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Discussione: Il mito delle Sirene

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    Predefinito Il mito delle Sirene

    Dal sito http://www.misterisvelati.isnet.it/default.htm

    CAPITOLO IV
    di Lello Capaldo
    (autore del volume MISTERI SVELATI. Immagini, forme e riti misteriosi a POMPEI, PAESTUM e in MAGNA GRECIA. - Casa Editrice Fausto Fiorentino, Napoli 1994)

    Cominciamo con lo splendido mare che, secondo antichi confini, orlava a occidente la Lucania (1).

    Donne bellissime che, seducenti, apparivano tra le spume del mare chiedendo con un canto suadente ai marinai di interrompere la loro solitaria navigazione, di indugiare con loro.... Nessuno, meno l'astuto Odisseo, resisteva all'invito -che precedeva una fine crudele- ed il mancato ritorno di tanti marinai, insieme alla dolce ma infame lusinga raccontata dai superstiti, furono premesse formidabili per diffondere il mito delle Sirene, che trova le sue prime origini nella terra degli Arii, incredibilmente lontana nel tempo e nello spazio.

    Ma come poté nascere questa leggenda di sempre ?

    Incentrata sull'inesauribile fascino del femminile, essa viene indagata in questo capitolo.

    IL MITO DELLE SIRENE

    Più delle leggende, delle massime, dei proverbi - di solito nati più tardi- è il mito che, svelato, diventa storia. E, trovandoci in terra lucana, parliamo delle Sirene, due delle quali, secondo Licofrone, Apollonio Rodio ed altri, avevano dimora e culto sulle coste che a questa regione appartenevano secondo i suoi più antichi confini, precisamente a Licosa e a Palinuro-Molpa, mentre altre due ebbero stanza nella penisola di Sorrento e a Napoli (2).

    Premesso che mito vuol dire parola, racconto, "e, in quanto parola, anche narrazione primordiale tratta da un tempo oscuro e mancante di storia, cosa favolosa della quale si parla come esistente, ma che veramente non sia" (3) dobbiamo ammettere che ad esso si attaglia un linguaggio di sogno, mentre assai male rendono rigide parole scritte con la pretesa che possano "squadrare l'animo nostro informe". Occorre, dunque, un linguaggio di sogno col quale è più facile tentare di esprimere la tendenza primitiva a personificare eventi e fenomeni: e l'uomo lo ha fatto col cielo, col vento, col fulmine ecc., ma anche con quei fatti, con quelle inspiegabili coincidenze che condizionavano la sua esistenza. Tra queste non poteva mancare l'esperienza base della "attrazione e danno" che caratterizzava frequenti situazioni nella sua vita e del mondo attorno a lui: si pensi, ad esempio, a tutte le imprese che, attirandolo col miraggio di conseguire fama e ricchezza, si concludevano invece con la sua rovina o la sua morte. Più semplicemente si pensi agli inganni tesi dall'uomo ai suoi nemici (ad es. il cavallo di Troia) o alle sue prede (le esche sulle trappole per i selvatici): fatti, questi che, sempre sostanziando l'esperienza base in oggetto, non potevano sfuggire all'esigenza di una rappresentazione, di una "personificazione".

    Né questo processo deve suscitare incomprensione poiché costituiva una forma di approfondimento, di "spiegazione" da parte dei primitivi, come noi interessati al quia.

    E furono appunto queste personificazioni, queste interpretazioni personalistiche, frequente origine della inconsapevole creazione dei miti. In seguito il processo della mente umana si caratterizza attraverso un sempre più ampio riconoscimento delle forze naturali esterne all'uomo e si riduce così il campo della persona.

    Ma torniamo ai miti, in particolare a quello delle Sirene, esseri, questi, cui viene universalmente riconosciuto il ruolo di "attrarre e procurare sventura" ed il cui nome deriverebbe da una radice sanscrita (svar=cielo) legata al significato di "splendore" (e quindi "attrazione") oppure, secondo altri etimologi (forse più verosimilmente avendo esse fama di demoni dal canto seduttore) dalla base semitica "sjr", che vuol dire cantare.

    Di esse si legge nel Pianigiani (op. cit.): "esseri mitologici il cui busto era di vaga donna e terminava in pesce, i quali avendo stanza sul lido del mare adescavano col soavissimo canto i naviganti per poi farli naufragare".

    Sostanziava questa favola il mortale rischio di coloro che, dirigendo la nave verso tratti di mare resi splendenti dalla poca profondità delle acque, increspate e suonanti, si perdevano con essa. Continua, il Pianigiani, sempre con riferimento alle Sirene e in armonia con quanto detto: "ebbero questo nome perché in origine furono il simbolo della piana e lucida superficie del mare, sotto la quale stavan coperti gli scogli e i banchi di sabbia; donde la favola che fossero vergini fanciulle le quali, stanziate in un'isola, colla dolcezza del loro canto attraevano a sé i naviganti e poi li uccidevano. Omero ne annovera due e le colloca in un paese immaginario; di poi furon comunemente tre lungo la costa meridionale d'Italia.

    Più tardi appaiono talvolta come geni della morte e il lor canto è funereo, tal'altra come immagine di un'attrattiva irresistibile e ingannatrice".

    Tuttavia in una più approfondita lettura del mito dobbiamo riconoscere che l'accostamento delle Sirene al mare nulla ci dice delle origini del mito stesso, quando cioè esse venivano rappresentate come donne-uccello: dobbiamo, piuttosto, prendere atto che la prerogativa del canto come richiamo si sposa meglio a questa primitiva figurazione (per antonomasia gli uccelli sono canori e col canto si richiamano e attraggono l'uomo) che è propria della cultura vedica (4). Nelle leggende brahamaniche troviamo le Apyas, "lusinghiere ed omicide", con quelle qualità, cioè, che da sempre le distinguono, donde probabilmente le Arpie greche. Queste ultime infatti sono anch'esse donne-uccello e sono legate al concetto di possessività muliebre e all'immagine dell'uccello di rapina (arpàzoo = rapisco, strappo a forza). Evidenti le analogie con la Sfinge, la Gorgone e la Medusa: sfingi ed arpie son poste sulle steli dei sepolcri, sempre in relazione al causare la morte di chi osi accostarsi ad esse con desiderio, inoltre la Sirena è posta, come avvertimento e come genio custode, sulla omonima porta della città di Paestum.

    Fin qui, tuttavia, nulla che spieghi perché il concetto di "lusinga-morte" (trappola, adescamento e morte, inganno, sofferenza) si manifesti come immagine di donna-uccello nel Rigveda, come prodotto di una cultura lontana dal mare e familiarizzata con le grandi pianure e i grandi spazi interni, nonché con la fauna ad essi collegata, e come immagine di donna-pesce quando divenne successivamente patrimonio di quelle civiltà che nel mare trovavano una loro ragione d'essere (5).

    Ma, solo che un po' ci si rifletta, ecco che la spiegazione appare immediata come quando affiora alla coscienza, finalmente compreso, il significato di un sogno, di un archètipo dell'inconscio collettivo (6).

    La donna-uccello o la donna-pesce sostanziano, con la metà superiore, la donna come massima attrazione e, con la metà inferiore, una natura non umana e, assieme con questa, l'indicazione della impossibilità di ottenere da essa la prosecuzione della vita e quindi delusione, morte. Come, se non immaginando un mostro quale le Sirene, poteva una mente primitiva "sognare" (visualizzare) l'esperienza base "attrazione-morte"? come, se non immaginandolo attraente come una vergine e mortale, sterile, come un essere con cui è inutile unirsi? In altri termini quando l'uomo primitivo ha voluto simboleggiare, "inventare" qualcosa (una figurazione, naturalmente, poi diventata un simbolo) che difendesse, con la sua sola presenza, città, tombe o itinerari segreti, che servisse ad intimorire, spaventare, distogliere l'uomo da certe azioni, egli "pensò", al di fuori di ogni processo razionale, l'immagine di un qualcosa di attraente (per antonomasia la donna) con la contestuale presenza di elementi idonei ad annunciare la "non vita", l'estinzione, la morte (7). Così nacque l'immagine della Sirena e, ovviamente, il mito fu parto di una mente maschile (8).






    Note

    1)"Si estesero i primi limiti della Lucania dal fiume Silaro (=Sele, n.d.r.) infino a Reggio ..." Da Antonini, 1983.

    2)Berard, 1963.

    3)Da Pianigiani, 1988. L' accostamento tra mito e sogno discende dall'esprimersi ambedue attraverso simboli cioè qualcosa che ha valore per quel che significa e non per quello che rappresenta. E' merito fondamentale della psicoanalisi l'approfondimento dall'attività cosciente all'inconscio (vedi più sotto la nota 6).

    4)I Greci inizialmente conservarono l'immagine della Sirena come donna-uccello. Si vedano in proposito le numerose raffigurazioni tra le quali ricordiamo quella, assai bella, su un'anfora dipinta da Python e conservata nel museo di Paestum, la pittura vascolare del mito di Ulisse (British Museum), la Sirena sull'omonima porta di Paestum, le figurazioni sul vaso greco, detto delle Sirene, esposto nel Museo Correale di Sorrento ed infine l'inedita anfora del VI secolo riportata in figura 13.

    Le prime rappresentazioni come donne-pesci si hanno, invece, in un vaso di Megara del II secolo a.C. (Museo Nazionale di Atene) e in una lucerna romana del I-II secolo d.C. (Royal Museum di Canterbury). La scena riprodotta è sempre quella che ricorda la vicenda di Ulisse, ma questa volta ad insidiarlo sono, appunto, donne-pesci.

    5)Ferma la perennità dei valori arcaici, l'antica religione iranica, giunta attraverso una peregrinazione durata molti secoli sulle rive dell'oceano Indiano, adatta i propri miti al mondo del mare e, come Varuna, somma divinità vedica, diventa Signore dei flutti, così le Sirene donne-uccello divengono donne-pesci. E' evidente, da quanto sopra, che il mito greco delle Sirene, che a lungo ha continuato a rappresentarle come donne-uccello, si è distaccato dalla matrice in una profonda antichità, prima che le popolazioni dell'interno, che avevano concepito il mito, si spingessero fino al mare.

    Ricostruzioni di questo tipo, ipotizzabili senza forzature alla distanza di tre o quattro millenni e a migliaia di chilometri dal "focolaio" iniziale, sono la prova della potenza altrimenti inimmaginabile della tradizione.

    6)Gli archètipi sono simboli (qualcosa che ha valore per quel che significa e non per quel che rappresenta), che ritroviamo nei miti, nei riti, nelle religioni, nell'arte, nel folklore, nei sogni di culture pur tra loro separate da spazio e da tempo.

    Secondo una visione diversa da quella junghiana, che afferma l'origine innata degli archetipi, propendiamo a pensare piuttosto che essi sarebbero stati concepiti dall'uomo in modo spontaneo ed immediato fin dalla più remota preistoria, in rapporto alla sua stessa esistenza e all'ambiente in cui viveva, così come i miti più elementari e semplici nati nei primordi più lontani che sia possibile immaginare: l'Urzeit dello spirito umano. L'immenso intervallo di tempo trascorso avrebbe portato a velarne le origini ed essi, in parte nati da un'attività psichica questa sì legata a fattori genetici, si sono diffusi nel mondo insieme con l'uomo, si sono tramandati attraverso l'eredità culturale così da apparirci presenti sempre e dovunque. Anche se non manca oggi chi, con poca verosimiglianza ritiene che acquisizioni culturali, dopo migliaia di generazioni entrino a far parte dell'apparato biologico (Anati 1992, pagg. 121 sgg.).

    7) Per rendersi conto del significato negativo della Sirena, in tutta la sua pienezza, si tenga conto che non esiste società senza religione e che questa è, a sua volta, prevalente culto della vita e della sua continuità. Quali che siano le culture sembra che esista una invariante universale, valida ancora oggi: "bene",ed ogni suo sinonimo, è tutto quanto favorisce la vita, la promuove; "cattivo", e termini equivalenti, è tutto quanto tende a distruggerla, a interromperne la continuità. "La vita vive" ed il male assoluto è arrestare questo flusso imperioso e infinito (Boyer 1992): la vita è dunque l'espressione più alta del sacro. Vedi anche il capitolo "Il sogno".

    8)Questa breve indagine sulle Sirene chiarisce come, con lo scorrere dei secoli, il mito vada articolandosi e complicandosi fino a velare densamente, ma mai a cancellare, la verità fondamentale.

  2. #2
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    Dal sito http://www.misterisvelati.isnet.it/default.htm
    (Testi di Lello Capaldo)



    Inedito vaso greco rinvenuto in località "Il Deserto", nei pressi di S. Agata sui Due Golfi. Esso è decorato con figure di Sirene: una centrale, ad ali spiegate, e quattro nella fascia superiore, realizzate con la tecnica delle figure nere a silhouette.

    Ritrovato nell'agosto dell'81, esso è stato consegnato alla Soprintendenza Archeologica di Napoli grazie alla tenace mediazione del magistrato dott. Domenico Galasso, appassionato studioso di archeologia e assertore della localizzazione di un tempio delle sirene nella contrada del ritrovamento, "in vertice surrentino" (Capasso, 1846 e Poi, 1983).

    La dibattuta questione circa il sito ove sorgeva il tempio trova una definitiva soluzione, conforme a quella sostenuta dal Galasso, grazie ad una recente scoperta nel golfo di Napoli: "una epigrafe osca incisa sulla roccia all'estremità della Punta della Campanella, e pertanto visibile solo dal mare e sfuggita finora a tutti. Il testo ricorda che tre magistrati sanniti avevano fatto costruire, probabilmente nel sec. III a.C., una via che permetteva di salire direttamente dal mare al santuario di Atena situato sul promontorio" (Appella e Sisinni, 1991, pag. 75).

    Il vaso faceva parte di un corredo funebre databile alla seconda metà del VI sec. a.C. e le sue dimensioni sono: altezza cm 27, diametro della bocca cm 12,5, diametro della base cm 9,2.

    In conclusione, nella penisola sorrentina, esisteva un Tempio delle Sirene nel Deserto, appunto dove è stato ritrovato il vaso, ed esisteva un tempio dedicato a Minerva (Atena) sul Monte San Costanzo, dove giungeva la strada osca risalente dal mare di punta della campanella.



    Una bella immagine di sirena alata: neck-amphora firmata da Python (dett.), IV sec. a.C., Museo Nazionale di Paestum. Al di sotto della sirena: l’uovo cosmico.

  3. #3
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    Dal sito http://members.xoom.virgilio.it/murat/index.htm

    Mito delle sirene


    Si dice che Napoli sia, o meglio sia stata, terra di Sirene; il luogo eletto a propria dimora da strane e inverosimili figure, mezze uccelli, mezze donne, mezze chissacché. Si dice anche che questa città sia stata la patria della sirena Partenope, la più bella di quelle strane, accattivanti creature. Da essa, pare, ricevette l’antichissimo e primordiale nome.

    Confortata da voluttuosa sensualità e gravida malia, Partenope seppe vittoriosamente attirare, incantare, fiaccare la valentia di gente portentosa. Ebbe fra tutti, prima vittima storicamente accettata dalla nostra tradizione, forse lo stesso leggendario, astutissimo e ormai immalinconito Odisseo. Lo dicono gli innumerevoli reperti raffiguranti il Laertiade che, legato all'albero maestro della propria nave, si lascia andare al carezzevole richiamo modulato dalle profetesse della malia. In una stamnos attico ottimamente conservata e in esposizione al Museo Britannico di Londra, è felicemente rappresentata la scena delle Sirene che con intenzioni niente affatto aggressive volano dalle rupi circostanti intorno all'eroe incatenato. Egli volge il capo verso di loro, con l'evidente desiderio di volerne intenzionalmente ascoltare la melopea. La nave, col grande nero occhio guardingo disegnato sulla prua, per contro scivolare in tutta calma sulle onde di un mare affatto placido.

    Più tranquillamente, i marinai che siedono, fermi ai loro remi, fanno da contraltare alla scena. E’ fin troppo evidente che ciò che strugge l'intrepido comandante, per loro non esiste: essi, tutelati opportunamente i propri orecchi con della morbida cera, sono insensibili alla fattura del canto; a loro non resta che far andare il più speditamente possibile i remi e superare alla svelta la bonaccia dentro cui s’ingurgita ogni minimo accenno al più semplice flebile filo d'aria. La loro attenzione è dunque tutta rivolta alle indicazioni del timoniere. Dall'alto della tolda, egli li incita solertemente a non attardarsi. A non curarsi d'altro: le sirene sono affari di Ulisse.

    Forse altri eroi, altrettanto coraggiosi e impavidi, più grandi ancora dei temuti capitani achei, più audaci dei discendenti appartenuti alla stirpe da cui furono generati gli argonauti, tramandati dalle cronache mitologiche come viaggiatori esperti e maestri di avventure, si erano già lasciati accattivare dalle armonie della giovine sirena e delle sue consorelle. A noi non è dato sapere se si tratttasse di sardi, micenei, o addirittura, anche se molto improbabilmente, dei mitici atlantidi: la storia, quella seria, esige altre carte di credito.

    Per riuscire a provare tal fatta d'eroi, Partenope doveva avere dalla sua l'irrefutabile capacità di prendere forme mille volte più insidianti di quante sirene fossero mai apparse tra terra e mare, spiaggia e battigia, monte e campagna. Per sostenere il paragone con la superbia del paesaggio, la sua essenza era probabilmente intessuta della stessa sostanza dei luoghi, e dunque doveva apparire creatura azzurra d'acqua, rossa di fuoco, nera di roccia, vestita, se mai lo fu davvero, di una tunica verde, intramata di ramaglie e foglioline di lucido mirto.

    Essa doveva dar vita contemporaneamente a mille arcane manifestazioni, tutte provenienti da una stessa forza naturale, colte nella fase di più selvaggia dinamica e perciò capaci di dar vita a creature di passaggio, a esseri abituati a perdere continuamente le sembianze dell'ieri, a indossare da un giorno all'altro maschere mutevoli, a subire la durevole condanna di vivere l'oggi avendo per tramite solo l'irrequietezza, frequentando la luce del giorno e la risacca del mare come il limite definito delle cose. Oppure, attestare semplicemente di essere esse stesse il limite del mondo.

    Partenope, dopo aver invano tentato di sedurre Ulisse con il suo canto, si suiciderà lasciandosi annegare fra le onde del mare. Il suo corpo sarà trascinato fino alle spiagge del nostro golfo dove i pietosi abitanti edificheranno in sua memoria un sepolcro presso il quale ogni anno si celebreranno, per secoli, onori e sacrifici. La memoria di queste origini viene trasmessa anche in epoca romana ed ancora nel 90 a.C. uno scrittore latino - Lutazio Catulo - così ricorda la nascita della nostra città: Gli abitanti di Cuma, allontanatisi dai familiari, fondarono la città di Partenope, così chiamata dalla sirena Partenope, il cui corpo si dice sia ancora sepolto.

    «Il culto delle Sirene: era certamente assai antico; ed è attestato in tre località della Magna Grecia - nel golfo di Napoli, sulla costa di Posidonia e a Terina, ed ignoto al resto del mondo greco.... Da quale gente greca sia stato trapiantato in Magna Grecia il mito delle Sirene è estremamente incerto». È probabile che il culto fu attestato da comunità di naviganti rudi pur non avendo nella propria patria traccia di quel culto. Quel che è certo è che «Rodi e Creta furono i centri da cui il motivo della Sirena in figura maschile barbata, oltre che femminile, rielaborato dal sentimento artistico e religioso dei Greci, si propagò nel mondo ellenico». Ma affinché il culto delle Sirene potesse trovare un attecchimento tanto evidente dovevano preesistere anche delle basi reali, diciamo un terreno di crescita particolarmente adatto a questo specifico mito. Che il culto abbia trovato la sua fortuna proprio nel golfo, si può spiegare con «l'insidia rappresentata dall'assopimento che facilmente coglieva i naviganti nell'ora di massima altezza del sole, quando la luce è tersa e abbacinante e i flutti frangono in maniera pressoché eguale rendendo l'ora facile preda del sonno, quel sonno che è più figlio della spossatezza che della necessità di riposo.

    E cosa potevano chiedere di più le stanche membra di un marinaio che ha dovuto affrontare dapprima le asperità di Scilla e Cariddi e tenere la nave lontano dalla scogliera amalfitana, vincere la procellosità delle bocche di Capri e sbucare infine nell'ampio seno del golfo di Napoli che subito mostrava il suo aspetto accogliente per l'abbondanza di approdi e la felicità climatica? Teniamo presente che "il viaggio diurno era reso più insidioso dalla dolcezza del clima e dal diffuso splendore del sole; e alle soglie del pericoloso passaggio tre scogli isolati: i tre isolotti di Strabone, gli odierni li Galli di fronte Positano facevano aumentare il rischio. I naviganti li designavano infatti come le rupi delle Sirene, Sirenussai e l'alto promontorio che incombe sul difficile passo divenne sede di un culto destinato a placare e propiziare gli alati demoni nel cui nome riecheggiava quello della stella Sirio, nunzia della più calda estate"».

  4. #4
    hussita
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  5. #5
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    LE SEDUZIONI DELLE SIRENE
    di Meri Lao (prima parte)


    Omero ha tralasciato di descrivere il loro aspetto fisico. Farlo sarebbe stato superfluo dato che, almeno sin dall'età micenea, tutti le conoscevano. Era notorio, per esempio, ciò che in seguito si è dimenticato: che le Sirene erano donne-uccello. Mammelle floride, ali piumate, viso femmineo che talvolta amava anche ornarsi di barba, artigli di rapace quasi sempre, meno frequentemente zampe leonine e, vera rarità, parte inferiore del corpo a forma di uovo. Quando il loro irresistibile canto - caratteristica suprema - richiederà l' accompagnamento di strumenti musicali come la lira, l'aulòs, i cimbali, i tamburelli e i crotali, le Sirene si muniranno di braccia umane per sostenerli e suonarli. Con le ali protese verso l'alto o ripiegate, quelle più antiche vengono raffigurate mentre incombono su guerrieri in viaggio o su marinai. Quelle in epoca più tarda, scolpite su stele sepolcrali, si strappano i lunghi capelli e si battono il petto in segno di dolore e, come le prefiche, intonano lamentazioni funebri per confortare le anime. Neanche il più sprovveduto degli antichi greci avrebbe potuto confonderle con le altre donne alate che popolavano i suoi sogni. Soprattutto le si sapeva distinguere dalle Arpie, pur così somiglianti nell' aspetto esteriore, anch' esse nate da un dio marino e dedite allo stesso compito di rapire gli uomini nel trapasso. Tuttavia, il solo pensiero di incontrarle gracchianti e fameliche, gocciolando le loro feci putride sulle tavole imbandite, suscitava ribrezzo e orrore. Chi non vagheggiava invece di cedere, anche solo per un attimo, al fascino delle Sirene? Chi non si era illuso di udire nel mare la loro voce dolcissima, capace di instillare un tale languore, un piacere così sconvolgente e assoluto da appagare ogni fame e ogni sete?

    Le ragioni addotte per spiegare il perché delle ali delle Sirene rivelano l' aspetto profondo dell' altra componente dell' Ibrido : il femminile umano. Nate come ninfe, infatti, le Sirene ebbero le ali per castigo o per premio. Nate come donne alate, all'opposto, per gli stessi motivi si dice che furono loro tarpate.
    La tradizione coinvolge nella vicenda le massime dee che hanno attinenza con la musica, l'amore, la maternità e la morte. Pausania, Eustazio e Giuliano portano in causa le Muse, anch'esse dalla bellissima voce, suonatrici e dispensatrici di sapienza, non più in veste di madri, ma di feroci avversarie. Già dotate di ali, le Sirene avrebbero osato gareggiare nel canto con le Muse, le quali, per deriderle, gliele strapparono senza pietà, facendosene corone. Spennate, impedite di aleggiare, mortificate, è in questa occasione che si sarebbero suicidate: così almeno asserisce Stefano di Bisanzio. Alcune però si rassegnarono a rimanere letteralmente appollaiate sugli scogli, e in questa pedestre posizione le avrebbero viste Ulisse e gli uomini del suo equipaggio. Ma, anche se i nomi e i luoghi - Leucotea, Leucosìa, Leucade, Galatea - sembrano voler designare la bianca epidermide, quest' opinione è smentita dall' iconografia, che le raffigura alate e ricoperte di piume durante l' incontro con Ulisse.
    Secondo altri, è Afrodite che le fa diventare passeriformi, per stigmatizzare il degrado da esseri superiori a ibridi. La dea dell' amore puniva così l' insistenza delle Sirene nel mantenersi vergini e il rifiuto di congiungersi non solo con i mortali, ma persino con gli dèi. Pierre Grimal pensa che questa sorte sia capitata solamente a Partenope, una fanciulla frigia che si innamorò nonostante il voto di castità, si tagliò i capelli, si esiliò volontariamente in Campania per consacrarsi a Dioniso, e venne raggiunta da Afrodite che la trasformò in sirena.

    La versione più ricca di implicazioni simboliche è quella che associa le ali delle Sirene al mito di Demetra, dea dell' agricoltura e della vegetazione, e sua figlia Kore-Persefone; Demetra, agisce qui nella sua funzione di madre terrestre, come il nome Da Mater indica. Questo mito, nel riconfermare il legame tra le ali e il mondo infero, esprime l' enigma del femminile e i suoi rapporti con la nascita e il destino escatologico dell' uomo. Le Sirene, ninfe del seguito di Kore, la fanciulla divina, sono intente a cogliere fiori e narcisi, e a giocare nelle vicinanze dell' Etna, quando Plutone la rapisce per portarla nel suo regno d' oltretomba. Demetra le accusa di non essere intervenute a evitare il ratto e, per punirle, le trasforma in pennuti, benché qualche mitografo sostenga, al contrario, che proprio per questo motivo la dea le priva della facoltà di volare.
    Una spiegazione più benevola viene offerta da Ovidio : sono le Sirene stesse che, per poter andare meglio in cerca di Kore, chiedono agli dei la grazia delle ali; una volta concessa, però, le utilizzeranno in maniera anomala, cioè come remi, per camminare più spedite sulla superficie dell' acqua.
    Forti dell' ambiguità della materia, si potrebbe avanzare un' altra interpretazione dei fatti. Le Sirene sono state presenti, come sempre, al transito dal regno dei vivi a quello dei morti, pur trattandosi questa volta della fanciulla della primavera che passava a essere la regina delle ombre, di Kore che mutava il suo nome in Persefone. Un transito che non avrebbero mai potuto ostacolare, se non rinnegando la loro missione principale. Anzi, che hanno facilitato fedeli al loro ufficio e indifferenti ai conflitti di potere come si sono sempre dimostrate. Demetra, madre innanzitutto, voleva che per sua figlia non agissero le leggi; da qui il rimprovero rivolto alle Sirene e il castigo.

    (continua…)



  6. #6
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    Ops... ho dimenticato di inserire l'immagine...



    Vaso corinzio del 600 a.C. con sirene, leoni
    e antilopi - Museo dell'Arte di Toledo

  7. #7
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    LE SEDUZIONI DELLE SIRENE
    di Meri Lao (seconda parte)

    La musica
    La tetractys è la formula magica dei pitagorici: su essa prestavano il giuramento di non svelare ai profani le verità aritmologico-religiose della loro setta. Sembra che si esprimesse con l' addizione 1+2+3+4=10 e si rappresentasse con un triangolo equilatero costituito da dieci punti, uno centrale e quattro per lato. Il numero quattro è investito di grande potere: ha carattere di universalità, poiché sono quattro le regioni del cielo e delle terra. In base a un sistema analogico venivano associati alla tetractys altri concetti governati dal numero quattro attinenti alla natura fisica, al tempo e allo spazio: gli elementi, le fasi lunari, le stagioni, le età dell' uomo, i punti cardinali, le parti dell' anima, il cerchio diviso in quattro settori uguali ovvero la circolatura del quadrante, la stessa addizione di prima però al rovescio ossia: 10=1+2+3+4, ovvero la quadratura del cerchio. Non ultimo, la tetractys, richiama quella successione di quattro suoni congiunti che si conosce sotto il nome di tetracordo; tutto il sistema musicale greco - calcolato, appunto, da Pitagora - si ottiene tramite l' incatenamento dei tetracordi, presi uno dopo l' altro in senso discendente. A quanto afferma Armand Delatte, le Sirene farebbero da nesso tra questa formula sacra e l'oracolo di Delfo: un precetto, infatti, rivela cha la tetractys è l' armonia dove si trovano le Sirene. Se per i pitagorici la musica degli uomini ha la missione di scuotere le anime ingabbiate nel corpo terreno, stimolando l'amore per le cose divine, la musica oracolare delle Sirene, rivolta alle anime erranti, accende in esse la memoria, la nostalgia dei cieli, rendendo dolce il distacco. In un passo della Repubblica di chiara connotazione orfica e pitagorica, Platone offre la prima notizia della musica delle Sirene, collegandola alla dottrina della metempsicosi. E' la narrazione che Er, un guerriero della Panfilia miracolosamente tornato tra i vivi, fa della sua permanenza nel mondo dell' oltretomba. Per prima cosa, Er allude ad un prato fiorito, l'Anthemoessa, dove erano ferme le Sirene in attesa dei naviganti, che richiama alla mente il giardino fiorito dove giocavano insieme a Kore, prima che questa fosse immersa nell' abisso. Dopo avervi trascorso otto giorni, gruppi di morti si incamminavano per quattro giorni ancora, finché non si offriva ai loro occhi la visione di una serie di fusi astrali incastrati uno nell' altro. L' ultimo degli otto, di diamante, posto al centro dell' universo, li colpisce con il suo bagliore. Il fuso è mosso da Ananke - figlia di Cromo e di Dicé -, la dea che l' orfismo aveva assunto come madre iniziale. In una precisa geometria sono disposte le tre Moire e le otto Sirene, che cantano rispondendo a un'armonia unitaria. Vediamo che Platone colloca le Sirene e la loro musica in un vasto sistema cosmologico pre-olimpico, tra le entità femminili che presiedono al destino dell' universo e degli esseri umani. Ananke rappresenta la legge naturale, la necessità; è lei che imprime movimento ai fusi delle sfere, è lei che determina il numero delle vibrazioni di partenza. Le Sirene sono la manifestazione sonora di Ananke. Ma, allo stesso tempo, cantano in accordo con le Moire, cioè con le leggi che regolano la vita dei mortali, i cui giorni filano, avvolgono in matassa e tagliano. Si può immaginare che le Sirene, situate a distanza proporzionale dalle altre quattro dee e in rapporto doppio di numero, cantassero all'unisono. Più che una musica vera e propria, una risonanza. Chi l'ascolta ottiene la memoria delle cose che sono accadute e di quelle che accadranno sempre, fatalmente.
    La musica che - disse Trismegisto - altro non è che conoscere l'ordine di tutte le cose.

    (continua...)


  8. #8
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    i sirenidi ,creature reali e non frutto di vaneggiamenti, sono molto più interessanti
    http://www.marevivo.it/sirene2.html

    la ritina di steller, lunga 10 metri fu scoperta alla fine del 700 e massacrata per il grasso. dopo 20 anni era gìà estinta.

  9. #9
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    Meno male che ci pensa shambler a riportarci nel mondo della realtà...

  10. #10
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    non ti piacciono i poveri sirenidi?

 

 
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