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    Predefinito il '900, la memoria e la storia

    Il Novecento.

    Il secolo appena trascorso, la storia di ieri... Secolo "breve" secondo Hobsbawm, secolo "sterminato" secondo Veneziani... In ogni caso un secolo di cui tutti noi portiamo il segno fatale, la memoria. Nella prospettiva dello studio del secolo appena trascorso, la parola "memoria" assume un significato immediato, diretto, per la densità di connessioni che ancora lo legano al nostro presente. Il problema principale posto dal Novecento è infatti quello della storia come trasmissione del ricordo, della percezione di sé e del mondo delle generazioni che l'hanno percorso e che ne sono tuttora protagoniste. Storia del presente, quindi, e storia-memoria, di cui però quel presente è impregnato: è questo il problema più complesso che suppone la rivisitazione del Novecento.
    Come ci si deve porre dunque di fronte alla storia di questo secolo, ed alla "Storia" senza aggettivi? Quali significati ed utilità può avere por noi contemporanei? Propongo qui alcune riflessioni critiche di ordine generale.
    La storia è prima di tutto un angolo visuale, particolare, soggettivo, che varia a seconda di chi è protagonista dell'operazione storiografica. Perciò esistono tante storie quante sono gli individui, le generazioni, le comunità che intraprendono tale operazione, o meglio, narrazione. Da ciò deduciamo che la storia è a più voci ed è sempre in movimento. Non "memoria" ma "MEMORIE": è l'interazione tra percezioni e memorie differenti che fa ricca la narrazione storiografica. E quindi non "storia" data una volta per tutte, fissa, tradotta in un apparato dogmatico, ma invece "storia" che cambia, evolve, si reinventa.
    Insisto su questi aspetti perché mi è dato osservare che, frequentemente, si usano nel linguaggio corrente parole come "memoria" al singolare, come se ci potesse essere una sola memoria, invece di varie, tutte degne di essere esaminate, riscattate e rispettate con eguale pietas. Inoltre la "memoria" non deve essere un fattore limitante nell'avvicinamento alla storia: ci sono storie completamente cancellate dalla memoria, perdute nella notte dei tempi, che meritano di essere riscattate. Altro sproposito è quello di criticare alcune innovazioni interpretative con il termine "revisionismo", come se la storiografia non fosse, per sua stessa natura, obbligatoriamente revisionista, cioè rinnovatrice. Ogni epoca, ogni generazione deve anzi porsi in modo nuovo di fronte al cammino percorso, producendo una nuova storia, valida per il proprio tempo. Sbagliano quindi tanto coloro che si autoqualificano come 'revisionisti' così come quelli che li criticano usando lo stesso termine. Non devono esitere 'revisionisti' perchè gli storici dovrebbero essere TUTTI necessariamente revisionisti.
    Per capire questi malintesi va pure aggiunto che, essendo la storia così legata alla vita quotidiana, così densa di significato e così significante, s'interseca necessariamente con questioni di identità -la storia è uno degli agenti generatori d'identità- e di potere. Il potere, nella ricerca della sua legittimazione nella storia, crea delle narrazioni utili, scacciando quelle alternative, riducendo arrogantemente al silenzio le voci dei "deboli" e degli "sconfitti" -la storia, si sa, è scritta da vincitori-. In poche parole la storia è prodotta, come narrazione, da due gruppi di agenti. Da un lato, dagli specialisti -gli storici, tra cui mi annovero io stesso- e dall'altro dal potere, e poi dalla gente comune, protagonista della storia stessa, produttrice di memorie e di altre narrazioni. Purtroppo lo storico non ha il vantaggio del chimico o del fisico, di essere lasciato in pace nella propria ricerca, ma vive immerso in un "rumore di fondo" -a volte un vero frastuono- prodotto dalla società circostante, avida creatrice e consumatrice di storia.
    Non mi soffermerò sulla "storia" del secondo tipo, ma piuttosto sulla prima, quella professionale. La storia -meglio: la storiografia- degli storici è una disciplina scientifica con piena autonomia epistemologica. È vicina di altre scienze sociali, come l'archeologia, l'antropologia e la sociologia. Il suo obiettivo è, naturalmente, il conoscimento. Lo storico lavora per conoscere meglio le vicende umane nel tempo, così come l'antropologo o il sociologo lo fanno nella contemporaneità. Lo fa come contributo al presente, non certo come esercizio collezionista ed erudito. Lo storico sa, con Nietzsche, che tutti "abbiamo bisogno di storia, ma in modo diverso di come ne ha bisogno il raffinato indolente nel giardino del sapere... Cioè, noi ne abbiamo bisogno per la vita e per l'azione".
    I paradigmi della storiografia, come quelli delle altre scienze sorelle, sono cambiati notevolmente nel corso degli ultimi cento anni. Sino alla metà del novecento, la disciplina seguiva lo schema di Von Ranke, basato sul modello scientifico, meccanicistico, che si traduceva in un discorso di fatti "provati", ipotesi verificate, e l'assunzione di un progresso teleologico largamente metafisico. In seguito, tale paradigma fu abbandonato anche dalle scienze esatte, come conseguenza delle teorie di Einstein. Il nuovo paradigma storico includerà quindi la relatività, respingerà il progresso metafisico e sarà diretto più verso l'analisi e la risoluzione di problemi per il presente che per la preservazione di qualche passato "provato". Non sarà più teleologica in quanto non potrà più assumere il "progresso" o un "piano" o un dramma narrativo come linea guida. Il relativismo della storiografia attuale è ormai così profondo, che il discorso storiografico ha smesso di pretendere di ricostruire "tutto" il reale passato, ma solo frammenti di questo. Come l'archeologo, lo storico è cosciente di avere tra le mani dei resti, non l'intera dimensione del vissuto umano. Con queste ben misere reliquie dovrà ricomporre dei concatenamenti causali, e quindi una narrazione convincente, diretta ai contemporanei.
    Arrivando al nostro tempo, lo storico si trova proiettato verso un universo complesso del conoscimento, in cui esercita una professionalità sempre più ricercata e specializzata nell'ambito universitario. Il suo compromesso con il presente è dato dalla trasmissione di significati che fanno luce sulla vicenda umana nella prospettiva della temporalità. D'altro canto la società in cui vive lo storico, dominata dal mercato globale, esercita potenti pressioni per captare qualche aspetto delle narrazioni da lui prodotte, deformandolo, per convertirlo in mercanzia culturale. O peggio, cerca di influenzare il suo lavoro per un malinteso perbenismo conformista -si pensi al pedante moralismo della "politically correctness"- o per ottenere, in questi tempi incerti, il responso divinatorio dell'antica magistra vitae. Risulta poi particolarmente frustrante per lo storico osservare come i media diffondano un conoscimento storico manipolato e volgarizzato -nel cinema, per esempio-, capace di raggiungere un più largo pubblico e vanificare così gli sforzi professionali di molti anni alla ricerca della serietà ed attendibilità scientifica della conoscenza storica.

    Felix

  2. #2
    Ospite

    Predefinito

    Paragono lo storico all'astronomo.Corpi celesti sono stati scoperti
    ben prima di essere osservati ma solo perche' gli astronomi avevano concluso che dati i movimenti e le anomalie delle traiattorie di determinati copri celesti ce ne dovevano essere altri che mai visti prima ne influenzavano il corso

    Cosi lo storico molte volte " vede " quello che e' successo e lo prova con la logica e poi magari si constata che devvero e' stato cosi' come lui dice.

    Voglio dire che lo storico deve lavorare molto di logica e osservazione.Spero di essere stato chiaro.Perdonate le mie cognizioni culturali e storiche sono molto modeste.


    Un saluto ben augurale a tutti !

 

 

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