Pena di morte per i familiari dei terroristi suicidi?
E’ la proposta di un noto avvocato americano, ex presidente dell'Associazione dei giuristi ebrei.
Nathan Lewin è un avvocato famoso, si è laureato ad Harvard, è stato collaboratore dell'Amministrazione di Lyndon Johnson, è candidato alla carica di giudice federale. Un giurista insomma rispettato e ascoltato dai colleghi e non un estremista che parla a vanvera. In questi giorni è al centro di polemiche che scuotono il mondo ebraico d'America, perché riguardano le fondamenta stesse della civiltà occidentale e dell'etica universale. Sulla rivista, "Sh'ma", un nome che ricalca la prima parola della preghiera in cui si afferma la fede in un unico Dio, Lewin se n'è uscito con una proposta choc. Ha scritto, che occorre introdurre la pena di morte per i familiari dei terroristi palestinesi che si fanno esplodere nelle città dello Stato d'Israele. In parole povere: dovrebbero essere portati al patibolo i padri, le madri, i fratelli e le sorelle dei kamikaze che uccidono civili israeliani.
In Israele la pena di morte non esiste (ad eccezione dei criminali nazisti). E poi Lewin è americano e non cittadino dello Stato ebraico. La sua proposta è quindi solo teorica, o potrebbe al massimo essere considerata come una provocazione. Ma essa è interessante per le sue motivazioni, e per le reazioni che ha suscitato. Lewin, che nel passato è stato presidente dell'Associazione dei giuristi ebrei e che è il vice presidente dell'Unione ortodossa (una delle organizzazioni dell'ebraismo religioso tradizionale) dice che la sua proposta si basa su un "precedente" giuridico. Quale? L'obbligo, iscritto nella Bibbia, di distruggere Amalek, la tribù ai tempi antichi, nemica d'Israele. Così la fonte di una legge non sarebbe più la cultura giuridica illuminista, ma le Sacre Scritture. Come auspicano i fondamentalisti di tutte le religioni del mondo.
Lewin è stato duramente condannato dall'ex presidente del Recontructionist Rabbinic College (la scuola rabbinica di una delle correnti laiche dell'ebraismo), il professor Arthur Green: "Mi sono sentito in lutto perché Lewin ha dissacrato il nome Dio". Jeremy Burton, Hannah Rosenthal, Eric Yoffie, leader del mondo ebraico progressista, hanno chiesto di espellere Lewin da ogni organizzazione ebraica. Ma altri esponenti importanti dell'ebraismo si sono rifiutati di prendere le distanze. Così Abraham Foxman, direttore della Anti-Defamation League, un'organizzazione che dovrebbe lottare contro la discriminazione razziale, ha dichiarato al settimanale newyorchese "Forward" che la proposta di Lewin è un contributo legittimo alla discussione su come porre fine al terrorismo. Simili le reazioni di molti altri leader.
Certo, Lewin non ha riscosso consensi, o almeno non pubblici. Ma il suo discorso da molti, e non marginali, è considerato legittimo. Pochi anni fa un giurista tanto importante quanto lui, e che fa parte dell'establishment di Washington, non avrebbe osato esprimere simili idee. I tempi stanno cambiando. I tabù cadono. Niente è più proibito.