La mitologia storiografica comunista ha accreditato la tesi di un Partito Comunista Italiano sostanzialmente "autonomo" da Mosca fin dalla togliattiana "svolta di Salerno", e poi sicuramente dal 1956, anno dell'ottavo congresso del PCI oltre che....dei fatti d'Ungheria.
Dimostrato ormai inoppugnabilmente che la "svolta di Salerno" stessa del 1944 fu dettata a Togliatti da Giuseppe Stalin in persona, che nell'occasione impartì direttive "moderate" anche a Thorez, capo dei comunisti francesi, resterebbe in piedi il mito del 1956.
A confermare questa "ricostruzione" ci sarebbe anche la reazione che gli stalinisti ultra-ortodossi avranno nei confronti delle tesi togliattiane dell'ottavo congresso del PCI, fino a promuovere scissioni "a sinistra" (parallele di quelle "a destra" di intellettuali comunisti passati al PSI o all'anticomunismo dopo l'appoggio togliattiano ai carri armati sovietici a Budapest).
In fondo il Partito Comunista d'Italia (marxista-leninista), stalinista, filo-cinese, poi filo-albanese, nacque in seguito a quel contesto ideologico oltre che come conseguenza della successiva rottura cino-sovietica.
Se si esamina tuttavia la celebre intervista rilasciata da Palmiro Togliatti alla rivista "Nuovi Argomenti", diretta da Alberto Moravia, e pubblicata nel numero di maggio-giugno 1956 (n° 20), sotto il titolo: " 9 domande sullo stalinismo", e successivi interventi del "Migliore", compresi quelli di preparazione al congresso del partito e quelli congressuali......si hanno tuttavia dei riscontri assolutamente meno chiari, più complessi, e tendenzialmente coerenti con la lettura della storia del comunismo italiano come sostanziale sponda occidentale del comunismo sovietico fino almeno alla segreteria di Berlinguer. Non che non sia esistita in assoluto una dialettica fra le due sponde del movimento comunista internazionale ufficiale, ne' che all'interno del PCI fra l'ortodossia e l'ortoprassi non si sia operata una progressiva divaricazione, determinata proprio dalla necessità dei comunisti italiani di "avanzare" all'interno di un orizzonte limitato dall'appartenza dell'italia alla sfera occidentale.
Ne' si devono sottovalutare le "deviazioni" apertamente "revisionistiche" della concezione marxista e leninista originaria, che però sarebbero più correttamente da inserire nel filone medesimo dello stalinismo, che fu senz'altro una "revisione" del leninismo, tanto all'interno che all'esterno dell?unione sovietica, con continui zig-zag della teoria e della tattica: dal dottrinarismo estremistico fino alle soglie del riformismo socialdemocratico a seconda dei momenti e delle convenienze dello Stato Sovietico.
La preoccupazione principale di Togliatti , nel corso della famosa "intervista" del 1956, più che verso un'assimilazione della critica che in Unione Sovietica si stava sviluppando, come frutto della lotta di potere fra gli "eredi" di Baffone, allo stalinismo, pare rivolta ad una delimitazione della stessa.
Togliatti pare in sostanza irritato dalle conseguenze che la divulgazione del "rapporto segreto" ha avuto sul movimento comunista internazionale, mettendo in crisi le certezze granitiche che il medesimo aveva diffuso in vasti strati delle "masse popolari".
Al tempo stesso Togliatti sembra voler approfittare della "crisi" per porre innanzi al partito italiano la questione di una ripresa dell'iniziativa politica, allargando la libertà d'azione rispetto alla precedente rigidità imposta da Mosca.
Tutto questo è però sostenuto nella totale aderenza ai principi ideologici del più ortodossso "marxismo-leninismo" di tipo staliniano, ove semmai si prospettano "adeguamenti" determinati dalla lezione della crisi di democrazie popolari come quella ungherese e quella polacca.
La questione della "via italiana" non si discosta pertanto dalla tradizionale visione sulla molteplicità delle esperienze concrete del movimento comunista mondiale, e delle rispettive vie rivoluzionarie.
La tradizionale critica "marxista-leninista" alla democrazia occidentale è sostanzialmente confermata, come è integralmente difesa, addirittura con battute di spirito, la natura istituzionale e politica monopartitica dello Stato Sovietico, sebbene non la si proponga come modello da imitare, considerandone la specificità storica.
Togliatti però sostiene del tutto candidamente che la "democrazia sovietica", con la dittatura del partito unico, e molto più democratica delle democrazie occidentali!!
Gli "errori" anche "gravi" di Stalin, con le relative restrizioni della "democrazia sovietica" e le violazioni della "legalità socialista" non mettono minimamente in discussione la validità del sistema vigente nell'URSS.
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