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Impegno femminile
a cura di Gabriella Argnani
Questa sezione, dedicata al dibattito attuale sul femminismo, nasce con la speranza che la conoscenza e il dialogo portino alla composizione di un tessuto sociale all'interno del quale interagiscano e cooperino individui consapevoli del fatto che le differenze rappresentano una ricchezza inesauribile per la comunità, così che sia più facile la soluzione dei problemi.
Non è sempre immediato valutare i movimenti femministi in modo completamente positivo, perché, pur riconoscendo ad essi di aver compiuto una vera e propria rivoluzione che in pochi anni ha cambiato completamente la condizione femminile, sia in campo sociale e nella espressione della propria personalità, sia in quello giuridico e politico, questi movimenti (in questo caso si considerano solo le realta presenti nelle società democratiche occidentali) sono tendenzialmente rivolti a un esiguo numero di persone che quindi rappresentano una elite privilegiata, e fra questi vi sono i movimenti separatisti che rappresentano elementi di divisione sociale, mentre sarebbe auspicabile tendere a non discrimimare, non confondendo mai le differenze con le ineguaglianze.
Le differenze sono infatti fonte incessante di arricchimento e di crescita, palestra privilegiata di dialogo, di tolleranza e di solidarietà, basi indiscutibili della moderna democrazia.
In questi ultimi anni sono stati moltissimi i temi legati alle donne che hanno fatto discutere il mondo accademico e quello politico: uno fra tutti, quello della rappresentanza.
Come e in quale percentuale le donne devono essere rappresentate?
Un maggior numero di donne elette può essere davvero la soluzione dei tanti problemi?
Quanto, le donne che raggiungono posti di responsabilità, hanno accettato e concesso alla logica "maschia" che governa la politica, per essere accettate?
Come non notare che, in questo caso, anche l'abbigliamento ha mutuato forme e colori da quello maschile, divenendo via via sempre più rigoroso e disadorno, come se camaleonticamente dovessero mimetizzarsi con una realtà ritenuta inospitale e immodificabile?
La risposta dovrebbe essere, prima che politica, culturale.
Qualcuno potrebbe contrastare questa affermazione, dicendo che proprio i movimenti femministi hanno tentato di cambiare la condizione femminile attraverso un'operazione culturale e educativa e ciò è innegabile, se si accetta di identificare l'educazione semplicemente con la mera istruzione, con il sapere come tale.
E così, come John Dewey afferma nel 1899 in Scuola e società, "ne consegue che scorgiamo dovunque intorno a noi la divisione fra persone colte e lavoratori, la separazione della teoria dalla pratica".
Le cosidetete donne comuni, che affrontano coraggiosamente la maternità e seguono, accudiscono ed educano i figli, che più spesso di quanto non si creda subiscono violenze di ogni tipo confinate fra le mura domestiche, che lavorano e svolgono la loro professione con sforzi maggiori di quelli che dovrebbe fare un uomo nella stessa condizione, che curano la casa e che troppo spesso non riescono neppure a ritagliarsi mezz'ora per leggere un quotidiano, non si sentono certo capite da quella ristretta elite di intellettuali che studiano i loro problemi, né tutelate da chi nelle sedi preposte emana leggi.
Queste donne, che rappresentano la stragrande maggioranza, sono sopraffatte dalla paura e la paura finisce per creare servi: persone che vivono con il capo chino e lo sguardo rivolto a terra, persone che per necessità di sopravvivenza apprendono l'arte della furbizia.
È vero che oggi le donne sono più libere di fare cose che un tempo non molto lontano non potevamo neppure pensare ed è altrettanto vero che sono libere da impedimenti ed ostacoli un tempo insuperabili.
Ma, pur essendo la condizione femminile migliorata non si deve cadere nell'inganno che questa sia una condizione di vera libertà.
Sicuramente le donne non sono libere dalla volontà arbitraria degli uomini i quali, come afferma Elizabeth Kamarck Minnich, " avevano determinato che la propria esperienza dovesse rappresentare l'esperienza umana universale. Il fatto di rappresentarsi come l'intero è stata la via critica di una parte per mantenere il suo potere e la sua egemonia".
Esiste una soluzione?
È difficile sperare in soluzioni immediate. Si possono però proporre suggerimenti: se si provasse a far sì che cultura e lavoro, cioè teoria e pratica, coincidano?
Se i cittadini pretendessero dalla scuola di fornire ai giovani "gli strumenti di un effettivo autogoverno" così da avere "la più profonda e migliore garanzia di una più grande società rispettabile, amabile e armonica."
Da queste considerazioni e dalla magnifica disponibilità di Joan Tronto, di Julie Mostov e di tutti coloro che, per amore di educazione democratica, accetteranno di offrire il proprio contributo, è nata questa sezione dedicata all'universo femminile e ai suoi intrecci con quello maschile.
Joan C. Tronto è Professor of Political Science e Coordinator of the Women's Studies Program all'Anter College, City University of New York. L'ultimo libro che ha pubblicato per i tipi della Routledge, New York - London, è "Moral Boundaries" dal significativo sottotitolo "A political argument for an Ethic of Care".
Julie Mostov è Associated Professor of Political Science e Director of Institute of Umanities alla Drexel University.
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tratto da il
Pensiero Mazziniano