di Franco Bettani
Utilizzo in queste poche righe quella lingua, l'italiano, che ora
qualcuno vuole ufficialmente imporre come "Lingua di stato": avrei
scritto volentieri nella mia di lingua, il lombardo-occidentale
variante milanese, ma vista la gravità della situazione e visto che
sempre lo stesso Stato ha imposto come "franca" proprio questa,
scelgo liberamente di utilizzare la più "comprensibile".
Dopo mesi che se ne parlava va "finalmente" in discussione al
Parlamento italiano la modifica dell'art. 12 della costituzione: più
che una modifica una aggiunta, una precisazione: "l'italiano è la
lingua ufficiale dello stato". E' una breve frasetta che ha in nuce
la capacità di ingenerare sensazioni di soffocamento e di disprezzo
come nello spirito libertario così nel semplice "cittadino"
(ahilui…), come nel secessionista così nel singolo appartenente alle
cosiddette minoranze linguistiche.
Dunque il compimento del progetto di unificazione forzata delle
realtà locali per giungere allo stato italiano, comprata
geograficamente e politicamente a prezzo di morti e sangue innocente
ed inconscio ma fallita culturalmente, cerca una
legittimazione "finale" da parte dello stato, e, come al solito, lo
fa con una imposizione, con un furto di libertà ai danni degli
individui e delle comunità: non si tratta in questo caso di un
esproprio di soldi, quelli ce li rubano già più che comodamente…
questa volta ci vogliono rubare i nostri suoni, le nostre
espressioni, le vogliono degradare a "non ufficiali" compiendo sì
solo un gesto formale e di per sé ridicolo e forse ridondante, ma in
questa maniera dimostrando una volta di più il disinteresse per la
tutela della libertà in ogni sua forma, anche quella di scegliere
come parlare.
La richiesta di modifica proviene dall'area più statalista (forse per
antiche nostalgie) della composita maggioranza attualmente al
Governo, e dirò che di questo non c'è da stupirsi. Ovviamente pur
partendo dalla pseudo-destra di AN questa azione di "statalizzazione"
della lingua trova subito forte accondiscendenza in tutti i settori
dell'arco costituzionale, una festa per lo stato insomma. Dall'impeto
di nazionalismo tricolore rimangono fuori, oltre ai rappresentanti
delle minoranze propriamente dette anche la Lega Nord, che forse
colta da un riflesso pavloviano non attutito dall'attuale
coinvolgimento nell'esecutivo per salvare la faccia forza
l'inserimento di un breve passo volto alla "valorizzazione degli
idiomi locali" da parte della "Repubblica".
La motivazione della modifica è francamente surreale se non si
considera il grave attacco al principio di libertà che porta. Si
intende statalizzare la lingua poiché ciò sarebbe d'aiuto nella lotta
alle "forti tensioni separatiste che stanno espandendosi oltre le
tradizionali minoranze linguistiche del territorio italiano verso più
ampie aree del territorio nazionale, sulla base di identità etniche e
dialetti, a volte inesistenti". Cosa c'è di più sovietico o di più
fascista di una simile impostazione di pensiero? Cosa c'è di più
contrario alla libertà, finanche di pensiero? Quando statalizzeranno
anche la lingua dei pensieri? Non si vede la necessità di un
provvedimento del genere, considerando che il medesimo concetto
di "lingua ufficiale" è già presente nella legge 482/99, ove passò
come contrappeso rispetto alle norme a tutela delle lingue
minoritarie. E' solo il reiterarsi di un piacere statal-edonista,
derivante dal puro piacere dall'imposizione, il piacere di togliere
libertà da parte di chi né è avulso per formazione politica e
personale…
Al di là della stretta attualità politica è tristemente interessante
posare lo sguardo sul bene "lingua locale" e sul suo trattamento da
parte dello stato. Ovvero alla distorsione causata dall'intervento
statale in un contesto che astrattamente potremmo definire un "libero
mercato" del modo di comunicare oralmente. L'obiezione riguardo cui
l'attuale assetto "ufficiale" con l'italiano incoronato lingua di
stato sia una conseguenza di dinamiche appunto di mercato è oltremodo
debole e viene smentita dall'evoluzione storica quando non
direttamente dall'evidenza empirica. Senza stare a ripercorrere studi
e testi tecnici, basterà ricordare che l'italiano all'epoca
dell'unificazione era parlata da una ristretta fetta di popolazione,
oltre ai toscani che erano "madrelingua" solo un ristretto ceto di
intellettuali si giovava dell'opera creativa dantesca: per il resto
continuavano a vivere e prosperare le lingue dei vari popoli.
L'italiano venne visto dunque come un fattore unificante, da imporre
in contrapposzione alle dinamiche di mercato di modo da finalizzare
il processo di omogeneizzazione della famosa "gens italica" (che, per
intenderci è un'astrusità che piace tanto al vice premier Fini,
guardacaso…).
Ulteriori e forse decisive spallate all'identità linguistica arrivano
poi nel periodo del fascismo, periodo che produrrà grottesche
trasposizioni della toponomastica dalle lingue locali all'italiano
che sono un insulto non solo per gli abitanti di quei luoghi ma anche
per quei monti e vallate che si sono visti storpiare i nomi con cui i
loro antenati hanno sempre indicato una cima o un laghetto.
Appare chiaro che in tutto questo processo il concetto
di "statalizzazione linguistica" può essere usata con coscienza di
causa: è da sempre che lo stato (nello specifico quello italiano)
droga il mercato linguistico imponendo una lingua sua propria alle
libere scelte degli individui di comunicare come meglio credono. Si è
insomma andati oltre il suggerire una lingua franca (utile per
gestire le transazioni e gli scambi) ma si è voluto estirpare quello
che già precedentemente c'era, frutto di uno sviluppo legato alle
realtà locali di cui era composto lo stato arlecchino. E' qui il
solito male dello stato, che con la sua presenza prende senza
chiedere, impone d'autorità negando il principio della libera scelta.
E' uno sfregio all'individuo e alla comunità, una ferita ancora
aperta su un lavoro mai concluso per fortuna e il provvedimento di
ufficializzazione costituzionale altro non è che un rigirare il
coltello nella piaga. Dobbiamo dunque aspettarci che parlare
in "dialetto" coi nostri cari sia giudicato incostituzionale da
qualche solerte applicatore del verbo di stato? Non sia mai!
Sosteniamo il diritto delle minoranze linguistiche e delle lingue
locali, sosterremo un altro pezzo di libertà!
da Enclave n. 15
Inutile dire quanto mi sia piaciuto...
Sa£udi serenissimi da Pippo III.