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  1. #11
    Quin igitur expergiscimini?
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    Non so quali misteri di oscure sette turbino Pieffebi, ma per dare un' ennesima smentita alle sue deduzioni, ecco un altro testo- frutto di una personale rielaborazione- in cui dimostro come una continuità esista, sempre a proposito della "questione nazionale", anche tra Lenin e Stalin. Questo tanto per dimostrare che talvolta si può sintetizzare e interpretare, talaltra è meglio lasciare parlare direttamente i protagonisti della storia del comunismo, specialmente quando ciò che essi dicono è chiaro. E' ciò che io faccio, mentre lui intende piegare la storia del comunismo alla sua personale visione. Cosa pienamente legittima, del resto, ma non venga a dare lezioni di "oggettività" a nessuno

    *****

    STALIN DI FRONTE ALLA "QUESTIONE NAZIONALE"

    Nel dicembre del 1912, a Cracovia, Lenin propose a Stalin un lavoro di elaborazione teorica. Si trattava di compiere nelle biblioteche di Vienna la ricerca necessaria per scrivere un saggio su "marxismo e questione nazionale", tema particolarmente rilevante nell'Impero zarista, composto da tanti e così diversi popoli.
    Stalin partì dunque per Vienna alla metà di gennaio del 1913 e la permanenza nella capitale austro-ungarica risultò essere la più lunga puntata all'estero della sua vita. Tornato a Cracovia, sottopose il suo lavoro a Lenin, che ne condivise pienamente il contenuto. Vide così la luce il saggio "Marxismo e questione nazionale", apparso per la prima volta nella Prosvestcenie (L'educazione), nn.3-5, marzo-maggio 1913, rivista mensile legale bolscevica che si pubblicava a Pietroburgo dal dicembre 1911. Stalin ebbe modo di tornare ancora sull'argomento nel corso delle lezioni tenute all'università Sverdlov al principio dell'aprile 1924 e raccolte sotto il titolo "Principi del leninismo" e nel "Rapporto all'VIII Congresso (straordinario) del Soviet dell'URSS", tenutosi il 25 novembre 1936, avente per tema il "Progetto di Costituzione dell'URSS".
    Nel primo dei lavori citati, Stalin afferma che la nazione esiste ed è costituita da una comunità non di razza né di stirpe, Al termine di una disamina dei vari elementi che possono far parlare di nazione, Stalin conclude che essa non è un conglomerato casuale né effimero, bensì "una comunità stabile, storicamente formatasi, che ha la sua origine nella comunità di lingua, di territorio, di vita economica e di conformazione psichica che si manifesta nella comune cultura". La nazione rappresenta l'incontro di tutti questi tratti caratteristici presi insieme. Essa trova quindi la sua ragion d'essere nella realtà, mentre convertirla in una forza misteriosa per sé stante (lo "spirito nazionale", il "carattere nazionale") significa sfociare nel misticismo e nello spiritualismo.
    La nazione è, insomma, una categoria storica di un'epoca determinata. Il processo di liquidazione del feudalesimo e di sviluppo del capitalismo è al tempo stesso un processo di unificazione della popolazione in nazione. Nell'Europa occidentale la formazione delle nazioni ha significato la loro trasformazione in "stati" nazionali indipendenti. La nazione inglese, francese, spagnola e le altre hanno coinciso con lo Stato inglese, francese e così via.
    Stalin si trovava a vivere in un contesto, però, nel quale mentre nell'Europa occidentale le nazioni si erano sviluppate in Stati, nell'Europa Orientale sopravvivevano Stati plurinazionali come l' Austria-Ungheria e la Russia. All'interno di questi ultimi la lotta nazionale era una lotta tra le classi borghesi delle nazioni dominanti e di quelle dominate, ma- diceva Stalin- "da ciò non consegue affatto che il proletariato non debba lottare contro la politica di oppressione nazionale. Le limitazioni della libertà di trasferirsi da un luogo all'altro, la privazione del diritto di voto, le limitazioni all'uso della lingua, la soppressione di scuole ed altre persecuzioni colpiscono gli operai altrettanto, se non più, della borghesia".
    Sicuramente gli operai erano interessati ad unire tutti i loro compagni in un solo esercito internazionale, a liberarli rapidamente e definitivamente dall'asservimento spirituale alla borghesia e a dar pieno e libero sviluppo alle energie spirituali dei loro fratelli, a qualunque nazione appartenessero. Ma proprio per questo gli operai avrebbero dovuto battersi "contro la politica di oppressione delle nazioni in ogni sua forma". Perciò i bolscevichi proclamavano il diritto delle nazioni all'autodecisione: "Solo la nazione stessa ha il diritto di decidere il proprio destino, nessuno ha il diritto di intromettersi a forza nella vita di una nazione, di distruggerne le scuole e altre istituzioni, di abolirne le usanze e i costumi, di vietarne la lingua, di menomarne i diritti."
    Il diritto all' autodecisione significa quindi- per Stalin- che "la nazione può organizzarsi secondo il proprio desiderio. Essa ha il diritto di organizzare la propria esistenza secondo i principi dell'autonomia. Essa ha il diritto di stabilire rapporti federativi con altre nazioni o di separarsi completamente da esse. La nazione è sovrana e tutte le nazioni hanno eguali diritti". Mettere fine alla politica di oppressione delle nazioni avrebbe significato evitare la lotta tra le nazioni, attenuarla, ridurla al minimo. Sostanzialmente questo distingue- per Stalin- la politica del proletariato cosciente da quella della borghesia, che cerca invece di approfondire ed estendere la lotta nazionale. La questione della "libertà delle nazionalità" è dunque legata, in ultima analisi, alla nascita di un movimento democratico di liberazione.
    In questo senso, nella Russia del Novecento la democratizzazione completa del paese costituiva "fondamento e condizione della soluzione della questione nazionale". I bolscevichi ritenevano possibile un concorso di circostanze interne ed estere per cui, una volta avvenuta la rivoluzione emancipatrice, determinate nazionalità dell' ex-Impero russo avrebbero potuto ritenere necessario porre e risolvere il problema della loro indipendenza. Non era certo, in tal caso, "compito dei marxisti creare degli ostacoli ad una simile eventualità", perciò essi non avrebbero rinunciato al diritto delle nazioni all'autodecisione. Se invece esse avessero preferito restare entro uno Stato unico, la soluzione prospettata da Stalin era quella dell'autonomia regionale, che avrebbe offerto la possibilità di utilizzare nel modo migliore le ricchezze naturali del Paese e di sviluppare le forze produttive senza attendere le decisioni di un centro comune. Se le minoranze nazionali erano malcontente perché non esisteva il diritto di usare la lingua materna, "concedete loro il diritto di usare la lingua materna e il malcontento sparirà da sé". Se esse rivendicavano una loro scuola, nell'ambito dell'autonomia regionale "concedete loro questa scuola e il malcontento perderà ogni ragion d'essere". Se la protesta nasceva dalla mancanza della libertà di culto, di trasferimento, ecc., "concedete loro queste libertà ed esse non saranno più malcontente". Una legge generale del nuovo Stato russo nato dalla rivoluzione, emanata sulla base di una completa democratizzazione del Paese, avrebbe dovuto essere emanata per proibire "senza eccezioni tutte le forme di privilegi nazionali e qualsiasi oppressione o limitazione dei diritti delle minoranze nazionali". Soltanto lo Stato socialista poteva, inoltre, realizzare un'autentica unità nazionale, ma intesa in un senso diverso rispetto al passato.
    Se agli inizi del capitalismo si poteva ancora parlare, in alcuni Paesi dell'Europa occidentale, di una "comunità" del proletariato e della borghesia, con lo sviluppo della grande industria e l'acuirsi della lotta di classe, la "comunità" aveva cominciato a sparire. "Di quale comune destino si può parlare quando la borghesia vuole la guerra e il proletariato dichiara 'guerra alla guerra'? Come realizzare con questi elementi contrastanti un'unione nazionale interclassista?". Nell' ex-Impero russo Secondo Stalin l'obiettivo avrebbe dovuto essere piuttosto quello di unificare gli operai di tutte le nazionalità in una collettività unica e compatta, cioè in un unico partito, ma ciò presupponeva- appunto- una larga autonomia regionale all'interno del partito stesso.

    ***
    La riflessione di Stalin sull'argomento trovò un altro momento di sintesi- come accennavamo all'inizio- nelle lezioni tenute nel 1924 all'Università Sverdlov e raccolte nei "Principi del leninismo". In un capitolo dedicato alla questione nazionale, Stalin afferma che essa si era trasformata, diventando "il problema mondiale della liberazione dal giogo dell'imperialismo dei popoli oppressi dei paesi dipendenti". Sulla scia di quanto teorizzato da Lenin, il suo successore procedeva ad una serrata critica delle pratiche socialiste riformiste: "Prima, il problema delle nazioni oppresse veniva considerato di solito come un problema puramente giuridico. Proclamazione solenne dell' 'eguaglianza nazionale', dichiarazioni innumerevoli sull' 'eguaglianza delle nazioni; ecco di che cosa si accontentavano i partiti della II Internazionale, mentre tenevano nascosto il fatto che, sotto l'imperialismo, quando un gruppo di nazioni (la minoranza) vive dello sfruttamento di un altro gruppo di nazioni, l' 'eguaglianza delle nazioni' non è che una presa in giro dei popoli oppressi. Oggi questa concezione giuridico-borghese della questione nazionale si deve considerare come smascherata. Dalle altezze delle dichiarazioni pompose il leninismo ha fatto scendere la questione nazionale sulla terra, affermando che le dichiarazioni sull' 'eguaglianza delle nazioni', non corroborate con l'appoggio diretto da parte dei partiti proletari alla lotta di liberazione dei popoli oppressi, sono soltanto delle dichiarazioni vuote e menzognere".
    Il leninismo aveva provato, cioè, e la guerra imperialista e la rivoluzione in Russia avevano confermato, che la questione nazionale poteva essere risolta soltanto in stretto collegamento con la rivoluzione proletaria e sul suo terreno, e che la via della rivoluzione in Occidente passava attraverso l'alleanza con il movimento antiimperialistico dei paesi dipendenti, Quindi la questione nazionale era parte della questione generale della rivoluzione proletaria, parte della questione della dittatura del proletariato.
    Si trattava, perciò di appoggiare quei movimenti nazionali che tendevano ad indebolire, ad abbattere l'imperialismo e non a consolidarlo. Vi erano dei casi, infatti, in cui i movimenti nazionali cozzavano con gli interessi dello sviluppo del movimento proletario. A tale proposito, Stalin citava alcuni esempi. Le prese di posizione di Marx che, tra il 1840 ed il 1850 era stato favorevole al movimento nazionale dei polacchi e degli ungheresi, e contrario a quello dei cechi e degli slavi del sud, apparivano molto significative. La spiegazione di questa apparente contraddizione andava ricercata proprio nel fatto che i cechi e gli slavi del sud erano allora "avamposti russi" in Europa, avamposti dell'assolutismo, mentre polacchi e ungheresi erano "popoli rivoluzionari" in lotta contro l'assolutismo. Appoggiare cechi e slavi del sud avrebbe significato appoggio indiretto allo zarismo.
    Nelle condizioni dell'oppressione imperialistica della fine del XIX secolo e del XX secolo, la situazione andava valutata caso per caso. Il carattere rivoluzionario del movimento nazionale non implicava affatto obbligatoriamente l'esistenza di elementi proletari nel movimento o l'esistenza di un programma rivoluzionario. In questo contesto vanno lette le seguenti affermazioni di Stalin: "La lotta dell'emiro afghano per l'indipendenza dell'Afghanistan è oggettivamente una lotta rivoluzionaria, malgrado il carattere monarchico delle concezioni dell'emiro e dei suoi seguaci, poiché indebolisce, disgrega, scalza l'imperialismo, mentre la lotta di certi 'ultra' 'democratici' e 'socialisti', 'rivoluzionari' e repubblicani dello stampo, ad esempio, di Kerenski […] durante la guerra imperialista, era una lotta reazionaria, perché aveva come risultato di abbellire artificialmente, di consolidare, di far trionfare l'imperialismo. La lotta dei mercanti e degli intellettuali egiziani per l'indipendenza dell'Egitto è, per le stesse ragioni, una lotta oggettivamente rivoluzionaria, quantunque i capi del movimento nazionale egiziano siano borghesi per origine e appartenenza sociale e quantunque essi siano contro il socialismo, mentre la lotta del governo operaio inglese per mantenere la situazione di dipendenza dell'Egitto è, per le stesse ragioni, una lotta reazionaria, quantunque i membri di questo governo siano proletari per origine e appartenenza sociale e quantunque essi siano 'per' il socialismo".
    Ogni passo sulla via della liberazione dei paesi dipendenti, anche se contravviene alle esigenze della democrazia formale, è per Stalin un colpo di maglio assestato all'imperialismo, ed è perciò incontestabilmente un passo rivoluzionario. Il movimento nazionale dei paesi oppressi si deve considerare dal punto di vista dei risultati effettivi nel bilancio generale della lotta contro l'imperialismo, cioè- come già aveva affermato Lenin- "non isolatamente, ma su scala mondiale".
    Da tutto ciò discendevano alcune conclusioni:
    a) la vittoria della classe operaia nei paesi avanzati e la liberazione dei popoli oppressi dal giogo dell'imperialismo non erano possibili senza la formazione di un fronte rivoluzionario comune;
    b) la formazione di un fronte rivoluzionario comune non era possibile senza l'appoggio., diretto e decisivo, da parte del proletariato dei paesi oppressori, del movimento di liberazione dei popoli oppressi, contro il "patrio" imperialismo, perché "non può essere libero un popolo che opprime altri popoli" (Marx);
    c) questo appoggio consisteva nel difendere, sostenere, applicare la parola d'ordine del diritto delle nazioni alla separazione, all'esistenza come Stati indipendenti.
    Per i bolscevichi la collaborazione delle nazioni in un'economia unica mondiale non poteva che essere volontaria, non poteva nascere che sulla base della fiducia reciproca e di reciproci rapporti fraterni fra i popoli. Di qui due aspetti della questione nazionale: da un lato la tendenza alla liberazione politica dai ceppi dell'imperialismo e alla creazione di Stati nazionali indipendenti; dall'altro la tendenza all'avvicinamento economico delle nazioni, che sorge con la formazione di un mercato mondiale e di una economia mondiale. Queste due tendenze non erano che due aspetti di una causa unica, la causa dell'emancipazione dei popoli oppressi dal giogo dell'imperialismo, perché per il comunismo l'unione dei popoli in un'economia mondiale unica non è possibile che sulla base della fiducia reciproca e di un accordo liberamente scelto.
    Una controprova di queste affermazioni, la si era avuta con la rivoluzione russa: essa non avrebbe vinto, e le armate bianche di Kolciak e Denikin non sarebbero state battute, se il proletariato russo non avesse goduto della simpatia e dell'appoggio dei popoli oppressi dell' ex-Impero russo. Ma per conquistarseli, essa dovette, prima di tutto, spezzare le catene dell'imperialismo zarista e liberare questi popoli dall'oppressione nazionale, senza di che sarebbe stato impossibile consolidare potere sovietico, dare vita ad un vero internazionalismo, creare l' Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, considerata "il prototipo vivente della futura unione dei popoli in una economia mondiale unica".
    Dell'Unione Sovietica facevano parte, infatti, circa sessanta nazioni e la questione dei popoli dell'URSS investiva un'importanza primaria.

    ***
    Nel 1936 nel Rapporto sul "Progetto di Costituzione dell'URSS" Stalin infine dichiarerà:
    "L'assenza di classi sfruttatrici, principali organizzatrici delle risse tra le diverse nazionalità; l'assenza dello sfruttamento, il quale alimenta la diffidenza reciproca ed aizza le passioni nazionaliste; la presenza del potere della classe operaia, nemica di ogni asservimento e campione fedele dell'idea dell'internazionalismo; la realizzazione pratica di un aiuto reciproco tra i popoli in tutti i campi della vita economica e sociale; infine il fiorire della cultura nazionale dei popoli dell'URSS, cultura che è nazionale nella forma, socialista nel contenuto: tutti questi ed altri elementi hanno fatto sì che è cambiato radicalmente l'aspetto dei popoli dell'URSS, è scomparso in essi il senso di diffidenza reciproca, si è sviluppato un sentimento di reciproca amicizia e, in questo modo, si è stabilita una vera collaborazione fraterna di popoli nel sistema di un unico Stato federale".
    Le costituzioni borghesi partivano tacitamente dal presupposto che le nazioni e le razze non potevano avere eguali diritti, erano essenzialmente nazionalistiche. Il progetto della nuova Costituzione dell'URSS presentava, invece, un carattere profondamente internazionalista. Esso partiva dal principio che la differenza nel colore della pelle o la differenza di lingua, di livello culturale o di sviluppo economico, ecc. non dovevano servire da pretesto per giustificare una ineguaglianza di diritti tra le nazioni. Esso partiva dal presupposto inverso, ossia che tutte le nazioni e le razze hanno diritti identici in tutte le sfere della vita economica, sociale, politica e culturale.

  2. #12
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    So che i nazionalistari sono nazionalsocialisti convertiti allo stalinismo, non c'era bisogna di farla tanto lunga....

    Saluti liberali

  3. #13
    Quin igitur expergiscimini?
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    Lasciamo perdere certe sciocchezze e certe cadute di stile veramente illiberali di Pieffebi, e cerchiamo di arrivare ad una conclusione dopo questo lungo confronto.
    A mio avviso la conclusione è che quando il comunismo da utopia si trasforma in potere politico strutturato deve aderire necessariamente alle tradizioni nazionali e popolari di lunga durata. Questo lo aveva compreso già Lenin e sta in ciò l' importanza della riscoperta degli elementi nazionalitari della sua riflessione teorica, inveratisi pienamente dopo il 1929 nell' Unione Sovietica con Stalin.
    Evidentemente una simile impostazione suscita oggi l' ostilità dei cattolico-liberali così come dei no-global, che sono portatori di una visione universalista omologante, seppur con diverse motivazioni.
    Tutto qui. Ma non è poco.

  4. #14
    SENATORE di POL
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    Davvero e come mai il potere sovietico leninista stabilì che qualsiasi comunista del mondo nel momento stesso in cui metteva i suoi piedini sul suolo dell'Unione Sovietica diveniva automaticamente cittadino di tale Federazione di Repubbliche Socialiste?
    E che mi si dice delle tesi della Terza Internzionale sulla questione scritte da Lenin e Zinoviev?

    La caduta di stile spiegala a chiocciola periodica ....e non c'era il gladio insieme alla falce e martello nel vostro simobolo?

    Saluti liberali

  5. #15
    Quin igitur expergiscimini?
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    Che noia!
    Io a queste provocazioni illiberali non rispondo.
    Mi sembra piuttosto che il confronto sia stato ricco di spunti di riflessione e abbia offerto una grande quantità di documenti e differenti interpretazioni. E' una cosa positiva per il forum.

  6. #16
    SENATORE di POL
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    Non ho ancora riportato le tesi della terza internazionale comunista scritte da Lenin e Zinoviev (ora sono troppo stanco per batterne i tratti salienti)...dunque....il discorso non è chiuso affatto.



    Saluti liberali

  7. #17
    BENESSERE&OZIOXTUTTI
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    Riporto un mio messaggio dell'altro thread....

    A prescindere dalle mie convinzioni ultra-internazionaliste (si tratta, però, di sentimenti personali) ammetto che la "questione nazionale" sia risultata a volte determinante nelle rivoluzioni comuniste cui abbiamo assistito, ma ritengo che, in questo caso, il significato che essa assume sia radicalmente diverso dal significato borghese del termine, inoltre essa non può che essere semplicemente "sfruttata", non radicata come valore fondamentale di base, innanzitutto per le evidenti contraddizioni con l'internazionalismo marxista, in secondo luogo per le seguenti ragioni.

    Un esempio calzante a proposito è stata la Jugoslavia titina, crogiolo di popoli, di tutte le religioni, di diverse tradizioni, i quali si sono ritrovati sotto un'unica nazione, i quali si sentivano realmente un'unica nazione...fino alla morte di Tito; lo stesso è valso per i sovietici...fino alla morte di Stalin....

    ...da questo emerge, a mio parere, l'impossibilità di impostare uno stato socialista sul patriotismo: il sentimento nazionale finisce per l'identificarsi con il culto del "padre" della nazione (artificiale), sentimento che scema con la sua morte fino all'esplosione di conflitti etnici........esattamente ciò che è accaduto in URSS e in Jugoslavia! In URSS le rivolte a sfondo nazionalista, infatti, sono cominciate dopo la morte di Stalin, mentre il tragico destino dei Balcani è ormai celeberrimo...

    ...condivido però la posizione gramsciana riguardante l'utilizzo del sentimento nazionale nella rivoluzione socialista nei paesi meno avanzati (che puo essere utilizzato soprattutto per il coinvolgimento della classe contadina): così è accaduto clamorosamente in Cina e a Cuba... mentre, guardacaso, i movimenti comunisti dell'Europa sviluppata non si richiamavano, se non in minima parte, al patriotismo.
    TUTTO IL POTERE AI SOVIET!

 

 
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