Festival di Cannes. In concorso, dopo quasi 50 anni, un documentario. E che documentario...

MICHAEL MOORE,
l’altra faccia dell’America

Cannes - nostra inviata
scoppiata una bomba ieri a Can-nes.
Una bomba che si chiama
Michael Moore, regista americano
in concorso al festival con il documentario
“Bowling for Columbine” (intraducibile se
non così: “Giocando a bowling per Colum-bine”).
E’ il primo documentario in con-corso
a Cannes da 50 anni. Ma capiamo la
scelta dei giurati. Si tratta di un documen-to
esplosivo, nel senso letterale e metafori-co
del termine. Due ore di denuncia spieta-ta
al governo americano, alla società ame-ricana,
all’etica americana, all’adorazione
americana per le armi.
Si parte dalla strage nel liceo Columbine,
a Littletone, Colorado nel 1999. Due studen-ti
non troppo brillanti un giorno entrano nel-la
loro scuola armati di fucili e uccidono 12
compagni, un insegnante, feriscono decine
di altri studenti e poi si sparano in bocca. Un
caso come un altro, di quelli che in Usa suc-cedono
una volta al mese. Ma Moore (gran-de
documentarista, definito dai pochi che in
patria lo apprezzano come «la principale
voce critica d’America di questi anni») pren-de
spunto da quel caso per indagare nel cuo-re
della violenza americana. 250 milioni di
armi nelle case dei cittadini, bambini che
imparano a sparare a cinque anni (a propo-sito,
il documentario mostra anche una del-le
ultime uccisioni nelle scuole made in Usa.
Un bambino di sei anni che ha sparato e
ucciso una sua compagnuccia bionda con le
treccine con una 44 magnum), 12 mila mor-ti
l’anno per ferite da arma da fuoco, interi
stati (Utah, Michigan, Colorado, Dakota) che
propagandano l’uso privato delle armi come
unico mezzo sicuro di protezione.
In cima a tutto questo la NRA (National
Rifle Association) e il suo leader, Charlton
Heston che passeggia per le strade con un
fucile dentro i pantaloni («Devono passare
sul mio corpo, prima di separarmi dalla mia
carabina»), correndo dietro le stragi con il
suo pullmino per propagandare la necessità
«di difendersi con le proprie mani, di essere
più sicuri, di combattere per la propria vita
con il proprio fucile».
Ma “Bowling for Columbine” va ben al di
là di una semplice cronaca degli orrori. Ten-ta
anche di indagarne la causa, di indivi-duarne
la radice, il motivo profondo. E qui
scoppia la bomba di cui vi abbiamo detto
all’inizio. L’incontro di ieri con Michael Moo-re
(giornalisti italiani praticamente assenti.
Hanno scritto tutti ieri, anticipando, e così
non hanno partecipato alla conferenza
’ E
stampa con il regista) in persona ha infatti
reso ancora più gravi e terribili le immagini
che avevamo visto. «Il nostro governo –
dichiara il grande regista, nel senso anche
fisico. E’ un vero gigante, taglia 60 - ama il
terrore e si basa sulla paura, secondo il prin-cipio
che un vero leader è colui che è capa-ce
di crearsi un grande nemico. Quel nemi-co
che gli permetterà di convincere i citta-dini
a consegnargli la propria libertà e la
propria indipendenza, anche di pensiero,
in nome della sicurezza». Moore è il primo
americano che sentiamo parlare così, e glie-lo
diciamo: «Io tremo quando sento che
l’Europa vuole avvicinarsi sempre più agli
Stati Uniti d’America. Sono i vostri governi
che, spostandosi sempre più a destra, spo-sano
la teoria americana del ”nemico”, per
privarvi della vostra libertà».
Michael Moore è stato definito “perico-loso”
dalla Casa Bianca («ed era quella di
epoca Clinton», sogghigna il regista). Figu-riamoci
cosa diranno i nuovi governanti, su
cui Moore spara a zero, senza remore e a cui
ha anche dedicato un libro “Stupid White
Man” (“Stupido uomo bianco”), «con Geor-ge
Bush nella parte dell’interprete principa-le,
ovviamente» sghignazza ancora l’autore.
Il libro, uscito dopo l’11 settembre, pri-ma
è passato sotto una funesta censura
(«Michael non puoi scrivere quelle cose su
Bush, non in questo momento»), poi è sta-to
recuperato per intero dopo infinite pro-teste
e denunce. Due giorni dopo l’uscita
erano state vendute tutte le prime 500 mila
copie. Oggi è alla nona ristampa. Volete
sapere cosa c’è scritto? Per esempio che: «il
presidente in persona – racconta Moore - ha
autorizzato la circolazione di un jet privato
dei bin Laden sopra New York, ovviamente
dopo l’11 settembre. Nessuno può control-lare
quel jet. Non vi sembra un po’ strano?
Lo sapevamo che i bin Laden sono da sem-pre
fra i suoi maggiori finanziatori, ma farli
sorvolare liberi su New York forse dovrebbe
metterci un po’ in ansia, non credete?». E
ancora: «Bush presidente? Ma non scher-ziamo,
non ha mica vinto le elezioni!». E
ancora: «Per il governo l’11 settembre è sta-ta
una magnifica occasione per togliere di
mezzo alcune cose che gli davano fastidio
da tempo. Come le libertà civili, alcuni arti-coli
della nostra Costituzione, e ovviamen-te
il caso Enron, di cui da allora più nessuno
si è occupato».
«Un bel colpo – insiste Moore -. Oggi tut-ti
hanno paura, il terrore domina sull’Ame-rica
e i nostri giornalisti – fra i peggiori che io
abbia mai conosciuto – non fanno che sof-fiare
sul fuoco. Nei telegiornali c’è sempre
qualche nero che viene fermato dalla polizia
o qualche poveraccio che fa una rapina».
Già, perché dice sempre molto chiaramente
Moore: «I poveri, i neri, gli immigrati tutti
sono il principale obbiettivo di Bush, il suo
“uomo nero” contro cui combattere. Ma lo
sono stati anche per gli altri governi ameri-cani.
Fa parte dell’etica americana guardare
agli ultimi e pensare «Ehi, guarda quegli
stronzi che non ce l’hanno fatta!».
Un’ultima grande verità, delle molte che
abbiamo sentito grazie all’occasione forni-taci
da Moore, è quella che dice il “rocker
maledetto” Marylin Manson in “Bowling for
Columbine”. Accusato dai media e dal gover-no
di essere uno dei principali fomentatori
della violenza giovanile americana, Manson
ha risposto: «Mi piacerebbe aver fatto io tan-to
casino. Adoro essere primo, ma in questo
caso credo di dover lasciare il posto al presi-dente
Bush. E comunque la mia tesi è che se
metti paura al tuo popolo quello smette di
pensare e comincia a comprare». Grande
verità, grande documento, grande emozio-ne,
ieri, a Cannes. Non è esattamente un film
“Bowling for Columbine” e quindi non pos-siamo
augurarci che vinca la Palma d’Oro.
Ma sicuramente merita il Premio della giu-ria.
Il nostro, glielo abbiamo già assegnato.
Roberta Ronconi
Marylin Manson
in “Bowling for
Columbine”. Accusato
di essere uno dei
principali fomentatori
della violenza giovanile,
Manson ha risposto che
è la cultura del governo
a spingere verso
la violenza
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