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Risultati da 21 a 29 di 29
  1. #21
    Forumista assiduo
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    O Hitler a Mosca, o Stalin a Lisbona! Fuori gli yankee!!
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  2. #22
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    "O Siamo Un Popolo Rivoluzionario O Cessiamo Di Essere Definitivamente Un Popolo Libero" ERNST NIEKISCH
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  3. #23
    Forumista assiduo
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    15 Jan 2007
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    O Hitler a Mosca, o Stalin a Lisbona! Fuori gli yankee!!
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    Rivoluzione!!!!

  4. #24
    Nazionalcomunista
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    Non importa se il gatto e' rosso o nero, se riesce ad acchiappare i topi allora e' un buon gatto!
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    CARI COMPAGNI VI ASPETTO NUMEROSI SU http://www.politicaonline.net/forum/...d.php?t=427211
    CONTRO LA BORGHESIA!
    CONTRO LA GLOBALIZZAZIONE!
    PER IL PROLETARIATO!
    PER UNA NUOVA SOCIETA'!
    PER IL NAZIONALCOMUNISMO!

    VI ASPETTO NUMEROSI!
    SALUTI NAZIONALCOMUNISTI

  5. #25
    Klearchos
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    Da "Umanità Nova" n35 del 5 novembre 2000
    Estrema destra
    Dai nazimaoisti ai nazionalcomunitari


    "Quando la vittoria non toccasse al Tripartito, i più dei fascisti veri che scampassero al flagello passerebbero al comunismo, con esso farebbero blocco. Sarebbe allora varcato il fosso che separa le due rivoluzioni"
    (P. Drieu La Rochelle, "Italia e Civiltà" 23.5.1944)

    Il panorama storico e politico dell'estrema destra è senz'altro complesso e per certi aspetti contraddittorio: vi sono forze parlamentari, altre extraparlamentari; si trovano gruppi che si dichiarano reazionari, altri che si professano rivoluzionari e vi sono persino quelli che si definiscono rivoluzionari conservatori o "anarchici di destra"; alcune formazioni si rifanno ai fascismi e altre al nazismo; alcuni settori si accreditano come strenui difensori dei valori tradizionali cattolici, altri si dichiarano filoislamici, altri ancora sono infarciti di esoterismo e vi sono pure quelli che parlano il linguaggio della New o della Next Age.
    Premesso questo non deve meravigliare quindi il fatto che vi siano settori a cui va stretto l'abito della destra e che conseguentemente affermano di collocarsi "oltre la destra e la sinistra" oppure che si sentono parte della "sinistra"; nel più recente passato in Italia si sono peraltro registrati precedenti di questo tipo: basti pensare ai "nazi-maoisti" di "Organizzazione Lotta di Popolo" (OLP), nata negli anni '60 e disciolta nel '73, usati per ogni genere di provocazione; alle teorizzazioni nazional-popolari di Franco Freda e Paolo Signorelli negli anni '70; all'attività clandestina dei NAR e di Terza Posizione a cavallo degli anni '70 e '80.
    Tutto questo può apparire soltanto un gioco di mascheramenti oppure l'espressione marginale di un ribellismo fascistoide; la questione invece è assai più seria, basta infatti conoscere un po' di storia per sapere che il termine nazista è semplicemente la contrazione dell'aggettivo nazional-socialista scelto da Hitler per il suo partito, così come aveva voluto la bandiera rossa quale sfondo per il simbolo della svastica affermando che "il rosso rappresenta l'idea sociale del movimento, il bianco l'idea nazionalista, e la croce uncinata la missione della lotta per il trionfo dell'Ariano".

    UN PO' DI STORIA: ALLA SINISTRA DI HITLER
    Il termine "nazionalbolscevismo" comparve per la prima volta in un opuscolo dal titolo omonimo, pubblicato dopo la Prima Guerra Mondiale in Germania, scritto da un accademico di destra, tale Eltzbacher, che di fronte alle sanzioni economiche e all'occupazione militare degli Alleati vittoriosi auspicava una Germania bolscevizzata. Nel biennio 1919 - '20, i comunisti Wolffheim e Laufenberg ripresero queste teorizzazioni, richiamandosi alle tesi di W. Rathenau per la "resistenza armata" di tutto un popolo contro l'imperialismo e, implicitamente, alle classiche tesi fichtiane sullo "Stato corporativo chiuso", battendosi per la collaborazione tra "nazionalisti rivoluzionari" e Partito comunista (KPD), sia contro i capitalisti che contro la socialdemocrazia.
    Così se tra il '32 e il '33 la Germania vide la morte della Repubblica di Weimar, la sconfitta del KPD -che pure aveva potuto contare sino a cinque milioni di elettori- e l'avvento della dittatura nazista ciò fu anche a causa del naufragio di quel progetto di costruzione di un socialismo di Stato, in grado di eliminare le contraddizioni tra Capitale e Lavoro, che la sinistra social-comunista aveva abbracciato, regalando in questo modo ad Hitler il cemento culturale e sociale per la costruzione del suo Stato totalitario.
    Troppo spesso infatti, analizzando quel periodo storico, si tende a sottovalutare l'identità "anticapitalista" e "antiborghese" che la demagogia nazista seppe costruire attorno al suo effettivo ruolo reazionario e antiproletario; così come si dimentica che il vero protagonista nella costruzione del partito nazista nelle roccaforti operaie di Amburgo, Berlino e Lipsia non fu Hitler ma un "filosovietico" come Strasser e che le prime SA fondate nel '21 erano composte da operai, disoccupati e sottoproletari, così come non bisogna dimenticare gli scioperi promossi unitariamente da comunisti e nazisti, la strana alleanza a Berlino tra SA e Lega dei combattenti del Fronte Rosso o l'inquietante connivenza di buona parte della sinistra tedesca di fronte al montante antisemitismo.
    Se si leggono le ricerche statistiche curate da Marco Revelli sulla composizione sociale degli elettori del Partito Nazista, dei suoi iscritti e dei membri delle SA c'è di che rimanere allibiti; bastino solo alcune cifre: gli operai dequalificati costituivano tra il '25 e il '33 la categoria sociale più numerosa tra i membri del NSDAP (ossia del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori) e il 62% circa degli squadristi SA erano lavoratori industriali e agricoli.
    E lo stesso brivido che oggi proviamo leggendo le percentuali di elettori che nei quartieri popolari e tradizionalmente di sinistra che alle ultime elezioni in Austria hanno votato per Haider.
    Con la conquista del potere assoluto Hitler avviò pertanto un'opera di normalizzazione interna, a partire dalle SA di Roehm che nel '34 vennero eliminate fisicamente durante "La notte dei Lunghi Coltelli" o assorbite dalle SS, e quindi dei gruppi che si richiamavano al nazionalbolscevismo ("Rivoluzione Conservatrice", "Fronte Nero", "Opposizione"...); tali gruppi minoritari, talvolta contrapposti anche tra loro, erano infatti accomunati dalla visione secondo cui Germania e Unione Sovietica avrebbero dovuto dare vita ad un'alleanza anticapitalista in funzione anti-Occidente. Il destino dei loro aderenti, schedati e perseguitati dalla Gestapo, fu in alcuni casi quello dell'eliminazione fisica o della deportazione nei lager, tanto che sono stati definiti come i "trotzkisti" del nazionalsocialismo; ma così come difficilmente si può negare che Trotzky sia stato un comunista per il fatto che venne fatto assassinare da Stalin, altrettanto difficilmente si può negare che i "nazionalbolscevichi" siano stati solo la "sinistra" del movimento nazista.
    Paradossalmente, ma non troppo, lo stesso Hitler fu a modo suo "nazionalbolscevico" quando Ribbentrop e Molotov firmarono l'infame patto di non-aggressione tra Germania ed URSS.


    GRUPPI NAZIONALBOLSCEVICHI IN ITALIA
    Oltre che in Russia, anche in Europa - Italia compresa - negli ultimi anni si va assistendo ad una certa fioritura di partiti, gruppi, giornali che si richiamano esplicitamente all'esperienza tedesca del "nazionalbolscevismo": rifiutano d'essere collocati nello schieramento della destra borghese, si oppongono al capitalismo e alla Globalizzazione, prospettano la creazione di uno "spazio euroasiatico" in funzione antiamericana, sostengono tutti i movimenti antimperialisti e tutte le nazioni che si contrappongono agli USA, dall'Iraq alla Serbia alla Corea del Nord.
    In Italia, a quanto ci risulta, tra le più "vecchie" testate di riferimento per questa area vi sono la rivista "Orion", fondata agli inizi degli anni '80 ed oggi collegata all'esperienza di "Sinergie Europee", e "Aurora", mensile uscito la prima volta nell'88, quale organo del "Movimento Antagonista - Sinistra Nazionale", un giornale redatto in Romagna dalla Comunità Politica "B. Niccolai" con sede a Modigliana (Fo) e dal Circolo "A. Romualdi" di Cento (Fe).
    Tra gli animatori di "Orion" vi è Maurizio Murelli, vecchio arnese dello squadrismo fascista degli anni Settanta, che all'indomani del crollo del socialismo reale in Russia affermava "Per gli stalinisti, per i nazionalisti, per gli zaristi, per tutte le espressioni panslaviste e ortodosse, il pericolo è l'Occidente, la sua cultura, la sua economia. Quindi una alleanza operativa è naturale, è logica (...) Innaturale è invece la rigidità e l'ostilità dei veri comunisti nei confronti della destra che si è allontanata dal MSI ed è tornata alle origini fasciste in senso antiamericano, anticapitalista".
    Tra le firme più significative comparse invece su "Aurora" vi è sicuramente quella dello studioso, di fede musulmana, Claudio Mutti, autore tra l'altro di un testo dal titolo "Nazismo e Islam", in cui vi sono messe in risalto le reciproche convergenze ed esaltata la storia della 13ma Divisione SS, formata da musulmani della Bosnia-Erzegovina, che combatterono a fianco dei cattolicissimi Ustascia croati, contro i partigiani jugoslavi.
    Dopo la nascita del Fronte Nazionale di Adriano Tilgher ('97), fuoriuscito dal Movimento Sociale "Fiamma Tricolore", sicuramente all'interno del neo-partitino vi era presente una non trascurabile componente e una buona incidenza culturale "nazionalbolscevica"; interessante a riguardo il n. 10 dell'ottobre '98 di "Fronte Nazionale" dove in prima pagina era possibile leggere un editoriale dal titolo emblematico ("Da Mosca una speranza") e all'interno vi veniva definito lo "Spazio Autarchico Europeo", comprendente "necessariamente la Russia e gli Stati facenti parte dell'ex URSS", come orizzonte strategico della "federazione dei popoli europei contro il globalismo finanziario".
    Durante l'esperienza della "Linea comunitarista" all'interno del Fronte Nazionale, è nato un nuovo periodico dal titolo accattivante "Rosso è Nero"; le ragioni del titolo sono apertamente rivendicate nel richiamarsi ai cosiddetti "fascisti rossi" ossia a quella componente "socialistica" propria del primo fascismo "diciannovista", poi riemersa durante i 600 giorni della Repubblica Sociale italiana all'ombra dell'occupazione nazista. Il primo numero reca la data del novembre '98, non è ancora ideologicamente ben definito e forse finalizzato ad alimentare il dibattito in seno al Fronte Nazionale; infatti nel suo principale articolo viene esposta la posizione "nazionalcomunitaria", partendo dal consueto superamento dei concetti di destra e sinistra: "Il fascista cattivo e nostalgico non mette paura a nessuno, anzi è utile e funzionale al sistema. Quello che mette veramente paura è il rivoluzionario (...) Questo non significa certo diventare di sinistra, perché questa sinistra ci disgusta quanto la destra. Significa oltrepassare i limiti imposti dalla cultura borghese e creare una nuova concezione della politica" al fine di "articolare un fronte nazionale, popolare, socialista e libertario".
    Accanto a questo dichiarazione d'intenti, nel giornale si trovavano altri contributi non propriamente "in linea"; tra l'altro vi appariva un delirante poema "celtico-maremmano-western" di un collaboratore desideroso di "Fare un popolo con le sue città, un popolo a cavallo, uomini e donne nel sole e nel vento, con archi e frecce, con dardi appuntiti di legno duro a caccia di cinghiali, da cuocere al fuoco nella festa del sole, nel giorno sacro del raccolto ed in quello della semina"(sic).
    Nel secondo numero di "Rosso è Nero" (marzo '99), venivano pubblicati due articoli alquanto "istruttivi" perché riguardanti la questione dell'immigrazione dal punto di vista del Fronte Nazionale (impegnato in una campagna nazionale "per il lavoro agli Italiani") e della sua componente "comunitarista". Vi si affermavano cose che contrastano in modo evidente con l'attuale "rifiuto di ogni forma di razzismo e xenofobia" di questi signori, appena un anno dopo. In particolare vi si poteva leggere che la "primaria emergenza storica attuale" sarebbe "la rinascita nazionale, della difesa etnica e della identità e tradizione Euro-Italica, contro una mondializzazione aggressiva ed imperante su tutto l'occidente europeo, dove fenomeni come immigrazione e multirazzialità conseguente, sono strumento di un unico progetto Capital-massonico planetario"; tali tesi, va detto, figlie dirette delle teorie "differenzialiste" di Alain de Benoist risultano identiche a quelle di tutta la propaganda anti-immigrati della Lega Nord, di "Forza Nuova" o di "Fiamma Tricolore".
    Nel successivo terzo numero (ottobre '99), veniva sancita l'uscita-espulsione della componente "comunitarista" dal Fronte Nazionale, affermando che era ormai venuto il momento che "l'area nazionalrivoluzionaria e nazionalcomunista può e deve intraprendere una necessaria revisione dottrinaria ed ideologica (...) per trovare una sua strada del tutto autonoma" e richiamandosi al neonato Partito Comunitarista in Francia; le ragioni del "divorzio" dal Fronte Nazionale sembrano riconducibili alla linea politica scelta da Tilgher che lo ha riportato a più tradizionali intese con "Fiamma Tricolore" di Rauti e a schieramenti elettorali a sostegno del tanto odiato, ma sicuramente redditizio, Polo berlusconiano. Per sottolineare la "svolta" in tale numero di "Rosso è Nero" compare una grande quantità di riferimenti "estremisti": si attinge all'elaborazione antiautoritaria di A. Bihr, si pubblica un comunicato di Marcos, si trova citato come pseudonimo il comunista-anarchico Carlo Cafiero, si inneggia a Stalin quale "vero nazional bolscevico", si riporta un articolo su Nietzsche di Mussolini quando era socialista, si dedica l'ultima pagina interamente alla "Canzone per Silvia" (Baraldini) di Francesco Guccini. Dentro questo collage viene comunque inserito anche un corposo articolo del citato Claudio Mutti sulla "guerra di civiltà che contrappone l'Europa all'Occidente" e viene abusivamente pubblicato un articolo tratto dal periodico nazionalitario "Indipendenza", giornale guardato a sinistra con motivata diffidenza a causa della presenza al suo interno di ex-militanti di "Terza Posizione".
    Il numero zero della nuova serie di "Rosso è Nero" (fine '99), oltre a dedicare grande spazio alla rivolta di Seattle, pubblica vari documenti del Partito Comunitarista Nazionaleuropeo e vi si sottointende, fin dal nuovo sottotitolo, l'adesione del giornale a tale percorso; tra le altre varie "chicche" vanno citate la riproduzione della copertina di "Autonomia di Classe" (cordone di autonomi incappucciati con bandiera USA in fiamme sullo sfondo) e due pagine dedicate alle biotecnologie.
    Col 2000, l'adesione al Partito Comunitarista Nazional-europeo è ormai un dato di fatto; in tal senso "Rosso è Nero" ha cambiato nome ed è diventato "Comunitarismo", quale "espressione sintetica della fusione di elementi comunisti ed elementi nazionaleuropei" e a questo si è affiancato il settimanale comunitarista del PCN "Nazioneuropa" che riporta le notizie delle varie sezioni del partito che, in Francia e Belgio, partecipa anche alle elezioni.
    L'apparenza è ancora più marcatamente "antagonista", ma dedicando un po' di attenzione a quanto vi viene sostenuto, non si può dire che la "rivoluzione comunitarista" rappresenti qualcosa di diverso rispetto al passato, indipendentemente dal fatto che alcuni redattori proverrebbero da Rifondazione Comunista o che vi siano anche elementi che credono realmente a quello che scrivono; inoltre, guarda caso, è nato un certo feeling tra i "nazionalcomunitaristi" e "Rinascita. Giornale di liberazione nazionale" il cui direttore è Ugo Gaudenzi, ossia uno dei vecchi dirigenti di "Lotta di popolo".
    Tra l'altro, guardando soltanto alla situazione milanese, questi "sinistri" usano come punti di riferimento il noto "Palazzo delle Stelline" in Corso Magenta e la Bottega del Fantastico in Via Plinio, luoghi da sempre dell'estrema destra.
    Per chi nutrisse ancora dubbi sulla effettiva collocazione di "Comunitarismo" (Redazione nazionale in Via Satrico a Roma) consigliamo la lettura di un articolo in cui si sostiene che "Classe e Nazione Europea sono interessi che coincidono", mentre in un'altra pagina un redattore pisano afferma esplicitamente che "Il Comunitarismo è contrario alla lotta di classe" e che "il lavoro sarà il criterio di valore per stabilire le nuove gerarchie (...) Ai lavoratori migliori e più esperti non verranno dati maggiori guadagni, ma posizioni di potenza"; in altre parole torna a riproporsi l'idea nazista della comunità basata su "Sangue e suolo" la cui "forma statuale deve rispecchiare l'ordine di realtà superiori e trascendenti" (dal n. 1 di "Rosso è Nero"), il che mostra la vera faccia di gente che si dichiara rivoluzionaria, comunista e persino libertaria, ma che si guarda bene dal mettere in discussione l'idea di Stato nazionale e la struttura gerarchica e autoritaria della società che sono parti integranti del dominio del capitale sul lavoro.
    Per completare il quadro va segnalata la diffusione a Parma di volantini firmati Partito Nazionalcomunista (simbolo svastica e falce-martello sovrapposti); difficile dire se si tratti di figli più o meno legittimi di "Rosso è Nero", sicuramente però in questa città vi è una loro presenza.
    Le ragioni di questo nostro lavoro di controinformazione sono legate alla constatazione che anche tra compagni, nell'opposizione sociale e di classe, vi è abbastanza consapevolezza politica rispetto a queste tendenze, come dimostra la presenza - comunque tollerata - dei "nazionalcomunitari" al campeggio antimperialista svoltosi quest'estate in Umbria o la pubblicazione consensuale di parte di un opuscolo sulle biotecnologie edito da "un collettivo ambientalista-radicale" di Pisa; a noi sembra che si stia scherzando col fuoco, basta andare oltre le apparenze per accorgersene.
    Archivio ANTIFA

  6. #26
    Klearchos
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    STORIA 2007
    Ernst Niekisch
    Ernst Karl August Niekisch nacque a Trebnitz in Slesia il 23 maggio 1889, figlio di un fabbro artigiano di ceto piccolo borghese, fu un importante intellettuale, scrittore,giornalista e uomo politico, esponente teorico tedesco principale del Nazional Bolscevismo (Nationalbolschewistische) dal 1918 al 1934, che univa gli operai ed i soldati tedeschi. In lui si incarnarono le caratteristiche e le contraddizioni del Nazionalbolscevismo, che rispondevano più ad uno stato d’animo che ad una attitudine attiva, ad una ideologia dai contorni precisi o ad una unità organizzativa. Il movimento fu composto da una infinità di piccoli circoli, gruppi, riviste, senza mai formare un vero partito. Nazionalbolscevichi furono considerati nemici, non avendo differenza coi gruppi provenienti dal comunismo che incorporavano l’idea nazionale e i gruppi nazionalisti disposti ad assumere cambiamenti economici radicali e l’alleanza con l’U.R.S.S. per distruggere l’odiato sistema nato dal Trattato di Versailles. Dopo la nascita era stato condotto a Nordlingen im Reis ( Baviera-Svevia) nel 1891. Frequentò il magistero che terminò nel 1907, la reale scuola e seminari d’insegnamento, divenendo di professione maestro di scuola ad Augsburg. Erano i tempi in cui nella Germania Guglielmina i figli degli operai non studiavano, per cui Niekisch dovette subire le burle e le ostilità dei suoi compagni di classe. Carl Schmitt parlava della vittoria del borghese sul soldato. Per Niekisch una vita da nulla era insopportabile e divorava il sapere per un fuoco interiore rivoluzionario, leggendo Hauptmann, Ibsen, Nietzsche, Schopenauer, Kant, Hegel e Macchiavelli, Marx fino al 1915. Volontario nell’esercito nel 1914, ebbe seri problemi oftalmici che gli impedirono di andare al fronte, per cui esercitò, dopo il febraio 1917 le funzioni di ispezione delle reclute in Augsburg. Nell’ottobre 1917 entrò nella Sozialdemokratischen Partei Deutschlands (S.P.D.), essendo attratto dalla rivoluzione bolscevica, divenendo editore del giornale di partito. Di tale epoca fu il suo primo scritto politico oggi perduto,’’Licht aus dem Osten’’ nel quale formulava ciò che sarebbe stata la sua azione politica: l’idea della ‘‘Ostorientierung’’. La diffusione di questo foglio fu sabotata proprio dalla S.P.D., collaborò anche al periodico di Augsburg ‘’Schwabischen Volkszeitung’’. Il 7 dicembre 1918 Eisner proclamò la Repubblica a Monaco, Niekisch lasciò la S.P.D.; divenendo fondamentale nella costituzione di essa, avendo il consenso degli operai e dei soldati di Augsburg, divenendo presidente e sedendo nel Consiglio degli Operai dei Contadini e dei Soldati di Monaco durante il febbraio e marzo 1919. I Consigli erano formati da anarchici, comunisti, (contrari ad un esperimento circoscritto solo alla Baviera e non esteso all’intera nazione tedesca, oltre che considerato immaturo, indi definita Repubblica-fantasma), socialisti indipendenti, socialisti di destra, socialdemocratici di sinistra, come Niekisch, riunitisi al ministero della guerra a Monaco tra il 4 ed il 5 aprile 1918 per le trattative circa la proclamazione della repubblica dei consigli, mentre era stato indetto uno sciopero. Nel febbraio-marzo 1919, in quanto deputato nell’U.S.P.D. (Unabhangigen Sozialdemokratischen Partei Deutschlands), ovvero l’ala sinistra dei dissidenti della socialdemocrazia di Baviera, ( Socialisti Indipendenti) fino al 1922;fu eletto Presidente del consiglio centrale della dieta regionale della Repubblica sovietica dei Consigli degli Operai e dei Soldati di Monaco in Baviera, che ebbe vita breve. I Consigli si erano sviluppati sotto i Frei Korps di von Epp e von Lettow-Vorbeck; Niekisch era disapprovato per l’assenza di una visione storica dalla triade bolscevica dei rivoluzionari di Monaco, formata dai comunisti marxisti Levino, Lewin, Axelrod. Niekisch fu l’unico membro del Comitato Centrale che votò contro la proclamazione della prima Repubblica Sovietica di Baviera, provincia tedesca meno adeguata a realizzare tale esperimento, per il suo carattere agrario. Per un mese il potere esecutivo fu in Consiglio centrale sotto la guida di Ernst Niekisch, rifugiatosi poi a Bamberga, si dichiarò estraneo all’iniziativa dell’estrema sinistra che aveva proclamato la Repubblica dei Consigli. Fu arrestato il 5 maggio e il 22 giugno 1919 condannato a due anni e mezzo di reclusione per il suo ruolo nell’esperimento dei Consigli, senza aver commesso alcun crimine. Fu liberato nell’agosto 1921. Le relazioni con la S.P.D. si andarono deteriorando, perché Niekisch si oppose al pagamento dei debiti di riparazione alla Francia ed al Belgio ed oppose una resistenza nazionale quando la Francia occupò la valle della Ruhr nel 1923. Durante gli anni ’20 accentuò l’importanza del nazionalismo e tentò di indirizzare la S.P.D. in quella direzione. Fu nella direzione del Segretariato della Gioventù del Gran Sindacato Tessile di Germania a Berlino nel 1923, un lavoro burocratico in cui fu a suo agio. Incapace di compromessi, ebbe minacce alla sua famiglia e rinunciò al suo mandato parlamentare; rigettò l’internazionalismo marxista e fu un accanito e irruente oppositore del Piano Dawes, che regolava il pagamento delle riparazioni di guerra imposte alla Germania da Versailles, del Trattato di Locarno, del Trattato di Versailles e del pacifismo della S.P.D. in generale, cosicché per questo fu espulso dal partito nel 1926. Niekisch prese il controllo di un insignificante Partito dei Vecchi Socialisti di Sassonia, Altsozialisten Partei ( A.S.P.), divenendo redattore capo del loro giornale a Dresda, per cui egli convertì la sua propria forma nazionalista di socialismo, fondando e pubblicando, insieme al grafico ed illustratore di giornali A. Paul Weber, e dirigendo il suo periodico nazionalrivoluzionario ‘’Der Widerstand. Zeitschrift fur nationalrevolutionare Politik’’ ( ‘’La Resistenza. Scritti per una politica socialista e nazionalista-rivoluzionaria’’), uscito fino al 1934, edito dalla Widerstands-Verlag di Berlino, nel 1926, organo del suo ‘’Movimento di Resistenza’’, i cui circoli di Resistenza moltiplicarono i membri dai 500/600 attivi ai 5000 simpatizzanti. La tiratura della rivista oscillava dalle 3.000 alle 4.500 copie, risultato non disprezzabile per l’epoca, tenuto conto che era una rivista ben fatta e di alto livello intellettuale. Editò il settimanale ‘’Entscheidung’’ ( ‘’La Decisione’’). Ostile alla repubblica di Weimar ed alla sua politica filoccidentale governativa, Niekisch ed i suoi seguaci adottarono il nome di Nazional Bolscevichi ed ammirarono l’U.R.S.S. come la continuazione di entrambi i nazionalismi russo e del vecchio stato di Prussia. Il movimento prese lo slogan ‘’Sparta-Potsdam-Mosca’’. Non riuscì ad avvicinarsi alla K.P.D., troppo rigida ideologicamente e dominata dall’internazionalismo marxista-leninista. Il Nazionalbolscevismo rimase un gruppo settario che non entrò nella N.S.D.A.P.. Il Nazionalbolscevismo fu attiguo ma non coincidente con l’altro importante movimento politico tedesco della Rivoluzione Conservatrice, in quanto entrambi avversarono il capitalismo ed il liberalismo individualistico, ritorno al primitivo dalla civiltà sociale e comunitaria. Molto attenta fu la sua condivisione della rivoluzione comunista sovietica russa, di cui voleva la sua realizzazione in Germania in modo conforme alle peculiarità prussiane. Ostile alla liberaldemocrazia, per una radicale revisione del Trattato di Versailles e per una politica di alleanza ad est ed una rigenerazione sociale e nazionale della Germania unita al mondo slavo, obiettivo che mirava ad unire l’estremismo di destra e l’estremismo di sinistra. Stilò insieme allo scrittore politico Ernst Junger, che collaborò al suo ‘’Der Widerstand’’, ed al fondatore della Rivoluzione Conservatrice Moeller van den Bruck, un programma non reazionario né militarista. I risentimenti antioccidentali nei gruppi nazionalbolscevichi fecero sì che i nazionalisti come Niekisch rimasero affascinati da alcuni aspetti della rivoluzione russa e vedevano nel sistema dei Soviet il modello per un nuovo ordine degli uomini ‘’creatori’’ al posto del parlamentarismo. Nella posizione geografica della Germania, a cavallo fra est ed ovest vi era un deciso orientamento verso est ove doveva sorgere la nuova grande potenza liberata dalle catene di Versailles. Il carattere utopististico di tali concezioni non impediva che il loro vero effetto fosse un’azione distruttiva nei confronti della repubblica e la rivalutazione della rozza weltanschauung ( visione della vita) nazionalsocialista, che si alzò di livello entrando in contatto con eminenti scrittori e poeti, come Oswald Spengler col suo ‘’Preussischer sozialismus’’
    ( Socialismo Prussiano) del 1920, che indicava nel ‘’cesarismo barbarico’’ la forma di dominio del futuro. Nel 1919 Arthur Moleller van den Bruck aveva reclamato alla Germania ‘’ il diritto dei popoli giovani’’ ( in confronto all’occidente) e nel suo ‘’Das dritte Reich’’ del 1923 anticipava la futura struttura o la formula del Reich hitleriano. Ernst Junger parlava del lavacro della guerra e nella ‘’Die totale mobilmachung’’ (La mobilitazione totale) del 1931 e ‘’Der arbeiter’’ del 1932, dove il lavoratore era rappresentato come soldato della tecnica, descriveva il futuro in chiave eroica. Ernst Jung nel suo antirepubblicano ‘’Die herrschaft der minderwertigen’’ del 1927, postulava uno Stato elitistico per ceti. Negli anni della repubblica esisteva nella destra intellettuale continuatrice delle istanze di rifiuto della civiltà dell’era Guglielmina, una tendenza all’alleanza con l’U.R.S.S. intesa quale suolo natio, paese del cuore, ‘’quarta dimensione’’, oggetto di enfatiche aspettazioni. Niekisch era preoccupato dell’identità nazionale spirituale, scriveva che ‘’costituisce già un atto del risveglio tedesco, rivolgere lo sguardo verso Oriente …La strada verso l’ovest comportava la degradazione della Germania, laddove la svolta ad Est comporterà una nuova ascesa verso la grandezza tedesca’’.Allo scipito liberalismo veniva contrapposto il principio slavo-prussiano’’, e a Ginevra, sede della Società delle Nazioni, l’ ‘’asse Potsdam-Mosca’’. La preoccupazione per la naturalizzazione dell’essenza tedesca influenzata negativamente dal mondo occidentale, materialistico, demitologizzato, agli occhi di chi si schierava nel campo del bolscevismo nazional-conservatore era più forte che non la paura per la minaccia comunista di dominio mondiale. Niekisch cercò di avvicinarsi ad Otto Strasser ( 1897-1974), non più attivo politicamente nel dopoguerra, fratello minore di Gregor Strasser ( 1882-1934), dell’ala sinistra della N.S.D.A.P.
    ( NationalSocialistichen Deutschen ArbeiterPartei), ucciso per ordine di Hitler, come suo più acerrimo avversario ed oppositore politico nel partito, ex socialdemocratico ed editore di giornali fuori del controllo dal complesso della catena mediatica Eher. Otto Strasser, ex socialdemocratico, poi nella sinistra della N.S.D.A.P., si era diviso da Hitler nel 1932, fondando tra il 1926 ed il 1934 il partito dei socialisti rivoluzionari (Revolutionar Sozialistischen), era fuggito a Praga, in Svizzera, Portogallo e Canada; nel 1955 tornò nella Germania Federale Tedesca. I dottrinari della rivoluzione tedesca accettavano la realtà industriale e lo sviluppo economico, ma volevano che le masse lavoratrici fossero inquadrate militarmente, entro una comunità solidale, da cui il Capo grazie alla sua volontà faceva funzionare un corpo sano, omogeneo culturalmente, biologicamente ed economicamente. Fu una visione della destra, che attraeva anche militarmente l’estremismo di sinistra. Niekisch da essere internazionalista passò al nazionalbolscevismo: voleva ricomporre nello Stato nazionale tedesco lo spirito cetuale, più che di classe, che riteneva appartenere alla tradizione del movimento operaio dei Consigli di fabbrica unici motori del processo rivoluzionario, con obiettivi che si avvicinavano a quelli teorici della Rivoluzione Conservatrice. Fu un’apertura sindacale e paraclassista del nazismo, nel Fronte Nero ( Schwarze Front), tramite le tesi corporative nella sinistra nazionalsocialista. Il socialismo tedesco non è proletario o piccolo borghese, ma socialismo di tutto il popolo e di ogni ramo della cultura, economica e totalitaria. Niekisch condannava Carlo Magno, sterminatore di sassoni e pagani, conscio dell’antitesi tra spirito nordico-germanico e quello balto-slavo contro il ‘’Sud – romano’’ e l’oriente levantino tra la Grande Germania delle libertà tribali e guerriere, esaltata dallo storico romano Tacito, fino alla rivolta luterana contro Roma ed il diritto romano, la Roma levantinizzata della proskinesis (proskinesis) e del monoteismo giudeo-cristiano, del Vaticano e della Controriforma inquisitoria. La Roma che aveva abbandonato le originarie ‘’nordiche’’ virtù repubblicane. Attaccò l’S.P.D. , che accettava il piano Dawes, in una conferenza dei sindacalisti e dei socialdemocratici, scontrandosi con la linea ufficiale, rappresentata da Frank Hilferding. Nel 1925 Niekisch fu redattore capo della rivista socialista ‘Firn’’, scrisse su una serie di foglietti editati per questa dai lavoratori e legati alle opere ‘’Der Weg der deeutschen Arbeioterschaft zum Staat’’ e ‘’Grundfragen deutscher Aussenpolitik’’. Ambedue le opere testimoniarono una influenza di Lassalle molto maggiore di Marx, in cui Niekisch assunse come sue le posizioni che ebbero i comunisti di Amburgo nel dopoguerra, che si separarono dal K.A.P.D. ( Kommunistische Arbeiter Partei Deutschen ), sotto la direzione di Lufenberg e Wolffheim, deciso a partire per la lotta dei liberazione contro Versailles ( questo partito, che si legò ad una base di massa ampia occupò un ruolo nella storia del nazionalbolscevismo). Nei suoi scritti giornalistici del 1925, Niekisch propose che la S.P.D. divenisse campione dello spirito di resistenza del popolo tedesco contro l’imperialismo capitalista della potenza dell’ Entente; nel contempo sostenne che la liberazione sociale delle masse proletarie era il presupposto ineliminabile della liberazione nazionale. Questa idea, unita all’opposizione alla politica estera filofrancese della S.P.D. ed alla sua lotta contro il Piano Dawes, gli provocò la sfiducia nelle alte istanze socialdemocratiche. Il celebre Eduard Bersnstein li attaccherà per la loro attitudine nazionalista nel periodico ‘’Glocke’’. Niekisch non fu marxista ortodosso; concepiva il marxismo come valor di critica sociale, non di Weltanschauung ed immaginava lo stato socialista per interesse di classe, come esecutore del testamento di Weimer e Konigsberg ( Goethe e Kant). Tali idee non furono gradite alla direzione della S.P.D.. Niekisch era isolato all’interno del movimento socialista, ma mantenne relazioni strette con il ‘’Circolo Hofpgeismar’’ della Gioventù Socialista, di cui rappresentava l’ala nazionalista influenzata dalla ‘’Rivoluzione Conservatrice’’. Niekisch scrisse sulla rivista del circolo ‘’Rundbrief ’’ da cui provenirono le fila dei collaboratori quando cominciò la fase del periodico ‘’Der Widerstand’’, fra essi vi era Benedikt Obermayr, che lavorerà poi con Walther Darrè nel Reichsmahrstand. Rientrò nella S.P.D. che, dopo una decisione presa durante la prima guerra mondiale, si fuse con la U.S.P.D., tra il 1922 ed il 1926, da qui maturò una posizione di sinistra nel 1926. La S.P.D., su pressione del suo presidente, limitò Niekisch, escludendolo dal suo posto nel sindacato tessile e nel luglio 1926, anticipò la sua espulsione. Niekisch acquisì un posto nella storia tramite le sue idee rivoluzionarie del XX secolo: considerando problematico lo schema ‘’destra-centro-sinistra’’, si sforzò di raggruppare le migliori forze della destra e della sinistra ( conforme alla celebre immagine del ferro di cavallo, gli estremi di questo si incontrano più che col centro) nella lotta contro un nemico che era all’estero l’Occidente liberale ed il Trattato di Versailles, all’interno, il liberalismo di Weimar. Nel luglio 1926 editò il primo numero della rivista ‘’Der Widerstand’’ ed attrasse importanti frazioni – sia per numero che per il suo attivismo – dal vecchio Freikorps ‘’Bund Oberland’’, aderì alla A.S.P., intendendo utilizzarla come piattaforma per il suo piano di riunione delle forze rivoluzionarie. Si trasferì a Dresda, diresse il periodico dell’A.S.P. ( ‘’Der Volkstaat’’), con una dura lotta contro la politica occidentale di Stresemann, opponendosi al Trattato di Locarno in cui la Germania riconosceva le sue frontiere occidentali come definite e la obbligazione di pagare le riparazioni; lo spirito del Trattato di Rapallo del 1922 in cui l’U.R.S.S. e la Germania decapitata – poveri d’Europa – si unirono solidarmente contro le potenze vincitrici. L’esperienza con la A.S.P. terminò quando il partito fu sconfitto alle elezioni del 1928, ridotto a forza insignificante, Niekisch scrisse le sue opere fondamentali ‘’Gedanken uber deutsche politik’’, ‘’Politik und idee (Erweiterung eines vortrags)’’ del 1929, Widerstands-Verlag-Anna Niekisch, Dresda; ‘’Der politiche raum deutschen Widerstandes’’, Berlino 1931 e ‘’Politik deutschen Widerstandes’’ del 1932. Pubblicista ed editore, fondò l’editrice Widerstand nel 1928, e fece molte conferenze. Si relazionò con personalità (dopo maggio 1929 si trasferì a Berlino): il filosofo Alfred Baeumler lo presentò a Ernst a Friederich Georg Junger, con cui iniziò una stretta collaborazione, mantenne legami con l’ala sinistra della N.S.D.A.P.: il conte Ernst zu Reventlow, Gregor Strasser ( che gli offrì di divenire capo della redazione del ‘’Volkischer Beobachter’’) e Goebbels che fu suo ammiratore. Nell’ottobre 1929, Niekisch era stato l’animatore dall’azione giovanile contro il Piano Young ( altro piano di riparazione, pubblicando nel periodico ‘’Die Kommender’’, il 28 febbraio 1930, un lamento ardente contro questo piano, sottoscritto da tutte le associazioni giovanili tedesche - dalla Lega degli Studenti Nazional-Socialisti alla Gioventù Hitleriana (Hitlerjugend) – e seguito da manifestazioni di massa. I simpatizzanti della sua rivista si organizzarono nel ‘’Circolo Widerstand’’, che celebrarono tre congressi nazionali. Durante gli anni 1930-’32, anno in cui Niekisch viaggiò in U.R.S.S., organizzato dall’ARPLAN fondata dal professor Friedrich Lenz, altra figura preminente del nazionalbolscevismo. Le sue idee non le diffuse in maniera sistematica – fu un rivoluzionario e scrittore da combattimento. Dopo il 1919 Niekisch era stato attento interprete di Spengler ( epoca di livello intellettuale nella destra e nella sinistra in cui vi era una osmosi impensabile nelle circostanze del momento). Vi si oppose in ‘’Kultur’’ e ‘’Zivilisation’’. Le sue concezioni politiche furono influenzate dalla lettura di un articolo di Dostoyevskij che esercitò grande influenza nella Rivoluzione Conservatrice, attraverso Thomas Mann nelle sue ‘’Considerazioni di un impolitico’’ ed Arthur Moeller van der Bruck ‘’Germania, potenza protestante’’ ( dal ‘’Diario di uno scrittore’’, maggio-giugno 1877, capitolo III). Il termine protestante non aveva una connotazione religiosa, ma alludeva all’eco della Germania, quando Arminio aveva protestato contro le pretese romane di dominio universale, ereditate dalla Chiesa Cattolica e dall’idea della Rivoluzione Francese, prolungandosi, come segnalò Thomas Mann circa gli obiettivi dell’Entente che lottò contro la Germania nella I guerra mondiale. L’odio del mondo romano si convertì in un aspetto essenziale del pensiero di Niekisch, le idee dell’articolo di Dostoyevskij rafforzarono le sue concezioni. Faceva risalire la decadenza della Germania ai tempi in cui Carlo Magno realizzò la mattanza della stirpe nobile, obbligando i sopravvissuti a convertirsi al cristianesimo, veleno mortale per i germanici la cui funzione è quella di addomesticare l’eroe germanico col fine di sottoporlo alla schiavitù romana. Proclamò che tutti popoli che difendono la loro libertà dall’ imperialismo occidentale erano obbligati a rompere col cristianesimo per sopravvivere. Niekisch disprezzò il cattolicesimo con l’esaltazione del ‘’Protestantesimo’’ tedesco, non in quanto confessione religiosa ( censurò aspramente il protestantesimo ufficiale, che accusava di riconciliarsi con Roma nella sua comune lotta anti rivoluzionaria) ma come la forma di coscienza orgogliosa del vero tedesco e attitudine aristocratica opposte allo stadio dell’anima e delle masse cattoliche; posizione simile a quella di Rosenberg, difendendo la libertà di coscienza di entrambi contro l’oscurantismo dogmatico (Niekisch recensì sulla sua rivista il testo di Rosenberg ‘’Il mito del XX secolo’’). L’attitudine ostile dell’imperialismo romano contro la Germania continuò nei secoli, i Giudei, i Gesuiti, i framassoni per secoli hanno schiavizzato ed addomesticato i barbari germanici. La unanimità del mondo contro la Germania, si manifestò quando si diede uno stato forte, rivelandosi nella I guerra mondiale quando le potenze vincitrici imposero alla Germania la democrazia ( fenomeno di infiltrazione straniera) per distruggerla. La supremazia della politica sull’economia fu il principio fondamentale del pensiero di Niekisch, influenzato da Carl Schmitt. Contrario al liberalismo borghese, ai principi economici che non danno valore all’uomo, se non economico. L’individualismo borghese ( con lo stato liberale di diritto, libertà individuali, consideranti lo stato come un male) e il materialismo furono individuati come caratteristiche essenziali della democrazia borghese. La sua critica non originale, ma effettiva e sincera del sistema capitalista come sistema motore del benessere privato e non soddisfacente le necessità individuali e collettive, che genera disparità. La borghesia è il nemico interiore che collabora con gli stati occidentali borghesi che opprimono la Germania. Il sistema di Weimar ( democratico, socialista e clericale) rappresentava l’opposto allo spirito e alla volontà statale dei tedeschi ed era il nemico contro il quale si doveva organizzare la ‘’Resistenza’’. Niekisch ebbe un altro concetto fondamentale della ‘’Resistenza’’. La rivista con il medesimo nome aveva come sottotitolo ( primo: Blatter fur sozialistische und nationalrevolutionare politik, luogo: Zeitschrift fur nationalrevolutionare politik) una frase rivelatrice di von Clausewitz: ’’La resistenza è un’attività mediante la quale deve servire a distruggere tante forze del nemico di modo da ottenere che rinunci al suo proposito’’. Niekisch considerava possibile la resistenza perché la situazione di decadenza della Germania era passeggera, non irreversibile e dunque voleva segnalare che il suo pessimismo era ‘’illimitato’’ considerava le sue dichiarazioni in questo sentire come mero effetto retorico, continuare l’attività rivoluzionaria era la miglior prova che mai cedette al pessimismo ed alla demoralizzazione, contro la democrazia parlamentare ed il liberalismo, la forma francese di vita e l’americanismo. Con la medesima esattezza designò gli obbiettivi dell’attitudine di resistenza: l’indipendenza e la libertà della Germania, l’alto valore dello stato, il recupero di tutti i tedeschi che si trovavano sotto il giogo straniero. Con il suo riconoscimento dei valori economici, Niekisch non contrappose a questo nemico una miglior forma di distruzione dei beni materiali e la costruzione di una società del benessere. Non fu interessato agli aspetti socio-economici della rivoluzione russa né alle attitudini del K.P.D.; ma al superamento del mondo borghese, cui voleva innalzarsi asceticamente.
    Il programma di ‘’Resistenza’’ del 1930 mirava a tale considerazione: nel decidere dei beni che l’Europa desidera, nel rifiuto dell’economia internazionale, nella riduzione della popolazione urbana e nella ricostruzione della possibilità della vita contadina, nella volontà di povertà e un modo di vita semplice che doveva opporsi orgogliosamente alla vita raffinata delle potenze imperialiste occidentali, la rinuncia al principio della proprietà privata in cui egli scorgeva il diritto romano, per l’ opposizione nazionale, la proprietà non é un diritto ma implica un servizio al popolo ed allo stato. I suoi obiettivi, che Uwe Sauermannn definì identici a quelli nazionalisti, i sentieri ed i mezzi per conseguirli erano nuovi. Niekisch cercò le forze rivoluzionarie adeguate e si rivolse al movimento operaio. La borghesia ha abusato del concetto ‘’nazionale’’ impiegato come copertura dei propri interessi economici e di classe ha provocato nel lavoratore l’identificazione nei termini ‘’nazionale’’ e ‘’socialreazionario’’, il quale ha portato il proletariato a separarsi dai lacci nazionali per creare per sé solo uno stato e questa attitudine dell’unione del movimento operaio giustifica per Niekisch il fatto che il lavoratore in quanto tale è altra cosa che un borghese frustrato senza più aspirazioni che mira ad un benessere economico ed a un modo di vita identico a quello della borghesia. Il marxismo è una ideologia borghese, nata nel medesimo terreno di coltura del liberalismo e condivide con esso un valore della vita nei termini esclusivamente economici. La responsabilità di tale situazione è della socialdemocrazia che è un liberalismo popolarizzato che fa ottenere al lavoratore nel suo egoismo di classe la sua trasformazione in borghese. La S.P.D. non raggiunse dopo il 1918 la realizzazione dell’indispensabile rivoluzione nazionale e sociale a causa delle responsabilità dei suoi dirigenti, che la trasformarono in una opposizione dentro il sistema capitalista, non rendendola più un partito rivoluzionario: la S.P.D. era un partito liberale e capitalista che impiegava una terminologia socialrivoluzionaria per ingannare i lavoratori. L’analisi di Niekisch per cui tutte le forme di socialismo basate sulla considerazione umanitaria sono tendenze corruttrici che dissolvono la sostanza della volontà guerriera del popolo tedesco. Influenzato dal decisionismo di Carl Schmitt, Niekisch ebbe un’attitudine verso il K.P.D., in opposizione alla S.P.D. collocata nella concezione borghese, infatti il comunismo si basava su istanze elementari. Niekisch apprezzò nella K.P.D. la sua struttura autocratica, la sua approvazione della dittatura. Caratteristica che poteva utilizzare il comunismo come mezzo per cui si poteva percorrere insieme una parte del cammino. Appoggiò il Programma di Liberazione Nazionale e Sociale del K.P.D. del 24 agosto 1930, in cui si dichiarava la lotta totale contro le riparazioni e l’ordine di Versailles, quando si rivelò una tattica orientata a frenare la crescita della N.S.D.A.P. uguale alla linea Schlageter nel 1923. Niekisch denunciò la mala fede dei comunisti circa il problema nazionale e li qualificò incapaci di realizzare il compito a cui aspiravano perché erano solo socialrivoluzionari e poco rivoluzionari. Il ruolo dirigente nel partito rivoluzionario dovrà corrispondere ad una nazionalismo di nuovo corso senza connessioni col vecchio nazionalismo (Niekisch considerava il partito tradizionale dei nazionalisti, il D.N.V.P., incapace della resurrezione tedesca perché si orientava verso l’epoca guglielmina, definitivamente scomparsa). Il nuovo nazionalismo doveva essere socialrivoluzionario, incondizionato, disposto a distruggere ciò che ostacolava l’indipendenza tedesca ed il nuovo nazionalismo, con i compiti di utilizzare l’operaio comunista rivoluzionario, dovrà avere la caratteristica fondamentale di pretendere di sacrificarsi e di servire; il comunismo è un fumo che ascende dove il mondo comincia ad ardere. Il modello della vecchia Prussia o dell’idea di Potsdam, che con i suoi mezzo sangue slavi poteva essere l’antidoto contro la Germania romanizzata. I primi numeri della rivista ‘’Der Widerstand’’instavano per una resurrezione della Germania prussiana, disciplinata e barbara, più preoccupata del potere che dello spirito. O.E. Schuddekopf indicò nell’idea di Potsdam di Niekisch le premesse del nazionalbolscevismo: lo stato totale, l’economia pianificata, l’alleanza con l’U.R.S.S., lo stato dello spirito antiromano, la difesa contro l’occidente, l’incondizionato stato guerriero, la povertà. Nella concezione prussiana vi era l’idea che necessita ai tedeschi: lo ‘’Stato Totale’’, necessario in quanto la Germania, minacciata all’interno dal debito alla sua situazione geografica, necessita di trasformarsi in uno stato militare. Lo Stato Totale deve essere uno strumento di combattimento che deve subordinare tutta l’economia come la cultura e la scienza perchè il popolo tedesco ottenga la sua libertà. Le ragioni del nazionalbolscevismo in cui lo stato non può dipendere da una economia capitalista nella quale l’offerta e la domanda determina il mercato; al contrario, l’economia deve essere subordinata allo stato ed alle sue necessità. Niekisch tenne molte conferenze nell’ambiente militare e nei settori della Reichswehr, ma dal 1933 si distaccò dalla concezione di una ‘’dittatura della Reichswehr’’ che poteva sembrare poco ‘’pura’’ e ‘’prussiana’’ per essere la portatrice della ‘’dittatura nazionale’’. La politica estera ( l’unica politica vera per Spengler) predominava su quella interna e le sue concezioni furono influenzate da Machiavelli ( di cui Niekisch era grande ammiratore, tanto da firmare vari articoli con lo pseudonimo di Niccolò), e dal suo amico Karl Hausofer. Del primo conservò la sua Realpolitik, la sua convinzione della vera essenza della politica che è la lotta dentro lo stato per il potere e la supremazia, dal secondo apprese a pensare secondo le dimensioni della geopolitica, considerando che nella situazione attuale e con maggior motivo avevano peso nella politica mondiale gli stati costruiti sopra i grandi spazi – e come nel 1930 l’Europa Centrale non sarebbe stata una colonia americana, sottomessa alla esplosione economica, alla banalità, alla nullità, al deserto, alla vacuità, della spiritualità americana. Niekisch propose un grande Stato da Vladivostock a Vlessingen, un blocco germano-slavo dominato dallo spirito prussiano in cui impera l’unico collettivismo che può sopportare l’orgoglio umano: il militare. Accettando il concetto di ‘’popoli proletari’’ ( come dicevano i fascisti di sinistra), il nazionalismo di Niekisch era un nazionalismo di liberazione, non sciovinista, i cui obiettivi dovevano essere la distruzione dell’ordine europeo sorto da Versailles e la liquidazione della Società delle Nazioni, strumento delle potenze vincitrici. Il pensiero di Niekisch risuonava come un gioco in comune della Germania con i due stati che avevano saputo riconoscere la ‘’struttura intellettuale’’ occidentale: la Russia bolscevica e l’Italia fascista ( vi era una correlazione tra Niekisch e Ramiro Ledesma Ramos). Nel suo programma di aprile 1930 si accennava a: ‘’le relazioni pubbliche o segrete con tutti i popoli che soffrono come il popolo tedesco l’oppressione da parte delle potenze imperialiste occidentali’’. Fra tali popoli c’erano l’U.R.S.S. ed i popoli coloniali dell’Asia e dell’Africa. Patrimonio comune fra Rivoluzione Conservatrice di Moeller van den Bruck ed il Nazionalbolscevismo, oltre che dei fascisti di sinistra: Ledesma Ramos e Drieu La Rochelle. Niekisch considerava la rivoluzione russa del 1917 come una rivoluzione nazionale più che una rivoluzione sociale. La Russia rischiava la disintegrazione per l’infiltrazione dei valori occidentali in seno alla sua essenza, incendiò di nuovo Mosca per eliminare i suoi invasori, impiegando come combustibile il marxismo. Il sentimento della Rivoluzione Bolscevica: la Russia ricorse all’idea di Potsdam, la elevò all’estremo, verso la dismisura, e creò questo stato assoluto di guerrieri che sottomise la medesima vita quotidiana alla disciplina militare, cui i cittadini sanno sopportare la fame quando occorre battersi, la vita è caricata verso la esplosione di volontà di resistenza. Kerenski era un prestanome dell’occidente che chiedeva di introdurre la democrazia borghese in Russia ( era l’uomo in cui confidavano le potenze della Entente perché la Russia continuasse come loro alleato la guerra contro la Germania). La Rivoluzione Bolscevica fu diretta contro gli stati imperialisti dell’occidente e contro la propria borghesia antinazionale ed esterofila. Niekisch definì il leninismo come ciò che accade del marxismo quando un uomo di Stato geniale lo utilizza per fini di politica nazionale e citava frequentemente la celebre frase di Lenin che si traduceva in un motivo guida di tutti i nazionalbolscevichi, il fattore della causa del popolo: la causa della nazione si convertirà nella causa del popolo. Nelle lotte per il potere fra coloro che presero il posto della dirigenza sovietica dopo la morte di Lenin, le simpatie di Niekisch andavano a Stalin, mentre la sua ostilità verso Trotzkji ( attitudine condivisa da Junger e dagli Strasser). Trotzkji e seguaci incarnavano le forze occidentali, il veleno dell’ovest, le forze della decomposizione ostili ad un ordine nazionale in Russia, per cui appoggiò con soddisfazione la vittoria di Stalin e diede al suo regime la qualificazione di organizzazione di difesa nazionale che libera gli istinti virili e combattenti. Il primo Piano Quinquennale all’epoca in cui Niekisch scriveva era un prodigioso sforzo morale e nazionale destinato ad instaurare l’autarchia. Era l’aspetto politico-militare della pianificazione che affascinava Niekisch, gli aspetti socio-economici (come la stima per il K.P.D.) a stento gli interessavano. La formula: ‘’Collettivismo più pianificazione eguale militarizzazione del popolo’’. Niekisch apprezzava in Russia il contrario di ciò che poteva attrarre gli attuali intellettuali marxisti degenerati: la violenta volontà di produrre per fortificare e difendere lo Stato, la barbarica coscienza dell’esistente…l’atteggiamento guerriero, autocratico, della elite dirigente, che governa dittatorialmente, l’esercito come forma di pratica dell’ascesi per un popolo…’’ Vide nell’U.R.S.S. il compagno ideale dell’alleanza per la Germania, ora che incarnava i valori antioccidentali per i quali si batteva Niekisch. All’epoca l’U.R.S.S. era uno stato isolato visto con diffidenza dall’occidente ed escluso dal sistema delle alleanze, circondato da stati ostili che erano satelliti di Francia ed Inghilterra ( Stati Baltici, Polonia, Romania). Negli anni trenta, l’U.R.S.S. non faceva parte della Società delle Nazioni, né aveva relazioni diplomatiche con l’E.E.U.U. . Un’alleanza Russia – Germania era necessaria per la prima perché la Russia temeva l’Asia, e solo un blocco dall’Atlantico al Pacifico poteva contenere ‘’la marea gialla’’ dalla medesima forma e con la collaborazione tedesca poteva esplorare le immense risorse della Siberia. La Russia appariva a Niekisch come un modello. La Germania non doveva copiare l’idea bolscevica, Niekisch condivise l’opinione dei nazionalisti – doveva, invece, cercare le proprie idee e forme e se la Russia, era d’esempio, la ragione era che doveva organizzare lo stato secondo la ‘’norma di Potsdam’’ ed ispirare la Germania organizzando uno Stato totale antioccidentale. La Germania non imitava la Russia, ma doveva recuperava la sua specificità, alienata durante gli anni di sottomissione allo straniero, che si sarebbe incarnata nello Stato Russo. Gli accordi con la Polonia e la Francia tentati con l’U.R.S.S. erano osservati con inquietudine da Niekisch, che difese l’U.R.S.S. contro le minacce di intervento e contro le campagne per le confessioni religiose. L’imperialismo cattolico romano e i suoi ultimi alleati protestanti, erano per Niekisch una partecipazione della Germania alla crociata contro la Prussia che significava il suicidio. Niekisch oppositore del nazionalsocialismo, era visto dai suoi contemporanei come un nazista. La rivista paracomunista ‘’Aufbruch’’ lo mise nella stessa posizione di Hitler nel 1932; la rivista sovietica ‘’Moskauer rundschau’’ il 30 novembre 1930, qualificò il suo libro ‘’Entscheidung’’ l’opera di un romantico che aveva elevato Nietzsche sulla tavola dei valori. Per i critici moderni come Armin Mohler ciò che Niekisch esigeva durante gli anni sarà realizzato da Hitler, e Faye segnalò che la polemica contro i nazionalsocialisti, per il linguaggio che impiegò, lo collocava sul terreno di questi. Niekisch considerò la N.S.D.A.P. prima del 1923 come un ‘’movimento nazionalrivoluzionario genuinamente tedesco’’. La fondazione del nuovo partito nel 1925 gli fece cambiare idea come la modificherà la sua stima del fascismo italiano. La critica essenziale di Niekisch al nazionalsocialismo nell’opuscolo del 1932 ‘’Hitler, ein deutsch verhagnis’’ che apparì illustrato con disegni impressionanti dall’artista di valore: A. Paul Weber. Dupeux mostrò che questa critica non si effettuava dal punto di vista dell’umanitarismo e della democrazia come è abitudine ai nostri giorni e Sauermann lo qualificò avversario dal fondo essenziale simile. Niekisch considerava come cattolico, romano e fascista il fatto di rivolgersi alle masse e legò alla espressione ‘’assurda’’ (Dupeux), ‘’chi è nazi sarà un preordinato cattolico’’. In questa critica era la manifestazione di una attitudine molto comune negli gli autori della rivoluzione conservatrice che disprezzavano come ‘’demagogia’’ tutto il lavoro entro le masse e che ricordava che Niekisch non fu un tattico né un ‘’politico pratico’’. La diffidenza di Niekisch verso il nazionalsocialismo con le sue origini austriache e bavaresi, considerava con sospetto i tedeschi del sud e dell’ovest influenzati dalla romanità. Niekisch rimproverava al nazionalismo il suo ‘’democratismo’’ rousseauniano che crede nel popolo. Essenziale è lo Stato, per cui sviluppò un vero ‘’culto dello Stato’’. Compreso sin dall’epoca socialdemocratica risulta grottesco qualificarlo come un ‘’duro sindacalista’’. Niekisch commise errori gravi nella sua stima del nazionalismo, come prendere sul serio il ‘’giuramento di legalità’’ pronunciato da Hitler nel corso del processo al tenente Scheringer, sino a sospettare che si trattasse di mera tattica ( Lenin diceva che un rivoluzionario doveva saper utilizzare tutti i mezzi legali ed illegali; servirsi di tutti i mezzi secondo la situazione e questo Hitler lo realizzò alla perfezione) considerando che Hitler si riteneva lontano dal potere nel gennaio 1933. Tali errori possono spiegarsi, come fece Sauermann, perché Niekisch giudicava la N.S.D.A.P. basandosi sulla propaganda elettorale che era nello studio della vera essenza di questo movimento. Il rimprovero fondamentale concerneva la politica estera. Niekisch ammirava Stalin in contrasto con l’assoluto disprezzo che aveva verso Roosevelt e Churchill. Fu contrario alla politica estera, filo-occidentale di Stresemann, per un nazionalismo rivoluzionario antioccidentale, che credeva nella cooperazione tra la Germania e l’U.R.S.S., convinto che lo spirito di Potsdam fosse incarnato dall’U.R.S.S., tentò una sintesi sinergica dell’estremismo nazionalista, diretto contro il Trattato di Versailles, l’influenza francese e la dominazione giudaica mediante il socialismo rivoluzionario ed ebbe qualche influenza nella sinistra nazionalsocialista, tra i giovani Otto e Gregor Strasser, Joseph Goebbels, Ernst Rohm ed altri nazionalisti non nazisti e nazionalrivoluzionari, come Ernst Junger. Niekisch sviluppò una visione storica e politica eurasiatica, basata sull’alleanza tra U.R.S.S., Germania, India e Cina. La figura ideale che suppose essere il motore umano di questa alleanza era l’opposizione alla borghesia. Abbiamo un parallelo con le tesi di Mao-Tse-Tung. Niekisch supportò i movimenti antifrancesi ed antibritannici negli Imperi coloniali, ma anche in Europa ( come i movimenti irlandesi contro l’Inghilterra, quelli delle Fiandre contro i valloni belgi, quello dell’India contro l’Inghilterra); perché non era interessato al potere dello Stato totalitario, anzi lottò contro il potere. Nel 1930 aveva pubblicato la sua opera principale ‘’Entscheidung ( La decisione). Die wochenzeitung fur nationalrevolutionare politik’’, dalla Widerstands-Verlag a Berlino. Nel 1931 si oppose al nazionalsocialismo hitleriano di destra, scrivendo e pubblicando nel 1932 a Berlino ‘’Hitler, ein deutsches verhangnis’’ ( Hitler, una fatalità tedesca), violento pamphlet antihitleriano, in cui tracciava le differenze e le similitudini tra le tesi di Niekisch e le correnti nazionalcomuniste borghesi, fino ad indicarlo come esponente rappresentativo del bolscevismo prussiano, nell’area nazionalrivoluzionaria. Niekisch ebbe un’esperienza ed alcuni rapporti con i gruppi paramilitari: ‘’Oberland’’ e ‘’Wehrwolf’’ che dettero vita alle cellule di Widerstandskameradschaften, alle Widerstand Sozialistischer Gruppen in contatto con la National-Konservativen Widerstandsgruppen. La vita di Niekisch fu un lungo viaggio nel XX secolo per l’affermazione di quella ‘’Terza Figura Imperiale’’ planetaria ispirata al ‘’bolscevismo eroico’’ dei piani quinquennali e della collettivizzazione nell’U.R.S.S. di Stalin. Una figura che ispirò Junger nel suo libro ‘’Der arbeiter’’ ( ‘’L’operaio’’),signore della tecnica, ma con radici volkisch radicate nel nazionalismo proletario germanico anti-occidentale, la cui ratio sarà la tecnica e che soppianterà l’’’eterno romano’’ ( la cui ratio è metafisica) e l’’’eterno giudeo’’ ( la cui ratio è economica). Favorevole al nord germanico contadino e l’est bolscevico retrivo. Contrario all’occidente civilizzatore-capitalista, criticò il sud cattolico-romano. Il comunismo dei Nazionalbolscevichi era assolutamente libero da connotazioni antifasciste ed il loro nazionalismo era libero da connotazioni anticomuniste. Al di là della destra e della sinistra, la Rivoluzione una ed indivisibile nella trinità impossibile che unisce dialetticamente Terza Roma, Terzo Reich e la Terza Internazionale. Il mito degli Angeli, la resurrezione degli eroi, la rivolta del cuore contro la dittatura della ragione. Il Nazionalbolscevismo fu il tentativo, dettato dalla disperazione della borghesia tedesca, di sfuggire alla legge interna dello Stato della Repubblica di Weimar. Niekisch fu membro dell’ARPLAN, Associazione per lo Studio del Piano Quinquennale Sovietica, insieme ad Ernst Junger, Georg Lukacs, Karl Wittfogel e Friedrich Hielscher, sotto i cui auspici visitò l’U.R.S.S. nel 1932. Niekisch reagì favorevolmente alla pubblicazione del testo ‘’Der Arbeiter’’ in cui mostrò un progetto dettagliato per una Germania Nazionalbolscevica. Benché antisemita e favorevole ad uno stato totalitario, Niekisch respinse Adolf Hitler perché sentiva che mancava di ogni reale senso di socialismo. Nel 1937 pubblicò a Berlino il testo ‘’Hitler, inve gehmeimes rekh ’’. Hitler soppresse ‘’Der Widerstand’’. Fu un resistente ed organizzò l’opposizione dei circoli nelle grandi città di Berlino, Monaco, Norimberga e Lipsia, ma senza successo. Il 9 marzo 1933 Niekisch era stato detenuto da un gruppo delle S.A. (Sturm Abteilung) e il suo domicilio registrato. Fu posto in libertà immediatamente, ma la rivista ‘’Entscheidung’’, fondata nell’ottobre 1932 fu sospesa. Widerstand al contrario c continuò ad essere stampata sino al dicembre 1934 e l’editrice con il medesimo nome pubblicò libri sino al 1936 inoltrato. A partire dal 1934 Niekisch viaggiò per tutti i paesi d’Europa, dove ebbe contatti coi circoli della emigrazione. Nel 1935, in una visita a Roma, fu ricevuto da Mussolini. Fu un incontro disteso e cordiale fra due personalità che avevano iniziato la loro carriera politica nel socialismo rivoluzionario. Alla domanda di Mussolini sul perché ce l’avesse con Hitler, Niekisch rispose: ‘’Concordo le vostre parole sopra i popoli proletari’’. Mussolini replicò ‘’Questo è ciò che dico sempre ad Hitler ‘’, ( Scrisse a Mussolini una lettera il 6 marzo 1940, nella quale favoriva il suo accordo con la Russia perché ‘’quello che ha portato il nazionalsocialismo all’ostilità verso il comunismo è solo l’atteggiamento – unilaterale – giudaico-internazionale, e non l’ideologia dello Stato-Stalinista-russo-nazionalista’’). Durante la guerra, Hitler espresse le conseguenze personali che potevano derivarne. Dopo un certo periodo di tempo vissuto in clandestinità, Niekisch, considerato un nemico del Terzo Reich, fu arrestato insieme ai suoi seguaci dei circoli ‘’Resistenza’’, che, tra l’altro avevano cessato di esistere, al constatare che Hitler stasa realizzando realmente la demolizione del diktat di Versailles che avevano tanto combattuto, dalla Gestapo ( Geheimen Staatspolizei), per attività cospiratrice, il 22 marzo 1937 e rinchiuso nella prigione di Brandeburgo. Fu, poi, condannato dalla Corte del Popolo all’ergastolo il 10 gennaio 1939, per alto tradimento ed infrazione alle norme sulla fondazione dei nuovi partiti, rinchiuso in un campo di concentramento con Ernst Toller e Erich Musham, scontò otto anni di carcere sotto il Terzo Reich, per la sua attività di resistente al regime. I capi di accusa che gravarono su di lui furono i manoscritti ritrovati nella sua casa in cui critica nella sua casa in cui criticava Hitler e altri dirigenti del Terzo Reich. L’influenza delle idee di Niekisch è avvalorata dalle sue conferenze, presso i circoli dei suoi amici, dalle relazioni negli ambienti militari, dalla sua attività editoriale e dalla speciale atmosfera di quegli anni in Germania, in cui le idee trasmesse da ‘’Widerstand’’ incontravano un ambiente più recettivo nelle leghe paramilitari, nei movimenti giovanili, le innumerevoli riviste affini, ed i grandi raggruppamenti come la N.S.D.A.P. , lo Stahlhelm e un certo settore dei militanti del K.P.D. . (il passaggio dei militanti dal K.P.D. verso la N.S.D.A.P. e viceversa fu un fenomeno comune negli ultimi anni della Repubblica di Weimar, molti rivoluzionari ripercorsero il tragitto al contrario, prima della salita di Hitler al potere). Fu, poi, liberato il 27 aprile 1945 dall’Armata Rossa, quasi cieco e semiparalitico.
    Nel dopoguerra contrastò la borghesia e la classe media per la sua mancanza di moralità; amareggiato dalla sua esperienza in tempo di guerra si indirizzò contro il nazionalismo e tornò all’ortodossia marxista. Nell’estate 1945, dopo un breve periodo di persecuzione, si affiliò alla K. P.D. (Kommunistischen Partei Deutschland), che dopo la sua fusione in zona sovietica ( futura D.D.R.=Germania Democratica Tedesca) con la S.P.D. nel 1946, si denominò S.E.D. ( Sozialistichen Einheitspartei Deutschlands = Partito Socialista Unificato di Germania), fu eletto deputato al Congresso Popolare, come delegato della Lega Culturale, avendo come assistente alla Camera Werner Maser. Difese la via tedesca al socialismo e si oppose dopo il 1948 alle tendenze circa la divisione permanente della Germania. Nel 1947 fu nominato lettore di sociologia all’università Humboldt di Berlino est e nel 1949 direttore dell’’’Istituto della Investigazione sull’Imperialismo’’, lavorò all’Istituto di Ricerche Sociali nella D.D.R., con il suo assistente Heinz Maus,: in tale anno egli pubblicò uno studio sul problema della elite di Ortega y Gasset. Travolto dalla sua onestà e invalidità, divenne marxista nel dopoguerra, scrivendo nel 1953 il testo ‘’Das Reich der niederen damonen’’, riflettendo sul Terzo Reich, enfatizzò la classe media emergente in Germania ed la loro limitata resistenza morale. Hitler era un criminale che riversava il suo sprezzo e quello della borghesia tedesca.
    La borghesia si adoperò per il governo per cui i nazisti si erano battuti. Niekisch non fu collaborazionista servile: dopo il 1950 i russi non chiedevano alla D.D.R. ( ‘’una via tedesca’’) al socialismo, se non l’essere un satellite docile
    ( come gli americani alla Repubblica Federale Tedesca). La sua abituale criticità lo fece cadere in disgrazia; nel 1951 la sua docenza universitaria fu sospesa e l’Istituto fu chiuso. Nel 1952 fu scomunicato dall’organo ufficiale del Comitato Centrale della S.E.D. a proposito del suo libro del 1952 ‘’Europaische bilanz’’. Niekisch fu accusato di ‘’Pervenire ad erronee conclusioni pessimiste perché, nonostante l’impiego occasionale della terminologia marxista, non impiegava il metodo marxista…La sua concezione della storia era idealista…’’. Il colpo finale glielo diedero gli eventi del 17 giugno 1953 a Berlino, quando fu disilluso dalla brutale repressione dell’insurrezione dei lavoratori che Niekisch considerava come una legittima sollevazione popolare. La successiva repressione cancellò le sue ultime speranze nella D.D.R. e si ritirò dalla politica. Niekisch vecchio ed infermo si dedicò con le sue memorie tentando di dare alla sua antica attitudine di resistenza all’opposizione ad Hitler, cercando di cancellare le tracce della sua opposizione al liberalismo. Aiutato dai membri del suo circolo che erano sopravvissuti, come Josef Drexel, originario membro del Bund Oberland, che si riciclò, convertendosi nel secondo dopoguerra, come magnate della stampa in Franconia. Niekisch voleva una pensione per i suoi anni trascorsi in carcere. Pensione che gli fu negata, attraverso una interminabile catena di processi. I Tribunali fondarono il loro rifiuto in due punti: Niekisch aveva formato parte di una setta nazionalsocialista ed aveva collaborato posteriormente nella condizione dell’altro totalitarismo: D.D.R.. Ostacolo da apparire innocuo Niekisch si deduce dall’esposto. Le sue opere anteriori al 1933 sono impossibili a trovarsi per non essere state rieditate e fatte scomparire nelle biblioteche. Armin Mohler segnalò che Niekisch voleva farsi virulento, e le fotocopie dei suoi scritti circolano tra i giovani tedeschi disillusi dal neomarxismo ( Marcuse e la Scuola di Francoforte). La critica storica gli concede maggior importanza come mostra la piccola-nota bibliografica che include una continuazione di tal uomo che si oppose a tutti i regimi nella Germania del XX secolo, perché non opportunista. I suoi cambiamenti di orientamento furono il prodotto della sua incessante ricerca di uno stato che avrebbe garantito la liberazione della Germania e lo strumento adeguato per raggiungere questo obiettivo. Le sue sofferenze reali meritano rispetto dovuto a che mantiene costantemente le sue idee. Niekisch poteva seguire una carriera burocratica nella S.P.D., accettare lo splendido posto offertogli da Gregor Strasser, esiliato nel 1933, fu chiamato nella D.D.R. … sempre fedele al suo ideale ed operò come credette che doveva fare sin a tenere in conto la disposizione – esplicitata nel ‘’Mein Kampf’’’ – da Hitler ad una intelligenza con l’Italia e l’Inghilterra e l’ostilità verso la Russia erano gli errori essenziali del nazionalsocialismo, per questo orientamento la Germania sarà un ‘’gendarme dell’occidente’’. Questa critica è più coerente che la precedente. L’assurda fiducia di Hitler nel potere legato da un accordo con l’Inghilterra gli fece commettere un grave errore
    ( Dunkerque), circa la sua alleanza con l’Italia, determinata dal sentimento e non dagli interessi, fatale in politica. Circa l’U.R.S.S. tra i collaboratori di Hitler, Goebbels fu seguace di un intendimento inclusa un’alleanza con essa, non solo all’epoca della sua collaborazione con gli Strasser sino alla fine del Terzo Reich, come dimostrò il capo redattore Wilfred von Owen nel suo Diario (‘’Finale Furioso. Mit Goebbels bis zum Ende’’) editato per la prima volta in Buenos Aires nel 1950 e proibito in Germania fino al 1974, apparso nella prestigiosa Grabert-Verlag di Tubinga, e tal male pesò agli antisovietici e filooccidentali di professione. La denuncia che Niekisch realizzò della crociata contro la Russia avrà i toni profetici quando evocherà in una immagine ‘’le ombre del momento in quelle forze…della Germania, dirette contro l’Est, dilapidatrici, eccessivamente tese, esploderanno. Rimarrà un popolo spossato, senza speranza e l’ordine di Versailles sarà più forte che mai’’. Niekisch esercitò durante gli anni 1926-’33 un’influenza reale nella politica tedesca attraverso la diffusione e l’accettazione dei suoi scritti negli ambienti nazionalrivoluzionari che lottarono contro il sistema di Weimar; influenza non quantitativa: la attività di Niekisch mai si orientò alla conquista delle masse nel carattere delle sue idee. Lasciò nel 1954 tutte le cariche, criticò il sistema di regime della D.D.R. e nel 1963, dopo essersi diviso dalla S.E.D. nel febbraio 1955, andò nella Repubblica Federale Tedesca a Berlino ovest. Nel 1957 pubblicò ‘’Das rech der nieberren damonen’’ e nel 1958 fra Berlino e Colonia il testo ’’Gewagtes leben’’. Morì, cieco, il mattino del 23 maggio 1967 a Berlino ovest. Niekisch influenzò l’europeismo rivoluzionario ed il nazionalismo europeo. L’Europa sarà simile agli pseudovalori dell’occidente americanizzato; le sue idee e la sua lotta continuano tenendo un valore esemplare, compreso i nazionalrivoluzionari della Sache dei popoli, quando, nel 1976, collocarono nell’antica vivenda di Niekisch una placa con scritto sopra le frase: ‘’O siamo un popolo rivoluzionario o cessiamo definitivamente di essere un popolo libero’’.
    Antonio Rossiello
    15/04/2007

  7. #27
    Klearchos
    Ospite

    Predefinito

    QUANDO IL FASCISMO SI COLORA DI ROSSO di Archivio Antifascista Venezia Premessa
    Si racconta che una volta Jack Kerouac presentò una sorta di programma politico-culturale della Beat Generation che parlava della "volontà che unisce i nostri gruppi e che ci fa comprendere che gli uomini e le donne devono apprendere il sentimento comunitario al fine di difendersi contro lo spirito di classe, la lotta delle classi, l'odio di classe!" e che si concludeva con l'auspicio "Noi andiamo a vivere presto in comune la nostra vita e la nostra rivoluzione! Una vita comunitaria per la pace, per la prosperità spirituale, per il socialismo".
    Il pubblico composto da "alternativi" di sinistra ne fu entusiasta ma si raggelò subito apprendendo di aver applaudito un discorso pronunciato da Adolf Hitler al Reichstag nel 1937.
    Di simili provocazioni ci sarebbe ancora bisogno.
    In tempi in cui molte cose si confondono, trascolorano e sembrano sempre più assumere contorni incerti, mentre in politica la destra gioca la carta dello sfondamento a sinistra -emblematica l'affermazione elettorale del partito nazional-populista di Haider quale primo "partito operaio" austriaco- e i partiti che si richiamano alla sinistra rincorrono la destra per accreditarsi davanti ad un indistinto elettorato quale garanzia d'ordine, annullando in questo modo la loro identità legata all'idea stessa di liberazione sociale, tutto si presenta come paralizzante quanto sfuggente complessità e di conseguenza constatiamo, come sostiene un attento osservatore di tali implicazioni, di non essere "più in grado di sorvegliare con attenzione la realtà"[1].
    In un presente in cui è possibile riscrivere la storia, ossia la memoria della società, capovolgendo ruoli e parti, col rischio di dover rivivere un passato che troppo in fretta era stato lasciato alle spalle, sta passando quasi inosservata la ricomparsa di un fascismo rivoluzionario che, in contrapposizione anche con la destra borghese e nostalgica, mantiene le sue radici nelle componenti più radicali dei movimenti nazionalisti che portarono al potere Mussolini ed Hitler per poi finire da questi liquidate in quanto ormai incompatibili con il regime, e riprende le esperienze teoriche e organizzative che tra gli anni `60 e `70 cercarono di ritrovare la rotta e nuove sponde tra i marosi della ribellione sociale.
    Anche se per il momento, il ritorno sulle scene europee di queste componenti variamente connotate come nazionalrivoluzionarie, nazionalcomuniste o nazionalcomunitariste non sembra avere la forza per determinare rilevanti cambiamenti negli attuali rapporti sociali, è altrettanto vero che queste avvertono il favorevole mutarsi della situazione internazionale; da un lato infatti la prospettiva della Nazione Europea, da loro da sempre auspicata ed intesa soprattutto come potenza economica-militare, è ormai un "luogo comune" che appartiene in modo trasversale sia alla destra che alla sinistra politica ma, allo stesso tempo, questa comporta l'apertura di nuovi conflitti per l'egemonia tra le varie nazioni e i diversi gruppi economici, così come si assiste ad un'accelerazione delle tensioni tra gli Stati facenti parte dell'Unione Europea e gli USA che rendono tutt'altro che stabile il tanto celebrato nuovo ordine mondiale seguito alla caduta dei regimi dell'Est.
    In questo contesto infatti, la Germania "unificata" è tornata a giocare un ruolo centrale quale principale potenza della Mitteleuropa con la missione storica di mantenere la coesione interna del Vecchio Continente; contemporaneamente, la dissoluzione dell'Unione Sovietica e l'impetuosa ripresa del nazionalismo russo permettono di immaginare la realizzazione di uno spazio geopolitico euro-asiatico così come avrebbero voluto i nazionalbolscevichi tedeschi negli anni Trenta e come venne teorizzato nel dopoguerra da Jean Thiriart che, per fondare il movimento di Jeune Europe poté contare anche su non trascurabili finanziamenti tedeschi.
    Difficile prevedere quali sviluppi futuri e quali margini d'azione politica sullo scacchiere internazionale potranno aprirsi per questa variante del fascismo che, sotto vario nome e con ogni mezzo necessario, persegue l'obiettivo di un nuovo ordine europeo non lontano da quello prefigurato negli originali piani di dominio del Terzo Reich; ma poichè la penetrazione ideologica e culturale, mirante a sostituire l'identità di classe con il mito della comunità di "sangue e suolo" e a soffocare nel nazionalismo ogni ipotesi di liberazione sociale, è la condizione necessaria per imporre nuove gerarchie e immutate logiche di sfruttamento, è più che mai necessario sviluppare l'opposizione antiautoritaria e anticapitalista anche attraverso la ricerca storica e persino l'analisi filologica.
    Se dopo la loro lettura troverete queste pagine allarmanti, il loro intento potrà considerarsi almeno parzialmente raggiunto.
    IL PARADOSSO DELLA CONTRORIVOLUZIONE
    La destra deve diventare sempre più di sinistra.
    (Roberta Angelilli, già simpatizzante di Terza Posizione attualmente eurodeputata di Alleanza Nazionale)
    Il panorama storico e politico del neofascismo è senz'altro complesso e per certi aspetti contraddittorio: vi sono forze che siedono in parlamento ed altre extraparlamentari, si trovano gruppi che si dichiarano tradizionalisti, altri che si professano rivoluzionari e vi sono persino quelli che si definiscono rivoluzionari conservatori o "anarchici di destra"; alcune formazioni si rifanno ai fascismi e altre al nazismo; alcuni settori si accreditano come strenui difensori dei valori cattolici, altri si dichiarano filoislamici, altri ancora sono attraversati dall'esoterismo e vi sono pure quelli che parlano il linguaggio della New o della Next Age.
    Premesso questo non deve sorprendere quindi il fatto che vi siano settori a cui va stretto l'abito della destra e che conseguentemente affermano di collocarsi "oltre la destra e la sinistra", oppure che affermano persino di ritenersi una componente storica del movimento operaio.
    Emblematico a tal riguardo quando scritto solo pochi anni fa da un militante nazional-comunista:
    Il fascismo italiano, quello nato come movimento il 23 marzo del 1919 a Milano, è una costola del pensiero marxista. Esso riconosce l'esattezza delle teorie marxiste del plusvalore, che pensa di restituire ai proletari socializzando le imprese. Esso però respinge l'internazionalismo proletario, naufragato con lo scoppio della prima guerra mondiale, e vuole unire alla lotta sociale quell'Italia, nazione proletaria, contro le potenze plutocratiche allora come oggi padroni del mondo. Esistono varie tendenze in seno al marxismi: stalinisti, maoisti, operaisti, economicisti ecc. (...) Aggiungete dunque i fascisti tra queste tendenze[2].
    Nel più recente passato in Italia si sono peraltro registrati precedenti di questo tipo: basti pensare ai "nazi-maoisti" e a Lotta di Popolo; alle teorizzazioni nazional-popolari di Franco Freda e Paolo Signorelli negli anni '70; all'attività clandestina di gruppi quali i Nuclei Armati Rivoluzionari, Terza Posizione e Costruiamo l'azione che, a cavallo degli anni '70 e '80, pur con impostazioni ideologiche diverse riprendevano almeno parte delle posizioni teoriche del fascismo più radicale.
    Prima vedevo -dirà Valerio Fioravanti, uno dei fondatori dei NAR- che vi erano tre forze che si contrapponevano, e cioè i fascisti, i comunisti e lo Stato democratico, ritenevo che noi fascisti dovessimo appoggiare lo Stato democratico contro i comunisti per poi affrontare il vincitore dello scontro che sarebbe risultato indebolito. In seguito risultò molto più logico il contrario, e cioè appoggiare i comunisti contro lo Stato democratico; (...) questo sia per una minor fiducia nei fascisti, sia per una rivalutazione degli schemi rivoluzionari marxisti-leninisti [3].
    Tutto questo può apparire soltanto un gioco di mascheramenti oppure l'espressione marginale di un ribellismo inclassificabile; la questione invece è assai più seria e basta infatti conoscere un po' di storia per sapere che il termine nazista era semplicemente la contrazione dell'aggettivo nazional-socialista scelto da Hitler per il suo partito, così come aveva voluto la bandiera rossa quale sfondo per la svastica nera su cerchio bianco in quanto doveva rappresentare "l'idea sociale del movimento" [4].
    ALLA SINISTRA DI HITLER
    La definizione che abbiamo dato del fascismo come rivoluzione di destra resta in sostanza comune a tutte le sue varianti.
    (George L. Mosse) [5]
    Il termine "nazionalbolscevismo" comparve per la prima volta in un opuscolo dal titolo omonimo, pubblicato dopo la Prima Guerra Mondiale in Germania, scritto da un accademico di destra, tale Eltzbacher, che di fronte alle sanzioni economiche e all'occupazione militare degli Alleati vittoriosi auspicava una Germania bolscevizzata. Nel biennio 1919 - '20, i comunisti Wolffheim e Laufenberg ripresero queste teorizzazioni, richiamandosi alle tesi di W. Rathenau per la "resistenza armata" di tutto il popolo contro l'imperialismo e, implicitamente, alle classiche tesi fichtiane sullo "Stato corporativo chiuso", battendosi per la collaborazione tra "nazionalisti rivoluzionari" e Partito comunista, sia contro i capitalisti che contro la socialdemocrazia [6].
    Secondo numerosi storici, soprattutto di scuola liberale, tale convergenza tra "opposti estremismi" contro la democrazia non solo vide in seguito la luce ma fu la causa della morte della Repubblica di Weimar e, a supporto di tale tesi si citano come prove il referendum contro il governo prussiano retto dal socialdemocratico Otto Braun e lo sciopero dei trasporti pubblici di Berlino con la strana intesa tra le "camicie brune" delle SA (Sturmabteilung) e la Lega dei combattenti del Fronte Rosso; in realtà però tale visione non tiene conto della guerra civile combattuta strada per strada dai militanti comunisti del K.P.D., assieme agli anarcosindacalisti della F.A.U. (Freie Arbeiter Union) e a settori operai socialdemocratici, contro le squadre naziste. Le responsabilità della sinistra social-comunista tedesca furono semmai altre, a partire dal fallimentare progetto di costruzione di un socialismo di Stato, in grado di eliminare le contraddizioni tra Capitale e Lavoro, fatto proprio dai nazisti e poi usato da Hitler nella costruzione del suo Stato totalitario; inoltre rimane un'ombra inquietante la connivenza di buona parte della sinistra tedesca di fronte al montante antisemitismo.
    La questione centrale resta però in gran parte da indagare e riguarda l'identità "anticapitalista" e "antiborghese" che la propaganda nazionalsocialista seppe costruire attorno al suo effettivo ruolo reazionario e antiproletario, affermandosi anche in settori decisamente popolari; sovente infatti si tende a dimenticare che le prime SA fondate nel '21 erano composte da operai, disoccupati e sottoproletari, e che i veri artefici dell'affermazione nazista nelle roccaforti operaie di Amburgo, Berlino e Lipsia furono dei "filosovietici" come i fratelli Strasser[7] assieme all'organizzazione delle cellule di fabbrica nazionalsocialiste (NSBO) di Reinhold Muchow [8].
    Se si considerano le ricerche statistiche riguardanti la composizione sociale degli elettori del Partito Nazista, dei suoi iscritti e dei membri delle SA c'è di che rimanere allibiti; bastino solo alcune cifre: gli operai dequalificati costituivano tra il '25 e il '33 la categoria sociale più numerosa tra i membri del NSDAP (ossia del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori) e il 62% circa degli squadristi SA erano lavoratori industriali e agricoli [9].
    L'estrazione popolare e proletaria di buona parte delle SA, assieme all'estremismo socialista di alcuni suoi comandanti legati a Gregor Strasser, tra l'altro determinarono tra il dicembre `32 e il gennaio `33 autentici casi di rivolta contro la direzione politica imposta da Hitler; nella Franconia Centrale buona parte delle 6/7.000 "camicie brune" sotto la guida del loro comandante Wilhelm Stegmann costituirono un'organizzazione paramilitare indipendente affermando che le SA dovevano smettere di essere soltanto i "vigili del fuoco" o le "guardie di palazzo". Analoga sedizione si registrò in Assia e a Berlino vi furono scontri tra SA e SS. Inoltre "in diverse parti del paese membri delle SA delusi passarono ai comunisti, che li arruolarono prontamente nei propri reparti paramilitari" [10].
    La corrente "anticapitalista" del nazismo fu molto forte sino ai primi anni Trenta e, oltre che all'interno di ampi settori delle SA, la sua influenza era avvertibile a diversi livelli della società tedesca.
    Nel `33 il presidente dell'Alta Slesia, Bruckner, attaccò con forza i grandi industriali "la cui vita è una continua provocazione". A Berlino, tale Koeler, della Federazione operaia nazista, ebbe a dichiarare: "Il capitalismo si arroga il diritto esclusivo di dare lavoro alle condizioni da lui medesimo stabilite. Questo dominio è immorale e dobbiamo spezzarlo", mentre Kube, capo del gruppo nazista al Landtag prussiano, se la prendeva con i latifondisti ed il governo sollecitando la riforma agraria mediante la confisca prevista dal programma del partito.
    Da tempo ormai però il führer aveva deciso altrimenti incaricando il principale capitalista tedesco, Krupp von Bohlen, della riorganizzazione dell'industria tedesca, mentre il Consiglio generale dell'economia risultava composto da 17 membri, comprendenti tutti i maggiori industriali e i più importanti banchieri della nazione che avevano appoggiato la controrivoluzione nazista.
    Dopo la conquista del potere Hitler, ormai Cancelliere del Reich, avviò pertanto un'opera di spietata normalizzazione interna al fine di "mantenere l'ordine nelle strutture economiche (...) secondo le leggi originarie radicate nell'umana natura"; l'apice di tale stabilizzazione venne raggiunto il 30 giugno 1934 durante "La Notte dei Lunghi Coltelli", quando vennero sterminati un certo numero di politici conservatori scomodi, personalità cattoliche e militari dissidenti, assieme alla "sinistra" del nazionalsocialismo facente capo al capi delle SA di Roehm, e a settori di destra, capeggiati dall'ex-cancelliere generale von Schleicher, che tramavano contro Hitler utilizzando tatticamente anche la corrente "rossa" del Partito nazista che si riconosceva in Gregor Strasser; ma il senso principale del massacro fu quello descritto con precisione da Julius Evola:
    Fra le SA, le Camicie Brune, il cui capo era Ernst Roehm, si era fatta largo l'idea di una "seconda rivoluzione" o di un secondo tempo della rivoluzione; si denunciava il sussistere nel Reich di gruppi "reazionari", che erano quelli della Destra, e una combutta di Hitler coi "baroni dell'esercito e dell'industria" (...) Ebbene, il 30 giugno 1934 valse essenzialmente come lo stroncamento di questa corrente radicalista del partito e di un suo supposto complotto [11].
    D'altra parte fu lo stesso Hitler, durante il discorso pronunciato al Reichstag il 13 luglio seguente, ad assumersi la responsabilità di "giustiziere supremo del popolo tedesco" e a rivendicare la legittimità delle centinaia di assassini compiuti dalle SS e dalla Gestapo che in questo modo avevano sventato una "rivoluzione nazionalbolscevica" [12].
    Sul finire del `34 e ai primi del `35 circa centocinquanta comandanti delle SS furono trovati uccisi; sui loro cadaveri un cartoncino con le lettere R.R. per Roehms Rächer (Vendicatori di Roehm) farebbe pensare ad un'estrema vendetta dei nazisti ormai nemici di Hitler; ma ormai per il Fronte Nero, per Opposizione e per gli altri gruppi della Rivoluzione Conservatrice, su posizioni diverse ma accomunati dalla visione secondo cui Germania e Unione Sovietica avrebbero dovuto dare vita ad un'alleanza anticapitalista in funzione anti-Occidente, non rimaneva che scomparire in attesa di momenti più propizi che si sarebbero presentati sul finire della Seconda Guerra Mondiale.
    Interessante peraltro notare che anche una parte del fascismo russo avrebbe maturato simili convinzioni, giungendo ad affermare che "le aspirazioni nazionali della Russia si sono espresse nell'azione del Partito comunista e dei suoi dirigenti" e ritenendo che lo stalinismo avesse finito per riflettere le loro idee [13].
    Il destino dei sospetti nazionalbolscevichi tedeschi, schedati e perseguitati dalla Gestapo [14], fu in alcuni casi quello dell'eliminazione fisica o della deportazione nei lager [15], tanto che sono stati definiti come i "trotzkisti" del nazionalsocialismo; ma così come difficilmente si può negare che Trotzky sia stato un comunista per il fatto che venne fatto assassinare da Stalin, altrettanto difficilmente si può negare che i nazionalbolscevichi siano stati solo la "sinistra" del movimento nazista e, paradossalmente, lo stesso Hitler fu a modo suo "nazionalbolscevico" quando nel `39 Ribbentrop e Molotov firmarono l'infame patto di non-aggressione tra Germania ed URSS.
    L'EREDITA' POLITICA DI J. THIRIART
    Quando la vittoria non toccasse al Tripartito, i più dei fascisti veri che scampassero al flagello passerebbero al comunismo, con esso farebbero blocco. Sarebbe allora varcato il fosso che separa le due rivoluzioni.
    (P. Drieu La Rochelle, "Italia e Civiltà", 23.5.1944)
    Negli ultimi anni, dopo la sua rifondazione, è tornato a far parlare di sé il ]Partito Comunitario Nazional-europeo (PCN), costituendo un punto di riferimento sia teorico che organizzativo anche per i nazionalcomunitaristi italiani che, dopo aver chiuso la loro esperienza come tendenza più o meno interna al Fronte Nazionale di A.Tilgher, hanno costruito precisi rapporti con questo partito tanto che è andata formandosi una "Rete di lingua italiana" ad esso collegata che pubblica "Nazione Europa", ossia la versione italiana della testata storica del PCN "La Nation Européenne".
    Le origini del PCN sono abbastanza note. All'inizio degli anni '60 ebbe una certa notorietà l'organizzazione Jeune Europe con la sua omonima rivista, entrambe fondate e dirette dal belga Jean-François Thiriart (noto anche con il nome di Jean Tisch), che andò sviluppandosi sino a contare undici sezioni europee, tra cui quella italiana che fu tra le più consistenti e durature [16].
    Ma chi era questo Jean Thiriart, già facente parte degli Amis du Grand Reich Allemand, che affermava di essere disposto anche ad "allearsi col diavolo" e che per riferimenti storici aveva Federico II di Prussia e Stalin? E chi erano i militanti di Jeune Europe che lui stesso definì come "i cavalieri dell'Apocalisse, gli uomini di una situazione disperata"?
    Nato a Liegi da una famiglia di tradizioni liberali, secondo i suoi biografi[17], Thiriart aderì in un primo tempo alla Jeune Garde Socialiste e al Partito Comunista, ma con lo scoppio del Secondo Conflitto Mondiale e l'occupazione tedesca entrò a far parte del Fichte Bund, una formazione legata al movimento nazionalbolscevico di Wolfheim e Laufenberg, arruolandosi poi volontario nelle SS; processato e condannato a morte per collaborazionismo fu quindi graziato e divenne imprenditore nel settore ottico.
    Nel dopoguerra Thiriart fu tra i fondatori del Movement d'Action Civique di cui nel `60 divenne il principale dirigente assieme al dott. Paul Teichmann; pur respingendo la definizione di fascista il MAC assunse subito come proprio simbolo la croce celtica del movimento francese Jeune Nation e risultò essere, secondo lo studioso Michel Géoris-Reitshof, "l'unico movimento fascista serio e organizzato".[18] Il suo organo di stampa si chiamava "Nation Belgique" e proprio sulle sue pagine Thiriart, grazie all'apporto teorico di Henri Moreau, ex-socialista e antisemita, mutilato di guerra per aver combattuto in Russia con le Waffen-SS, cominciò a teorizzare il "comunitarismo" come superamento del fascismo uscito dal conflitto mondiale. Forte della credibilità acquisita in patria Thiriart si candidò, con la sua formazione, alla direzione del neofascismo europeo e, potendo contare su consistenti finanziamenti da parte della Union Miniére belga e della finanziaria tedesca Misereor, fondò Jeune Europe lanciando nel giugno `62 un Manifesto alla Nazione Europea che, significatamente, s'apriva con lo slogan "Né Mosca né Washington" e in cui si faceva appello alla costruzione di "una grande patria comune, una Europa unitaria, potente, comunitarista", "contro la partitocrazia, per la preminenza dell'individuo sul termitaio, perchè l'Africa resti all'Europa".[19] Tra le prime iniziative politiche di Jeune Europe vi fu l'appoggio incondizionato al regime portoghese impegnato in Angola e in Mozambico contro la guerriglia anticolonialista, appoggio che Lisbona avrebbe ricambiato con generosi finanziamenti.
    In breve tempo l'esperienza di Jeune Europe, quale "organizzazione per la formazione di un quadro politico" cosÏ come amava definirsi, si rivelò molto importante rappresentando il tentativo più avanzato del neo-fascismo europeo di uscire dalle posizioni nostalgiche e di mettersi in gioco all'interno dei sommovimenti politici, sociali e culturali dell'epoca, recuperando sia parte dell'eredità storica del "nazionalbolscevismo" tedesco che le teorie di D. La Rochelle e E. Malynski.
    La critica del "mondialismo", successivamente sviluppata da Alain de Benoist e quindi oggi fatta propria da quasi tutta la destra, ha proprio in Thiriart il primo teorico che, fin dai primissimi anni `60, aveva definito il "mondialismo" come
    espressione delle scadute concezioni dell'ideologia liberalborghese e dei suoi derivati che, partendo dalla considerazione che gli uomini sono uguali, ritengono che sia possibile stabilire delle regole generali, applicabili a tutti e in tutti i tempi [20].
    In verità dal 1960 al `62, l'organizzazione si prestò a fornire appoggio politico e logistico, attraverso le sue articolazioni in Belgio, Francia, Spagna, Italia e Germania, all'organizzazione filogolpista OAS che raccoglieva i militari e i colonnelli francesi oltranzisti impegnati in Algeria contro la guerriglia di liberazione nazionale; tale scelta, nettamente in contrasto con l'affermata volontà di schierarsi a fianco dei movimenti nazional-rivoluzionari extraeuropei, venne in seguito motivata con ragioni tattiche francamente poco plausibili.
    Su impulso di Thiriart, nel '62 sembrò che a livello europeo si andasse verso la costituzione di un Partito Nazionale Europeo; nel protocollo costitutivo, rispettivamente firmato a Venezia dallo stesso Thiriart per ]Jeune Europe, da Adolf von Thadden per il Deutsche Reichspartei, da sir Oswald Mosley per l'Union Movement e dal conte Alvise Loredan per il Movimento Sociale Italiano [21], si poteva leggere la seguente solenne dichiarazione d'intenti:
    La data del 4 marzo 1962 deve essere ricordata. Essa segna il giorno della creazione di un Partito nazionale nazionale europeo fondato sull'idea dell'unità europea. A differenza di tutti gli altri partiti e movimenti cosiddetti europei, il nuovo partito non accetta che l'Europa sia un satellite degli Stati Uniti e non rinuncia alla riunificazione dell'Europa e al recupero dei nostri territori orientali, dalla Polonia alla Bulgaria, passando per l'Ungheria [22].
    Il programma politico del Partito Nazionale Europeo fissava quindi questi obiettivi:
    - la creazione di un governo europeo centrale rinnovabile ogni 4 anni;
    - il ritiro immediato delle truppe sovietiche e americane dalle basi europee;
    - la fine dell'ingerenza politica e militare dell'ONU nei problemi europei;
    - la spartizione dell'Africa, in modo che per un terzo risultasse assegnata agli europei e per i rimanenti due terzi agli africani;
    - la riunificazione dell'Europa, da Brest a Bucarest.
    I quattro partiti firmatari si guardarono bene dal mutare i loro nomi in quello di Partito Nazionale Europeo, come era stato deciso dalla Conferenza veneziana e soltanto l'Union Movement adottò come nuovo simbolo la folgore, facendo naufragare sul nascere questo processo di unificazione, poi ripreso anni dopo.
    Nel `63 Jeune Europe proseguiva quindi da sola la sua strada, potendo contare su proprie numerose sezioni, per un totale di circa 20.000 aderenti; oltre che in Belgio e in Europa aveva gruppi affiliati anche in Sud Africa e in America Latina dove assunsero invece la denominazione Joven America [23].
    Nonostante questo rilevante sviluppo internazionale, nell'estate del `63 Jeune Europe entrò in crisi, quando Jean Thiriart si trovò in posizione di minoranza sia a causa della sua intenzione di presentarsi come candidato alle elezioni comunali nel `64 e a quelle legislative del `65, ma soprattutto si rivelò lacerante la questione dell'Alto Adige; i nazionaleuropei belgi e italiani si trovarono infatti contrapposti ai camerati tedeschi-occidentali, austriaci, olandesi e scandinavi, favorevoli alla creazione di uno Stato tirolese indipendente e solidali con i gruppi terroristici che perseguivano tale obiettivo.
    La contraddizione era evidente: da un lato i sostenitori della Nazione Europa, dall'altro gli oltranzisti delle "piccole patrie"; le conseguenze di tale dissidio furono laceranti e le sezioni di diversi paesi abbandonarono Jeune Europe dando vita ad un nuovo raggruppamento internazionale, denominato Europafront, sotto la direzione dell'austriaco Fred Borth, ma di questa frazione si perderanno presto le tracce [24].
    Successivamente, dopo aver liquidato nel `64 i dissidenti interni del gruppo franco-belga di Lecerf, Nancy e Jacquart, e della corrente anticomunista di Teichman, le posizioni di Thiriart dal `65 in poi risulteranno sempre più connotate in senso antiamericano ed è soprattutto a lui che il neo-fascismo deve la più estrema "denuncia dell'Occidente e dei suoi lacchè, la designazione degli Stati Uniti come nemico principale dell'Europa, l'idea di un'Europa indipendente ed unita da Dublino a Vladivostock e l'idea di un'alleanza con i nazionalisti ed i rivoluzionari del Terzo Mondo" [25].
    Allo stesso tempo Thiriart sviluppò le sue posizioni "nazional-comuniste" che individuavano nel Comunitarismo la futura prospettiva del "socialismo nazionaleuropeo" e, coerentemente con tale impostazione, cercò e talvolta stabilì rapporti politici con settori governativi della Yugoslavia di Tito, la Romania di Ceaucescu, la Germania Orientale e la Cina popolare; sul piano organizzativo, dopo il superamento dell'esperienza di ]Jeune Europe, Thiriart dette vita nell'ottobre `65 al Parti Communautaire Européen con "La Nation Européenne" quale giornale di partito, diretto da Gérard Bordes, anche se formalmente espressione del Centre d'études politiques et sociales européenne e fin dall'inizio sia su questa testata che sulla sua versione italiana "La Nazione Europea" non mancheranno articoli, interviste e dichiarazioni di volta in volta a favore del Vietnam, delle lotte di liberazione in America Latina da Peron a Che Guevara, del popolo palestinese, dei Paesi arabi e persino delle Pantere Nere in USA [26].
    Il progetto di un'alleanza tattica tra Cina e Europa in funzione anti-USA se non ebbe risultati concreti nonostante un incontro avvenuto a Bucarest tra lo stesso Thiriart e il primo ministro Chou En-Lai nell'estate del `66, sul piano della cosiddetta immagine servÏ moltissimo ad accreditare i "nazional-europei" presso alcuni gruppi e partitini maoisti, di matrice marxista-leninista, presenti in Europa; tali "relazioni pericolose" non partorirono in realtà iniziative significative, ma sicuramente videro il passaggio di un certo numero di militanti da una parte all'altra, più o meno in buona fede [27].
    Nel `68, i rivoluzionari nazional-europei viaggiarono molto cercando alleati contro l'imperialismo e il sionismo in Algeria, Egitto, Libano, Siria, Palestina, Iraq, allo scopo di creare i presupposti politico-militari per la costituzione di un Esercito Popolare di Liberazione dell'Europa; ma non riuscendo a trovare adeguati sostegni economici, la loro rete organizzativa entrò in crisi: l'ultimo numero de "La Nation Européenne" uscì nel febbraio `69, mentre le diverse sezioni europee si scioglieranno una dopo l'altra - ultima quella italiana nel giugno 1970.
    Lo stesso Thiriart si ritirò dalla politica attiva, mentre una parte dei "quadri" nazional-europei nei primi anni `70 daranno vita ai diversi gruppi di ]Lutte du Peuple che sarà, a tutti gli effetti, l'erede delle sue teorie, così come negli anni `80 con la rifondazione del Parti Communautaire Européen in Belgio e l'uscita in Francia del periodico "Le Partisan Européen" si assisterà ad una loro nuova primavera, sull'onda anche delle alleanze sancite in Russia tra nazionalisti e stalinisti che hanno fatto tornare Thiriart alla politica attiva sino alla sua morte, avvenuta alla fine del `92.
    Nel suo "testamento politico" sta scritto che
    La vita politica di una Nazione si concentra in alcuni centri nervosi: informazione, sindacalismo, movimenti giovanili. Introdursi in questi centri nervosi, progressivamente e silenziosamente, permette di produrvi un giorno dei cortocircuiti.
    Il fatto che lo abbiamo direttamente ripreso da "Nazione Europa" del 19 maggio 2000, ossia dalla nuova serie del settimanale comunitarista del P.C.N., recante in prima pagina l'immagine simbolo del "Che" Guevara, dimostra che il "testimone" di Thiriart è stato raccolto.
    LA SINISTRA NAZIONALE IN ITALIA
    Se Lenin, che ho sempre stimato profondamente, fosse vissuto, il programma dell'Urss sarebbe stato diverso. Avremmo visto con tutta probabilità Fascismo, Nazionalismo e Bolscevismo uniti contro l'altro nemico: la plutocrazia.
    (N. Bombacci) [28]
    Le correnti del socialismo nazionale e corporativo che si era riconosciute nella vagheggiata socializzazione delle imprese durante la Repubblica di Salò, dopo la liberazione ebbero un ruolo importante nella ricostituzione del movimento fascista, dando vita a diverse importanti testate.
    Oltre a "Manifesto" di Pietro Marengo, anche "Rivolta Ideale" sviluppò immediatamente tematiche di sinistra, repubblicane e mazziniane, apertamente filosocialiste, individuando in una "sinistra nazionale" la collocazione del neofascismo unitariamente inteso. Sulla stessa linea "Meridiano d'Italia", al quale la direzione di Franco De Agazio, dal giugno 1946 al marzo 1947, impresse una decisa sterzata a sinistra; e soprattutto "Rosso e Nero", nato il 27 luglio 1946 e diretto da Alberto Giovannini [29].
    Tale sinistra fascista "storica", decisa a non permettere che il neocostituito Movimento Sociale Italiano assumesse posizioni conservatrici e reazionarie, riteneva che l'esperienza della R.S.I. avesse rappresentato una netta cesura col fascismo-regime, nonchè con la monarchia, e condusse una lunga battaglia interna al partito affinchè la sua identità non si confondesse nel coro dell'anticomunismo cattolico-moderato. Inoltre vi era un altro gruppo su posizioni "di sinistra" composto da ex-repubblichini facenti capo a Stanis Ruinas e a "Il Pensiero Nazionale", che rivendicavano l'eredità ideologica del fascismo rivoluzionario ma che avevano ben presto rotto col M.S.I. ed anche con la sinistra missina.
    Una volta sconfitte sia la linea moderata del M.S.I. sotto la guida di De Marsanich, Michelini e del più "duro" Almirante, che comunque non abbandonò mai lo schieramento filoatlantico e l'aspirazione di andare al governo con la Democrazia Cristiana, con il fallimento dell'operazione Tambroni sancito da una vera insurrezione antifascista e l'avvento del centrosinistra, negli anni `60 parvero aprirsi nuovi spazi d'azione per i gruppi fascisti della "sinistra nazionale" che ebbero come punto di riferimento la rivista "L'Orologio", espressione di una linea nazionalpopolare con forti accenti anticlericali, fondata da Luciano Lucci Chiarissi [30].
    La questione della nazione risultò centrale nell'elaborazione teorica de "L'Orologio", articolandosi sul piano interno e su un livello, più vasto, di carattere europeo che diveniva il modo per trasferire in chiave continentale un concetto di nazione uscito sconfitto dalla Seconda Guerra Mondiale. Conseguentemente il problema dell'Europa-nazione portava alla ribellione nei confronti della sua spartizione sancita a Yalta, al rilancio dell'Europa come terza potenza mondiale e al sostegno verso tutte quelle realtà nazionali o nazionaliste che destabilizzavano il falso equilibrio internazionale e che si opponevano, in particolare, all'imperialismo americano ritenuto più estraneo alla cultura europea del comunismo sovietico.
    Il completo sganciamento dell'Europa dalla logica dei blocchi era possibile, secondo i nazionalpopolari, attraverso l'uscita dalla NATO, il riarmo europeo, l'introduzione della moneta unica europea e un sistema economico in cui si riproponevano sia il modello corporativo che accenti autarchici. Una non minore importanza veniva data alla necessaria rivoluzione in ambito culturale che permise a tale rivista di schierarsi incondizionatamente a fianco delle lotte studentesche culminate nel `68, dando vita ai Gruppi de "L'Orologio" e fiancheggiando alcune formazioni missine che, disobbedendo alle direttive del partito, preferivano le barricate dei "rossi" piuttosto che l'ordine democristiano.
    La visita di Nixon, in piena guerra del Vietnam, in Europa e in Italia vide quindi oltre che violente dimostrazioni antimperialiste promosse dai gruppi dell'estrema sinistra, anche la mobilitazione dei gruppi de "L'Orologio" duramente polemici con la posizione filoamericana assunta dalla destra missina, come testimoniano vari volantini diffusi a Pisa [31], firmati sia come Gruppi Nazional-Popolari che come I nazionalrivoluzionari de "L'Orologio" in cui, tra l'altro, veniva affermato che:
    La civiltà europea, la nostra rivoluzione non ha bisogno di bandiere stellate. Se la democrazia puttaniera ha accettato una volta la tua "liberazione", adesso è ora di finirla. Diamo il benservito all'alto protettore americano. Dimostriamo che l'Europa -da Brest a Bucarest- è in grado di difendersi da sola con le sue forze economiche e militari, e, quel che più conta, di riprendere con energie morali e rinnovata coscienza politica il suo posto alla guida del mondo.
    Apparentemente tale impostazione poteva risultare non dissimile alla propaganda neofascista dell'epoca, ma in realtà il riferimento alla rivoluzione europea, da Brest a Bucarest, dimostrava piuttosto la diretta parentela con le tesi di Thiriart e di Jeune Europe, come peraltro confermato da alcuni slogan proposti in quei volantini quali:
    No alle ingerenze della CIA nei sindacati italiani
    No agli agenti del MSI, PSI, PCI, DC, PLI, PRI, PSIUP
    No al SIFAR agli ordini della Casa Bianca
    No al condominio USA-PCI-VATICANO sulla socieà italiana
    Slogan sicuramente incompatibili con la politica filoatlantica e filovaticana del Movimento Sociale Italiano e dei gruppi alla sua destra, quali Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, oscillanti tra radicalismo, golpismo e collusione con gli apparati di Stato.
    Alla fine del `68, "L'Orologio" poteva quindi rivendicare come frutto dell'azione nazionalrivoluzionaria dei suoi gruppi l'occupazione dell'ateneo di Messina in risposta ai tragici fatti di Avola; mentre altre agitazioni a Roma e a Perugia avevano visto il protagonismo del Movimento Studentesco Europeo, altra emanazione universitaria della rivista.
    Confermando la propria avversione allo "spirito di Yalta", veniva quindi attaccato anche il P.C.I. in quanto "gendarme del capitale USA per ordine dell'URSS", come si trova conferma in un volantino ancora del Gruppo Nazional-popolare pisano, datato 2 aprile `69, in occasione della morte di Eisenhower:
    I lacché dell'imperialismo americano piangono la scomparsa di chi, distruggendo l'indipendenza dell'Europa, li ha insediati sui loro seggi di cartapesta. Anche i Comunisti, tanto antiamericani a parole, certamente si associeranno al cordoglio. Ventiquattro anni fa Eisenhower non sottomise solo l'Europa occidentale all'America ma anche quella orientale alla Russia. E i comunisti, da buoni servi di Mosca, lo piangeranno.
    Con il rifluire della contestazione sociale, tra repressione e stragi di Stato, e il ritorno di Almirante alla segreteria del M.S.I., l'esperienza de "L'Orologio" finì per esaurirsi nel `73 mentre sul piano organizzativo, buona parte dei Gruppi Nazional-Popolari sarebbe stata assimilata da Lotta di Popolo.
    DAI NAZIMAOISTI A LOTTA DI POPOLO
    La prima parte del nostro programma è così vasta, che alla sua attuazione può contribuire anche chi si schieri su posizioni politiche avverse.
    (F. Camon) [32]
    Una delle formazioni meno conosciute della destra radicale italiana è senz'altro Lotta di Popolo che, dal `69 sino al `73, anno in cui si autodissolse "per sfuggire alla repressione", si fece notare per le sue posizioni anomale, tanto che i propri aderenti vennero definiti dalla stampa come "nazimaoisti", ricorrendo ad un termine giornalistico apparso già durante il `68.
    Il neonazista Franco "Giorgio" Freda in un'intervista ebbe a commentare tale definizione con le seguenti parole:
    La formula paradossale del "nazimaoismo" - non del tutto falsa, ma anche non del tutto giustificata - permette di scindere i suoi elementi costitutivi, perchè i comunisti mirano a rilevare l'aspetto ]nazi per terrorizzare i compagni e i neofascisti del MSI mirano ad evidenziare gli aspetti maoisti per impaurire i camerati [33].
    In realtà le cose non erano così semplici e la presunta equidistanza di Lotta di Popolo tra destra e sinistra apparve fin da subito quantomeno discutibile e venne pure rifiutata dai diretti interessati [34]; prima però di analizzarne le posizioni è necessario fare un passo indietro per individuarne gli antecedenti.
    Tutto si può far risalire alle lotte sociali che nel fatidico `68 anche in Italia cominciarono a sconvolgere assetti politici e culture dominanti; dentro tali sommovimenti alcuni settori, senz'altro minoritari, dell'estrema destra decisero di "cavalcare la tigre" della contestazione, vedendovi un importante momento di rottura e destabilizzazione dentro cui potevano aprirsi nuovi spazi d'azione politica e penetrazione ideologica, soprattutto nell'ambiente studentesco, preclusi alla tradizionale politica d'ordine portata avanti con forti accenti nostalgici dal MSI.
    Dietro questa scelta "movimentista" sicuramente vi erano propositi di infiltrazione e provocazione, sfruttati anche da ambigui personaggi -quali ad esempio Mario Merlino- in contatto o al servizio degli apparati di polizia; ma vi erano anche esperienze di una qualche originalità ed elaborazioni frutto di apporti intellettuali assai diversi, da Evola al situazionismo.
    Fin dall'inizio degli anni `60, come si è visto, operava a livello europeo l'organizzazione Jeune Europe; il pensiero e i programmi di Thiriart incontrarono anche in Italia un buon interesse tra militanti e teorici neo-fascisti già in rotta col MSI, accusato di portare avanti una linea politica subalterna alla Democrazia Cristiana, tanto che la sezione italiana della Jeune Europe sarebbe risultata come la più consistente; inoltre non mancarono i collaboratori italiani (Claudio Mutti, Claudio Orsi, Franco Freda, Antonio Lombardo, tanto per citare i più noti e rappresentativi [35] sia all'omonima rivista che, in un secondo momento, a "La Nation Européenne", organo del Parti Communautaire Européen anch'esso fondato da Thiriart [36].
    In Italia Jeune Europe ebbe inizialmente tre diverse sezioni: una facente capo alla preesistente Giovane Nazione[37] (recapito Casella Postale 1056 Milano) col suo organo di stampa "Europa combattente", diretta da Antonino De Bono, Spartaco Paganini, Pierfranco Bruschi, Cinquemani e Claudio Orsi che nel `63 a Ferrara si costituì ufficialmente come Giovane Europa; l'altra era il Movimento Politico Ordine Nuovo presso la cui sede romana in via della Pietra 84 per qualche tempo risultò esserci il recapito della sezione italiana di Jeune Europe e il gruppo di "Quaderni Neri" di Salvatore Francia (recapito Casella Postale 332 Torino).[38].
    Durante il `68, l'area militante che in Italia faceva riferimento a ]Jeune Europe, talvolta assieme ai gruppi romani Primula Goliardica e Nuova Caravella[39], seguì le vicende del movimento studentesco, rivendicando -a posteriori- d'essere stati a fianco dei "rivoluzionari" sia nelle occupazioni che durante gli scontri che avvennero all'Università di Roma, nel febbraio contro i picchiatori guidati da Almirante e Caradonna e a marzo contro la polizia a Valle Giulia.
    Su questa partecipazione, nonostante i fiumi d'inchiostro versati per raccontare il `68, si sa molto poco ma comunque, aldilà della partecipazione di alcuni nuclei militanti agli scontri di piazza e la comparsa di talune scritte murali quali "Hitler e Mao uniti nella lotta" o "Viva la dittatura fascista del proletariato" comparse in quel periodo che ispirarono appunto l'invenzione giornalistica dei "nazimaoisti" [40], non sembra essere stato un fenomeno politico rilevante, solo in qualche rara circostanza i "nazional-europei" riuscirono a rompere l'isolamento e la diffidenza che, non senza ragione, li circondava sia per la propria intrinseca ambiguità ideologica sia in conseguenza dell'attività compiuta da alcuni specialisti della provocazione e della delazione all'interno di queste dinamiche; inoltre con il declino a livello internazionale dell'organizzazione facente capo a Thiriart -il trentesimo ed ultimo numero de "La Nation Européenne" è dell'inizio del `69- molti militanti cominciarono ad arruolarsi nelle file di Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale [41].
    Per far fronte a questa situazione, nei primi giorni del `69 la neocostituita Organizzazione Lotta di Popolo (O.L.P.), "iniziava il cammino verso la costruzione di un'avanguardia che puntasse, insieme ad altre forze, alla creazione del partito rivoluzionario del popolo" (da un documento del gennaio 1970), raccogliendo i militanti reduci di ]Jeune Europe e di altre esperienze quali il Movimento Studentesco Operaio d'Avanguardia, fondato alla facoltà di Giurisprudenza di Roma da Serafino De Luia; parte di Primula Goliardica di Roma; Avanguardia di Popolo di Pietro Golia a Napoli e altri preesistenti nuclei nazional-rivoluzionari legati a "L'Orologio", sicuramente presenti in Lombardia, Toscana e Meridione, sotto sigle quali Movimento Studentesco Europeo, Potere Europeo, Università Europea, etc.
    Se la protesta anti-USA per la guerra in Vietnam e la critica sviluppata dal movimento studentesco contro l'indirizzo riformista del PCI avevano rappresentato altrettante ghiotte occasioni in cui inserirsi ed intervenire politicamente, sul piano ideologico il terreno della "rivoluzione culturale cinese" fu quello che si rivelò più interessante per la nuova organizzazione che, da questo punto di vista, andò oltre persino la visione di Thiriart, interessato alla Cina maoista soltanto come potenziale alleato nella "guerra di liberazione europea"; non fu quindi un caso che i militanti di Lotta di Popolo scelsero tale nome, attingendo alla terminologia maoista peraltro ben presente nell'immaginario dell'estrema sinistra, dai partitini "filo-cinesi" a Lotta Continua [42].
    Usando la situazione di Pisa come punto d'osservazione, nell'aprile `69, i nazionalpopolari pisani che si erano anche firmati come "compagni della Sinistra", ora sotto la firma La Lega del Popolo, intervennero con un documentato volantino sull'uccisione a Battipaglia di due braccianti da parte della polizia, accusando la violenza del "sistema" e i "borghesi complessati disturbati dai loro traffici di carne umana".
    In un successivo volantino, datato 27 aprile `69, La Lega del Popolo spiegava l'abbandono della precedente denominazione nei seguenti termini:
    "La sinistra" é il nome che ci ha seguito in questo periodo di lotta contro il sistema capitalista.
    Fu scelto, questo, perché ci si voleva collegare ad una tradizione di lotte progressiste e rivoluzionarie (...)
    La borghesia in tutti i paesi elabora due sistemi di governo: due metodi di potere che ora si contrappongono, ora si alternano, ora si intrecciano. Il primo é il metodo della violenza, del rifiuto di ogni riforma (=fascisti, colonnelli, scelbini). Il secondo é il metodo del "liberalismo", dei cauti passi in direzione dell'ampliamento (fasullo) dei diritti politici, delle (false) riforme, delle concessioni (=partiti e governi democratici-borghesi).
    "La sinistra" é diventato un termine integrato nel sistema e come tale lo rifiutiamo senza rimpianti. Il mondo si muove e noi non stiamo fermi .
    Ovviamente non é solo un nome che cambia, ma é tutta una prassi che si va perfezionando (...)
    Come prima, come sempre il discorso che portiamo avanti é aperto a tutti...
    In effetti, qualcosa della "linea" nazionalrivoluzionaria precedente stava cambiando e da quel momento tenderà ad assumere connotati ancor più marcatamente sociali ed accenti anarchicheggianti, come testimonia un volantino del 16 agosto `69 sul problema della casa, in cui si dichiarava che "il ricatto della casa e del fitto, non è che un'altra faccia dello sfruttamento che soffriamo nelle fabbriche, negli uffici per colpa del sistema capitalistico", volantino che si concludeva con i seguenti slogan
    Nell'unità rivoluzionaria la vittoria.
    Per una SOCIETA' LIBERTARIA E COMUNITARIA
    Questa impostazione si continuerà a riscontrare anche nei mesi successivi, sia a livello nazionale che locale, e nei primi mesi dell'anno seguente si registrerà un intenso attivismo, mentre ormai Lotta di Popolo si estendeva anche fuori dell'Italia nel tentativo di ricostruire la precedente rete nazional-europea, con la nascita di proprie sezioni in Francia, Germania, Spagna [43]; i nomi più accreditati quali dirigenti dell'organizzazione risultano essere stati Sergio Donaudi, Gianni Marino, Aldo Guarino, Ugo Gaudenzi, Enzo Maria Dantini, Serafino Di Luia, Franco Stolzo.
    Per quanto riguarda l'Italia, Lotta di Popolo aveva una sua rilevanza militante soprattutto a Roma, incentrando la sua attività nei dintorni dell'Ateneo e nel quartiere popolare e antifascista di S. Lorenzo, dove mantenne per alcuni anni una sede in via G. Giraud 4 e un'altra in via dei Marrucini 8/A, scontrandosi più volte con studenti di sinistra, attivisti del PCI e militanti della sinistra rivoluzionaria; inoltre risultava particolarmente attiva in Lombardia, con una forte sezione in particolare a Bergamo, con sede in via S. Alessandro 80, dove comunque la propria collocazione a destra risultava un fatto scontato, oltre che per la generalità della sinistra, anche per le stesse autorità [44].
    Altre sezioni erano presenti senz'altro a Napoli, con sede in salita S. Antonio a Tarsia 30; a Velletri dove veniva stampato anche il giornale, a Milano, Cremona, Como, Imperia e in Lucania (Matera, Montalbano, Policoro) [45]; secondo un'inchiesta pubblicata nel `71 sul settimanale "Panorama" Lotta di Popolo poteva contare su 500 aderenti in tutta Italia, di cui 100 in Lombardia.
    Nel foglio omonimo "Lotta di Popolo", nel gennaio 1970, l'organizzazione farà il punto della situazione politica generale, compresa una sintetica analisi critica dei gruppi della sinistra extraparlamentare (Il Manifesto, Potere Operaio, Lotta Continua), descrivendo le proprie esperienze d'intervento all'interno delle scontro sociale, soprattutto in ambito studentesco e in alcune zone del Sud.
    Oltre alla denuncia della "vecchia tesi degli opposti estremismi (fascismo-antifascismo)", immancabili in tale documento anche alcuni riferimenti alle "bombe di Milano" e "all'assassinio di Pinelli" avvenuti appena due mesi prima; in realtà neanche Lotta di Popolo che sostenne l'innocenza sia di Freda che di Valpreda, fu indenne da frequentazioni filogolpiste, come dimostrano sia la partecipazione in Italia e all'estero a convegni dove erano presenti anche i rappresentanti di Ordine Nuovo, di Avanguardia Nazionale e del Fronte Nazionale di Junio Valerio Borghese, sia le biografie tutt'altro che cristalline di alcuni suoi fondatori e dirigenti che mal si coniugano con la denuncia della "strategia della tensione" fatta su "Lotta di Popolo" come una manovra "richiesta dalla grande industria e sostenuta sul piano parlamentare dal PSI, dal PCI e dalla sinistra democristiana per distrarre le forze popolari dalla lotta al sistema borghese" mentre "le piccole e le medie industrie si appoggiano al PSDI e, in secondo ordine, alle forze della destra parlamentare" mirando "all'instaurazione di un governo forte, di tipo gollista, se non addirittura di tipo greco" [46].
    Nei primi mesi del `70 si sarebbe quindi assistito ad una rinnovata attività contro la NATO, con la diffusione in diverse città, di un volantino firmato dai Gruppi Nazional-Popolari in cui si tornava ad attaccare la divisione in blocchi del mondo sancita a Yalta e il trattato di non proliferazione nucleare voluto da USA e URSS a scapito in primo luogo dell'Europa la cui possibile indipendenza "attirerebbe inevitabilmente a sé anche le nazioni dell'Europa Orientale, che attualmente mordono il freno sotto il giogo sovietico" [47]. Ai primi di febbraio a Pisa La Lega del Popolo, dopo alcuni provvedimenti repressivi registrati nei Licei cittadini contro gli studenti, diffondeva un volantino in cui tali episodi vengono inseriti nella "solita repressione che ha colpito e colpisce, prima e ora, il movimento di lotta" ed indiceva un'assemblea-dibattito sul tema "Lotta di Popolo per una Società Libertaria e Comunitaria contro il capitalismo e l'opportunismo", tentando di coinvolgere la locale Federazione anarchica.
    D'altra parte un altro volantino col significativo titolo "La fantasia al posto del potere", diffuso a Roma alla fine del marzo `70 a firma Gruppo Nazional-Popolari - Lotta di Popolo, dalle iniziali posizioni filo-maoiste si nota un'ulteriore mutazione ideologica in senso anarchico-situazionista.
    In tale volantino, tra l'altro, si poteva leggere:
    ...e venga pure il caos se il caos è creativo.
    Per questo noi non vogliamo il potere ma la distruzione del potere.
    (...) SERVITE IL POPOLO, DIO O LA PATRIA PERCHE' SIETE DEI SERVI E SENZA PADRONI NON SAPRESTE COSA FARE. LA VOSTRA E' LA LOGICA DEI DISOCCUPATI E NON DI UOMINI LIBERI.
    Un mondo senza capi finalmente, dove ogni individuo partecipi alla vita in comune, apportando la propria collaborazione non come dovere ma come scelta consapevole.
    Perché è tempo che l'uomo non comandi più sull'uomo, mascherando frustrazioni o meschine vanità provinciali dietro verità sacre eterne proletarie divine o patriottiche.
    Noi non conosciamo le classi ma solo uomini come individualità perché la società è un insieme di individui e opprimere un individuo nella sua persona significa mutilare tutta la comunità, come pure opprimere la comunità significa colpire l'individuo [48].
    Come si può facilmente notare, il linguaggio era ora completamente cambiato e non meno decisamente sembra superata la fase dell'innamoramento per Mao; da sottolineare che Servire il Popolo, a cui si allude, era il nome di uno dei più importanti gruppi maoisti di quegli anni.
    In un altro volantino, diffuso a Bergamo a firma Lotta di Popolo più o meno nello stesso periodo, con toni meno ribellistici, veniva invece riaffermato che "antifascismo e anticomunismo sono false contrapposizioni create dal sistema per incanalare le forze rivoluzionarie" e veniva rilanciata l'unità del popolo italiano "al di fuori e contro le istituzioni" per liberarsi "dall'oppressione politica, economica e culturale dell'imperialismo russo-americano e dei suoi alleati, Vaticano e sionismo internazionale." [49]
    Nell'anno successivo nel `71, Lotta di Popolo, precisa la sua critica delle ideologie "strumenti in mano a chi vuole il popolo diviso e contrapposto" e ridefinisce il suo programma, abbandonando le precedenti infatuazioni sia filomaoiste che anarcoidi e tornando al nazional-comunitarismo di Thiriart, come si può facilmente apprendere dal seguente brano, in cui peraltro non si perdeva occasione di citare come movimenti esemplari l'IRA, Al Fatah, i Vietcong e il Black Panthers Party:
    Occorre che i pochi elementi lucidi dei gruppi marxisti-leninisti si scrollino dalla testa - per amore o per forza - le proprie illusioni e le proprie superficialità (...) è ormai un dato di fatto che la maggior parte degli operai è del tutto integrata nella borghesia e ne ha accettato completamente la concezione mercantile e consumistica della vita.
    La realtà è ben diversa e molto lontana dalle "analisi di classe" tanto di moda di questi tempi: lo stesso comunismo ha dimostrato in ogni tempo che le proprie possibilità di consolidarsi si sono sempre identificate con i potenti imperativi di un popolo: lo capì per primo Stalin sia "russificando" il comunismo malgrado l'opposizione, subito stroncata, sia di Trotsky, ricorrendo agli istinti "nazionali" del popolo russo (...) è proprio questo potente richiamo alla comunità nazionale di un popolo che è riuscito - o sta riuscendo - a modellare delle incerte istanze di libertà dallo sfruttamento economico o razziale, in lotta armata contro gli oppressori. [50]
    Analoghi accenti si riscontrano in un pamphlet semi-clandestino diffuso nel luglio/agosto 1971, in cui il ruolo dell'Europa torna ad essere centrale secondo la visione di Thiriart, assieme ad un'allusione al denaro e all'usura facilmente interpretabile in chiave antiebraica [51].
    Nella presente situazione storica l'unica realtà rivoluzionaria che sia in grado di affrontare e sconfiggere il capitalimperialismo, e delineare la marcia di un ordine umano autentico, può essere rappresentata da un'Europa liberata ed edificata attraverso una lotta di popolo.
    Un'Europa che trovi la sua unità nella maturazione e nella convergenza rivoluzionaria dei Popoli Europei: non Terzo Blocco teso a farsi terzo imperialismo, ma forza-guida di tutti i popoli oppressi e sfruttati volta a spezzare la Santa Alleanza sovietico-statunitense ed a liberare l'uomo dalla sopraffazione del denaro e del tecnicismo asservito all'Usura.
    Meritevole di considerazione anche lo sforzo in tale documento di andare a definire non solo un'alternativa culturale ma persino "un'etica nuova":
    Bisogna abituare le masse alla lotta permanente e alla diffidenza sistematica nei confronti di tutto ciò che Ë "ufficiale" e "tipico" di "questa" società e di questa" cultura (...) Tutte le azioni politiche, sociali, culturali, sindacali, sono quindi valide quando servono ad accendere e mantenere uno stato di tensione ideale e sociale in un senso rivoluzionario antiborghese, e la valutazione della loro utilità prescinderà sempre dai risultati contingenti dell'azione stessa (...) La lotta rivoluzionaria pertanto, contro ogni giudizio negativo basato sul metro del costume borghese o sull'interpretazione borghese del diritto e della morale, possiede un alto contenuto etico.
    Molto meno radicale appare invece la "Società integrale" teorizzata da Lotta di Popolo, una comunità organica dove "il potere politico non sarà condizionato dal potere economico" in cui "il capitale quindi non sarà più il motore ed il fine del moto sociale, ma solo uno strumento della civile convivenza sotto la coordinazione del potere politico", affermazioni che rimandano al concetto di "soldati politici" cara a tutti i fascisti rivoluzionari che, fatalmente, ne confermano la fedeltà alla gerarchia e allo Stato.
    A conferma di tale orientamento vi sono lo stesso Manifesto programmatico dell'O.L.P. e un esteso documento teorico del `72 in cui si contrapponeva al concetto "borghese" di classe quelli di popolo e, in primo luogo, di comunità nazionale; conseguentemente "l'obiettivo politico della lotta è lo stato di popolo (...) al di fuori e contro le false contrapposizioni ideologiche", in cui "l'autogestione significa coscienza popolare delle scelte politiche ed economiche generali e partecipazione totale alla loro realizzazione" [52].
    NAZIONALBOLSCEVICHI OGGI [53]
    Questa Europa ha bisogno di costruttori dai pugni solidi e rudi. Ha cento volte più bisogno di soldati che di avvocati, cento volte più bisogno di acciaio che di letteratura, cento volte più bisogno di capi che di riformatori.
    (J. Thiriart)
    Oltre che in Russia, anche in Europa - Italia compresa - negli ultimi anni si va assistendo ad una certa fioritura di partiti, gruppi, giornali che si richiamano esplicitamente all'esperienza tedesca del "nazionalbolscevismo": rifiutano d'essere collocati nello schieramento della destra borghese, si oppongono al capitalismo e alla Globalizzazione, prospettano la creazione di uno "spazio euroasiatico" in funzione antiamericana, sostengono tutti i movimenti antimperialisti e tutte le nazioni che si contrappongono agli USA, dall'Iraq alla Serbia alla Corea del Nord.
    In Italia tra le più "vecchie" testate di riferimento per questa area vanno segnalate la rivista "Orion", fondata agli inizi degli anni '80 ed oggi collegata all'esperienza di Sinergie Europee ed alla Società Editrice Barbarossa che recentemente ha pubblicato un saggio proprio sul Nazionalcomunismo; attorno ad "Orion" per un certo tempo si formarono due gruppi, Nuova Azione di Marco Battarra e Forza Nuova (da non confondersi con l'omonima formazione neofascista fondata nel `97), scioltisi e presumibilmente confluiti nel Movimento Antagonista - Sinistra Nazionale, nato attorno al mensile "Aurora", uscito la prima volta nel 1988, su iniziativa di ex-rautiani facenti capo alla Comunità Politica "B. Niccolai" con sede a Modigliana (Fo) e al Circolo "A. Romualdi" di Cento (Fe).
    Tra gli animatori di "Orion" vi è Maurizio Murelli, vecchio arnese dello squadrismo fascista degli anni Settanta, che all'indomani del crollo del socialismo reale in Russia affermava:
    Per gli stalinisti, per i nazionalisti, per gli zaristi, per tutte le espressioni panslaviste e ortodosse, il pericolo è l'Occidente, la sua cultura, la sua economia. Quindi una alleanza operativa è naturale, è logica (...) Innaturale è invece la rigidità e l'ostilità dei veri comunisti nei confronti della destra che si è allontanata dal MSI ed è tornata alle origini fasciste in senso antiamericano, anticapitalista [54].
    Tra le firme più significative comparse invece su "Aurora" vi è quella del già citato teorico, convertito alla fede musulmana, Claudio Mutti, autore tra l'altro di un testo dal titolo "Nazismo e Islam", in cui vi sono messe in risalto le reciproche convergenze ed esaltata la storia della 13ma Divisione SS, formata da musulmani della Bosnia-Erzegovina, che combatterono a fianco dei cattolicissimi Ustascia croati, contro i partigiani jugoslavi.
    Dopo la nascita del Fronte Nazionale di Adriano Tilgher ('97), fuoriuscito dal Movimento Sociale Fiamma Tricolore, sicuramente all'interno del neo-partitino vi era presente una non trascurabile componente e una buona incidenza culturale "nazionalbolscevica"; interessante a riguardo il n. 10 dell'ottobre '98 di "Fronte Nazionale" dove in prima pagina era possibile leggere un editoriale dal titolo emblematico "Da Mosca una speranza" e all'interno vi veniva definito lo "Spazio Autarchico Europeo", comprendente "necessariamente la Russia e gli Stati facenti parte dell'ex URSS", come orizzonte strategico della "federazione dei popoli europei contro il globalismo finanziario".
    Durante l'esperienza della "Linea comunitarista" all'interno del Fronte Nazionale è nato un nuovo periodico, inizialmente "Bollettino del Fronte Olista", dal titolo accattivante "Rosso è Nero"; le ragioni del titolo sono apertamente rivendicate nel richiamarsi ai cosiddetti "fascisti rossi" ossia a quella componente "socialistica" propria del primo fascismo "diciannovista", poi riemersa durante i 600 giorni della Repubblica Sociale italiana all'ombra dell'occupazione nazista [55], ma nella testata vi è da subito anche un'accentuata rivendicazione dell'esperienza storica del nazionalbolscevismo tedesco degli anni '20 e `30, tanto che viene recuperato il simbolo dell'aquila prussiana con la spada, la falce e il martello che compariva sulla rivista poi soppressa dal regime hitleriano.
    Il primo numero reca la data del novembre '98, non appare ideologicamente del tutto connotato, forse per alimentare il dibattito in seno al Fronte Nazionale; infatti nel suo principale articolo viene esposta la posizione "nazionalcomunitaria", partendo dal consueto superamento dei concetti di destra e sinistra:
    Il fascista cattivo e nostalgico non mette paura a nessuno, anzi è utile e funzionale al sistema. Quello che mette veramente paura è il rivoluzionario (...) Questo non significa certo diventare di sinistra, perché questa sinistra ci disgusta quanto la destra. Significa oltrepassare i limiti imposti dalla cultura borghese e creare una nuova concezione della politica
    al fine di "articolare un fronte nazionale, popolare, socialista e libertario", riproponendo le stesse parole d'ordine usate come abbiamo visto negli anni Settanta dai gruppi vicini a "L'Orologio" e a "Lotta di Popolo".
    Accanto a questa dichiarazione d'intenti, nel giornale si trovavano altri contributi alquanto eterogenei, tra cui una sconcertante divagazione "celtico-maremmano-western" di un collaboratore, che poi diventerà una presenza costante sulle pagine del giornale, desideroso di
    Fare un popolo con le sue città, un popolo a cavallo, uomini e donne nel sole e nel vento, con archi e frecce, con dardi appuntiti di legno duro a caccia di cinghiali, da cuocere al fuoco nella festa del sole, nel giorno sacro del raccolto ed in quello della semina.
    Assai più inquietante era invece un articolo su Osama Bin Laden, che si concludeva con un'aperta apologia del nazismo:
    La Legione di Osama raccoglie elementi da tutte le nazioni arabe, come le SS da tutte le nazioni ariane. L'esaltazione della spiritualità semita ricorda l'interesse nazionalsocialista per la spiritualità ariana, soffocata nel sangue dall'intollerante eresia giudaica, trionfante nella confusione razziale a Roma negli ultimi anni dell'Impero.
    Nel secondo numero di "Rosso è Nero" (marzo '99), venivano pubblicati due articoli alquanto "istruttivi" che affrontavano la questione dell'immigrazione dal punto di vista del Fronte Nazionale (impegnato in una campagna nazionale "per il lavoro agli Italiani") e della sua componente "comunitarista". Vi si affermavano cose che contrastano in modo evidente con l'attuale "rifiuto di ogni forma di razzismo e xenofobia" proclamato da questi signori, appena un anno dopo. In particolare vi si poteva leggere che la "primaria emergenza storica attuale" sarebbe
    la rinascita nazionale, della difesa etnica e della identità e tradizione Euro-Italica, contro una mondializzazione aggressiva ed imperante su tutto l'occidente europeo, dove fenomeni come immigrazione e multirazzialità conseguente, sono strumento di un unico progetto Capital-massonico planetario.
    Tali tesi infatti, figlie dirette delle teorie "differenzialiste" di Alain de Benoist, risultano pressoché identiche a quelle di tutta la propaganda anti-immigrati della Lega Nord, di Forza Nuova o di "Fiamma Tricolore" da cui i nazionalcomunitaristi vorrebbero prendere le distanze. Nel successivo terzo numero (ottobre '99), veniva sancita l'uscita-espulsione della componente comunitarista dal Fronte Nazionale, sostenendo che era ormai venuto il momento che "l'area nazionalrivoluzionaria e nazionalcomunista può e deve intraprendere una necessaria revisione dottrinaria ed ideologica (...) per trovare una sua strada del tutto autonoma" e richiamandosi all'esperienza del Partito Comunitarista Nazionaeuropeo attivo in Belgio, Francia, Germania. Le ragioni del "divorzio" dal Fronte Nazionale sembrano riconducibili alla linea politica scelta da Tilgher che lo ha riportato a più tradizionali intese con "Fiamma Tricolore" di Rauti e a schieramenti elettorali a sostegno del tanto odiato, ma sicuramente redditizio, Polo berlusconiano; per sottolineare la "svolta" in tale numero di "Rosso è Nero" compariva una grande quantità di riferimenti "estremisti": dall'elaborazione antiautoritaria di A. Bihr al subcomandante Marcos, dal comunista-anarchico Carlo Cafiero a Stalin celebrato quale "vero nazional bolscevico", dal Mussolini socialista a Francesco Guccini. Dentro questo collage viene comunque inserito anche un corposo intervento del noto Claudio Mutti sulla "guerra di civiltà che contrappone l'Europa all'Occidente" e, in un altro articolo, il solito Paolo Seghedoni conferma la precedente linea in materia d'immigrazione, con argomentazioni che non meritano commenti:
    Solo chi ha compreso le leggi economiche che Marx ha insuperabilmente descritto e può quindi seguire la linea di massa facendo comprendere ai lavoratori lo sfruttamento a cui sono soggetti, può seguire tale linea cavalcando il bisogno delle masse di vivere in ordinate ed indipendenti Nazioni, abbinando ai tradizionali temi della lotta di classe il recupero dell'indipendenza nazionale contro l'immigrazione incontrollata, e una battaglia per l'ordine pubblico che preveda anche il frequente ricorso alla pena di morte.
    Inoltre sullo stesso numero viene abusivamente pubblicato un articolo tratto dal periodico nazionalitario "Indipendenza", giornale guardato a sinistra con motivata diffidenza causa dell'ibrida presenza al suo interno di ex-militanti di gruppi clandestini sia di destra che di sinistra.
    Nel numero zero della nuova serie di "Rosso è Nero" (fine '99), oltre a dedicare grande spazio alla rivolta di Seattle, venivano pubblicati vari documenti del Partito Comunitarista Nazionaleuropeo e vi si sottointendeva, fin dalla titolazione, l'adesione del giornale a tale percorso; tra le altre varie "appropriazioni indebite" vanno citate la riproduzione della copertina del periodico "Autonomia di Classe" (cordone di autonomi incappucciati con bandiera USA in fiamme sullo sfondo) e due pagine dedicate alle biotecnologie tratte da un lavoro di controinformazione pubblicato da un collettivo ambientalista-radicale.
    Col 2000, l'adesione al Partito Comunitarista Nazional-europeo risulta ormai un dato di fatto; in tal senso "Rosso è Nero" ha cambiato nome ed è diventato "Comunitarismo", quale "espressione sintetica della fusione di "elementi comunisti ed elementi nazionaleuropei" e a questo si affianca il settimanale comunitarista del PCN "Nazione Europa" che riporta le notizie delle varie sezioni del partito che, in Francia e Belgio, partecipa anche alle elezioni. L'apparenza è ancora più marcatamente "antagonista", ma dedicando un po' di attenzione a quanto vi viene sostenuto, non si può dire che la "rivoluzione comunitarista" rappresenti qualcosa di diverso rispetto al passato, indipendentemente dal fatto che alcuni redattori proverrebbero da Rifondazione Comunista o che vi siano anche elementi che credono realmente a quello che scrivono; inoltre, guarda caso, sembra essere nato un certo feeling tra i "nazionalcomunitaristi" e "Rinascita. Quotidiano di liberazione nazionale", il cui direttore è Ugo Gaudenzi, ossia uno dei vecchi dirigenti di Lotta di Popolo e già direttore della testata omonima.
    Tra l'altro, guardando soltanto alla situazione milanese, questi "sinistri" usano come punti di riferimento il Palazzo delle Stelline in Corso Magenta e la Bottega del Fantastico in Via Plinio [56], ossia due luoghi tradizionalmente legati al neofascismo milanese.
    A conferma della effettiva collocazione di "Comunitarismo" (Redazione nazionale in Via Satrico a Roma) da segnalare un articolo in cui si sostiene che "Classe e Nazione Europea sono interessi che coincidono", mentre in altra pagina un redattore pisano afferma esplicitamente che "Il Comunitarismo è contrario alla lotta di classe" e che "il lavoro sarà il criterio di valore per stabilire le nuove gerarchie (...) Ai lavoratori migliori e più esperti non verranno dati maggiori guadagni, ma posizioni di potenza"; in altre parole torna a riproporsi l'idea nazista della comunità basata su "Sangue e suolo" la cui la "forma statuale deve rispecchiare l'ordine di realtà superiori e trascendenti" (dal n. 1 di "Rosso è Nero"), il che mostra il vero volto di un'area che si dichiara rivoluzionaria, comunista e persino libertaria, ma che si guarda bene dal mettere in discussione l'idea di Stato nazionale -interpretato beninteso in chiave europea- e la struttura gerarchica e autoritaria della società che sono parti integranti del dominio del capitale sul lavoro.
    Nell'ultimo numero consultato di "Comunitarismo", datato settembre/ottobre 2000 con il sottotitolo "Democrazia diretta-Socialismo-liberazione", la veste e i contenuti risultano ancora in larga parte dedicati all'opposizione contro "il ]moloch neoliberista" e nell'editoriale firmato Rete Italiana Circoli Comunitaristi viene fatto il bilancio politico di "un anno di lotta" durante cui la proposta "per la costruzione di un fronte di sinistra europea antagonista che si batte per il socialismo e che considera il dato nazionale un fattore imprescindibile" è stato portato dai Comunitaristi all'interno del movimento "anti-globalizzazione" e tra le forze antimperialiste[57]; ma ancora una volta, la questione immigrazione, affrontata nell'articolo "L'inganno multietnico", torna a mostrare l'autentica matrice ideologica dei Comunitaristi che ripropongono le teorie "differenzialiste" di A. de Benoist, come testimoniato in modo inequivocabile dai seguenti passaggi:
    I fenomeni migratori mettono in gioco qualcosa di importante: la sopravvivenza delle culture e dei popoli che di quelle culture sono esponenti (...) il progetto capitalista nella sua fase di globalizzazione neoliberista vorrebbe annullare ogni differenza (...) per creare un tipo antropologico senza storia e senza radici (...) Si comprende meglio allora, per tornare alla situazione che più da vicino ci riguarda, come alcuni reati dei quali gli extracomunitari detengono il monopolio (come la riduzione in stato di schiavitù di cui si sono rese colpevoli le bande albanesi e marocchine che utilizzano i minorenni per l'elemosina) abbiano un impatto, anche culturale, devastante (...) in nessun paese il "minestrone etnico" è stato un buon affare: dopo decenni o addirittura secoli di convivenza le difficoltà non vengono diluite, ma si acuiscono e si sommano, senza peraltro condurre alla "rivoluzione internazionalista del proletariato".
    Per cui, dietro "la fusione di elementi socialisti con il senso dell'appartenenza identitaria e nazionale" e la "nuova sintesi originale" rielaborata dai Comunitaristi, si scoprono linguaggi e argomenti continuamente agitati da tutte le varianti di quella destra politica con cui si dice di non avere più niente in comune.
    Oltre a questi Circoli Comunitaristi, legati all'esperienza "Rosso è Nero" e "Comunitarismo", vi sono altri gruppi minori, di destra, che comunque si richiamano esplicitamente al comunitarismo; tra questi va citato il "Cantiere delle Idee" di Ghedi (Bs) per una certa originalità nell'approccio a tale tematica; infatti questa associazione sviluppa un'idea di comunità, quale alternativa a "decenni di individualismo metodologico e teorie utilitariste nelle cattedre e utopie ideologiche", facendo proprie in modo integrale le elaborazioni teoriche sui diritti di cittadinanza fatte in questi ultimi anni da alcuni settori della sinistra "moderna", e per comprendere che non si tratta soltanto di "assonanze" si consideri il seguente pezzo, ripreso da "La Spina nel Fianco" giornale del Fronte Nazionale
    Partecipazione ed appartenenza sono concetti strettamente legati tra loro che si caratterizzano e determinano a vicenda. La parola "cittadino" deve cessare di essere un astratto sinonimo di "abitante" per diventare un termine che definisce colui che partecipa alla vita della città, della comunità.
    Cittadinanza come partecipazione, cittadinanza come appartenenza, tutto il contrario della concezione apatica e sradicata della democrazia che è ormai entrata nel senso comune. Non sono le istituzioni a fare la democrazia ma la partecipazione popolare ad esse, per cui la sovranità popolare si manifesta attraverso la partecipazione quotidiana di tutti alla vita pubblica.
    Decentrare i luoghi delle decisioni, moltiplicarne le occasioni, referendum, consultazioni autogestite. Consci però che il voto non esaurisce certo il ventaglio di diritti/doveri del cittadino. Ritornare a popolare le piazze, le sale civiche, moltiplicare le occasioni di incontro tra i cittadini e tra questi e le istituzioni è una condizione necessaria se si intende porre un freno al decadimento costante della qualità della vita (...)
    La comunità, cioè reti di rapporti sociali che veicolano valori condivisi, è la chiave di volta per rafforzare legami sociali che mettono in relazione gli individui tra loro, che vincono isolamento ed alienazione [58].
    Si tratta, come è evidente, di cose che potrebbero essere state scritte da un socialdemocratico, da un ex-autonomo ma anche da un leghista o da un ecologista, a dimostrazione di quanto sia importante parlare delle categorie di analisi che si utilizzano, dando per scontato quello che non è, in quanto proprio grazie alla liquidazione di strumenti critici frettolosamente ritenuti superati -vedi ad esempio la divisione in classi della società- che l'ideologia fascista sta trovando terreno fertile [59].
    Per completare il quadro va infine segnalata la comparsa a Parma di un Partito Nazionalcomunista (P.N.C.) [60]; difficile dire se si tratti di filiazione più o meno legittima dei nazional-comunitaristi, anche se in questa città vi è una loro presenza "storica", di certo il simbolo da loro usato, falce e martello sovrapposti alla svastica, è più che un segnale d'allarme.

  8. #28
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  9. #29
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