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  1. #21
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    Predefinito tratto da IL GAZZETTINO Online 4 aprile 2003


    TORNIAMO A MAZZINI

    di TITO MANIACCO

    UDINE - Leggo con malinconia istituzionale che il 13 marzo, 131 anniversario della morte di Giuseppe Mazzini, si sono riuniti ai giardini Ricasoli i soci dell'Associazione mazziniana italiana e, alla presenza del loro presidente nazionale, hanno deposto una corona d'alloro sotto il busto del vecchio patriota, nella più profonda indifferenza di un ceto dirigente repubblicano in tutt'altre e più concrete faccende affaccendato.
    Quando fui promosso alla prima media secondo le disposizioni del ministro Bottai per la nuova scuola secondaria, dopo un durissimo esame in cui venni vivisezionato da spietati professori tanto disinteressati ad un ragazzino di 12 anni quanto interessatissimi al corpo vivo dell'analisi logica - correva il giugno del 1943 - mia madre mi regalò, in un periodo di grande criura (crïùre, in friulano = freddo fortissimo, che può valere per penuria) due libri: "Il bel paese" dell'abate Stoppani, straordinario viaggio scientifico nelle Alpi di fine XIX secolo, libro esaurito e sicuramente da ristampare almeno in una biblioteca degli italiani, e i "Doveri degli uomini" di Giuseppe Mazzini. Quel Mazzini di cui la mia maestra, la signorina Petri, risorgimentale e con la puzza al naso verso i fascisti, e per questo amatissima da mio padre, parlava con reverenza.
    Ci leggeva di quel giorno in cui il piccolo Giuseppe, portato dalla madre a passeggiare lungo le rive del mare di Genova, s'imbattè con il destino nei panni di un uomo barbuto che chiedeva un obolo per i proscritti d'Italia, costretti a fuggire per le persecuzioni dei governi di allora, quello dei Savoia compreso.
    La signorina Petri, monarchica, dimenticò o non sapeva - a quei tempi la cultura delle maestre era molto ristretta e superficiale - che Mazzini morì esule nell'Italia dei Savoia, nascosto sotto falso nome nella casa di un amico pisano nel 1872, dopo aver espresso il suo sdegno per il modo subdolo con cui gli italiani erano entrati in Roma.
    Forse, gli stessi mazziniani in questi giorni si saranno recati alla tomba del dottor Andreuzzi, mazziniano e iniziatore di una guerriglia antiaustriaca sulle Prealpi carniche, a portare una corona a Navaróns in comune di Meduno, dove Andreuzzi esercitò nobilmente la professione di medico dei poveri, come, quasi un secolo dopo, il dottor Magrini, garibaldino, caduto combattendo contro i tedeschi e i fascisti nel 1944 nel canale del Bt. Ho visto una vecchia corona questa estate, passando accanto a quella tomba.
    Mi parrebbe il caso d'incitare gli italiani, come fece il Foscolo invano, da par suo, quasi duecento anni fa, alle storie patrie.
    Ad una classe politica mediocre, credo, non farebbe altro che bene.

    Tito Maniacco



  2. #22
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    Predefinito

    UDINE Sono stati ospiti in San Daniele del Friuli (udine) i mazziniani, cittadini rumeni Victoria e Stefan Delureanu dell'Università di Bucarest. Nel pomeriggio del 16 novembre, assieme ai componenti della direzione della sezione dell’AMI "Luciano Bolis", al Sindaco Antonio De Stefano e ai cittadini di Navarons di Meduno (PN), si sono recati sulla tomba di Silvio ed Antonio Andreuzzi. Dopo un breve raccoglimento, hanno deposto un mazzo di fiori ed una bandiera della Repubblica Romena.

    Nel pomeriggio del 17 novembre, dopo l'esecuzione degli inni romeno e italiano e una breve introduzione del presidente dell'AMI locale, Gian Franco Cosatti, nel salone dell'antica Biblioteca Guarneriana della città di San Daniele del Friuli, il prof. Stefan Delureanu ha tenuto una conferenza su "Mazzini, Balcescu e Andreuzzi protagonisti del Risorgimento Europeo". Egli ha illustrato, in particolare, l'opera e la breve vita di Nicolae Balcescu, “il Mazzini rumeno”. Era presente l'avv. Guido della Torre, presidente del Comitato Friulano dell'Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano.-
    Il sindaco prof. Paolo Menis e l'assessore dott. Valerio Mattioni sono intervenuti nel dibattito, apprezzando l'insigne ospite ed invitandolo, nel prossimo 2004, per le celebrazioni del bicentenario della nascita del cospiratore mazziniano Antonio Andreuzzi.-

    tratto da http://209.85.129.132/search?q=cache...lnk&cd=1&gl=it

  3. #23
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    Predefinito tratto da IL GAZZETTINO Online 7 giugno 2003


    Repubblicanesimo Sempre essenziale

    Piace, ancora una volta, rilevare la popolarità del Genovese.
    Lo scrittore friulano Tito Maniacco, nell'edizione di venerdì 4 aprile, ha evidenziato come la vita e le opere di Giuseppe Mazzini e dei suoi collaboratori siano onorate dai mazziniani, fedeli alla loro missione emancipatrice dei popoli, mentre coloro "che militarono" nel Pri disertano dalle rievocazioni quasi fossero delle anticaglie da dimenticare. Che tristezza. Significativo, invece, come il Presidente della Repubblica abbia ripercorso tutto l'itinerario risorgimentale più vero del popolo italiano.

    Anche a Pisa, nella casa Nathan - Rosselli, uno dei luoghi di più alto significato storico e civile, il presidente Ciampi ha reso omaggio alla casa, oggi "Domus Mazziniana", che è legata alla memoria del Maestro che ivi mori il 10.3.1872 sotto falso nome e dei fratelli Rosselli, che seppero mantenere viva, nel loro impegno intellettuale e politico, tanta parte dell'eredità di Mazzini. Con questo gesto il Presidente ha voluto sottolineare l'importanza della memoria nella lunga storia del popolo italiano. Ricordare gli uomini e le donne che hanno lottato e sofferto perché noi si possa oggi vivere come cittadini liberi e non sudditi è un atto di nobile carità laica; è un modo semplice e serio di riaffermare il nostro dovere morale a continuare l'opera che essi iniziarono; è una risposta efficace ai civismo, ormai di maniera, con cui troppi guardano con indifferenza, se non con fazioso disprezzo, i grandi del passato. Ma Ciampi non ha solo reso omaggio alla memoria di uomini esemplari del passato.

    Ha anche parlato dell'ideale della Repubblica, alto ideale di un paese in cui donne e uomini che vivono insieme sotto il governo di leggi democratiche come cittadini liberi ed uguali. Sul fondamento di questo ideale, il Presidente ha indicato il percorso intellettuale e politico: "C'è un filo invisibile e forte che riunisce la gloriosa Repubblica Romana del 1849 alla Costituzione del 1949, nata dal secondo Risorgimento e alle antiche città italiane che diedero all'Europa i fondamenti delle libertà moderne, la libertà del cittadino".

    Il pensiero del nostro Presidente riscopre un passato glorioso con il quale identificarci e per trame forza per realizzare una più consolidata Unione Europea che si muti in una Federazione democratica ed indica, nella tradizione repubblicana, che rinasce nelle libere repubbliche e giunge fino a Mazzini e Rosselli, ideali politici che potrebbero aiutare gli immemori militanti dei vecchi partiti democratici italiani ad una rinascita civile e morale dell'Italia repubblicana. Il "repubblicanesimo" rimane basilare per l'emancipazione dei popoli.

    Gianfranco Casotti Simon
    Mazziniano

  4. #24
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    Predefinito non è il caso----

    non è il caso di rispondere al suddetto -"mazziniano" in quanto è inscindibile il dualismo mazzini -partito repubblicano, se parla di una persona lo dica chiaramente se rimane sul generico, non lo qualificherei neanche repubblicano, ma spettegolatore.
    Se invece, come sembra, è stato irretito da qualche sirena anti, è meglio che si spiega e lo aspettiamo in questo sito per discutere.
    Ciao a tutti.

  5. #25
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    Caro La Pergola ... sembra che si rammarichi dell'assenza di qualche ex-repubblicano ... magari ora ds, oppure mre .. chissa' ... perche' la frase con cui notifica il suo malcontento e' quella sotto che ti riporto tra virgolette:

    "mentre coloro che militarono nel Pri disertano "


    quindi si riferisce a qualcuno che non sta piu dentro al Partito Repubblicano Italiano e tantomeno sta o "stava" in linea con il pensiero mazziniano.

    Un fraterno saluto.

  6. #26
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    Protagonisti del Risorgimento europeo:
    le figure di Balcescu, Andreuzzi e Mazzini

    Pubblichiamo il testo, rivisto dall’autore (che ringraziamo), della conferenza tenuta dal prof. Stefan Delureanu, dell’Università di Bucarest, il 17 ottobre 2002, presso la Civica Biblioteca Guarneriana di S. Daniele del Friuli, sul tema: Nicolae Balcescu, Antonio Andreuzzi e Giuseppe Mazzini protagonisti del risorgimento europeo.

    SAN DANIELE DEL FRIULI (Udine) - [In lingua rumena] Rivolgo un cordiale saluto ed un ringraziamento a tutti i presenti in questa sala per aver affrontato un tempo non favorevole. Vada poi una speciale espressione di gratitudine agli amici della Associazione Mazziniana del Friuli-Venezia Giulia per l'onore che mi hanno fatto invitandomi di nuovo a San Daniele, in questa bella sala della prestigiosa Biblioteca Guarneriana.

    Ma io parlerò adesso in italiano e vi dirò subito che i patrioti rumeni che inaugurarono con il ’48 una fase decisiva nella storia moderna della loro nazione e in modo particolare i liberal-democratici, fautori di un sostanziale rinnovamento etico politico da essi definito una "palingenesi universale" furono animati nel loro credo e nel loro programma di edificazione dello Stato unitario da una vocazione democratica e repubblicana che li avvicinava a Mazzini.
    Per Nicolae Balcescu è stato lui e non Carlo Marx il più grande rivoluzionario d’Europa (ed è questo il giudizio di uno storico che non sprecò mai i superlativi), per Dumitru Bratianu, che sarà il rappresentante rumeno presso il Comitato democratico europeo di Londra, Mazzini è stato l’uomo del secolo e infine per Giovanni Eliade Radulescu, il maggiore italianista rumeno del tempo, l'apostolo genovese è stato la personificazione dell’intero pensiero italiano.
    Il messaggio concettuale di Balcescu rivela rapporti di sostanziale analogia e di concordanza con la dottrina del genovese, l’identità della mèta prefissa, un comune indirizzo nella coordinazione della democrazia europea, un incessante appellarsi alla alleanza dei popoli con speciale riferimento ad una cooperazione rumeno – ungherese - slavo meridionale.
    Il secondo, Dumitru Bratianu, andrà a Londra per cercarlo e per stargli accanto come rappresentante dei suoi concittadini nell’appena creato comitato democratico europeo.
    Dal suo luogo d’esilio l’ultimo Giovanni Eliade Radulescu invierà ai compagni relegati in Asia minore, a Brussa, copie di "Fede e Avvenire".
    L’incontro con Mazzini ritenuto di massima importanza verrà richiesto e promosso come prioritario da tutti i gruppi dell’esilio romeno post-1848: un esilio che durò, per i più, 9 anni.
    Cementato da una profonda mutua conoscenza e da una stretta collaborazione con i capi del loro movimento democratico, il legame tra il genovese e i rumeni si espresse per una costante presenza nella sua opera, nei suoi indirizzi, nei suoi programmi d’azione in cui veniva riservato loro una parte preminente nell’area danubiano-balcanica.
    Il rapporto di reciproca fedeltà si protrasse sino alla morte dell’apostolo che parlava costantemente, nel suo epistolario, dei fratelli Bratianu, dei fratelli Golescu e di Constantin Rosetti come dei suoi amici di Bucarest "doppiamente fratelli per la stirpe e per la fede politica".
    Per il tramite dei democratici rivoluzionari il credo e la terminologia mazziniana divennero familiari fra i componenti la classe politica.
    Le idee di Mazzini presero corpo in associazioni simili alla Giovine Italia o in progetti confederativi: emissari mazziniani percorsero terre romene, disegni cospirativi e tentativi insurrezionali ebbero come base il territorio romeno o una partecipazione romena.
    Come i periodici dell’esilio, la Romania avvenire, la Gioventù romena, La Repubblica Rumena, con il ritorno in Patria nel ’57, il migliore e più diffuso giornale rumeno "Românul", appunto il “Rumeno”, di Constantin Rosetti, sarà una tribuna mazziniana dei popoli.

    Ma non fu solo per simili aspetti che si espresse il carattere non effimero dell’adesione romena al mazzinianesimo.
    La storiografia concorda nell’ammettere come periodo dell’intensificarsi della penetrazione del pensiero mazziniano tra i romeni gli anni posteriori al ’48: svoltosi in ogni punto dell’esilio romeno come iniziativa di gruppi di patrioti relegati, lo stabilirsi e l’approfondimento dei contatti con i promotori di altri movimenti nazionali paralleli costituì la necessaria premessa all’adesione romena alla lega londinese dei popoli.
    Manifesti, proclami, appelli dei comitati rivoluzionari oppure emessi da Londra dal rappresentante romeno nel Comitato democratico europeo, ispirati dalla probabilità d’azione, attestano la comunanza di principi, la solidarietà internazionale con i popoli associati in quel organismo.
    Uno dei manifesti invita all’estensione della "Giovine Romania" in ogni angolo di terra romena, sia che si trattasse dei territori appartenenti allora alla Russia (come la Bessarabia), sia che si trattasse dei territori controllati dall’impero ottomano o da quello asburgico.
    L’intuizione rumena di una necessità primaria di stringere i rapporti con le nazionalità oppresse dell’area sud-orientale e centro-orientale è paragonabile alla perseveranza con la quale Mazzini proclama tale priorità un punto programmatico basilare di ogni politica estera italiana lungimirante.
    Missioni esplorative compiute da patrioti rumeni mazziniani in nome di Mazzini in Austria, in Germania, nelle isole Ionie, Malta, in Serbia, in Grecia, nella Turchia Europea, in Transilvania, in Ungheria o in Boemia servirono a tastare il terreno, a fornire allo staff della democrazia europea elementi e dati necessari per maturare una decisione.
    Nei programmi architettati dall’ultimo Mazzini, i romeni costituirono l’elemento fondamentale in quella sua strategia che mirava ad una perfetta concordia operante fra di loro i Greci e gli Slavi del sud, fine guardato come espressione della funzione dell'Italia in Oriente, parte essenziale della sua missione generale.
    Presenti nella mente e nell’animo di Mazzini fino alla sua morte e anche dopo, le terre romene, eternamente legate a Roma "per stirpe, affinità di lingua, tradizioni, spirito", sono parole di Mazzini, dovevano, secondo lui, essere soltanto coltivate con nobile passione dall’Italia per riacquistare la meritata rilevanza in Europa.
    Pubblicato nel 1876 a Bucarest (su promessa fatta a Maurizio Quadrio dal traduttore), la traduzione de "I Doveri dell’Uomo" offrì al pubblico rumeno una delle sue opere caratterizzanti fra le prime tradotte in Europa.
    Intuizioni privilegiate, concordanza di concetti, orientamento, aspirazioni e fini determinarono la adesione convinta e duratura dei romeni al mazzinianesimo.
    Tale convinzione politica e morale, che reclama prese di posizione definitive, non poteva essere il risultato del contatto con l’apostolo della nuova fede, abbracciata attraverso un atto di conversione momentanea.
    Il mutamento era avvenuto lentamente: si era operato in un lungo esercizio interiore, la determinazione a seguirlo è stata conseguenza legittima di un intero modo di pensare dell’intera militanza e azione rivoluzionaria precedente.
    Il mazzinianesimo è penetrato tra i romeni attraverso l’emigrazione italiana, attraverso le navi battenti bandiera sarda, attraverso il ramo polacco della "Giovine Europa", attraverso i contatti diretti con i mazziniani a Parigi o in Svizzera, ma anche attraverso letture dirette dei testi fondamentali di Mazzini.
    Testimone, nel 1847, del fervore patriottico manifestatosi in Italia durante la sua prima visita nella penisola tra Genova e Palermo, il Balcescu lo coglie come segno di maturità alla vigilia del moto di rinnovamento europeo.
    Così come Dumitru Bratianu da Parigi lo interpreta contemporaneamente: uno stimolo notevole nell’identica battaglia per il riscatto nazionale di fronte a cui si trovavano entrambe le nazioni.

    Importantissima nella trasmissione del messaggio mazziniano fu, soprattutto nel piano dell’azione, la Giovine Polonia, tenuto conto della collaborazione antica degli elementi rivoluzionari romeni con essa e con la Società Democratica Polacca.
    Se la culla dell’idea romena si trova tra i Carpazi, il Danubio e il Mar Nero, essa maturò però sulla Senna portando i suoi esponenti migliori verso il mazzinianesimo.
    Anche per tale ragione essi non separeranno mai nelle loro menti la Francia democratica dall’Italia, la democrazia francese da Mazzini, da loro scoperta appunto attraverso l'assimilazione delle più evolute espressioni di tale indirizzo durante la Monarchia di Luglio.
    Le idee di Balcescu, sacerdote dell’ideale vicino a Mazzini per l’esercizio della mente e della virtù, derivano chiaramente da Mazzini. Patria e Umanità sono termini complementari nel suo discorso, in armonia con le tendenze universalistiche della proposta mazziniana di democrazia europea. Nel frasario di questo segretario del primo governo provvisorio romeno del ’48, come in quello dei fratelli Bratianu e di Constatin Rosetti, il maggiore giornalista del tempo, nei testi programmatici del ’48 valacco, nella stampa dell’esilio, sostanza e formulazioni sono mazziniane.
    Mazziniano è il trattare il tema "nazione", concetto inteso nell’intima accezione quale ipostasi unica, autonoma, come nella vita di interrelazione, nel suo lavoro individuale, proprio, distintivo, come in quello accomunante di compartecipazione sul piano dell’appartenenza agli stessi valori ideali.
    La risonanza europea degli atti e delle speranze del ’48 romeno rimane motivo di costante premura dei suoi capi anelanti a porre la loro nazionalità in armonia con l’Europa, a redimerla con la coscienza di una missione il cui compimento necessario allo sviluppo del suo compito extra nazionale costituisse la sua individualità.
    Essi parlano sempre in nome dell’Europa che sorge. I termini "Giustizia" e "Fratellanza" (dell’insegna della Fratellanza, l’associazione che preparò la rivoluzione di Valacchia), traducono il significato universalistico e definitorio della propria azione, avvertibile nella coerenza della rivendicazione della solidarietà internazionale.
    Col ’48 il popolo romeno si sta emancipando moralmente da ogni residua soggezione servile, innalzandosi alla fratellanza e acquistando in tal modo un diritto di cittadinanza in quella "Giovine Europa" da creare, diritto che gli verrà nobilmente riconosciuto da Philippe Benjamin Buchez, il Sindaco di Parigi, all'Hôtel de Ville, dal Mazzini nel Manifesto del Comitato Nazionale Italiano, datato 8 Settembre 1850, che includeva Bucarest tra "le città di una patria, la patria dei martiri e dei credenti in un comune avvenire", e da Jules Michelet nelle sue "Légendes démocratiques".
    In settembre '48 si inizia, dopo tre mesi di "repubblica" a Bucarest, l’amaro itinerario dei capi del movimento risorgimentale romeno, finito per alcuni, come per il Balcescu, senza la riparazione postuma di trovare nel patrio suolo un posto che ne custodisse le ceneri.
    Alla sconfitta della rivoluzione europea seguì, nel ’49, il crepuscolo delle speranze:
    armi sacrileghe di un’altra repubblica ripristinavano a Roma, nella Roma mazziniana, una forma di governo esecrata; gli ungheresi ammainavano la bandiera; a Venezia tramontava il sogno temerario di Daniele Manin.
    Ma già nell’autunno del ’48 il Balcescu si adopera, per tre mesi in Transilvania e nel Banato a favore di quell’accordo con l'Ungheria, individuando nelle intemperanze di Luigi Kossuth la causa dell’approfondimento della discordia fra i necessari alleati che salverà l’impero asburgico dalla crisi che lo minacciava con la dissoluzione. Già da allora aveva insistito sull’eguaglianza delle nazionalità della futura duplice monarchia quale condizione "sine qua non" della loro salvaguardia. Sei mesi durerà ancora, nel ’49, il rinnovato tribolare del Balcescu: progetto di confederazione di tre nazionalità (ungheresi, romeni, slavi del sud); progetto di una legione romena che combattesse in Italia e di una seconda legione, accanto agli ungheresi; progetto, infine, dello storico rappacificamento.

    Il carteggio mazziniano del ‘50 dimostra l’importanza assegnata dal genovese agli elementi danubiani nel rafforzare la democrazia al legame con i romeni. In uno di questi testi si dice: "I nostri elementi importanti stanno sul Danubio".
    La sua partenza da Londra, mentre Balcescu lo sta cercando, la conseguente stagnazione del neonato Comitato Democratico Europeo, la tarda precisazione del punto di vista di Kossuth riguardo all’alleanza delle nazionalità, le trasformazioni intervenute nell’ordinamento dell’emigrazione rumena determinarono il rinvio dell’adesione rumena al Comitato di Londra. Ma per vedere in che modo si può parlare di un Balcescu mazziniano e di una somiglianza assoluta fra lui e il genovese, vi darò lettura di un brano, di un articolo da me pubblicato sul “Pensiero mazziniano” nel 1978, che anche ora è di attualità completa.
    "Quando nel gennaio 1850 Balcescu va a Londra per incontrare Mazzini, Mazzini si trova in Svizzera. Mentre poi nel maggio e settembre dello stesso anno il genovese passa per Parigi, Balcescu vi abita ancora. Eppure nessuna testimonianza ricorda il loro incontro.
    Dei nomi dei collaboratori romeni riferiti dal patriota italiano, manca appunto quello del Balcescu. La sua prematura fine non giustificherebbe una dimenticanza di Mazzini, spirito individuato da un nobile senso della morte, che alzava inni di sublime devozione ogni qualvolta la falange sacra dei precursori italiani o non italiani si andava diradando per la dipartita di un altro eroe. Come neanche il segreto, richiesto dal martire romeno nei confronti delle sue iniziative londinesi, non potrebbe spiegare il silenzio su un colloquio con Mazzini, avvenuto più tardi. Sarebbe stato impossibile che due uomini con una individualità così spiccata nei singolari tratti e di una statura morale altamente emblematica si fossero visti senza che ognuno non conservasse dell’altro una memoria perenne, dall’impronta inconfondibile. Se per "conoscenza di Mazzini" intendiamo invece il condividere di un credo fondato su intuizioni e principi comuni, sul prospettare di ipotesi e di soluzioni identiche o analoghe, su un impegno totale nell’agire per il trionfo degli stessi ideali nazionali ed insieme europei, perché entrambi furono precursori di questa Europa che si sta unendo, allora possiamo sostenere che Balcescu si sia rivelato il romeno più profondamente familiarizzato con la dottrina mazziniana, da lui coerentemente professata sul piano dell’elaborazione teorica ed in quello dell’esperienza storica.
    Il tesoro di idee e di precetti definito da Mazzini è stato assimilato da lui nella sua sostanza imperativa come anche nella tendenza di rappresentare la premessa di un’azione che non finiva con l’opera di una generazione. Allorché Balcescu proclama Mazzini il più grande rivoluzionario d’Europa, egli racchiude in quelle parole la sentenza di uno storico appoggiata su un’ottima conoscenza del pensiero democratico repubblicano dell’epoca, della rivoluzione europea. Tale giudizio è certamente uno dei primi tra quelli espressi fino nel ’50 dalla storiografia del continente.
    La consistenza vera che egli esige da un’organizzazione degli esuli romeni come garanzia di un futuro agire e di un aiuto efficace agli alleati, come la riverenza per la fede e per la persona dell’illustre europeo, l'avevano determinato a condannare la fretta di un’adesione solo simbolica al Comitato Democratico Europeo.
    Cosa significhi Mazzini per Balcescu, lo testimonia, accanto al suo giudizio storico e all’atteggiamento verso un’affiliazione gratuita alla lega di Londra, il suo costante e fervido desiderio di andare a trovarlo. La concordanza dei concetti di nazionalità e di umanità si esprime, nei due interpreti fondamentali delle aspirazioni italiane e romene del tempo, per l’utilizzazione di un comune patrimonio di vocaboli, in cui domina il termine carico di rigore etico, addirittura religioso: legge, virtù, dovere, sacrificio, fede, santità, salvezza, per l’identità della meta politica e morale, per la fratellanza nel credo di una missione di ogni nazione nella storia, per la proclamazione della necessità delle alleanze rivoluzionarie, per la fondazione di Comitati democratici internazionali: quello di Mazzini, europeo, quello di Balcescu, regionale, che comprendeva, oltre ai romeni, gli ungheresi, gli slavi del sud, la Boemia, la Polonia. L’analogia dei destini storici degli italiani e dei romeni si è incorporata perfettamente nei loro programmi.

    Le frasi di Balcescu rivelano un esemplare adoperazione di concetti e di orientamenti mazziniani, anzi talvolta un’espressione nobilitata dall’apporto di entrambi, una sintesi in cui può venire determinato un trasferimento incontestabile di termini del linguaggio mazziniano. Si può decidere senz’altro da quale testo di Mazzini, da quale lettura provengano le idee di Balcescu espresse nei suoi vari saggi. Come Mazzini che reputava la sua una generazione di promotori e di precursori, il Balcescu vede nella sua generazione solo l’iniziatrice di un lungo processo storico.
    L’emancipazione dei popoli e la fratellanza umana fu brama di vita dell'uno come dell’altro. Questo ideale distinse tutto il loro pensiero, l’intera loro azione, come stanno a testimoniare i loro scritti e le loro iniziative. L’unità nazionale d’Italia e d’Europa è stata la meta dichiarata della battaglia mazziniana, così come l’unità di tutti i romeni in uno Stato e di una Federazione Danubiana fu proposta da Balcescu ai suoi contemporanei ed ai posteri come obiettivo politico, ideale supremo di un futuro intravisto, cui dedicò tutta la sua esistenza.
    Eminenti per il genio e per il rigore morale così come essi desideravano fossero i capi nazionali, toccò a loro il privilegio di interpretare il messaggio ardente degli italiani e dei romeni. Come Mazzini, il Balcescu credette nell’insurrezione quale diritto legittimo delle nazionalità oppresse, nella rivoluzione generale come mezzo di liberazione, nella sacralità di una fraterna alleanza delle nazioni uguali nei diritti e nei doveri. Come Mazzini, riservava ad una assemblea costituente la missione di dare al popolo, riunito in un libero Stato, la forma di organizzazione e le istituzioni democratiche convenienti (così come dovrà fare la costituente europea tanto attesa). Solo l’invasione russa impedì alla costituente romena di proclamare la repubblica e di darle le leggi convenienti. La non accettazione della scelta dei compagni di esilio (che lo vollero loro rappresentante a Londra) di colui che sentendosi la morte vicina (infatti morì all’età di Gesù, a Palermo), scelse di impegnare gli ultimi mesi di vita onde scrivere, per l’avvenire, una cosa che Mazzini pure considerava sacra, non gli impedì un atteggiamento costantemente positivo verso le speranze e le iniziative promosse dal genovese, espressione di un pieno consenso tradottosi in progetti ed in atti che oltrepassarono per il loro significato il valore meramente formale di una semplice presa di contatto che ebbero per i più i contatti non troppo frequenti dei membri del Comitato Democratico Europeo di Londra.
    I promemoria su una confederazione danubiana delle nazionalità, consegnati al leader polacco dell’esilio Zamoyski ed al comitato ungherese di Parigi di Klapka e di Teleki, il manifesto ai romeni del 20 settembre 1850, che è un testo assolutamente e interamente mazziniano, l’analisi dedicata alla rivoluzione rumena nell’epistolario del Balcescu e nell’articolo "La marcia della rivoluzione nella storia dei romeni" l’attività svolta nella redazione della "Romania vütoare", la "Romania ventura", pubblicata a Parigi, il discorso sul moto dei romeni transilvanici del ’48 l’avviamento verso la professione di giornalista democratico dato ad un gruppo di giovani rumeni costituitisi nell’associazione "La Giovine Romania", che diresse l’omonima rivista, il cui articolo-programma raccolse l’elogio di Mazzini, la sua partecipazione a tutte le fasi dell’affiliazione pubblica dei romeni alla lega europea, nel ’51, e l’incoraggiamento dell’operato di Dumitru Bratianu a Londra, unito alle speranze di un prossimo moto europeo, sono prove di una totale conformità di ideali, il cui trionfo non impediva a Balcescu di invocarlo ancora una volta in una forma sublime come messaggio ai posteri, nemmeno l’imminenza del presentito trapasso. Questo trapasso, avvenuto a Palermo, la cui gravità era rivelata ai compatrioti in una proclamazione di Dumitru Bratianu, era anche una perdita per l’Europa; l’iniziatore della fratellanza europea l’avrà certamente sentita per la profondità del vuoto che lasciava nelle file della democrazia, la scomparsa di un visionario militante come Balcescu. Nell’attesa della grande ora della resurrezione simultanea de popoli, la sua mente e il suo cuore avevano offerto permanente tributo nell’affratellamento delle nazioni in spirito mazziniano.
    Balcescu non incontrò mai Mazzini, ma il nobile figlio di Genova fu certamente l’uomo che egli avrebbe desiderato conoscere di persona, più di ogni altro europeo, per collaborare con lui al compimento di una missione rigeneratrice in Europa: l’uomo il cui pensiero e i sogni generosi erano i più vicini alla generosità dei suoi indirizzi e delle sue aspirazioni.

    Il loro credo comune riunì il fervore della generazione di Balcescu a quella della generazione di Mazzini dando sostanza e senso alla loro offerta, segnando nel suo rettilineo professare un imponente contributo alla fondazione delle idee portanti della nuova epoca storica europea.

    I moti friulani del 1864

    Ora passiamo un po’ sul piano dell’azione e, per inquadrare in questo modo anche l’azione diretta da Antonio Andreuzzi nel moto friulano del ’64 (che è solo un episodio di un grande disegno), vi presenterò alcuni giudizi su questi progetti di azione di Mazzini e di Garibaldi nell’area centro-orientale europea tra gli anni ’59 e’66, che si collegano tanto con questo movimento friulano e con il movimento veneto, data la relazione ed il legame storico eccezionale fra questione veneta e questione orientale. L’agitazione danubiano-balcanica, contemporanea a quella del Veneto, era allora attentamente osservata (si tratta del biennio ‘59-’60) da colui che della spedizione dei Mille fu l’ispiratore ed entusiastico fautore e che chiedeva ad Adriano Lemmi di mantenere da Costantinopoli rapporti con i Greci, con i Serbi, i Romeni e le altre comunità nazionali della penisola, allo scopo di allargare il movimento e di iniziare per quel mezzo la guerra delle nazionalità. È in questa prospettata guerra delle nazionalità che si inserisce anche il movimento diretto da Andreuzzi. Lo stesso interessamento doveva manifestare Adriano Lemmi agli Ungheresi come ai Romeni, riguardo ai quali Mazzini non tralasciava mai di menzionare la presenza nel governo dei suoi amici di Bucarest. Se i Serbi, i Greci, i Romeni, si fossero uniti per ribellarsi, se l’Ungheria si fosse associata e l’Italia avesse agito nel Veneto, l’Europa si sarebbe completamente trasformata.
    Mazzini perora sempre su questo tema, cosicché l’idea di un’insurrezione veneta, in concomitanza con un’azione parallela dei Greci, dei Romeni e degli Slavi del sud, degli Ungheresi e dei Polacchi (in genere dei popoli oppressi sia dall’Austria che dalla Turchia, la cui causa gli pareva in indissolubile maniera legata all’Italia), dominerà fino nel ’66 la mente di Mazzini. Ma il momento più significativo, più importante, in questa successione di progetti mazziniani e garibaldini è quello del ’64, in cui si inserisce anche l’azione del gruppo dei rivoluzionari friulani. Questo progetto pare che sia nato a Londra, perché lì ebbero luogo conversazioni segrete con l’intervento di Garibaldi e di Klapka in ruoli rilevanti, durante l’imminenza della guerra tedesco-danese. Questa sembrava dovesse coinvolgere l’impero austriaco ed era ritenuta favorevole ad una insurrezione della nazionalità, se ricordiamo che, nello stesso tempo, la Russia doveva affrontare la rivolta polacca iniziata nel 1863, dove un gruppo di italiani- bergamaschi andò a devotarsi a quella causa.
    Fedele al suo fermo proposito di battersi per la libertà della Polonia come per quella italiana, Mazzini chiedeva intese chiare con i Polacchi, con i Serbi, con i Romeni e con gli Ungheresi.
    In quel momento si inserisce in questa matassa anche il governo di Torino, senza lasciare l’impressione di voler bloccare un accordo perfetto tra Mazzini e Garibaldi, che si sarebbe potuto stabilire alla fine a danno della monarchia.
    Elaborato nella primavera del ’64, questo piano, unendo il problema italiano con quello dell’Europa centro orientale, comportava, secondo il progetto sabaudo, l’allontanamento dall’Italia di Garibaldi, mentre Mazzini voleva serbare necessariamente il Generale per il moto veneto. Il piano, la cui discussione con delle proposte, varianti ed emendamenti era iniziata a Londra durante questo viaggio di Garibaldi (il quale era stato presentato dal Klapka come inviato di re Vittorio Emanuele), trasferiva nell’oriente il centro del movimento che per mezzo di varie insurrezioni nazionali congiunte doveva portare alla trasformazione del continente. Punto-chiave in questo programma sono i principati romeni, dove Garibaldi, dopo aver conciliato Romeni, Slavi del sud e Ungheresi, sarebbe stato l’iniziatore, il capo storico dell’impresa.
    Proseguite con incontri tra rappresentanti del governo italiano, Klapka e agenti garibaldini, con partecipazione di emissari polacchi e del principe regnante romeno, Cuza, le trattative sottolinearono costantemente la dipendenza dell’esito delle operazioni dai preparativi e dai risultati conseguibili in Romania. Ma proprio quando incominciava a sembrare possibile far confluire in una vasta confraternita rivoluzionaria tanti movimenti nazionali isolati, mentre venivano reclutati ufficiali per essere mandati in oriente, si costituivano nuclei di volontari in Serbia e nei principati romeni, si organizzavano reti cospirative in Galizia, si spedivano importanti fondi materiali, gruppi di militi e armi nella zona del futuro incendio, il principale agente di Mazzini, al quale toccava la parte rilevante nel compimento del vasto disegno, Gustavo Frigyesy, veniva arrestato insieme con alcuni dei fidati collaboratori dalla polizia del principe Cuza, (voluto anche dal governo italiano come partecipante a questo progetto). Gli intensi preparativi menzionati e gli spostamenti, i contatti, le discussioni e persino le intenzioni dell’imprudente emissario erano note in gran misura alle autorità rumene e, nei più minuti dei particolari, all’Austria.
    I documenti sequestrati provavano i rapporti continuati del Frigyesy con Mazzini e con Garibaldi, con gli esponenti delle due ali dell’emigrazione polacca, quella democratica e quella aristocratica del principe Cuza e dei radicali liberali mazziniani romeni. Contrariamente all’accordo preso con Mazzini, che gli aveva riservato il ruolo di comandante del Veneto, Garibaldi si era fermato ad Ischia, prima tappa verso una missione in Galizia. Il cambiamento di direzione era intervenuto sotto l’influenza di Vittorio Emanuele che aveva questo gusto della cospirazione nella cospirazione e che fece fallire tutto questo progetto chiedendo anche il permesso a Napoleone III per agire, permesso che, naturalmente, non sarà dato.
    La decisione aveva sorpreso la sinistra democratica, la quale condannò pubblicamente le imprese rivoluzionarie con la partecipazione italiana fuori dalla penisola, ordite da sovrani ed inutili ai popoli. Determinato dall’arresto del Frigyesy e dall’indiscreta manovra del Mazzini, il piano di questa spedizione in oriente fallì; l’unica azione che si svolse nel ’64 fu proprio quella del Friuli. La fiducia del patriota genovese nei popoli che avevano da rivendicare un’esistenza nazionale non scomparve. Un’insurrezione scoppiava nel Friuli nell’autunno del 1864: e proprio questa insurrezione ebbe un eroe come capo di un manipolo di giovani, di bravi, che si sacrificarono, perché si sapeva (Mazzini ne parla in uno dei suoi testi) che questo tipo di azione si basava su un gruppo di uomini risoluti a tutto. Questa insurrezione, diretta da Antonio Andreuzzi, veniva segnalata anche nei principati rumeni dalle autorità molto preoccupate degli incessanti arrivi di migliaia di Magiari e di Polacchi e anche dei contatti di Frigyesy con Mazzini:
    Parallelamente a questa prolungata risonanza dell’episodio Frigyesy, rinnovata dalla persistenza di analoghi progetti, la Romania del principe Cuza continuava ad essere presente, sia nei piani di Mazzini che in quelli di Vittorio Emanuele, con una parte ben definita nell’eventualità di un conflitto italo-austriaco.
    Non vorrei insistere su questo episodio rivoluzionario, che vi è molto meglio noto che non a me, ma posso promettere che, in un futuro non lontano, approfondirò queste ricerche in Romania, perché il diario di Gustavo Frigyesy, caduto nelle mani della polizia del principe Cuza, non fu consegnato alle autorità austriache, che insistettero per anni nel chiedere quel diario da lui tenuto. Questi documenti confiscati, il principe ebbe cura di tenerli sotto l’occhio di un suo segretario privato francese, molto devoto a lui, e solo Napoleone III ebbe qualche ragguaglio su questo movimento europeo. Finirei con un’altra constatazione, che è molto malinconica e che rappresenta, secondo me, un giudizio finale di uno dei grandi storici italiani, Giuseppe Guerzoni, autore della biografia di Garibaldi. Anche lui fa lunghi riferimenti a questo anno 1864 e parla di questo movimento. Questi progetti cospirativi del ’64 sono collegati alla cosiddetta politica segreta italiana o politica personale del monarca sabaudo, risoltosi sin dal ’63 a cospirare anche con Mazzini, dal quale lo divideva, oltre che la fondamentale diversità di indirizzi, anche quella degli intenti reali. Mentre nel dispositivo strategico mazziniano il perno era e doveva rimanere il Veneto, il cui moto avrebbe dovuto precedere ogni altro come segnale d’azione, Vittorio Emanuele non vi ammetteva nessun tentativo, ed era invece disposto a dare il suo consenso soltanto ad una insurrezione nell’oriente, talmente estesa, dalla Galizia ai Principati e all’Ungheria, da preoccupare l’Austria, e a secondarla copertamente con la partecipazione "di un nucleo di italiani determinati". Acconsentendo in un secondo momento all’anteriorità del moto galiziano, immediatamente seguito dal veneziano, Mazzini lo fece a condizione che gli fosse consentito di aumentare l’armamento esistente nel Veneto: il che precipitò la rottura delle trattative con la monarchia, non però anche l’abbandono dell’idea.
    Durante la visita di Garibaldi in Inghilterra, l’inviato del re, il famoso Porcelli, venne a Londra ad esporre il progetto galiziano al Generale, impegnato in analoghe discussioni con il plenipotenziario del Centro rivoluzionario polacco, ivi residente, in contatto anche con Mazzini. Argomento di un nuovo discorso del Garibaldi con Klapka, secondo emissario monarchico, fu la stessa insurrezione, da allargare, in questa ultima formula, a mezza Europa, fino a diventare, in chiave sabaudo-klapkiano-bulewskiano-mazziniana (Bulewski era il rappresentante polacco) un moto galiziano-ungherese-boemo-sudslavo-rumeno-veneziano, in cui Garibaldi era pronto a tutto, purché si cominciasse, indifferentemente da dove. Ed ecco la conclusione di Guerzoni: "compendio e conclusione di tutto questo agitarsi di tanti cuori generosi e di tanti nobili spiriti; un'ombra trattata come cosa salda; un tesoro negli spazi immaginari, speso per realtà; una enorme cambiale di eroismo e di sangue, tratta sulla vita di ben dieci milioni di uomini, ma che nessuno ha fino allora accettata; insomma una rivoluzione certa, infallibile, europea a cui nulla oramai mancava, fuorché una cosa insignificante: i popoli che la facessero". Gli unici a muoversi, in realtà, furono gli uomini attorno a questo grande emblematico eroe del Friuli, Antonio Andreuzzi.

    Stefan Delureanu


    tratto da http://www.domusmazziniana.it/ami/pm.../delureanu.htm

  7. #27
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    Predefinito ... riceviamo da POGGIOLINI, Segreteria Nazionale A.M.I. ....

    Sez. A.M.I. Friulana"L.Bolis"
    Bibl.Guarneriana-San Daniele del Friuli

    Venerdì 7 novembre ore 20,30
    presso il Salone della Biblioteca Guarneriana
    SAN DANIELE DEL FRIULI

    presentazione del libro dell'alpinista Giorgio Madinelli

    "I sentieri dei garibaldini"

    presentato dallo storiografo Sigfrido Cescut
    con proiezione di diapositive scelte dall'autore

  8. #28
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    Predefinito tratto da IL GAZZETTINO Online 11 novembre 2003

    MEDUNO (Pordenone) - L'amministrazione comunale di Meduno, guidata dal sindaco Antonio De Stefano, da molti anni persegue l'obiettivo di valorizzare tutti i centri abitati che compongono il comune pedemontano. Un'attenzione particolare è però sempre andata alla frazione di Navarons, non foss'altro perché si trova in posizione defilata al confine tra Val Meduna e Val Colvera.
    Una delle iniziative che certamente ha riscosso più successo è stata la creazione di un museo dedicato ai moti mazziniani e in modo particolare al medico Antonio Andreuzzi che li guidò valorosamente.

  9. #29
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    Predefinito ... segnalazione di Roberto ...


  10. #30
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    Predefinito tratto da IL PENSIERO MAZZINIANO n.IV anno MMIII

    L’insurrezione friulana nel saggio di Delureanu

    Gentilissimo Direttore,
    benché abbia avuto il piacere di ascoltare l’interessante conferenza del prof. Delureanu, ho apprezzato moltissimo la pubblicazione del testo integrale sul “Il Pensiero Mazziniano” che costituisce un valido contributo alla ricerca storica sull’insurrezione friulana nel contesto europeo dell’epoca, aspetto spesso non evidenziato correttamente, per la limitata disponibilità di documenti attendibili.
    Ritengo pertanto opportuno evidenziare alcuni particolari, in parte presenti nel lavoro dello storico rumeno, ma che trovano anche un ampio riscontro in alcuni documenti che la Domus Mazziniana solo da non molto tempo ha posto in rete. Trattasi di alcune lettere di Giuseppe Mazzini inviate ad Antonio Mosto, Guerzoni, e Garibaldi dal 1863 al 1865.
    Sostanzialmente sono i seguenti aspetti, alcuni dei quali possono essere anche oggetto di ulteriori approfondimenti.
    Dopo i fatti d’Aspromonte e di Sarnico, Mazzini aveva anteposto la questione veneta a quella romana.
    La rivolta del gennaio 1863 in Polonia, soffocata dai Russi, aveva richiamato l’attenzione di Mazzini sull’eventuale posibilità di promuovere una insurrezione simultanea in Serbia, Ungheria, Romania, e Boemia, per cui i rapporti con gli esuli di tali paesi furono intensificati.
    La costituzione, nel dicembre 1863, con l’intervento di Bertani, del Comitato Centrale Unitario presieduto da Garibaldi per preparare la sollevazione in Trentino e nel Veneto, nonché l’importante incarico di tesoriere affidato ad Lemmi per provvedere all’acquisto di armi.
    La visita di Garibaldi dal 3 al 26 aprile 1864 in Inghilterra che secondo le intenzioni di Mazzini doveva anche servire alla raccolta di fondi per finanziare l’insurrezione in Italia e che ebbe un esito diverso per le pressioni delle cancellerie europee sui governi inglese e italiano.
    Il mancato successo dell’incontro del 17.5.1864 tra gli emissari mazziniani Antonio Mosto e Diamilla Muller con Vittorio Emanuele II, che segnò la definitiva conclusione dei contatti con il monarca per la questione veneta in quel periodo.
    I contatti dell’ungherese Klapka con gli esponenti del governo italiano Minghetti e Missori, nonché i contatti del polacco Bulewski nel giugno 1864 con gli emissari del monarca italiano per un piano insurrezionale che da Costantinopoli doveva svilupparsi nei Principati, coinvolgendo anche la Serbia e L’Ungheria. Secondo Guerzoni questo doveva essere per Vittorio Emanuele II il piano per allontanare Garibaldi dall’Italia per un lungo periodo di tempo. I contatti con l’eroe furono sempre sviluppati tramite il barone Porcelli ed i suoi emissari, fedeli esecutori dei progetti personali del monarca sabaudo.
    L’articolo, secondo alcuni ispirato da qualche mazziniano, apparso il 10.7.1864 sul giornale “Il Diritto” con il quale si sosteneva la priorità della soluzione alla questione veneta e non alle imprese in terre troppo lontane perché di dubbio esito. Tale articolo, secondo alcuni, determinò la rottura tra Garibaldi ed il re per l’attuazione del piano insurrezionale precitato.
    La conseguente crisi del Comitato Centrale Unitario per le dimissioni di Garibaldi, il rischio di scioglimento nonché l’assunzione della presidenza del comitato da parte di Cairoli.
    Il quasi contemporaneo arresto di Frigyesy in Moldavia ed il sequestro dei documenti in suo possesso, che Mazzini ritenne consegnati al governo austriaco e non trattenuti dal principe come di fatto avvenne. I predetti documenti furono portati a conoscenza del governo francese da un collaboratore del principe che era un informatore di Napoleone III.
    Il particolare legame che univa Frigyesy ai patrioti friulani poiché gran parte di essi tra cui il figlio di Andreuzzi nel 1867 furono ai suoi ordini nell’Agro Romano prima della battaglia di Mentana.

    La riunione del 19 agosto 1864 a Padova alla quale partecipò Guerzoni con l’intento di rinviare l’insurrezione in Friuli.
    L’arresto da parte del governo italiano dei volontari guidati da Bezzi che dal Trentino cercava di passare in Friuli per aiutare gli insorti.
    A tal punto però sento il dovere anche di precisare che fino alla conferenza dell’illustre storico rumeno, è stata ampiamente condivisa la tesi dello storico inglese Denis Mack Smith, che nelle diverse edizioni dell’opera Vittorio Emanuele II, attribuiva l’esito negativo dell’insurrezione friulana al fatto che il monarca era solito vantarsi dei propri progetti con gli ospiti occasionali più graditi.
    Inoltre l’eco dell’insurrezione friulana sulla stampa intrnazionale dell’epoca era scarsamente motivato per la mancaza della certezza sull’esistenza di piani insurrezionali per una così vasta area geografica, per cui la dimensione europea del progetto rivoluzionario appariva in misura inferiore alla realtà.
    Tuttavia sento il dovere di evidenziare alcune discordanze contenuti in alcuni studi e riceche, alcune anche molto pregevoli, che dovrebbero essere spiegate o possibilmente eliminate, per necessità di spazio e di tempo, ne indico solo due:
    Diogene Pensi, nella sua pubblicazione, indica quale data di costituzione del Comitato Centrale Unitario la primavera del 1863 con i seguenti componenti: presidente: Cairoli; cassiere: Lemmi; membri Bezzi, Corte, Guastalla, Guerzoni, Manci e Missori;
    Alcuni documenti riportano la presenza di Guerzoni, segretario e biografo di Garibaldi, alla riunione del 19 agosto 1864 a Padova.
    Pertanto concludo con la speranza e l’augurio che il convegno di studi per le celebrazioni del prossimo anno, organizzate anche dalla sezione Mazziniana di Udine, possano apportare ancora un ulteriore e più valido contributo alla ricerca storica sui moti mazziniani in Friuli.

    Udine 19.8.2003 Carlo A. R. Porcella

 

 
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