8 MARZO
L'emancipazione femminile italiana più lenta rispetto ad altri Paesi europei
In libreria il volume “La donna italiana” della scrittrice piacentina Emilia Sarogni
E le donne entrarono nella storia
Il lungo cammino verso i diritti civili e politici
di LUIGI GALLI
A guardare indietro per i secoli, e neanche tanto lontani, ci si stupisce e spaventa. Possibile? Nell'Europa antesignana di civiltà, trascorsi il Settecento dei lumi, la Rivoluzione francese, il Risorgimento con la nuova fisionomia a tante nazioni, ancora la donna era considerata poco più d'una schiava. Schiava domestica se si vuole, della famiglia o dei beni, ma pur sempre senza lo straccio d'un diritto. Tra gli intelletti generati da Settecento ed Ottocento per iniziare la contemporaneità, quasi nessuno aveva considerato le donne, di fatto assenti da ogni Codice Civile. Come entità giuridica significativa, come titolare di diritti, la donna non esisteva. Nessuno s'accorgeva, o voleva accorgersi, del suo contributo alla civiltà ed al lavoro, nessuno teneva conto dei sacrifici, a volte sovrumani, che la compagna dell'uomo ogni giorno intraprendeva. Insomma, donne che offrivano tutto e non ricevevano nulla. Un'ingiustizia storica da brividi. Guardando indietro vien da pensare: com'è potuto accadere? Succedono, certe cose. Parevano idee giuste, allora. Le stesse donne non ne portavano lucida coscienza, anzi parevano desiderare la condizione d'esclusa. Non sapevano ancora. La constatazione critica non era diventata loro patrimonio. Mancava una coscienza di condizione, una cultura, le scuole per il risveglio dal coma civile. Di quest'incredibile cammino racconta nel suo bel volume, in vetrina da poco, la scrittrice piacentina Emilia Sarogni. Era già nota per il romanzo “Torino addio. Quando gli dei amano”, recensito anche da Libertà. Il testo presenta un titolo significativo: “La donna italiana. 1861-2000. Il lungo cammino verso i diritti” (Ed. Net) e passa in rassegna l'emancipazione femminile italiana, più lenta, commenta l'autrice, rispetto ad altri paesi europei ed alle democrazie degli altri continenti, con modi del tutto autonomi, a volte persin disperante, ma inarrestabile, tenace, continua. Emilia Sarogni ha potuto documentare con precisione i progressi della donna italiana, stante la professione. Infatti, ha esercitato la carica di direttore al Senato della Repubblica, sostenendo per molti anni la responsabilità del Servizio internazionale. Gli archivi parlamentari, di fatto, le erano famigliari, di modo che n'è venuta una preziosa documentazione di supporto. Il discorso prende avvio dai secoli bui, allorché “qualche giurista del XIII secolo si chiese persino se il marito fosse obbligato a passare alimenta et medicina alla donna che fosse senza dote o n'avesse ricevuta una troppo esigua”. Da fatto a fatto, di citazione in citazione, si giunge in breve al 1861, alla nascita del Regno d'Italia. Nel Codice Civile italiano del 1865, nulla cambia per la donna: “La moglie era costretta a seguire il marito ovunque questi ritenesse opportuno fissare la sua residenza; n'assumeva il cognome e la condizione civile; era sottomessa al marito; non poteva compiere da sola gli atti giuridici più rilevanti, neppure per le cose di sua proprietà; non poteva esercitare il commercio senza esplicito consenso del coniuge; non poteva intentare una causa; non poteva testimoniare; non poteva far parte del consiglio di famiglia”. Insomma, non poteva e basta. Vigeva la legge del più forte… Un progresso ad ogni modo ci fu in quel Codice. Riconosciuta la maggiore età anche per la donna, al ventunesimo anno, cadde l'antica norma del consenso paterno per le nozze della figlia. I tempi correvano e s'affacciavano, ormai, sulla scena della storia italiana pensatrici e pensatori che avrebbero impegnato l'esistenza per l'emancipazione femminile: Anna Maria Mozzoni, figura indomita di risorgimentale, repubblicana e mazziniana; Salvatore Morelli, nobile difensore, sin al sacrificio, dei diritti delle donne nel Parlamento dell'Ottocento, promotore della prima legge sulla capacità giuridica delle italiane; l'intrepida Anna Kuliscoff che si batté per il voto alle donne e la loro tutela sul lavoro. Così, agli inizi del '900 maturano le prime conquiste. Nel 1902, durante il governo Zanardelli, verrà votata, il 23 marzo dalla Camera dei Deputati con 136 voti favorevoli e 50 contrari (presenti e votanti 236) e dal Senato il 12 giugno dello stesso anno, la legge n.242. Una conquista, perché “vieterà il lavoro di fanciulli d'entrambi i sessi d'età inferiore a 12 anni, nelle industrie, edilizia e miniere, stabilendo però che potranno continuare il lavoro i bambini e le bambine di 10 e 11 anni già occupati. Il divieto di lavoro notturno per le donne è posticipato a 5 anni dall'entrata in vigore della Legge. Il congedo per maternità è limitato ad un mese solo dopo il parto. Si stabiliscono interruzioni nella giornata lavorativa femminile, che però può superare anche le 11 ore, e un giorno di riposo obbligatorio la settimana”. La Sarogni, accorta, testimonia di tante violazioni della legge. I testi tuttavia cominciano ad esistere e la strada dell'emancipazione s'avvia. Occorreranno ancora tanti anni, tante pene, tanto impegno per approdare al diritto di voto politico per le donne, riconosciuto dal decreto legislativo luogotenenziale n.23, del 1° febbraio 1945. Infine, il libro analizza, con accuratezza, la legislazione repubblicana che condurrà alle ben note conquiste civili: la parità di remunerazione tra uomini e donne; l'abolizione della regolamentazione nella prostituzione; la tutela delle lavoratrici madri; l'abolizione del delitto d'onore; la legge contro la violenza sessuale, considerata per la prima volta come reato contro la persona e non contro la morale, per dir solo d'alcune. La stima ed il rispetto civile per la donna hanno finalmente trovato la strada della legge. Meglio tardi che mai.