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  1. #1
    SENATORE di POL
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    Predefinito Togliatti e "la svolta" del 1956.

    La mitologia storiografica comunista ha accreditato la tesi di un Partito Comunista Italiano sostanzialmente "autonomo" da Mosca fin dalla togliattiana "svolta di Salerno", e poi sicuramente dal 1956, anno dell'ottavo congresso del PCI oltre che....dei fatti d'Ungheria.
    Dimostrato ormai inoppugnabilmente che la "svolta di Salerno" stessa del 1944 fu dettata a Togliatti da Giuseppe Stalin in persona, che nell'occasione impartì direttive "moderate" anche a Thorez, capo dei comunisti francesi, resterebbe in piedi il mito del 1956.
    A confermare questa "ricostruzione" ci sarebbe anche la reazione che gli stalinisti ultra-ortodossi avranno nei confronti delle tesi togliattiane dell'ottavo congresso del PCI, fino a promuovere scissioni "a sinistra" (parallele di quelle "a destra" di intellettuali comunisti passati al PSI o all'anticomunismo dopo l'appoggio togliattiano ai carri armati sovietici a Budapest).
    In fondo il Partito Comunista d'Italia (marxista-leninista), stalinista, filo-cinese, poi filo-albanese, nacque in seguito a quel contesto ideologico oltre che come conseguenza della successiva rottura cino-sovietica.
    Se si esamina tuttavia la celebre intervista rilasciata da Palmiro Togliatti alla rivista "Nuovi Argomenti", diretta da Alberto Moravia, e pubblicata nel numero di maggio-giugno 1956 (n° 20), sotto il titolo: " 9 domande sullo stalinismo", e successivi interventi del "Migliore", compresi quelli di preparazione al congresso del partito e quelli congressuali......si hanno tuttavia dei riscontri assolutamente meno chiari, più complessi, e tendenzialmente coerenti con la lettura della storia del comunismo italiano come sostanziale sponda occidentale del comunismo sovietico fino almeno alla segreteria di Berlinguer. Non che non sia esistita in assoluto una dialettica fra le due sponde del movimento comunista internazionale ufficiale, ne' che all'interno del PCI fra l'ortodossia e l'ortoprassi non si sia operata una progressiva divaricazione, determinata proprio dalla necessità dei comunisti italiani di "avanzare" all'interno di un orizzonte limitato dall'appartenza dell'italia alla sfera occidentale.
    Ne' si devono sottovalutare le "deviazioni" apertamente "revisionistiche" della concezione marxista e leninista originaria, che però sarebbero più correttamente da inserire nel filone medesimo dello stalinismo, che fu senz'altro una "revisione" del leninismo, tanto all'interno che all'esterno dell?unione sovietica, con continui zig-zag della teoria e della tattica: dal dottrinarismo estremistico fino alle soglie del riformismo socialdemocratico a seconda dei momenti e delle convenienze dello Stato Sovietico.

    La preoccupazione principale di Togliatti , nel corso della famosa "intervista" del 1956, più che verso un'assimilazione della critica che in Unione Sovietica si stava sviluppando, come frutto della lotta di potere fra gli "eredi" di Baffone, allo stalinismo, pare rivolta ad una delimitazione della stessa.
    Togliatti pare in sostanza irritato dalle conseguenze che la divulgazione del "rapporto segreto" ha avuto sul movimento comunista internazionale, mettendo in crisi le certezze granitiche che il medesimo aveva diffuso in vasti strati delle "masse popolari".
    Al tempo stesso Togliatti sembra voler approfittare della "crisi" per porre innanzi al partito italiano la questione di una ripresa dell'iniziativa politica, allargando la libertà d'azione rispetto alla precedente rigidità imposta da Mosca.
    Tutto questo è però sostenuto nella totale aderenza ai principi ideologici del più ortodossso "marxismo-leninismo" di tipo staliniano, ove semmai si prospettano "adeguamenti" determinati dalla lezione della crisi di democrazie popolari come quella ungherese e quella polacca.
    La questione della "via italiana" non si discosta pertanto dalla tradizionale visione sulla molteplicità delle esperienze concrete del movimento comunista mondiale, e delle rispettive vie rivoluzionarie.
    La tradizionale critica "marxista-leninista" alla democrazia occidentale è sostanzialmente confermata, come è integralmente difesa, addirittura con battute di spirito, la natura istituzionale e politica monopartitica dello Stato Sovietico, sebbene non la si proponga come modello da imitare, considerandone la specificità storica.
    Togliatti però sostiene del tutto candidamente che la "democrazia sovietica", con la dittatura del partito unico, e molto più democratica delle democrazie occidentali!!
    Gli "errori" anche "gravi" di Stalin, con le relative restrizioni della "democrazia sovietica" e le violazioni della "legalità socialista" non mettono minimamente in discussione la validità del sistema vigente nell'URSS.

    ....continua ....

  2. #2
    SENATORE di POL
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    La denuncia del "culto della personalità" e dei "gravi errori" compiuti da Stalin, con le "violazioni della legalità socialista" e le indebite "limitazioni" della "democrazia sovietica" non inducono Togliatti a dimenticare i "grandi meriti" del dittatore georgiano, ricordando come lo stesso Chrushov avesse ammesso come Baffone fosse stato "il più convinto dei marxisti e saldo nella sua fiducia nel popolo ". Togliatti ricorda inoltre l'ampio consenso che Stalin ebbe non solo nel partito (visto che chi dissentiva, e spesso anche....chi non era sufficientemente fidato pur non dissentendo affatto....veniva eliminato!!!!) ma anche fra il popolo sovietico e nel movimento comunista internazionale.
    Dopo tutto questo Togliatti si permette di criticare i "limiti" ....della critica dei "compagni sovietici" allo stalinismo, rilevando come la riconduzione del tutto al mero "culto della personalità" rappresenti, in fondo, una continuità con lo stesso, anche se "rovesciata".
    Togliatti insomma cerca di trovare una spiegazione più prodonda, e marxista, ai problemi e alle "contraddizioni" della società sovietica, e nel far questo si richiama all'ultimo Lenin e alle sue denunce dei pericoli della burocrazia e della "burocratizzazione", sfiorando quasi ...argomentazioni para-trotzkyste.
    Ma si riprende subito.
    Infatti rileva come la parte più positiva avuta da Stalin nella storia del potere sovietico fu senz'altro quella della lotta contro le opposizioni (le quali negando la possibilità di edificazione del socialismo in Russia in mancanza della rivoluzione internazionale, o prevedendo un ritmo di sviluppo eccessivamente lento,minacciavano l'esistenza stessa della dittatura proletaria). Ossia sebbene Togliatti utilizzi seppur molto parzialmente (e maldestramente) degli schemi semi-trotzkysti per spiegare la genesi dello stalinismo, rivendica a Stalin il merito di aver sconfitto e annientato Trotzky e il trotzkysmo.
    Vi è poi il solito richiamo alle immani difficoltà dell'edificazione del socialismo in un paese assediato da nemici terribili, ridotto alla miseria da anni di guerra e di guerra civile, in cui il proletariato costituiva una minoranza e in cui l'alleanza con i contadini era un asse portante della dittatura comunista...... insomma la solita "contestualizzazione" di tipo "marxista-leninista".
    E qui, in certi momenti, sembra il Togliatti ricalcare addirittura alcune affermazioni del Bordiga, anche qui per riprendersi subito e affermare perentoriamente, che malgrado tutte le difficoltà e le "deviazioni":
    " la sostanza del regime socialista non andò perduta, perchè non ando' perduta nessuna delle precedenti conquiste, ne', soprattutto l'adesione al regime delle masse di operai, contadini, intellettuali che formano la società sovietica ".
    Dunque anzichè detenere il potere... queste masse....si dovevano accontentare di "aderire"....
    Lo stalinista Togliatti, esercitatosi per bene nel dimostrare le sue capacità critiche e autocritiche (secondo la migliore tradizione "marxista-leninista"rispetto ai dirigenti caduti in disgrazia e alle fasi politiche da loro caratterizzate), si appresta infine all'apologia finale, sempre nella migliore tradizione staliniana:
    "Oggi tutti sono d'accordo, fatta eccezione per i reazionari più chiusi, nel riconoscere che la creazione dell'Unione Sovietica è il più grande fatto della storia contemporanea; ma furono solo i comunisti, o quasi, che passo a passo seguirono questa creazione, la fecero comprendere, la difesero e ne difesero gli autori. Era naturale e giusto che, in queste condizioni, si creasse un rapporto di fiducia e solidarietà profonda, completa, delle avanguardie operaie di tutto il mondo con quel partito comunista che davvero stava all'avanguardia di tutto il movimento politico e sociale ".
    Dunque nonostante i delitti, le violazioni della legalità socialista, le limitazioni della democrazia sovietica con momenti di vera e propria tirannide, qua e là ammessi da Togliatti, ecco che il sostegno acritico a quel regime, e la COMPLICITA' attiva e fattiva con quegli "errori" ed "orrori" è esaltata come UN MERITO del PCI, dei "partiti operai " e comunisti di tutto il mondo e, ovvio e sottinteso, di lui, ERCOLI in persona!
    Tralascero' le affermazioni fatte da Togliatti su momenti particolarmente gravi e vergognosi della storia dell'URSS e della terza internazionale, come i processi contro la "vecchia guardia bolscevica" (prima quella "trotzkysta-zinovievista" e poi "buchariniana").
    Togliatti manifesta la sua profonda appartenenza al campo stalinista anche riguardo la bassezza morale con la quale, dimentico delle vittime comuniste dello stalinismo, ricorda invece provocatoriamente un comunista staliniano italiano (Camillo Montanari) assassinato in Francia nel 1934 da un presunto trotzkysta! Non una parola sui comunisti italiani spariti nei gulag, su Pietro Tresso assassinato dai partigiani stalinisti in Francia dopo essere stato dagli stessi "liberato" dalla prigione delle SS naziste e dalle loro torture.
    Togliatti conclude l'intervista, dopo aver ammesso possibili esagerazioni in certi processi russi contro comunisti, ma NON nei "primi processi" (quelli contro i capi delle "opposizioni", contro i vecchi bolscevichi), deridendo l'idea di un asservimento del PCI alle direttive moscovite sempre e comunque, e citando esempi, fin dal 1924, di decisioni prese in perfetta autonomia dal partito italiano. Per il resto Togliatti afferma che : " se i comunisti avanzarono nella grande scia della politica internazionale dell'Unione Sovietica, è perchè erano convinti che quella politica fosse giusta, e tale essa era, in realtà ". Veramente consolante il sapere che lo scioglimento del PC polacco, che Togliatti controfirmò con Dimitrov, e che diede il via all'annientamento FISICO della grande maggioranza dei dirigenti e di gran parte dei militanti di quel partito, fu deciso autonomamente da Togliatti, che avrebbe compiuto quindi questo come altri delitti, quale alto dirigente della Terza Internazionale....in perfetta autonomia! Compresa l'adesione al Moltov-Rippentropp con l'incestuosa allanza Tedesco-Sovietica (comprese le direttive "pacifiste", neutraliste e disfattiste del Comintern verso la "guerra imperialista" degli anglo-francesi contro hilter!).
    Togliatti infine ricoreda come "gli errori" compiuti in URSS sotto la direzione di Stalin siano stati spesso "meccanicamente ripetuti" anche nelle nuove "democrazie popolari", ma come ormai il movimento comunista mondiale "sia profondamente cambiato" e nonostante il grande prestigio del PCUS, questi sia ormai di fatto avviato verso un policentrismo, ove le forme diverse di avanzata verso il socialismo si producono in tutto il mondo, fino addirittura a paesi in cui la costruzione del socialismo si immagina senza che ivi il partito comuinsta assuma una funzione guida.
    Ovviamente il tutto serve ad introdurre la riproposizione della "via italiana al socialismo".
    Ed è qualche mese dopo, nel rapporto che quale segretario del Partito Comunista Italiano, Togliatti leggerà dalla tribuna dell'ottavo congresso del partito, che la "svolta" riceve la sua spiegazione teorico-strategica.


    Continua....

  3. #3
    BENESSERE&OZIOXTUTTI
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    Più conosco Togliatti e meno mi piace....
    TUTTO IL POTERE AI SOVIET!

  4. #4
    SENATORE di POL
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    il bello deve ancora venire...

  5. #5
    Roderigo
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    Originally posted by Pieffebi
    il bello deve ancora venire...
    Hai ragione.

    R.

  6. #6
    SENATORE di POL
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    Nel dicembre 1956 Palmiro Togliatti apre i lavori della massima riunione generale del partito stalinista italiano, e dalla tribuna dell'ottavo congresso, quello "della svolta", trova il modo di lanciare i suoi anatemi nei confronti dell'imperialismo, del fascismo e dei reazionari, in quanto fomentatori, occulte regie e sostenitori della "controrivoluzione" ungherese, soffocata con la forza dall'URSS "destalinizzata". Togliatti denuncia anche gli indubbi errori del governo comunista ungherese, senza i quali i "fascisti" non avrebbero certamente avuto buon giuoco, ma i suoi attacchi più duri sono verso "la socialdemocrazia" occidentale, complice della "campagna anticomunista, antisocialista, antidemocratica", che la borghesia "reazionaria" avrebbe orchestrato prendendo a pretesto i "fatti di Budapest". In particolare Togliatti, che in certi momenti riprende toni da teoria del "socialfascismo", attacca la socialdemocrazia di Francia e Gran Bretagna, colpevole di attaccare i comunisti e l'Unione Sovietica nel momento stesso in cui appoggia l'aggressione dei propri "imperialismi" contro la sovranità egiziana sul canale di Suez.
    La difesa intransigente operata da Togliatti verso la politica sovietica, espressa con le solite argomentazioni del classico "marximo-leninismo" di impostazione stalinista, rappresenta nel modo più evidente l'assurdità storica delle tesi che vedono proprio nell'ottavo congresso del PCI l'attuazione di una definitiva "svolta" dei comunisti italiani verso la piena e convinta accettazione della democrazia pluralistica occidentale, del parlamentarismo "borghese". E' però senz'altro vero che qualcosa di importante, in tal senso, accade con questo congresso. Sicuramente i fatti susseguenti alla morte di Stalin e alla lotta per la sua successione, fino al "rapporto segreto" di Chrushov al XX congresso del Partito Comunista Sovietico, diffuso in occidente tramite una....."fuga di notizie" ripresa dalla stampa americana, e poi da quella di tutto il mondo, non possono non influenzare la linea politica e la strategia di Togliatti.
    Il partito comunista italiano, come è evidente, si trova ad operare in una parte del mondo in cui le prospettive rivoluzionarie non sono all'ordine del giorno, in cui tuttavia, il partito comunista non può semplicemente ridursi a una setta rivoluzionaria che, in attesa dell'ora X, opera verso la classe operaia una mera azione di testimonianza dei principi e degli ideali del "marxismo-leninismo" e della fedeltà all'Unione Sovietica. Il partito comunista deve sviluppare la sua iniziativa politica, secondo i canoni di una lunga, paziente "guerra di posizione", cercando di radicarsi sempre più nelle masse, cercando di spostare gli equilibri politici il più possibile a proprio vantaggio.
    Un forte partito comunista in Italia, rende, evidentemente, nella visione togliattiana, senz'altro un grande servigio alla classe operaia, consentendo alla medesima di ottenere le condizioni più vantaggiose all'interno di un paese occidentale, stoppando preventivamente, con la propria forza,le tentazioni reazionarie dei ceti dominanti e dei partiti conservatori e "clericali", contribuendo a modernizzare il paese e a consolidare l'egemonia comunista su settori sempre più ampi della società civile.
    In Togliatti sono anche ben presenti gli errori,anche dal punto di vista dell'analisi marxista, della interpretazione gramsciana dello sviluppo del capitalismo italiano, con particolare riferimento alla "questione meridionale", che mantengono vivo l'equivoco, possibile solo per il revisionismo staliniano del marxismo e del leninismo, della sussistenza di compiti "rivoluzionario democratici" e "rivoluzionario borghesi" da protare a termine in Italia, in un paese che invece, con tutte le sue contraddizioni, era senz'altro, da un punto di vista...rigorosamente leniniano, già pienamente nella fase imperialistica del capitalismo.
    Indubbiamente a tutto questo va aggiunto il servizio ancora più grande che il partito comunista italiano, con la sua forza e la sua influenza politica e culturale sulle masse e sugli intellettuali, rende al "campo socialista", all'URSS totalitaria, alle sue esigenze di difesa, consolidamento ...in attesa di una possibile ripresa dell'espansione.
    La sudditanza politica di Togliatti verso l'Unione Sovietica, la solidarietà del partito italiano con quello sovietico, sono alla base delle critiche radicali del partito comunista alla politica estera del governo italiano. Il PCI togliattiano si presenta ancora quale araldo dell'indipendenza nazionale della penisola dalla sudditanza verso "l'imperialismo", innanzi tutto verso gli Stati Uniti d'America, e come araldo della pace, della cooperazione pacifica fra gli Stati ed i popoli.
    Questo è dunque il contesto generale, internazionale, interno, politico, ideologico nel quale Togliatti proprone "la svolta".

    ....continua....

  7. #7
    SENATORE di POL
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    La definizione "teorica" della famosa "svolta" del 1956 è data da Togliatti nel seguente modo:
    " alla classe operaia e al popolo italiano si apre il compito storico di procedere alla costruzione del socialismo seguendo una via nuova rispetto al modo come si è realizzata la dittatura del proleatariato in altri paesi, attuando la direzione indispensabile della classe operaia attraverso nuove alleanze e nuove collaborazioni, nel rispetto del metodo democratico, spezzando le resistenze e le insidie dei nemici della libertà e del progresso sociale con la forza irresistibile di un popolo intiero di lavoratori in marcia verso la loro emancipazione e redenzione completa. In queste affermazioni non è contenuta nessuna revisione dei nostri principi. La dittatura del proletariato, cioè la direzione politica da parte della classe operaia della costruzione della società socialista, è una necessità storica. Ma già Lenin, dopo aver affermato che è inevitabile che tutte le nazioni vengano al socialismo, aveva aggiunto che 'non tutte verranno allo stesso modo. Ciascuna di esse avrà la sua particolarità nelle forme della democrazia, come nella varietà delle forme della dittatura del proletariato, e nella maggiore o minore rapidità con cui riorganizzerà socialisticamente i diversi aspetti della vita sociale'"".
    Togliatti si sforza, analizzando la Costituzione Repubblicana "antifascista", vigente in Italia da dopo la guerra civile di liberazione, di dimostrare che la repubblica democratica nata da quella lotta, condotta soprattutto dai lavoratori, non è più una democrazia di classe, ma è una "democrazia di nuovo tipo". Le norme della Costituzione, pur non essendo ancora socialiste, sostanzialmente non sono più neppure " borghesi " giacchè prevedono espressamente il diritto dei lavoratori di concorrere al governo della nazione e la necessità di rimuovere le condizioni che impediscono ciò.
    Togliatti afferma che la "democrazia nuova" che è nata dalla Resistenza non è borghese, giacchè le forze della reazione, della conservazione, dell'imperialismo hanno di fatto ripudiato la democrazia, se non come simulacro, già con il sostegno alla dittatura fascista. Togliatti afferma che entro tale orizzonte è possibile condurre la lotta di classe per assicurare le riforme di struttura capaci di preparare le condizioni della trasformazione socialista. In tutte queste teorizzazioni Togliatti tenta di prevenire le critiche "borghesi" affermando che è ridicolo pensare che i comunisti non siano sinceri nel sostenere la via democratica e parlamentare, è assurdo pensare che i comunisti abbiano sposato unicamente la via della violenza, è assurdo pensare che i comunisti sperino che eserciti stranieri portino all'Italia il socialismo.
    L'ambiguità di Togliatti è del tutto evidente perchè mentre afferma questo, contemporaneamente afferma che eserciti stranieri possono difendere il "socialismo" in Ungheria dalla libera volontà del popolo magiaro che lo vuole, quanto meno, radicalmente riformare. Ancora più evidente l'ambiguità Togliattiana, che nasconde la concreta fede ideologica del "migliore", quando questi da un lato afferma la possibilità di avanzare verso il socialismo con una pluralità di partiti politici nella società italiana, e addirittura una pluralità di partiti al governo, e dall'altro lato difende il monopartitismo sovietico e dichiara assurda la pretesa di una riforma dello Stato russo verso il pluralismo politico (intervista a "nuovi Argomenti").
    La relazione del segretario comunista all'ottavo congresso del partito, ove viene lanciata ufficialmente la "via democratica", fonda tuttavia il paradigma della natura antidemocratica delle forze conservatrici italiane, della borghesia italiana, di coloro che vogliono ancorare l'Italia all'alleanza "con l'imperialismo", ossia con le potenze occidentali guidate dagli Stati Uniti d'America.
    Questa ridicola teoria, che muoverà anche nella sua struttura profonda, la teoria del "doppio stato" nella "spiegazione" delle successive pagine oscure della "storia patria", è tutt'ora saldamente presente nella visione di larga parte della sinistra italiana, anche di quella formalmente non più comunista.
    Questa teoria, che rivendica la propria ortodossia "marxista-leninista", del tutto legittimamente se si intende con ciò lo stalinismo, pone su scala internazionale la lotta fra "il campo socialista" e "limperialismo" ponendo il progresso, la democrazia, la pace e la libertà nel campo del totalitarismo sovietico!!! Nel campo dei carri armati sovietici a Budapest e della repressione nel sangue della rivoluzione del popolo ungherese contro il regime comunista!

    ...continua...

  8. #8
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    L'ottavo congresso dal Partito Comunista Italiano del dicembre 1956 sancì la definitiva inaugurazione della "via italiana al socialismo" e la tattica delle "riforme di struttura"".
    Disse nell'occassione Palmiro Togiatti:::. "La dittatura fascista fornisce a tutti la prova che il regime capitalistico, giunto nell'epoca dei grandi monopoli e dell'imperialismo, ha in sè il germe della distruzione violenta delle libertà politiche o la loro riduzione a mera parvenza, la spinta alle avventure militari, la minaccia di perdita dell'indipendenza nazionale (...) La liberazione dal fascismo e dalla occupazione sono straniera sono opera di un grande movimento nazionale e popolare. Nel corso di una grande azione rivoluzionaria nazionale e patriottica la classe operaia diventa consapevole della sua funzione nazionale, si forma una più concreta coscienza socialista, spinge molto avanti il suo processo di unificazione interna, raccoglie attorno a sè uno schieramento vastissimo di lavoratori, di intellettuali, di ceto medio.
    Perciò alla caduta del fascismo si è sentita generalmente l'esigenza non della restaurazione di un regime democratico-parlamentare di vecchio tipo, ma della edificazione di una nuova società e di un nuovo Stato, in cui siano recise per sempre le radici del fascismo e sia possibile avviare a una effettiva e radicale soluzione i problemi fondamentali di unità nazionale, di libertà, di giustizia sociale, di progresso economico, lasciati insoluti dal primo Risorgimento. Questo non può essere ancora una Stato Socialista, ma non deve più essere lo Stato borghese, dominato dalla grande proprietà e dai monopoli capitalistici.
    Si deve trattare di un nuovo potere che abbia le sua basi nella classe operaia, nei contadini, nel ceto medio lavoratori, distrugga il monopolio della grande proprietà terriera, distrugga i suoi colpi contro i monopoli dell'industria, trasformi le strutture economiche, garantisca ed estenda i diritti di libertà, distrugga le incrostazioni burocratiche e poliziesche, sottragga lo Stato al dominio delle vecchie ristrette oligarchie, introduca un regime di larghe autonomie, dia a tutto l'ordinamento democratico un nuovo contenuto, che è quello dell'avanzata verso una trasformazione profonda dell'ordinamento economico e sociale.
    "
    Così viene sintetizzata la "nuova" proprosta politica dei comunisti italiani, ancorandola però saldamente ad una visione che viene fatta risalire, nelle sue formulazioni fondamentali, alla lotta antifascista e alla guerra di liberazione.
    Nella sostanza, tradotto in linguaggio marxista-leninista classico, quello proposto da Togliatti è un processo di completamento della (pretesa) incompiuta rivoluzione democratico-borghese in Italia (si veda la "questione meridionale" nella poco marxista lettura gramsciana), che vede questo processo necessariamente condotto con l'egemonia politica della classe operaia e del suo partito comunista, in alleanza con tutti i ceti sociali "progressivi" e contro le sole oligarchie monopolistiche e di proprietari fondiari (soprattutto nel mezzogiorno).
    Il mito della rivoluzione borghese incompiuta, saldato al mito della Resistenza come Secondo Risorgimento (suo avvio....) vengono con grande intelligenza usati da Togliatti per dare al partito e al "movimento operaio" una prospettiva politica all'azione comunista e "di classe" in un paese che, chissà per quanto tempo ancora, si trovava dalla parte "sbagliata" (per gli stalinisti come loro) del mondo.
    Il partito comunista non poteva cioè fossilizzarsi ne' in una mera propaganda rivoluzionaria avulsa dai problemi concreti, quotidiani delle "masse", ne' affermare una linea incerta, determinata "giorno per giorno" in attesa di una ancora più incerta "ora X", fatta scattare da improbabili, nell'immediato, rovesciamenti dei rapporti di forza internazionali.
    L'esistenza dell'Unione Sovietica e del "campo socialista", in cui erano pur in corso sommovimenti e crisi inattese ("destalinizzazione", moti di Berlino est, fatti d'Ungheria) rappresentava un punto di riferimento essenziale per il processo politico mondiale, e una garanzia formidabile per il movimento comunista internazionale, ma non ci si poteva certo aspettare che questo "dato di fatto" potesse rappresentare, nel breve e medio periodo, un catalizzatore della rivoluzione in occidente. Anzi ....l'Unione Sovietica operava ancora una volta, pur promuovendo le forze sociali progressive e rivoluzionarie in tutto il mondo (come in Ungheria!!!) per la pace e la coesistenza pacifica, contro le tentazioni belliciste "dell'imperialismo" guerrafondaio e oppressivo, che aveva invece negli Stati Uniti il suo paese guida.
    In assenza della possibilità di una rivoluzione socialista, Togliatti impegnava il partito e "il moviemnto operaio" a crescere e lottare, evitando ogni fossilizzazione e ogni involuzione settaria, per ....il completamento della rivoluzione democratica-borghese, attraverso la realizzazione delle "democrazia di tipo nuovo", già prefigurata dalla Costituzione repubblicana, e attraverso la lotta per le "riforme di struttura". In tal maniera il partito comunista poteva aspirare ad assumere anche in un paese occidentale e vigilato "dall'imperialismo" un ruolo egemone di un ampio schieramento ed iniziare in questo modo ad introdurre, già nel pesente quadro politico ed economico-sociale, "elementi di equità" e di "controllo sociale", elementi crescenti di "socialismo".
    Togliatti considera in fondo, nella sua elaborazione ideologica, decisamente strumentale, la "democrazia progressiva" o "di tipo nuovo" e le riforme di struttura, come Lenin considerava la "dittatura democratica degli operai e contadini" durante la prima rivoluzione russa del 1905, attribuendo alla classe operaia un ruolo che la borghesia liberale non poteva più ricoprire: la conduzione fino in fondo di una rivoluzione nazional-democratica.
    Ma tutta questa impostazione ideologica è tipicamente marxista-leninista nel senso dell'interpretazione stalinista delle forze motrici della rivoluzione, dei suoi percorsi (rivoluzione "a tappe") e della sua subordinazione agli interessi dello Stato Sovietico.


    continua ...

  9. #9
    Quin igitur expergiscimini?
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    Predefinito Gramsci, Togliatti e la "questione nazionale"

    Il momento più basso della fortuna del pensiero politico di Gramsci in Italia è rappresentato dalla stagione del movimento del '68. Alla sua vigilia, nel libro "Scrittori e popolo" così si esprimeva Asor Rosa: "L'insegnamento di Gramsci non avvicina, bensì allontana gli intellettuali militanti del movimento operaio dal filone puro del pensiero di Marx […] esso serve fondamentalmente da tramite alla diffusione di una posizione genericamente progressista ed antifascista, priva di un serio contenuto di classe".
    Fino a quel momento, del resto, soltanto il lavoro di editore e interprete svolto da Togliatti aveva permesso che il ricco laboratorio dei "Quaderni" e la grandezza morale delle "Lettere" fossero conosciuti non da una ristrettissima cerchia di parenti e amici, ma venissero diffusi tra un ben più vasto pubblico.
    Merito di Gramsci- aveva sottolineato Togliatti- era quello di aver teorizzato "la funzione nazionale del proletariato in lotta per la sua emancipazione", di aver chiarito "la questione della unità vera e della rinascita della nazione italiana", mentre all'orizzonte cominciava a delinearsi il baratro cui il fascismo avrebbe condotto le masse popolari e il paese nel suo complesso.
    Il movimento del '68 guardò con diffidenza ed ostilità a Gramsci, dunque, proprio in quanto leader comunista giudicato poco classista e poco internazionalista, contrapponendogli- tra gli altri- Mao Tsetung. Ma quest'ultimo era stato in realtà il protagonista di una rivoluzione giunta alla vittoria proclamando: "La nostra nazione non sarà più disprezzata da nessuno; ci siamo già alzati in piedi". Alcuni anni più tardi, nell'appoggiare le rivendicazioni degli afro-americani, il dirigente cinese chiarì che "la lotta nazionale è, in ultima analisi, una questione di lotta di classe".
    Vorrei aggiungere che, in determinate circostanze, la lotta nazionale è la forma più acuta di lotta di classe. Si pensi nel passato alla Lunga Marcia dei comunisti cinesi, che attraversano migliaia di chilometri per andare a mettersi alla testa della guerra di difesa nazionale contro l'imperialismo giapponese; oppure alla grande guerra patriottica con cui l'Unione Sovietica respinge l'invasione del Terzo Reich. Si pensi, in tempi più recenti, alla guerra dei comunisti vietnamiti contro gli Americani, che è anche lotta per la riunificazione nazionale; o all'Intifada palestinese.
    Più complessa è la vicenda che si verifica in Italia.
    La caratteristica generale che si può desumere da Gramsci è questa: da una parte l'affermazione del valore emancipatorio universale della rivoluzione d'Ottobre; dall'altra il riconoscimento che essa non contiene indicazioni di carattere immediato per la trasformazione in senso socialista di un paese come l'Italia. Troppo grande è la differenza tra Oriente e Occidente, tra la Russia (priva del tutto di una tradizione liberale e democratica alle spalle) e l'Italia. Ecco allora che, di nuovo, ci imbattiamo nella questione nazionale. Si tratta, per Gramsci, da un lato di sostenere la scelta in senso socialista operata da paesi collocati alla periferia del mondo capitalistico, nonché di appoggiare i movimenti di liberazione nazionali che dall'Ottobre hanno tratto stimolo e impulso; dall'altro di imprimere ai paesi capitalistici più avanzati una trasformazione in senso socialista, ma capace di assimilare anche l'eredità più alta della cultura occidentale.
    La rivoluzione d'Ottobre costituisce, in questo contesto, il punto di svolta. Essa per un verso scoppia sull'onda della lotta contro la guerra provocata dalla rivalità tra le grandi potenze imperialiste e contro gli sciovinismi e gli angusti nazionalismi che l'avevano attizzata; per un altro verso chiama alla lotta i popoli coloniali perché si costituiscano come Stati nazionali indipendenti.
    Se il primo aspetto è dichiaratamente internazionalista e universalista, il secondo mette in discussione l'ideologia "internazionalista" e "universalista" che presiedeva all'espansione coloniale e imperialista dell'Occidente. C'è contraddizione tra i due aspetti? In realtà, il secondo aspetto ha un contenuto non meno universalista e internazionalista del primo. Non è autentico l'universalismo o l'internazionalismo che non sappia rispettare le peculiarità nazionali, e che si rifiuti di riconoscere per principio l'esistenza delle nazioni e la loro uguaglianza. Sta in ciò la forza, filosofica e politica, della visione di Gramsci, che sarà infine fatta propria da Togliatti.
    Tale forza emerge con una particolare nettezza oggi, in una fase storica che, come dimostrano le guerre contro l'Iraq e la Jugoslavia e la crescente pressione politica e militare contro Cuba e contro la Cina, è caratterizzata dalla rinnovata vitalità dell' "universalismo" imperiale proprio della tradizione coloniale, incarnato dagli Stati Uniti d'America. Se la Sinistra si rivela scarsamente attrezzata per contrastare questa ideologia, è anche in conseguenza dei limiti teorici del movimento del '68 che sembra essersi per molti aspetti reinverato nel movimento antiglobalizzazione così come concepito dal Genoa Social Forum: l'universalismo astratto, che motivava una trentina d'anni fa la liquidazione di Gramsci e Togliatti (colpevoli di attardarsi sulla questione nazionale), spinge oggi una parte della Sinistra a legittimare le guerre condotte in nome dell' "universalismo dei diritti dell'uomo", questa nuova versione del "napoleonismo" condannato dai "Quaderni del carcere", ed un' altra parte a bollare come "reazionaria" ogni riflessione sull'argomento in nome della "globalizzazione democratica e dal basso".
    Ben si comprende allora la riscoperta di Gramsci, almeno ad opera di quei settori della Sinistra antagonista che si rifiuta di piegarsi all'ideologia del vincitore. E va dato atto a Togliatti, pur con le critiche che sono state mosse al suo operato, di aver richiamato l'attenzione su quella straordinaria figura di militante e pensatore comunista che fu Gramsci, a fronte dell'ostracismo che avrebbe poi subito sia da larghe frange del movimento del '68, sia dai settori più dogmatici del "socialismo reale".

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    Predefinito

    Quando si leggono i "Quaderni dal Carcere" si deve tenere conto che Gramsci usa un linguaggio per "metafore" per sfuggire ai possibili controlli dei carcerieri fascisti, non molto istruiti e non in grado di capire alcuni suoi giri di parole o alcune sue sostituzioni di nome (Lenin chiamato Vladimiro, eccetera). Questo ha rafforzato l'opinione, purtroppo, di un Gramsci....che durante il carcere "rincula" su posizioni genericamente progressiste e antifasciste o che il suo "marxismo-leninismo" sia stato annacquato.
    Di diverso tenore sono le critiche al gramscismo delle correnti della sinistra comunista italiana (Bordiga, Fortichiari, Onorato Damen, Arturo Peregalli) che confermano quello che altra parte della critica, questa volta non marxista, individua con chiarezza nel pensiero del grande intellettuale sardo: la commistione del suo "marxismo" con la tradizione dell'idealismo italiano di Croce e Gentile, che penetra tanto nella gnoseologia che nella concezione Gramsciana della storia e della politica.
    Gramsci fu invece difeso strenuamente da gran parte del sessantottismo maoista, e da filo-trotzkysti come Alfonso Leonetti (che a differenza di coloro che rimproverarono a Gramsci il ruolo avuto nell'inizio della stalinizzazione del parito italiano, ne misero in luce le ragioni della successiva rottura con Togliatti e con lo stalinismo, con il suo sostanziale isolamento politico durante gli anni del confino), e fu uno dei miti del "marxismo-leninismo" post- sessantottino.
    Rigurado a Togliatti, se ebbe il merito di pubblicare i quaderni ...lo fece a rate, tirando fuori gli scritti secondo le sue contingenti convenienze politiche e più che promuoverne una corretta interpretazione storico-politica e ideologica, si impegno' per strumentalizzarlo ai PROPRI scopi.

    Saluti liberali

 

 
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