Nessuna pace per il Congo
Quattro anni di guerra civile e due milioni e mezzo di morti mettono in ginocchio il Paese africano. Nessuno, nemmeno il ghaneano Kofi Annan, è riuscito a risolvere la crisi.
di Massimo S. Baistrocchi
- DALL'INDIPENDENZA ALLA PACE FALLITA
Un passato coloniale tra i più sfruttati e dirompenti (sotto i belgi). Da ultimo, quattro anni di guerra guerreggiata, un paese di 52 milioni di abitanti e di 2,3 milioni di chilometri quadrati diviso in almeno tre grandi tronconi (quante sono le principali fazioni in lotta, oltre al governo centrale, ma ve ne sono anche di minori), due milioni e mezzo di morti secondo l’International Rescue Committee (una agenzia di rifugiati che ha sede a New York) e molti altri milioni di profughi e di famiglie emarginate. Questo il triste bilancio di una delle grandi crisi che travagliano il continente africano, la crisi del Congo. Un rompicapo politico e militare di difficile soluzione per le parti coinvolte e gli interessi in gioco. Il giovane Presidente Joseph Kabila, figlio di Laurent Desiré Kabila (suo predecessore, ucciso agli inizi dello scorso anno), ha dovuto confrontarsi - come se non bastasse la presenza di truppe straniere, che sostengono le varie fazioni e che operano liberamente nel frantumato teatro congolese - con una opposizione interna che negli ultimi anni della dittatura di un Mobutu corrotto e malato, ha via via preso il controllo delle città e delle province periferiche e alimentato le ostilità (e i conflitti) tribali per dare sfogo ai propri interessi personali, facendo leva anche sulla facilità con cui si trovano armi di ogni genere in questa marca di frontiera, dove le immense ricchezze naturali richiamano sciami di avventurieri e di mercanti di morte di ogni genere e razza.
I leader africani, spronati da un Segretario Generale dell’ONU anche lui africano, il ghaneano Kofi Annan, stanno cercando di spegnere l’incendio congolese, invero con scarso successo. Annan ha cercato di dare l’esempio recandosi a Kinshasa nel settembre 2001, nel tentativo di fornire una soluzione personale: il suo passo non ha avuto successo, anche se ha potuto riportare a casa la pelle, cosa che non era riuscita ad un suo predecessore, Dag Hammaskjold, il cui aereo venne abbattuto (non si sa da chi) nel 1961, quando impazzava la guerra fredda, l’Africa era terra di contesa ed il Congo era il baluardo degli USA mentre l’URSS s’allargava minacciosamente in Angola. Quei tempi sono passati e lontani, oggi non ci sono più le superpotenze che si scontrano per la supremazia sui vari scacchieri del mondo, ma solo stati e staterelli della regione che per interessi personali e per continuare a depredare le immense ricchezze naturali che il paese possiede sostengono ora una ora l’altra fazione. I principali attori di questo conflitto vengono dai confini orientali del Congo e sono i soldati ruandesi (un coacervo di tutsi regolari e di miliziani hutu, li stessi che hanno provocato il genocidio dei tutsi in Ruanda nel 1994, fuggiti poi oltre frontiera per scampare alla vendetta), i ribelli del Burundi (che in Congo hanno trovato dei santuari per combattere a casa loro), i soldati del leader ugandese Yoweri Museveni (interessati soprattutto al contrabbando di armi in cambio di diamanti e di coltan, un minerale - columbite-tantalite - che raffinato diventa tantalio, utilizzato nella più moderne tecnologie miniaturizzate, con il quale si fabbricano i “capacitors”, gli elementi elettronici che controllano il flusso della corrente nei circuiti miniaturizzati dei cellulari e dei laptop, senza i quali la moderna civiltà non saprebbe più vivere!)
Il testimone di Kofi Annan è stato raccolto da uno dei più attivi leader del continente, il sudafricano Thabo Mbeki, che ha cercato di facilitare una soluzione di compromesso tra le parti. Gli sforzi del presidente sudafricano di mettere la parola fine al conflitto che da quattro anni insanguina la Repubblica Democratica del Congo è tuttavia fallito: una delle principali fazioni in lotta alla fine non ha voluto firmare l’accordo sul futuro di pace di uno dei più ricchi paesi del continente africano, anche se dei più poveri al mondo (appena 100 dollari americani annui pro capite).
Eppure Mbeki ce l’aveva messa tutta. Innanzitutto ha ospitato in modo splendido i colloqui che si sono tenuti a Sun City, un resort di vacanze (come dice lo stesso nome, “Città del Sole”) costruito in una delle più belle e floride regioni del Sud Africa, dove ha tenuto a congresso per oltre 45 giorni, al costo di molti milioni di dollari (il totale esatto della spesa non è stato però reso pubblico), i 365 delegati rappresentanti il governo e le fazioni che si combattono in Congo. Nonostante l’insuccesso, il Ministro degli Esteri sudafricano, Signora Nkosazana Dlamini-Zuma, ha detto che i colloqui di pace “non sono stati un fallimento” perché ha portato al negoziato tutte le parti in lotta.
In apertura dei colloqui di Sun City, Mbeki aveva detto che “la pace in Congo è cruciale per l’intero continente” e che “noi africani dobbiamo mostrare al mondo la nostra capacità di risolvere i nostri problemi in modo pacifico”. Il suo appello è andato eluso. A un certo punto, nonostante i colloqui fossero stati interrotti per un breve periodo a causa del deflagrare di nuovi scontri armati sulle rive del Lago Tanganika, nel sud-est del paese attorno a Moliro, sembrava che Mbeki potesse riuscire nel suo intento avendo riportato al tavolo delle trattative i ribelli sostenuti dal Ruanda. Un secondo risultato era stato conseguito quando il leader del “Mouvement pour la Liberation du Congo” (MLC, che con le sue milizie sostenute dall’Uganda controlla un terzo del paese), Jean Pierre Bemba, aveva trovato un accordo con il Presidente Joseph Kabila sul futuro assetto politico del paese (Kabila sarebbe restato Presidente fino alle elezioni generali, mentre Bemba avrebbe assunto l’incarico di Primo Ministro). Mbeki, nel tentativo di convincere ad aderire all’accordo il terzo “pilastro” della guerriglia congolese, il “Rassemblement Congolais pour la Democratie” (RCD-Goma, oggi forse il gruppo ribelle maggiore, che controlla anch’esso un terzo del paese, anche qui con l’appoggio militare e logistico di una potenza straniera, il Ruanda), aveva proposto l’estensione dei colloqui per un’altra settimana, ma il suo tentativo in extremis non ha avuto successo.
Ovviamente le parti si sono scambiate roventi accuse per l’esito negativo del negoziato. Adolphe Onusumba, presidente del RDC-Goma, ha accusato i facilitatori di non essere stati capaci di trovare “elementi di raccordo” accettabili da tutti le parti (voleva anche lui la poltrona di Primo Ministro mentre invece avrebbe dovuto accontentarsi solo di quella di Vice Primo Ministro, seppure con il controllo della Difesa e della Sicurezza). Il governo di Kinshasa e i vertici del MLC hanno attribuito il fiasco alla fazione sostenuta dal Ruanda, tanto che il Ministro della Sicurezza Nazionale, Mwenze Kongolo, ha affermato “non siamo riusciti a trovare un accordo perché ci siamo trovati di fronte a dei compatrioti che non erano liberi di negoziare”.
A questo punto, per una migliore comprensione della situazione sembra opportuno fornire un breve panorama del contesto congolese, uscito nel maggio 1997 da un trentennio di dittatura di Mobuto Sese Seko. Allora, mentre il vecchio dittatore era in Francia a curarsi il cancro, un immarcescibile vecchio guerrigliero (dei tempi in cui il Che Guevara guerreggiava in Angola: parliamo di più di 30 anni fa!) che rispondeva al nome di Laurent-Desire Kabila, sostenuto dai ribelli Interahmwe e soprattutto dalle forze del Ruanda e dell’Uganda, iniziò una marcia trionfale che lo portò in breve alla conquista della capitale Kinshasa (di quello che allora si chiamava ancora Zaire, oggi RD del Congo) ed ad istallarsi come Presidente.
Ma l’idillio tra Kabila ed il Ruanda e l’Uganda ebbe breve, tanto che i ribelli che lo sostenevano presto cambiarono casacca ed a loro volta marciarono su Kinshasa per rovesciarlo e per poco non ci erano riusciti. Solo l’arrivo di ingenti forze militari della SADC (dell’Angola, della Namibia e dello Zimbabwe) a sostegno di Kabila salvarono quest’ultimo da una rovinosa capitolazione. Se il regime e la capitale furono salve, gran parte del paese - in assenza di un esercito regolare di tale nome e di mezzi adeguati a pagare la decima - cadde in mano ai ribelli: ad est sono state occupate le città di Bukavu, Goma ed Uvira, poi cadde sotto il controllo dei ribelli Kindu (un nome per noi di triste memoria) e poco dopo fu la volta di Kisangani, nel nord-est, terza città del paese.
Ma anche l’alleanza tra Ruanda ed Uganda ebbe vita breve e si sbriciolò tanto che i due paesi non esitarono a combattersi l’un l’altro per procura, sostenendo una o l’altro dei gruppi ribelli. Sono seguiti gli accordi di Lusaka (luglio 1999) tra i sei governi africani implicati nella guerra africana (anche se i due principali gruppi ribelli congolesi, MLD e RCD, hanno firmato l’accordo solo in un secondo momento) che avrebbero dovuto aprire la via alla pacificazione, grazie anche all’intervento dell’ONU, mentre il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite autorizzava la formazione di una forza d’interposizione di 5500 uomini che prenderà l’acronimo (francese) di MONUC. Il successivo attentato e la susseguente morte di Laurent-Desiré Kabila nel gennaio 2001 e l’ascesa del figlio, Joseph Kabila, sembrava aver aperto un nuovo scenario. Ha fatto seguito l’inizio del ritiro delle truppe straniere, ma è stata solo una mossa strategica, perché la smobilitazione si è trascinata per le lunghe, tanto che una commissione delle NU non ha esitato ad accusare le parti coinvolte di volere continuare a spogliare le ricchezze naturali congolesi, specie il coltan: una tonnellata di minerale all’origine viene pagata 10 dollari Usa, un chilo di tantalio raffinato per far funzionare i nostri cellulari costa 400 dollari americani. Sono necessarie altre ragioni per proseguire il conflitto congolese?
Ps. allora una piccola marcetta della pace per questi poveri cristi si puo` organizzare?????????