alle masse popolari che devono prendere coscienza delle necessità della lotta contro l’imperialismo. Unificare il continente, liberarlo dalle influenze estere e allearsi col Terzo Mondo per partecipare nelle file mondiali alla lotta contro l’imperialismo sono, di conseguenza, i primi obiettivi. Dopo il processo di liberazione interna può avvenire che il popolo ottenga il governo che reclama tutti i giorni e che gli è negato in continuazione, a causa della successione di dittature effimere e di governi fantoccio collocati grazie a imposizioni, mai ad elezioni, e che mantengono il popolo sotto diverse dominazioni. È questo il processo che il mio libro vuol fare comprendere alle masse popolari.

    Jean Thiriart: C’è in America del Sud una classe sociale, una borghesia, che collabora sistematicamente con gli Stati Uniti?

    J. D. Peròn: Disgraziatamente sì! Nel nostro paese, la divisione tra il popolo e l’oligarchia capitalista è molto netta. Lo stesso è tra il popolo e la nuova borghesia di mercanti che si sviluppa rapidamente. In ogni industriale che si fa ricco dorme un oligarca in potenza. L’oligarchia che domina il paese non può sottostimare le forze di lotta delle immense masse popolari che esigono la loro libertà. Questo è il movimento che noi abbiamo messo in marcia, in certa misura, durante i dieci anni di governo giustizialista. Il giustizialismo è una forma di socialismo, un socialismo nazionale, che risponde alle necessità e alle condizioni di vita dell’Argentina. È naturale che questo socialismo abbia entusiasmato le masse popolari e che in conseguenza di ciò si manifestino le rivendicazioni sociali. Esso ha creato un sistema sociale di fatto totalmente nuovo e totalmente differente dall’antico liberalismo «democratico» che ha dominato il paese e che si era posto, senza alcuna vergogna, al servizio dell’imperialismo yankee.

    Jean Thiriart: In Europa gli americani hanno corrotto tutte le tendenze politiche, dall’estrema destra all’estrema sinistra. Ci sono collaboratori venduti agli Stati Uniti, in identica maniera, tra socialisti, cattolici e liberali. Gli americani arrivano a comprare tutti i partiti. Vede Lei lo stesso fenomeno in America Latina?

    J. D. Peròn: Esattamente. Gli americani utilizzano la stessa tecnica in tutto il mondo. In seguito procedono alla penetrazione economica, per mezzo di quell’oligarchia di cui ho parlato prima e che ha incontrato un sostanziale interesse… Subito tutti i settori politici vengono posti sotto pressione, così se non possono comprarli, controllarli, condizionarli, gli americani tentano di farli cadere e così dividere le forze politiche nazionali. La CIA è maestra nell’arte di organizzare provocazioni. Ottenuti questi obiettivi, attaccano gli ambienti militari, ove penetrano con diversi mezzi, il più efficace dei quali è certamente l’utilizzazione liberale della corruzione. È così, come hanno operato nel Sud-Vietnam, con qualche «consigliere militare» la cui attività principale è stata quella di corrompere generali la cui integrità morale è lontana dall’essere a tutta prova, e che non si sono negati a concessioni e vantaggi finanziari considerevoli (donazioni di azioni in società straniere o nomine in posti di direzione generali di società). Con questi uomini comprati dall’imperialismo americano, resta solo di organizzare il colpo di stato militare che imporrà la dittatura, come nel caso dell’Argentina, del Brasile, dell’Ecuador e, in seguito, del Perù e di Panama. Il metodo è sempre lo stesso. In ultima fase, una volta presa la situazione nelle loro mani, gli americani cominciano ad accaparrare tutte le ricchezze economiche del paese, mettendo sistematicamente il bavaglio a tutte le forze politiche e sociali di opposizione. Questo è il meccanismo in America del Sud, in Asia, in Europa e in qualsiasi parte.

    Jean Thiriart: In Europa gli americani hanno potuto controllare i movimenti il cui obiettivo ufficiale è l’Unione Europea. Così a Bruxelles i movimenti pro-europei paralleli al Mercato Comune, sono stati oggetto di tale infiltrazione a tal punto da proclamare che «occorre fare l’Europa con gli americani». Ciò è evidentemente stupido perché l’unificazione europea, come abbiamo esposto molte volte in “La Nation Europeen”, implica l’uscita degli americani. Inoltre questi ultimi sono in tal maniera abili che sono arrivati a prendere nelle loro mani la tendenza Europea per meglio soffocarla e per meglio farla fallire. Torniamo, però, in America Latina. Alcuni governi tentano di resistere alla penetrazione americana?

    J. D. Peròn: Praticamente no, perché noi stiamo in una fase di dominio quasi assoluta. Ci sono, sicuramente, alcuni governi non ancora incancreniti dall’imperialismo americano, pur nel contesto di generale sottomissione che impone loro il carattere di alleanze irrisorie e, poiché isolati, adottano per affrontare quell’imperialismo, misure che non arrivano a raggruppare una vera opposizione. D’altra parte, tutti i movimenti rivoluzionari di opposizione all’imperialismo in America del Sud sono perseguiti, particolarmente in Argentina. Ciò è ugualmente vero per tutto il mondo, perché tutti i paesi, in generale, sono più o meno dominati, direttamente o indirettamente, dall’influenza imperialista, che è strumentalizzata dall’imperialismo americano o da quello sovietico. I due in fondo, sono d’accordo per una «amichevole» spartizione del mondo.

    Jean Thiriart: Cosa pensa del perché i russi hanno apparentemente abbandonato tutta l’azione rivoluzionaria in America Latina? Per un tacito accordo e con la promessa di un non-intervento americano in altre parti del mondo, i russi avrebbero promesso agli americani di non fare niente in America Latina?

    J. D. Peròn: Certamente sì! È lo stesso fenomeno che accade in Europa. A Yalta il mondo è stato diviso in due zone di influenza per due «superpotenze»: una ad Est, oltre la «cortina di ferro», e l’altra ad Ovest. E così che l’occupazione della Cecoslovacchia e dell’Ungheria nel ‘56 si fecero con il tacito consenso degli americani. Reciprocamente lo sfruttamento economico e politico dell’Europa dell’Ovest per gli americani non è possibile che con l’accordo dei russi. Yalta ha diviso il mondo in due «riserve di caccia» a vantaggio delle due potenze imperialiste. È a Potsdam che furono firmati i trattati per i quali i russi e gli americani sono legati. A Yalta e a Potsdam, Stalin ha imposto la sua volontà a due uomini di Stato già quasi moribondi, Roosevelt e Churchill. Dopo la conferenza di Yalta, i trattati di Potsdam hanno forza di legge permanente e sono inseriti nel Diritto Pubblico Internazionale. L’occupazione della Cecoslovacchia è la conseguenza diretta di Yalta e Potsdam. Nessuno può, in buona fede, negarlo. Chi può opporsi a questa situazione di fatto? Il Terzo Mondo? Ma il Terzo Mondo si trova diviso e non a causa di tutti coloro che desiderano la propria libertà. Il problema della liberazione dei nostri paesi troverà la sua soluzione solamente a lungo termine. È il problema non di una generazione ma di varie generazioni che dovranno lottare con tutte le loro forze per la liberazione ventura. In Argentina, il movimento Giustizialista, il movimento peronista, comprende il novanta per cento della gioventù. Questo è essenziale, perché la gioventù rappresenta l’avvenire e la nostra azione è orientata verso il futuro. Noi, i vecchi, abbiamo compiuto il nostro dovere, lasceremo adesso la bandiera ai giovani.

    Jean Thiriart: La liberazione della sola Argentina o del solo Cile, vi sembra destinata al fallimento? Secondo lei, i differenti movimenti di liberazione dovrebbero essere simultanei e esercitarsi in scala continentale? Lei è allora un sostenitore risoluto dell’integrazione?

    J. D. Peròn: Sì. Perché io credo in un certo determinismo storico. Il mondo è sempre stato sotto la dominazione di un imperialismo. Adesso noi abbiamo la sfortuna di dover lottare contro due imperialismi complici. Però la spinta degli imperialismi segue una curva parabolica e una volta raggiunto il punto più alto della cima della curva comincia la decadenza. Noi abbiamo visto che questi imperialismi possono essere rovesciati o tagliati fuori solo dall’integrazione di tutti i movimenti di lotta e di tutte le forze interessate. Ma tale «sacra unione» è lunga e difficile da realizzare; ciò permette agli imperialismi di godere di giorni felici. Solamente un pericolo li minaccia: la corruzione è ben sviluppata in America del Nord e così come in Russia e loro internamente stanno marcendo. Bisogna servirsi di ciò per partecipare al processo di degradazione. Per il futuro una lotta isolata, per quanto eroica che sia, risulterà vana. Credo che siamo giunti a una fase della storia umana che sarà ricordata per la decadenza delle grandi potenze dominanti. Siamo arrivati al termine di una evoluzione della umanità che dall’uomo delle caverne fino ai nostri giorni arriva all’integrazione. Dall’individuo alla famiglia, alla tribù, alla città, allo stato feudale, alle nazioni attuali, siamo arrivati all’integrazione continentale. Attualmente in confronto ad alcuni colossi, USA, Russia, Cina, un solo paese non rappresenta una grande forza e in futuro, in un mondo dove l’Europa si va ad integrare come l’America e l’Asia, le nazioni isolate di piccole dimensioni non potranno sopravvivere più. Oggi per vivere come potenza occorre unirsi in un blocco, come quelli già esistenti, o come quelli che sono sul punto di formarsi. L’Europa si unirà o soccomberà. Per l’anno 2000 ci sarà un Europa unita o dominata. Ciò è uguale per l’America Latina. Un Europa unita conterà una popolazione di 500 milioni di abitanti. Il continente sud-americano ne conta, ora, 250 milioni. Tali blocchi saranno rispettati e si opporranno efficacemente alla dominazione degli imperialismi.

    Jean Thiriart: Ritiene che il lavoro di agitazione intrapreso da Fidel Castro sia utile alla causa latinoamericana?

    J. D. Peròn: Assolutamente, Castro è un promotore della liberazione. Lui ha dovuto appoggiarsi ad un imperialismo perché la vicinanza dell’altro minacciava di schiacciarlo. Però l’obiettivo dei cubani è la liberazione dei popoli dell’America Latina. Essi non hanno altra intenzione che quella di costruire un avamposto per la liberazione dei paesi continentali. «Che» Guevara è un simbolo di quella liberazione. Lui è stato grande perché ha servito una grande causa, fino a finire per incarnarla. Lui è l’uomo di un ideale. Molti grandi uomini sono passati inosservati perché non avevano una causa nobile da servire. Viceversa, uomini semplici, normali, lontani dall’essere predestinati a tale immagine, che non sono super-uomini ma semplicemente uomini, sono diventati grandi eroi perché hanno potuto servire una nobile causa.

    Jean Thiriart: Lei ha l’impressione che i sovietici impediscano a Castro di esercitare un’azione importante in America Latina? In che maniera loro impedirebbero a Castro di andare oltre un certo livello di agitazione?

    J. D. Peròn: Perfettamente. Quel ruolo i russi non lo giocano, d’altra parte, solamente a Cuba. Così Guevara, dopo aver compiuto la sua missione a Cuba, partì per l’Africa per entrar in contatto con il movimento comunista africano. Però i responsabili di quel movimento avevano ricevuto l’ordine di non aiutare Guevara. Guevara dovette lasciare l’Africa perché i russi agivano lì. Un conflitto opponeva, nel Congo, i due imperialismi concorrenti. Le due tendenze che loro rappresentano, in certi momenti, devono unire le loro forze per difendere la stessa causa: quella dell’ordine stabilito. È logico, loro difendono l’imperialismo e non la libertà dei popoli.

    Jean Thiriart: Che penserebbe lei della messa in funzione di un sistema mondiale di informazione e di collegamento fra tutte le forze che lottano contro gli imperialismi russo e americano e dell’unione di un certo numero di sforzi politici?

    J. D. Peròn: Bisogna considerare che l’unificazione deve essere il principale obiettivo di tutti coloro che lottano per la stessa causa. Dico unificazione e non «unione» o «associazione». Occorre integrarsi. Perché, dopo, noi avremo l’occasione di fare e, per un’azione efficace, bisogna essere integrati e non solamente associati.

    Jean Thiriart: Lei stima, di conseguenza, che occorra andare più lontano, molto più lontano che non la semplice unione nell’alleanza tattica con i nemici dell’imperialismo americano. Anche con Castro, anche con gli arabi, anche con Mao Tse Tung se ciò fosse necessario? Lei pensa che il nemico sia talmente vigoroso e forte per cui occorrerà mettersi tutti assieme per combatterlo, facendo attenzione a lasciare da parte le differenze ideologiche?

    J. D. Peròn: Io non sono comunista. Io sono giustizialista. Però io non ho diritto di volere che la Cina si pure giustizialista. Se i cinesi vogliono essere comunisti perché vorremmo noi a tutti i costi «renderli felici» contro la loro volontà? Loro sono liberi di scegliere il regime che desiderano anche se differente dal nostro. Però se i cinesi lottano contro la stessa dominazione imperialista come noi, allora sono nostri compagni di lotta. Lo stesso Mao ha detto: «La prima cosa da distinguere è la vera identità degli amici e dei nemici. Subito si può agire». Io sono dell’idea di alleanze tattiche, secondo la formula: «I nemici dei nostri nemici sono nostri amici».

    Jean Thiriart: Secondo lei il Mediterraneo Orientale potrà essere nei prossimi mesi il fuoco di un conflitto più importante?

    J. D. Peròn: Considero che la situazione in Europa non è mai stata tanto pericolosa come attualmente. Tutto ciò che l’Europa ha fatto per evitare di essere di nuovo un campo di battaglia in una prossima guerra può essere ridotto a niente. Con le basi sovietiche in Africa, la flotta russa nel Mediterraneo, le 125 divisioni del Patto di Varsavia, di fronte a una NATO in declino che in tutti i modi non sa rimpiazzare un esercito europeo moderno, l’Europa potrebbe essere invasa in poche settimane, se i russi lo decidessero. È certo che la miccia del Medio Oriente può essere l’origine di un conflitto che sarà quasi impossibile da limitare, e in cui l’Europa potrebbe essere una delle prime vittime, nel suo attuale stato di divisione.

    Jean Thiriart: In tale visione, la Palestina Le sembra destinata a trasformarsi in un secondo Viet-Nam e sottoposta a una guerra localizzata?

    J. D. Peròn: Si perché il Medio Oriente ha una importanza strategica molto grande. È il ponte fra due continenti che si svegliano: Asia e Africa. Ciò è la causa della conseguente lotta fra Israele e i paesi arabi; gli americani e i russi si affrontano in una accanita lotta di influenze il cui fine è la possessione di un punto strategico.

    Jean Thiriart: La ringrazio molto. Io ora ho finito con le mie domande. Vuol fare una dichiarazione su temi particolari?

    J. D. Peròn: Leggo abitualmente «La Nation Europeen» e condivido interamente le sue idee. Non solamente per quanto riguarda l’Europa, ma il mondo. Un solo rimprovero, io avrei preferito al titolo «La Nation Europeen» quello di «Mondo Nuovo». Perché l’Europa sola, nel futuro, non avrà tutte le risorse sufficienti per la difesa dei propri interessi. Oggi gli interessi particolari si difendono in posti lontani. L’Europa deve pensarlo. Deve integrarsi, certo, ma nella sua integrazione deve stringere contatti con gli altri paesi in via di integrazione. In particolare, l’America Latina, che è un elemento essenziale, deve allearsi all’Europa. Noi latinoamericani siamo europei e non di tendenza americana. Io personalmente mi sento più francese, più spagnolo, più tedesco che americano. Il vecchio ebreo Disraeli aveva ragione quando diceva: «I popoli non hanno amici né nemici permanenti, hanno interessi permanenti». Si devono associare questi interessi, anche se sono geograficamente lontani, perché l’Europa continui ad essere la prima potenza civilizzatrice del mondo.

    Traduzione: Ermanno Massari

  5. #25
    Tringeadeuroppa
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    Citazione Originariamente Scritto da ulver81 Visualizza Messaggio
    Un impero....Dovrebbe essere in ristampa o almeno è una voce che circolava anni addietro.Lo vendono a prezzi folli comunque (anche 90 euro!!!).
    L'ho trovato nella biblioteca della mia (ex)facoltà, domani vado a prenderlo!! :gluglu::gluglu:

  6. #26
    Baron Samedi
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    Citazione Originariamente Scritto da Spetaktor Visualizza Messaggio
    L'ho trovato nella biblioteca della mia (ex)facoltà, domani vado a prenderlo!! :gluglu::gluglu:
    E molto rozzo rispetto agli scritti successivi, antisovietico senza se e senza ma, ma grandioso quando espone alcuni concetti attualissimi (specie quando smonta con parole semplicissime gli etnonazionalismi).Ho la copia originale comunque, ma andrebbe fatta una ristampa con l'aggiunta di altri scritti.

  7. #27
    Tringeadeuroppa
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    Citazione Originariamente Scritto da ulver81 Visualizza Messaggio
    E molto rozzo rispetto agli scritti successivi, antisovietico senza se e senza ma, ma grandioso quando espone alcuni concetti attualissimi (specie quando smonta con parole semplicissime gli etnonazionalismi).Ho la copia originale comunque, ma andrebbe fatta una ristampa con l'aggiunta di altri scritti.

    se trovo tempo e non sono troppe pagine provo a scanerizzarlo e lo metto on line.

  8. #28
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    Predefinito Rif: Libri di Thiriart ?

    Citazione Originariamente Scritto da Spetaktor Visualizza Messaggio
    se trovo tempo e non sono troppe pagine provo a scanerizzarlo e lo metto on line.
    Santo Subito.

  9. #29
    Tringeadeuroppa
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    Predefinito Rif: Libri di Thiriart ?

    Citazione Originariamente Scritto da Midgard Visualizza Messaggio
    Santo Subito.
    cazzo ladro...so 310 pagine....iango:

  10. #30
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    Predefinito Rif: Libri di Thiriart ?

    Citazione Originariamente Scritto da Spetaktor Visualizza Messaggio
    cazzo ladro...so 310 pagine....iango:
    Maledizione! iango:

    Almeno l'indice è possibile? :gratgrat:

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