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GEROLAMO CARDANO: L'AUTOBIOGRAFIA COME MITO DI SÈ
di Ida Li Vigni
(Doc. Italiano e storia, liceo Paul Kee
Storia del pensiero scientifico, Univ. degli Studi di Genova)
Dalla rivista "Anthropos & Iatria" - anno 2 - n° 2, 3,1998 - De Ferrari editore
Settembre 1575:
nel mese del suo settantacinquesimo e ultimo compleanno Gerolamo Cardano si accinge ad approntare quella che sarà la sua ultima e di certo più sofferta opera letteraria, il De propria vita liber, una delle più straordinarie e significative autobiografie del Rinascimento italiano, testimonianza appassionata di una esigenza di parlare di sé che non nasce tanto dalla necessità di riabilitarsi di fronte agli avversari che sembrano aver avuto la meglio, quanto dal bisogno interiore di difendere la propria coscienza individuale dalle pressioni del tempo e della Storia. Scrittura "privata" che si rivolge a un pubblico ideale e astorico col fine di testimoniare ab aeterno l'eccezionalità di una esperienza esistenziale individuale, l'autobiografia diventa apologia di se stessi di fronte a Dio e agli uomini, difesa estrema di se stessi non soltanto dall'anonimato e dalla temporalità, ma anche e soprattutto da se stessi.
Non è un caso che Cardano si impegni in questa fatica in prossimità della morte quando, duramente provato dalle disgrazie private, con alle spalle una quasi leggendaria fama di filosofo-mago e di scienziato offuscata da un infamante processo per eresia conclusosi con il ripudio pubblico degli aspetti più innovatori del suo pensiero, si trova per così dire costretto a raccontare di sé per sottrarsi a quel disegno occulto cui da sempre gli era parso assoggettarsi la sua vita. Certo egli non può più presentarsi come "mago, incantatore, spregiatore della religione e dedito ai piaceri più turpi", come operatore di miracula in continuo commercio con il sovrannaturale quale si era presentato per esempio nel Contradicentium medicorum libri o nel Theonoston.
I tempi mutati e le vicende personali gli hanno insegnato che per sopravvivere e lasciare memoria della propria opera deve presentarsi come figura moralmente integerrima, dedita a studi leciti e interamente soggetta alla volontà divina. E tuttavia egli percepisce con estrema lucidità che la sopravvivenza del suo nome, il suo perdurare tra gli uomini oltre la morte, è indissolubilmente legata proprio a questi elementi occulti, quasi demoniaci, quali la subtilitas (l'acutezza particolare dei sensi), l'eloquenza, la memoria e la facoltà profetica che lo hanno aiutato a imporsi come uomo di eccezione, dotato di facoltà superiori e capace di compiere operazioni perfettissime. Per preservare la propria integrità di uomo e di "scienziato" egli deve dunque recuperare, pur dietro a una inevitabile maschera di compromesso, proprio queste caratteristiche, inserendole in un contesto memoriale organizzato non già per sequenze cronologiche ma per gruppi tematici, secondo un filo narrativo segreto che consenta l'occultamento superficiale degli "errori" che avrebbero potuto far sospettare che il suo sapere partecipasse di una natura demoniaca e che favorisca il recupero in positivo di quegli stessi errori quali manifestazioni naturali o doni divini.
Così, se è vero che nel prologo egli avverte il lettore che narrerà si sé "senza alcun infingimento", apertamente e senza tacere dei suoi numerosi vizi ed errori, perché il suo fine "è quello di raccontare la storia della mia vita e non quella di un'epoca", è altrettanto vero ed evidente che il suo rievocare è condizionato ab initio dal bisogno di difendersi e di ricostruirsi, di rimanere sempre e comunque fedele a se stesso, sicché anche i travisamenti e le frequenti contraddizioni (al di là del continuo insistere - sospetto - sulla sincerità della sua scrittura o forse proprio per questo insistere) hanno un ruolo preciso nella partitura esistenziale che egli traccia.
Ma chi è veramente Girolamo Cardano? Il mago, il geniale matematico, il nevrotico e narcisista saturnino, lo scienziato, il ciarlatano redattore di oroscopi o il medico che puntualmente guarisce pazienti dati per spacciati? Forse un po' di tutto questo, come è proprio a un uomo del Rinascimento, avido di penetrare i segreti della natura e del divino e quindi disposto a utilizzare disinvoltamente gli strumenti della magia e della scienza. Vediamo intanto i dati biografici.
Gerolamo Cardano nacque a Pavia il 24 settembre del 1501 da Clara Micheria e Fazio Cardano, un uomo di cultura eclettica, versato tanto nella scienza positiva quanto in quella occulta. Dopo un'infanzia e un'adolescenza travagliate da continue malattie, da misteriosi infortuni e da dolorosi contrasti affettivi con la madre (e proprio il rapporto difficile con la madre, in contrasto con l'amore per il padre che sempre costituì la figura guida della sua vita, potrebbe spiegare la continua diffidenza nei confronti delle donne che traspare in molte pagine dell'autobiografia), a diciannove anni Gerolamo iniziò gli studi di medicina a Pavia.
Laureatosi prima in artibus a Venezia e poi in medicina a Padova (1526), esercitò per sei anni la professione di medico a Sacco, nei pressi di Padova, dato che la sua domanda presso il Collegio dei Medici di Milano era stata respinta a causa della sua condizione di illegittimo (motivazione più che contestabile, di certo imposta dai suoi avversari preoccupati dalla fama che il giovane Cardano si stava conquistando, dato che Fazio e Clara avevano legalizzato la loro unione nel 1524). A Sacco conobbe e sposò Lucia Banderani, che gli darà tre figli, ma l'unione non fu (almeno agli occhi di Gerolamo) felice, tanto che nell'autobiografia il Nostro non nasconde al lettore la convinzione che proprio il matrimonio sia stato l'inizio delle sue disgrazie.
Nonostante il ricomparire di fastidiose e oscure malattie, dal 1534 al 1560 Cardano sembrò sostenuto dalla fortuna: gli studi di matematica (dalla Practica arithmetica et mesurandi singularis alla celebre Ars magna, seu de regulis algebraicis del 1545 in cui Ludovico Ferrari, l'allievo di Cardano che era giunto a fissare la soluzione delle equazioni di quarto grado, difende il maestro dalle rivendicazioni di Niccolò Tartaglia circa la priorità nella soluzione delle equazioni di terzo grado) e di filosofia (si pensi al De consolatione, al De animorum immortalitate o al De sapientia), i successi come medico e astrologo (supportati da opere come il già ricordato Contradicentium medicorum liber e il grande commento al Quadripartito di Tolomeo, vero e proprio atto polemico di rifondazione della scienza astrologica) gli assicurarono una fama che presto varcò i confini dell'Italia e si diffuse in tutta Europa, spingendo principi e potenti uomini di Chiesa ad assicurarsene gli interventi.
Corteggiato e conteso da clienti facoltosi e potenti, forte dell'appoggio del conquistato Collegio dei Medici di Milano che nel 1539 ne aveva finalmente accolto la domanda, Cardano non si attendeva certo un repentino e doloroso oscurarsi della sua gloria quale quello che lo colpì nel 1560 per mano del figlio maggiore Giovan Battista, accusato di aver avvelenato la moglie e quindi giustiziato il 17 febbraio del 1571. Lo scandalo sembrò rinvigorire i nemici del Cardano, tanto più che le due nuove opere che egli stava finendo di comporre e che già aveva presentato nei loro argomenti principali, i Proxeneta e il Theonoston, offrivano più di un appiglio di denuncia presso l'Inquisizione.
Così, il 6 ottobre del 1570 Gerolamo fu arrestato a Bologna, presso la cui università insegnava già da otto anni, e imprigionato. Il 10 marzo dell'anno successivo egli dovette ripudiare le parti della sua opera che gli inquisitori avevano condannato come eretiche o come sospette e impegnarsi a non tenere più pubbliche lezioni e rinunciare a pubblicare altre opere. Destituito dal suo incarico universitario, afflitto da gravi difficoltà economiche e dal ricomparire di manifestazioni morbose, Gerolamo si umiliò a implorare l'aiuto di Gregorio XIII, suo collega a Bologna nel 1562. Grazie all'intervento del pontefice nel 1574 fu accolto dal Collegio dei Medici di Roma e ottenne la pensione che aveva invano richiesto a Pio V; l'aiuto, però, giungeva tardi: un anno dopo, il 20 settembre del 1576, Gerolamo moriva lasciando come estremo testamento il De propria vita liber, portato a compimento proprio pochi mesi prima.
Fin qui i dati oggettivi, "storici", della biografia di Cardano, facilmente rintracciabili nel De propria vita e, nello specifico, nel quarto capitoletto intitolato Breve narrazione della mia vita dal suo inizio fino ad oggi, fine ottobre del 1575. Tuttavia, anche il lettore meno smaliziato nel leggere le memorie del Cardano si accorge della presenza, dietro i dati oggettivi della sua esistenza privata e pubblica, di una volontà di manipolazione e di "riscrittura" del proprio passato che non può non destare interrogativi e sospetti. Il fatto è che Cardano, nel presentare se stesso, sta delineando una figura ideale, perfettamente corrispondente a quel ritratto di uomo saturnino, melanconico e introverso, che nel Cinquecento rappresenta il modello esemplare dell'uomo di eccezione, sia esso artista, politico, scienziato o mago.
Tale eccezionalità è in primo luogo attestata dall'oroscopo di Gerolamo, un oroscopo lievemente alterato rispetto a quello che egli aveva già fissato, dopo lunghe rielaborazioni, nel Liber XII geniturarum. Il fatto che Cardano si preoccupi costantemente, nel corso della sua lunga vita, di ridisegnare il proprio quadro astrale (vezzo che condivide con latri scienziati "maghi", basti pensare a Keplero) costituisce un indizio rilevante del bisogno che egli ha di fissare in qualche modo la propria identità e soprattutto la percezione che egli prova di se stesso.
Come tutti gli oroscopi degli uomini di eccezione, anche quello di Cardano si presenta complesso e di difficile interpretazione, segnato da influenze apparentemente negative che tuttavia lasciano presagire l'assoluta unicità del soggetto. L'oroscopo, insomma, serve a mitizzare gli eventi più significativi della sua vita e soprattutto quelli di segno apparentemente nefando, in modo che l'intera esistenza risulti posta sotto il segno di una eccezionalità atta a far risaltare le grandi capacità "razionali" del soggetto, ovvero la sua riuscita al di là del tracciato prefissato dal destino.
Ciò appare particolarmente evidente nell'episodio della nascita, tutto modellato su uno dei topoi più ricorrenti nelle nascite degli eroi: la nascita travagliata e miracolosa. Rifiutato dalla madre ("... mia madre aveva tentato senza risultato dei preparati per abortire ...", in cui si riecheggia il terrore per la donna strega, anti-madre e anti-moglie per eccellenza), il piccolo Gerolamo vede dunque la luce proprio nel momento in cui una particolare congiunzione pericolosa in Vergine di Marte col Sole e la Luna sembra garantirgli, nelle migliori delle eventualità, un aspetto mostruoso.
E in effetti, per quanto non deforme, egli si presenta come morto, tanto che soltanto un bagno nel vino caldo (altro elemento mitico, questo, presente anche nelle fiabe popolari, che indica la nascita di un essere eccezionale, "diverso" dagli altri uomini nonostante il suo aspetto gracile e malaticcio) lo salva e lo consegna alla vita (né possiamo tacere la natura altamente simbolica del vino, trasposizione del sangue e dunque della linfa vitale). Come se non bastasse, l'aspetto negativo di Venere e di Giove all'ascendente gli annunciano una sorte infelice, un carattere debole e scontroso, una fastidiosa balbuzie e "... l'avida e inconsulta tendenza alla divinazione ...". A sottrarlo alla sventura interviene però la posizione positiva del Sole (e, guarda caso, Cardano è nato nello stesso mese e giorno di Augusto), garante di lunga vita e di gloria eterna, anche se contrastata e conquistata a fatica.
Con un simile quadro astrologico non desta stupore il fatto che Gerolamo sia stato vittima di così tante calamità e disgrazie, anche se man mano che si procede nella lettura delle sue memorie sorge legittimo il sospetto che alla base della sua fama e delle sue disgrazie non siano tanto gli astri quanto il suo complesso carattere saturnino, cosa di cui per altro egli stesso è consapevole: "... Medici e astrologi attribuiscono la causa dei caratteri naturali alle prime qualità, mentre assegnano la causa dei caratteri derivanti dalla volontà all'educazione, agli studi, ai rapporti con gli altri ...". Come a dire che la volontà e l'ingegno consentono di trionfare sulla natura "matrigna".
E, in effetti, di ostacoli il Cardano ne dovette superare nel corso della sua travagliata esistenza. Bruttino e balbuziente, afflitto da malattie e carenze affettive (il fantasma del rifiuto materno, più che Venere negativa, sembra essere la causa reale della sua impotenza, risolta provvisoriamente solo col matrimonio), egli dovette certamente sviluppare un complesso di inferiorità che lo spinse disperatamente a cercare di affermarsi: "... ho desiderato che si conoscesse che sono esistito, non già quale esistenza sia stata la mia ... Il mio fine era ... quello di assicurare in qualche modo la sopravvivenza del mio nome ...". Di questo suo sentirsi "diverso" e a disagio fra gli uomini Cardano è assolutamente consapevole, tanto da farci sospettare che si crogioli in un certo narcisismo masochista pur di amplificare presso di sé e gli altri la propria aurea di uomo di eccezione.
Il suo ossessivo richiamo alle malattie e ai misteriosi incidenti che ne hanno minacciato la vita, lo spietato ritratto che egli tratteggia di sé a più riprese, l'amore per il gioco d'azzardo e le scienze occulte sono tutti segni, puntualmente bilanciati e corretti dalla elencazione pignola dei propri successi medici e scientifici, di una personalità potenzialmente nevrotica (al tempo si diceva "saturnina") che riesce a controllare il processo incombente di perdita dell'identità (un rischio ben presente e ampiamente testimoniato tra l'altro dall'amore ossessivo per il collezionismo e l'elencazione di eventi e opere che è facilmente riconducibile all'inconscia necessità di fissare e "fossilizzare" la realtà esteriore affinché essa non sfugga al controllo della ragione) manipolando in positivo i propri difetti e le paure.
Vediamo dunque come Cardano si autorappresenta: " ... Sono di statura mediocre, ho i piedi piccoli, più larghi alle estremità ed incurvati, tanto che trovo con difficoltà delle calzature adatte e in passato ero costretto a farmele fare su misura. Il petto è piuttosto angusto, le braccia sono sottili e la mano destra più carnosa, con le dita tozze, tanto che secondo i negromanti avrei dovuto riuscire rozzo e stupido ... La linea della vita è breve, lunga e profonda quella saturnina; la mano sinistra invece è bella, con le dita affusolate, tornite e ben congiunte; le unghie sono lucide. Il collo è piuttosto alto e sottile, il mento è diviso, il labbro inferiore rigonfio e pendulo; gli occhi sono molto piccoli e se non mi concentro molto nel guardare qualcosa tendono a socchiudersi.
Sulla palpebra dell'occhio sinistro ho una macchia simile a una lenticchia, tanto piccola che è difficile accorgersene; la fronte è ampia e dove si congiunge alle tempie priva di capelli; questi, come la barba, erano biondi. ... La voce è aspra, forte e tuttavia quando inse-gnavo non si sentiva da lontano. Parlo poco e senza troppa grazia; lo sguardo è fisso come di persona che sta riflettendo, gli incisivi superiori grandi; il colorito tra il bianco e il rosso; il viso è allungato ma non troppo e il capo tende a restringersi e a finire come in una piccola sfera ... Sotto la gola ho un piccolo rigonfiamento di forma rotonda, ereditato da mia madre ... Sono stato malato per cause diverse: per natura, per accidente, per l'insorgere di sintomi patologici ... Ho l'abitudine ... di provocare da me delle cause di dolore ... Non sempre ho cercato di evitare le mie malattie ... poiché ritengo che il piacere consista nel venir meno di un dolore ... D'altronde so che non posso mai essere libero del tutto dal dolore e, quando sto bene, mi subentra nell'animo un'inquietudine tanto molesta da non poter essere più spiacevole, per cui il dolore, o una causa di dolore che non presenti nessun pericolo e nessun motivo di vergogna, è un male minore. Così faccio ricorso a vari espedienti, come mordermi le labbra, torcermi le dita, premermi la pelle e il muscolo sottile del braccio sinistro fino alle lacrime ... Per natura ho paura dei luoghi molto alti, per quanto spaziosi, e di quelli in cui provo il sospetto che ci siano cani affetti da rabbia.
Ho sofferto talora di amore eroico (1) ... nell'adolescenza ho avuto il sospetto ... di avere un carcinoma e forse ce n'era un inizio all'altezza della mammella sinistra; era un tumore rosso, fosco, duro, che mi dava delle fitte ... Ho preso l'abitudine di atteggiare il volto secondo un'espressione contraria ai miei sentimenti, per questo sono capace di simulare, ma non di dissimulare ... Riconosco che tra i miei vizi ce n'è uno molto grande e del tutto particolare: quello di on riuscire a trattenermi - anzi ne godo - dal dire a chi mi ascolta ciò che gli risulta sgradevole udire ... Per quanto mi è possibile mi ritiro in solitudine, consapevole, è vero, che questo genere di vita è condannato da Aristotele quando dice: "L'uomo solitario o è una bestia o è un dio" ... In generale tutto segue un andamento irregolare nel mio comportamento e questo è il frutto di una dura necessità, dominato come sono dall'impeto di un animo che non può persistere nel bene né vuole sopportare il male: solo la riflessione ... non conosce interruzione, pur se non si applica sempre agli stessi oggetti: tuttavia è tanto intensa che se non la sviluppassi non potrei né mangiare né dedicarmi ai piaceri, anzi neppur sentir dolore o dormire. Il solo vantaggio che essa mi porta è dunque quello di tenere lontano il male e di darmi il modo di distrarmi ... Quanto al resto, sono ora veloce ora lento nel camminare, porto il capo e le spalle ora curvi ora eretti, con una andatura che all'apparenza differisce di poco da quella che avevo in gioventù, ma è molto cambiata in realtà ..." (2).
Per chi non è abituato a orientarsi nel linguaggio dei medici rinascimentali, questo ritratto può apparire una congerie di elementi disparati, mentre in realtà ogni dato concorre quasi matematicamente a descrivere un fin troppo perfetto esempio di disarmonia umorale con prevalenza di bile nera (o umor melanconico), dove il patologico (oggi potremmo sospettare uno scompenso tiroideo) e lo psichico (sempre modernamente si potrebbe pensare a una condizione di nevrosi latente, accompagnata da momenti di autolesionismo - sia pur controllato - e da ossessioni ricorrenti - il cane nero e rabbioso che da esperienza traumatica infantile diventa fobia premonitoria -) si fondono e condizionano strettamente. In questa sede, tuttavia, ci preme evidenziare la straordinaria e moderna sincerità autoanalitica, anche se in verità essa solleva qualche sospetto, tanto più che il tono appare a tratti volutamente provocatorio, interrotto a più riprese da scatti di repentino orgoglio (come quando, ad esempio, esalta le sue conoscenze e i suoi meriti di medico di "casi impossibili") malamente mascherato da una patina di umiltà.
Il fatto è che Cardano sta qui tentando la sua operazione più difficile: far riconoscere la propria personalità come un qualcosa di assolutamente individuale, libera di manifestarsi in tutte le sue multiformi apparenze e a tal punto forte da infrangere le regole di comportamento che il destino sembrerebbe imporgli. Il messaggio dell'autobiografia sta proprio tutto racchiuso in questa difficile operazione alchemica: raggiungere l'armonia interiore fra occulto e umano, far sì che la "bestia" non abbia la meglio sulla parte divina dell'uomo, salvare l'esperienza terrena in una prospettiva atemporale e metafisica.
Letta in questa ottica la vita del Cardano acquista una sua significazione particolare e getta molta luce anche sulla sua leggendaria fama di mago e stregone. Al pari degli uomini primitivi che riuscirono a liberare la loro parte divina dall'involucro bestiale e che vinsero la natura ostile in virtù della loro intelligenza, Cardano ha riscattato la sua natura rozza e incostante sviluppando quella "vista interiore" (la facoltà profetica sorretta dalla riflessione razionale) che gli ha consentito di superare i confini estremi della natura e di rivelare agli altri uomini le leggi misteriose che governano l'universo. In questo senso il Cardano "mago, incantatore", spinto dalla sua stessa natura alla "cupiditas omnium occultarum artium" e agli stati di visionarietà, non è per nulla in contrapposizione con il Cardano scienziato e filosofo impegnato a rivelare ai suoi contemporanei e a coloro che seguiranno i misteri della matematica, della medicina e dell'animo umano. Sia che utilizzi gli strumenti della magia e dell'astrologia, sia che applichi i modelli della logica filosofica, egli ci rimanda sempre l'immagine intrigante dell'uomo rinascimentale, avido di conoscenza e innamorato di quella armonia mundis che neppure la storia e le tragiche esperienze terrene possono cancellare.
Perseguitato dal destino, Gerolamo ha scoperto che le sue paure e incertezze interiori erano il segno sovrannaturale della sua individualità, si è potuto riconoscere come quell'uomo "perfetto" che si colloca lungo il confine tra ciò che è divino e ciò che è naturale. Poco conta il prezzo che egli ha dovuto pagare alle ottusità del mondo; ciò che vale per lui e per coloro che ne conosceranno la vita è che, dipanando l'aggrovigliato filo della sua esistenza, egli ha potuto dare corpo alla dolorosa ma esaltante percezione che sempre ha avuto della propria eccezionalità, ovvero ha potuto conferire un senso alla "diversità" del suo essere interiore salvaguardando la sua esperienza di uomo dalle oscure tenebre dell'oblio.
NOTE 1. L'espressione "amore eroico", usata frequentemente da Giordano Bruno negli Eroici furori, indica in Cardano sia l'insano furore amoroso sia l'avidità del sapere e corrisponde a quel ritratto del saturnino che Robert Burton ha tratteggiato nella sua Anatomy of Melancholy.
2. Cfr. Gerolamo Cardano, Della mia vita, cap. V, VI, XIII, XXI, ed. Serra e Riva, Milano 1982.