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    Predefinito Lenin e la "questione nazionale"

    Originally posted by Catilina
    Ah, è così? E allora che il duello cominci. Eccoti, per iniziare, come assaggio, tanto per gustare, un pezzo del Lenin nazionalitario prima maniera, con una breve postilla interpretativa, poi- man mano che cercherai di smentire la mia interpretazione- arriveranno pure gli altri:


    SULL'ORGOGLIO NAZIONALE DEI GRANDI RUSSI

    (Articolo pubblicato sul "Sotsial-Demokrat" n°35 del 12 dicembre 1914)

    Quanto parlare, argomentare e vociferare c'è ai giorni nostri riguardo la nazionalità e la madrepatria! Ministri liberali e radicali in Inghilterra, un esercito di giornalisti "avanzati" in Francia (che si sono mostrati in pieno accordo con i loro colleghi reazionari), ed uno sciame di ufficiali Cadetti e scribacchini progressisti in Russia (inclusi parecchi Narodniki e "marxisti") - tutti hanno effusivi elogi per la libertà e l'indipendenza dei loro rispettivi paesi, per lo splendore del principio dell'indipendenza nazionale. Qui uno non può dire dove finisce il mercenario elogiatore del macellaio Nicola Romanov o del brutale oppressore di neri e indiani, e dove comincia il comune filisteo, che per pura stupidità o debolezza si lascia trasportare dalla corrente. Né questa distinzione è importante. Noi vediamo innanzi a noi un'estesa e profonda tendenza ideologica, le cui origini sono strettamente interrelate agli interessi dei proprietari terrieri e dei capitalisti delle nazioni dominanti. Centinaia di milioni vengono spesi ogni anno per la propaganda di idee vantaggiose per queste classi: si tratta di un mulino piuttosto grande che prende la sua acqua da tutte le fonti - da Menshikov, uno sciovinista per convinzione, a sciovinisti per ragioni d'opportunismo o debolezza come Plechanov e Maslov, Rubanovich e Smirnov, Kropotkin e Burtsev.
    Permetteteci, a noi socialdemocratici Grande-Russi, di tentare di definire la nostra attitudine verso questa tendenza ideologica. Sarebbe sconveniente per noi, rappresentanti di una nazione dominante dell'estremo est europeo e di una buona parte d'Asia, dimenticare l'immensa importanza della questione nazionale - specialmente in un paese che è stato giustamente definito "prigione dei popoli", e particolarmente in un periodo in cui, nell'estremo est europeo ed in Asia, il capitalismo sta risvegliando alla vita e all'autocoscienza un grande numero di "nuove" nazioni, grandi e piccole; in un momento in cui la monarchia zarista ha chiamato alle armi milioni di Grandi-Russi e non-russi, così da "risolvere" un certo numero di problemi nazionali in concordanza con gli interessi del Consiglio della Nobiltà Unita [1] e dei vari Guchkov, Krestovnikov, Dolgorukov, Kutler e Rodichev.
    È il senso d'orgoglio nazionale alieno per noi, proletari coscienti della Grande Russia? Certamente no! Noi amiamo la nostra lingua e il nostro paese, è noi stiamo facendo del nostro meglio per far innalzare le sue masse che duramente lavorano (ovvero i nove decimi della sua popolazione) ad un livello di coscienza democratica e socialista. A noi è assai più penoso vedere e percepire le violenze, l'oppressione e le umiliazioni che il nostro amato paese soffre per mano dei macellai dello zar, i nobili ed i capitalisti. Noi prendiamo orgoglio della resistenza a queste violenze che è scaturita dalle nostre file, dai Grandi-Russi; in quelle file essendo stati prodotti Radishchev [2], i Dicembristi [3] ed i rivoluzionari comunardi degli anni settanta [4]; la classe operaia Grande-Russa che ha creato, nel 1905, un potente partito rivoluzionario delle masse; ed i contadini Grande-Russi che hanno iniziato a volgersi verso la democrazia per accingersi a rovesciare il clero ed i proprietari terrieri.
    Noi ricordiamo ciò che Chernyshevsky, il democratico Grande-Russo che dedicò la sua vita alla causa della rivoluzione, disse mezzo secolo or sono: "Una nazione disgraziata, una nazione di schiavi, dall'alto verso il basso - tutti schiavi" [5]. Ai manifesti e nascosti schiavi Grande-Russi (schiavi in rapporto alla monarchia zarista) non piace ricordare queste parole. Eppure, nella nostra opinione, queste erano parole di genuino amore per il nostro paese, un amore afflitto per l'assenza di uno spirito rivoluzionario nelle masse del popolo Grande-Russo. Non c'era tale spirito all'epoca. C'è ne è poco adesso, ma c'è. Noi siamo pieni di orgoglio nazionale perché la nazione Grande-Russa, anche, si è mostrata capace di fornire il genere umano di grandi modelli di battaglia per la libertà e il socialismo, e non solo di grandi pogrom, patiboli, segrete, grandi carestie e grande servilismo verso i preti, i proprietari terrieri ed i capitalisti.
    Noi siamo pieni di un senso di orgoglio nazionale, e proprio per questa ragione noi odiamo particolarmente il nostro passato schiavista (quando la nobiltà terriera guidò i contadini in guerra per soffocare la libertà dell'Ungheria, della Polonia, della Persia e della Cina), ed il nostro presente schiavista, quando proprio questi stessi proprietari terrieri, aiutati dai capitalisti, ci stanno guidando in una guerra per strangolare la Polonia e l'Ucraina, abbattere i movimenti democratici in Persia e Cina, rafforzare i Romanov, i Bobrinsky ed i Purishkeviche, che sono il disonore della nostra dignità nazionale Grande-Russa. Nessuno può esser biasimato per il fatto d'esser nato schiavo, ma uno schiavo che non solo rifugge dall'aspirazione alla libertà, ma in più giustifica ed elogia la propria schiavitù (ovvero chiama lo strangolamento di Polonia, Ucraina, ecc., una "difesa della madrepatria" dei Grandi-Russi) - tale schiavo è uno sputacchioso ed un bifolco, che fa accresce un legittimo sentimento di indignazione, disgusto e ripugnanza.
    "Nessuna nazione può essere libera se opprime altre nazioni", dicevano Marx ed Engels, i più grandi rappresentanti della coerente democrazia del diciannovesimo secolo, che divennero i maestri del proletariato rivoluzionario. E, pieni di un senso d'orgoglio nazionale, noi, operai Grande-Russi, vogliamo, qualunque cosa accada, una libera ed indipendente, democratica, repubblicana e orgogliosa Grande-Russia, una che basi i suoi rapporti con i suoi vicini sul principio umano di uguaglianza, e non sul principio feudalista del privilegio, così degradante per una grande nazione. Proprio perché noi vogliamo ciò, noi diciamo: è impossibile, nel ventesimo secolo ed in Europa (persino nell'estremo est d'Europa), "difendere la madrepatria" in altro modo che non sia l'utilizzo di ogni mezzo rivoluzionario per combattere la monarchia, i proprietari terrieri ed i capitalisti della propria madrepatria, cioè, i peggiori nemici del proprio paese. Noi diciamo che i Grandi-Russi non possono "difendere la madrepatria" in altro modo che desiderando la sconfitta dello zarismo in qualsiasi guerra, questo essendo il male minore per i nove decimi degli abitanti della Grande-Russia. Perché lo zarismo non solo opprime economicamente e politicamente i nove decimi, ma in più demoralizza, degrada, disonora e prostituisce essi insegnando loro ad opprimere altre nazioni e a coprire questa vergogna con frasi ipocrite e quasi-patriottiche.
    Si potrebbe avanzare l'obiezione che, inoltre allo zarismo e sotto la sua ala, un'altra forza storica è cresciuta ed è divenuta forte, ovvero il capitalismo Grande-Russo, che sta portando avanti un'attività progressista centralizzando economicamente e unendo tra di loro vaste regioni. Quest'obiezione, però, non scusa, ma al contrario condanna ancora di più, i nostri social-sciovinisti, che dovrebbero esser chiamati socialisti zaristi-Purishkevichi [6] (giusto come Marx chiamava i lassalliani socialisti regi-prussiani). Permetteteci anche di assumere che la storia decida a favore del capitalismo dominante Grande-Russo, e contro le cento e una piccole nazioni. Ciò non è impossibile, poiché l'intera storia del capitale è una storia di violenza e saccheggi, di sangue e corruzione. Noi non sosteniamo la causa di difendere le piccole nazioni a tutti i costi; fermo restando tutte le altre condizioni, noi siamo decisamente per la centralizzazione e ci opponiamo all'idea piccolo-borghese di relazioni federaliste. Anche se tali assunti fossero veri, però, non è, prima di tutto, nostro dovere, né dei democratici (lasciati soli dai socialisti) quello di aiutare i Romanov-Bobrinsky-Purishkevich a strangolare l'Ucraina, ecc. nel suo modo da Junker, Bismarck ha compiuto un lavoro storicamente progressivo, ma sarebbe un bel "marxista" colui che, su questo terreno, pensasse di giustificare un appoggio socialista a Bismarck! Inoltre, Bismarck promosse lo sviluppo economico mettendo assieme i disuniti tedeschi, che erano oppressi da altre nazioni. La prosperità economica ed il rapido sviluppo della Grande-Russia, però, richiede che il paese venga liberato dall'oppressione Grande-Russa su altre nazioni - questa è la differenza che sfugge agli ammiratori dei veri-Russi aspiranti Bismarck.
    In secondo luogo, se la storia dovesse decidere in favore del capitalismo dominante Grande-Russo, ne segue quindi che il ruolo socialista del proletariato Grande-Russo, essendo la principale forza motrice del comunismo generata dallo stesso capitalismo, ne risulterà assai rafforzato. La rivoluzione proletaria richiede una prolungata educazione degli operai allo spirito della più piena fratellanza ed eguaglianza nazionale. Conseguentemente, gli interessi del proletariato Grande-Russo richiedono che le masse siano sistematicamente educate a difendere - con la massima decisione, coerenza, forza ed in modo rivoluzionario - completa uguaglianza dei diritti e diritto di autodeterminazione per tutte le nazioni oppresse dai Grandi-Russi. Gli interessi dell'orgoglio nazionale dei Grandi-Russi (inteso non in senso servile) coincide con gli interessi socialisti dei proletari Grandi-Russi (e di tutti gli altri paesi). Il nostro modello sarà sempre Marx, che, dopo aver vissuto per decenni in Inghilterra ed esser divenuto mezzo inglese, richiese libertà ed indipendenza nazionale per l'Irlanda, negli interessi del movimento socialista degli operai inglesi.
    Nel secondo caso ipotetico da noi considerato, i nostri social-sciovinisti fatti in casa, Plechanov, ecc., ecc., si dimostrerebbero traditori non solo del loro stesso paese - una libera e democratica Grande-Russia - ma anche della fratellanza proletaria di tutte le nazioni della Russia, cioè, della causa del socialismo.

    _________________________________
    Note
    1. Il Consiglio della Nobiltà Unita è un'organizzazione controrivoluzionaria di proprietari terrieri fondata nel maggio 1906. Tale Consiglio esercitò una considerabile influenza sulle politiche del governo zarista. Lenin lo definiva Consiglio dei Feudalisti Uniti.
    2. Radishchev, A. N. (1749-1802), scrittore e rivoluzionario russo. Nel suo famoso lavoro Un viaggio da San Pietroburgo a Mosca, egli lanciò il primo pubblico attacco contro la schiavitù in Russia. Per ordine di Caterina II fu per questo scritto condannato a morte, ma la pena fu poi commutata in dieci anni d'esilio in Siberia. Ritornato dall'esilio grazie ad un'amnistia, si suicidò quando venne paventata una nuova persecuzione. Lenin considerava Radishchev un insigne rappresentante del popolo russo.
    3. Dicembristi, nobiluomini rivoluzionari russi che nel dicembre 1825 si rivoltarono contro l'autocrazia ed il sistema della servitù della gleba.
    4. Comunardi (raznoehintsi in Russo), intellettuali russi, facenti parte della piccola borghesia cittadina, del clero, delle classi mercantili e contadine.
    5. Citazione dalla novella di Chernyshevsky Il prologo.
    6. Purishkevich, V. M. (1870-1920), grande proprietario terriero, monarchico e reazionario dei Cento Neri.

    Riconoscere l'importanza della questione nazionale per il proletariato non significa affatto essere per il predominio di una nazione su un'altra, ma per un rapporto paritario, indipendentemente dalla "consistenza" delle nazioni.
    Ecco perché Lenin distingueva tra nazioni opprimenti e nazioni oppresse. E combatteva l'imperialismo proprio partendo da questo punto di vista.
    Bene! L'importanza della "questione nazionale" per "il proletariato" secondo Lenin, un tema essenziale per capire il leninismo. Dunque ...benissimo.
    Per la concezione marxista della storia i fattori etnici e nazionali hanno indubbiamente un loro ruolo. Ad esempio per l'analisi marxista la società feudale è ritenuta largamente una società "anazionale". Il capitalismo, viveceversa, se da un lato si internazionalizza giungendo a creare un modo di produzione mondiale, un'economia ed un mercato mondiali, una cultura ed una letteratura internazionali (vedi "Il manifesto del PC"), dall'altro lato, dialetticamente. pone con la borghesia fortemente sul piano ideologico e politico la "questione nazionale", come soprastruttura di esigenze materiali peculiari.
    Nell'introduzione all'edizione italiana del Manifesto viene ricordata la figura di ... Dante Alighieri come il primo uomo di cultura moderno, borghese, e come il primo arterfice dello sviluppo del volgare toscano quale lingua nazionale italiana, quanto meno quale lingua letteraria "borghese", e quale artefice anche di una questione nazionale italiana.
    Nel 1914 quando Lenin scrive questo articolo propagandistico (postato dal buon Catilina) la Russia zarista è parte del conflitto mondiale in corso, della grande guerra "imperialistica" che vede "la fortezza della reazione europea" (Marx) alleata delle democrazie occidentali contro gli "Imperi Centrali".
    Di qualche mese precedente è invece lo scritto politico di Lenin "Sul diritto di autodecisione delle nazioni", scritto tra il febbraio e il maggio 1914 e pubblicato su Prosvestcenie, a puntate tra l'aprile e il giugno dello stesso anno.
    In questo scritto Lenin oltre che polemizzare con i "bundisti" e i "liquidatori" e i "nazionalsocialisti ucraini " (nazionalsocialista è testuale), polemizza anche contro Rosa Luxemburg, che esasperando l'internazionalismo proletario rifiuta le "questione nazionale" nella classica definizione marxista, come difesa e sviluppata da Lenin e i bolscevichi.
    Ecco allora che Lenin, che non è affatto un "nazionalista" e neppure un "nazionalitario", pone la questione dal punto di vista marxista-rivoluzionario:
    " Non è la prima volta che scoppiano in Russia dei movimenti nazionali ed essi non sono propri soltanto della Russia. In tutto il mondo il periodo della vittoria definitiva del capitalismo sul feudalismo fu connesso con movimenti nazionali. La base materiale di tali movimenti consiste in questo: per la vittoria completa della produzione mercantile è necessaria la conquista del mercato interno da parte della borghesia, l'unità politica dei territori la cui popolazione parla la stessa lingua, la soppressione di tutti gli ostacoli che si oppongono allo sviluppo di detta lingua ed al suo fissarsi nella letteratura. La lingua è il mezzo più importante per la relazione fra gli uomini; l'unità della lingua ed il suo libero sviluppo costituiscono una delle condizioni più importanti per una circolazione delle merci realmente libera e vasta che corrisponda al capitalismo moderno, per un raggruppamento - libero e vasto - della popolazioni in classi diverse, ed è infine lo stretto collegamento del mercato con ogni padrone o piccolo padrone, con ogni venditore o compratore. Ecco perchè ogni movimento nazionale tende a formare uno Stato nazionale che meglio corrisponda a queste esigenze del capitalismo moderno. Spingono a formare tale stato i fattori economici più profondi: ecco perchè in tutta l'Europa occidentale - o meglio, in tutto il mondo civile - lo stato nazionale è lo Stato TIPICO, normale, del periodo capitalistico. .
    Dunque Lenin inquadra la questione dal punto di vista del materialismo storico, del divenire del capitalismo nel suo sorgere dalla crisi della società feudale e assolutista e nel suo concludersi nella fase imperialistica. La saldatura di questa impostazione con la situazione della Russia, come stato plurinazionale ancora largamente pre-capitalistico, con forti tratti feudali e con numerosissime "nazionalità oppresse" (sulle basi materiali di cui sopra) in fermeto, è già intuitiva. Come sarà ancora più importante l'inserimento di dette questioni all'interno dello scenario della "guerra imperialistica" e della strategia complessiva che Lenin proprone da una parte al proletariato internzionale (disfattivo rivoluzionario, denuncia dei socialtraditori socialpatrioti, rivoluzione socialista mondiale) e dall'altro al proletariato e al popolo russo (rivoluzione nazionaldemocratica contro l'autocrazia, dissoluzione dell'impero feudale con l'autodeterminazione delle nazionalità oppresse dai grandi russi).
    Non affronterò ora la polemica fra Lenin e la Luxemburg, perchè ci porterebbe un tantino....fuori strada, ma mi riprometto di parlarne in seguito.

    Più avanti, nel medesimo scritto, Lenin precisa meglio l'inquadramento STORICO-POLITICO della "questione nazionale":
    " (...) e' necessario separare rigorosamente i due periodi del capitalismo, periodo radicalmente distinti dal punto di vista dei movimenti nazionali. Da una parte il periodo del fallimento del feudalesimo e dell'assolutismo, il periodo in cui si formano la società borghese e gli stati democratici borghesi, in cui i movimenti nazionali diventano, per la prima volta, dei movimenti di massa, trascinando, in un modo o nell'altro, tutte le classi della popolazione nella vita politica per mezzo della stampa, della partecipazione alle istituzioni rappresentative, eccetera.
    D'altra parte, davanti a noi, sta il periodo degli stati capitalistici completamente formati, il periodo in cui il regime costituzionale è consolidato da lungo tempo, in cui l'antagonismo tra il proletariato e la borghesia è fortemente sviluppato, il periodo che può essere definito come la vigiglia del fallimento del capitalismo.
    Il primo periodo è caratterizzato dal risveglio dei movimenti nazionali, nei quali vengono trascinati anche i contadini(...). Il secondo periodo è caratterizzato dall'assenza dei movimenti democratici-borghesi di massa; è il periodo in cui il capitalismo sviluppato, riavvicinando e mescolando tra loro le nazioni già del tutto attratte nella circolazione delle merci, porta in primo piano l'antagonismo tra il capitale che si è internazionalizzato e il movimento operaio internazionale .
    Naturalmente i due periodi NON sono divisi da un muro, ma sono collegati da numerosi anelli di transizione (...) Non si può iniziare la discussione del programma marxista per un paese determinato, senza considerare tutti questi fattori generali storici e le condizioni politiche concrete
    ".
    Ecco quindi come Lenin inquadra la "questione nazionale" scondo gli schemi "scientifici" del materialismo storico marxiano, analizzando il processo storico concreto in rapporto allo sviluppo dei rapporti di produzione capitalistici e della società borghese.
    Si osservi che Lenin, come noterà più avanti il Bordiga in indiretta polemica con Stalin (di cui dimostra l'assoluta incomprensione del marxismo), considera la questione della lingua come strettamente connessa con i fattori economico-sociali di produzione storica del mercato nazionale borghese. In tale senso la lingua nazionale svolge la funzione di "forza produttiva" e quindi in un certo senso fa parte integrante non della soprastruttura culturale quanto piuttosto della struttura economico-sociale.
    Nel terzo capitolo del suo scritto Lenin tratta de "Le particolarità concrete della questione nazionale e la trasformazione democratica borghese in Russia".

    continua......

  2. #2
    Quin igitur expergiscimini?
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    Predefinito

    Se permetti continuo io, con un altro scritto di Lenin, che conferma appieno la sua consapevolezza della centralità della "questione nazionale" per l' affermazione del comunismo e non la sua negazione della stessa in nome dell' internazionalismo.

    *****


    IL PROLETARIATO RIVOLUZIONARIO E IL DIRITTO DELLE NAZIONI ALL'AUTODETERMINAZIONE

    ottobre 1915

    Il manifesto di Zimmerwald, come la maggior parte dei programmi e delle risoluzioni tattiche dei partiti socialdemocratici, proclama "il diritto delle nazioni all'autodeterminazione". Il compagno Parabellum (nei nn. 252-253 della Berner Tagwacht) dichiara "illusoria" la "lotta per l'inesistente diritto di autodeterminazione" e ad essa contrappone la "lotta rivoluzionaria di massa del proletariato contro il capitalismo", assicurando, nello stesso tempo che "noi siamo contro le annessioni" (questa affermazione è ripetuta cinque volte nell'articolo di Parabellum) e contro ogni specie di violenza ai danni delle nazioni.
    Gli argomenti di Parabellum si riducono a questo: oggi tutti i problemi nazionali (Alsazia-Lorena, Armenia, ecc.) sono in sostanza problemi dell'imperialismo; il capitale ha superato i limiti degli Stati nazionali; non è possibile "girare all'indietro la ruota della storia" verso l'ideale ormai sorpassato degli Stati nazionali, ecc.
    Vediamo un po' se i ragionamenti di Parabellum sono giusti.
    Innanzi tutto proprio Parabellum guarda indietro invece di guardare avanti, quando, scendendo in campo contro l'accettazione dell'"ideale dello Stato nazionale" da parte della classe operaia, volge il proprio sguardo all'Inghilterra, alla Francia, all'Italia, alla Germania, cioè ai paesi in cui il movimento di liberazione nazionale appartiene al passato, e non all'oriente, all'Asia, all'Africa, alle colonie dove questo movimento appartiene al presente e all'avvenire. Basta nominare l'India, la Cina, la Persia, l'Egitto.
    Proseguiamo. Imperialismo significa superamento dei limiti degli Stati nazionali da parte del capitale, significa estensione e aggravamento dell'oppressione nazionale su una nuova base storica. Di qui, malgrado le opinioni di Parabellum, deriva precisamente che noi dobbiamo legare la lotta rivoluzionaria per il socialismo al programma rivoluzionario nella questione nazionale.
    Dal ragionamento di Parabellum risulta che egli, in nome della rivoluzione socialista, respinge sdegnosamente il programma rivoluzionario coerente nel campo democratico. Questo non è giusto. Il proletariato non può vincere se non attraverso la democrazia, cioè realizzando completamente la democrazia e presentando, a d ogni passo della sua lotta, rivendicazioni democratiche nella formulazione più recisa. É assurdo contrapporre la rivoluzione socialista e la lotta rivoluzionarIa contro il capitalismo ad una delle questioni della democrazia, nel nostro caso alla questione nazionale. Dobbiamo unire la lotta rivoluzionaria contro il capitalismo al programma rivoluzionario e alla tattica rivoluzionaria per tutte le rivendicazioni democratiche: repubblica, milizia, elezione dei funzionari da parte del popolo, parità di diritti per le donne, autodeterminazione dei popoli, ecc. Finché esiste il capitalismo, tutte queste rivendicazioni sono realizzabili soltanto in via d'eccezione e sempre in forma incompleta, snaturata. Appoggiandoci alla democrazia già attuata, rivelando che essa è incompleta in regime capitalista, noi rivendichiamo l'abbattimento del capitalismo, l'espropriazione della borghesia, come base indispensabile per l'eliminazione della miseria delle masse e per l'introduzione completa e generale di tutte le trasformazioni democratiche.
    Alcune di queste trasformazioni saranno iniziate prima dell'abbattimento della borghesia, altre nel corso di questo abbattimento, altre ancora dopo di esso. La rivoluzione sociale non è un'unica battaglia, ma tutto un periodo di battaglie per tutte le questioni concernenti le trasformazioni economiche e democratiche, le quali saranno portate a compimento soltanto con l'espropriazione della borghesia. Precisamente in nome di questo scopo finale, dobbiamo dare una formulazione coerentemente rivoluzionaria ad ogni nostra rivendicazione democratica. É perfettamente possibile che gli operai di un determinato paese abbattano la borghesia prima dell'attuazione completa anche di una sola riforma democratica fondamentale. Ma é assolutamente inconcepibile che il proletariato, come classe storica, possa vincere la borghesia se a questo non si sarà preparato attraverso l'educazione nello spirito del democratismo più coerente e più decisamente rivoluzionario.
    L'imperialismo è l'oppressione sempre maggiore dei popoli del mondo da parte di un pugno di grandi potenze, è un periodo di guerre tra queste potenze per l'estensione e il consolidamento dell'oppressione delle nazioni, è un periodo di inganno delle masse popolari da parte dei socialpatrioti ipocriti, di coloro i quali - col pretesto della "libertà dei popoli", del "diritto delle nazioni all'autodeterminazione" e della "difesa della patria" - giustificano e difendono l'oppressione della maggioranza dei popoli del mondo da parte delle grandi potenze.
    Perciò, nel programma dei socialdemocratici, il punto centrale dev'essere precisamente quella divisione delle nazioni in dominanti e oppresse, che rappresenta l'essenza dell'imperialismo e alla quale sfuggono mentendo i socialsciovinisti e Kautsky. Questa divisione non è sostanziale dal punto di vista del pacifismo borghese o dell'utopia piccolo-borghese della concorrenza pacifica tra nazioni indipendenti in regime capitalista, ma essa è indiscutibilmente sostanziale dal punto di vista della lotta rivoluzionaria contro l'imperialismo. E da questa divisione deve scaturire la nostra definizione - coerentemente democratica, rivoluzionaria e corrispondente al compito generale della lotta immediata per il socialismo - del "diritto delle nazioni all'autodeterminazione". In nome di questo diritto, lottando per il suo riconoscimento non ipocrita, i socialdemocratici delle nazioni dominanti debbono rivendicare la libertà di separazione per le nazioni oppresse, perché altrimenti il riconoscimento dell'eguaglianza di diritti delle nazioni e della solidarietà internazionale degli operai sarebbe in pratica soltanto una parola vuota, soltanto un'ipocrisia. E i socialdemocratici delle nazioni oppresse debbono considerare come fatto di primaria importanza l'unità e la fusione degli operai dei popoli oppressi con gli operai delle nazioni dominanti, poiché altrimenti questi socialdemocratici diverranno involontariamente degli alleati dell'una o dell'altra borghesia nazionale, che tradisce sempre gli interessi del popolo e della democrazia che è sempre pronta, a sua volta, ad annettere e ad opprimere altre nazioni.
    Come esempio istruttivo può servire l'impostazione che ricevette la questione nazionale verso la fine del decennio 1860-1870. I democratici piccolo-borghesi, estranei a ogni idea di lotta di classe e di rivoluzione socialista, avevano immaginato l'utopia della concorrenza pacifica, in regime capitalista, tra nazioni libere e aventi eguali diritti. I proudhoniani "negavano" addirittura la questione nazionale e il diritto di autodeterminazione delle nazioni dal punto di vista dei compiti immediati della rivoluzione sociale. Marx scherniva il proudhonismo francese, mostrava la sua affinità con lo sciovinismo francese. ("Tutta l'Europa può e deve restare tranquillamente seduta sul suo deretano, fino a quando i signori non aboliranno in Francia la miseria"... "Per negazione delle nazionalità, essi, a quanto pare, intendono inconsapevolmente l'assorbimento di nazionalità da parte della nazione francese modello") Marx chiedeva la separazione dell'Irlanda dall'Inghilterra, "anche se dopo la separazione si dovesse giungere alla federazione" e lo chiedeva non dal punto di vista dell'utopia piccolo-borghese del capitalismo pacifico, non per motivi di "giustizia verso l'Irlanda", ma dal punto di vista degli interessi della lotta rivoluzionaria del proletariato della nazione dominante, cioè inglese, contro il capitalismo. La libertà di questa nazione era ostacolata e mutilata dal fatto che essa opprimeva un'altra nazione. L'internazionalismo del proletariato inglese sarebbe stato una frase ipocrita se il proletariato inglese non avesse chiesto la separazione dell'Irlanda.
    Marx, che non è mai stato fautore dei piccoli Stati, né del frazionamento statale in generale, né del principio federativo, considerava la separazione della nazione oppressa come un passo verso la federazione e, conseguentemente, non verso il frazionamento, ma verso il centralismo politico ed economico, verso il centralismo sulla base della democrazia. Dal punto di vista di Parabellum, Marx conduceva, verosimilmente, una "lotta illusoria", quando promuoveva la rivendicazione della separazione dell'Irlanda. Ma in pratica soltanto tale rivendicazione era un programma rivoluzionario coerente, essa soltanto era rispondente all'internazionalismo, essa soltanto difendeva il principio del centralismo in una forma non imperialistica.
    L'imperialismo dei nostri giorni ha portato a questo, che l'oppressione delle nazioni da parte delle grandi potenze è diventata un fenomeno generale. Precisamente il punto di vista della lotta contro il socialsciovinismo delle grandi potenze - che oggi conducono la guerra imperialistica per consolidare l'oppressione dei popoli e che opprimono la maggioranza dei popoli del mondo e la maggioranza della popolazione della terra - precisamente questo punto di vista deve essere decisivo, essenziale, fondamentale nel programma nazionale dei socialdemocratici.
    Osservate invece le tendenze attuali del pensiero socialdemocratico su questo problema. Gli utopisti piccolo-borghesi, che sognano l'eguaglianza e la pace tra le nazioni in regime capitalista, hanno ceduto il posto ai socialimperialisti. Parabellum combattendo contro i primi combatte contro i mulini a vento, e fa, senza volerlo, il giuoco dei secondi.
    Qual è il programrna dei socialsciovinisti nella questione nazionale?
    Essi o negano del tutto il diritto all'autodeterminazione adducendo argomenti del genere di quelli di Parabellum (Cunow, Parvus, gli opportunisti russi Semkovski, Libman ed altri), oppure riconoscono questo diritto in modo manifestamente ipocrita, non applicandolo precisamente a quelle nazioni che sono oppresse dalla loro nazione o dall'alleato militare di quest'ultima (Plekhanov, Hyndman, tutti i patrioti francofili, Scheidemann, ecc. ). Kautsky dà la formulazione più suggestiva, e perciò più pericolosa per il proletariato, della menzogna socialsciovinista. A parole è favorevole all'autodeterminazione delle nazioni, a parole è favorevole a ciò che il partito socialdemocratico "rispetti e rivendichi dappertutto (!!) e incondizionatamente (??) l'indipendenza delle nazioni (Neue Zeit, n. 33, II, p. 241, 21 maggio 1915). Ma in pratica adatta il programma nazionale al socialsciovinismo imperante, lo snatura e lo mutila, non definisce con precisione i doveri dei socialisti delle nazioni dominanti e falsifica addirittura il principio democratico dicendo che esigere 1'"indipendenza statale" per ogni nazione significherebbe "esigere troppo" ("zu vil", Neue Zeit, n. 33, II, 77, 16 aprile 1915). Basta, se non vi dispiace, con l' "autonomia nazionale"!!
    E precisamente la questione principale - la questione che la borghesia imperialista vieta di toccare, la questione delle frontiere dello Stato edificato sull'oppressione delle nazioni - é elusa da Kautsky, il quale, per far piacere a questa borghesia, elimina dal programma precisamente ciò che vi é di essenziale! La borghesia è pronta a promettere qualsiasi "parità di diritti delle nazioni" e qualsiasi "autonomia nazionale" purché il proletariato rimanga nel quadro della legalità e si sottometta "pacificamente" ad essa per quanto concerne le frontiere dello Stato! Kautsky formula il programma nazionale della socialdemocrazia in modo riformista e non rivoluzionario.
    Il Parteivorstand, Kautsky, Plekhanov e soci sottoscrivono a due mani il programma nazionale del compagno Parabellum, o piuttosto la sua assicurazione: "noi siamo contro le annessioni", precisamente perché questo programma non smaschera i socialpatrioti imperanti. Questo programma lo sottoscriverebbero anche i pacifisti borghesi. L'eccellente programma generale di Parabellum ("lotta rivoluzionaria di massa contro il capitalismo") gli serve - come ai proudhoniani nel decennio 1860-1870 - non per elaborare, corrispondentemente ad esso, secondo il suo spirito, un programma intransigente e altrettanto rivoluzionario sulla questione nazionale, ma per sgombrare i1 terreno, in questo campo, ai socialpatrioti. Nella nostra epoca imperialista, la maggioranza dei socialisti del mondo appartiene alle nazioni che opprimono altre nazioni e che tendono ad estendere questa oppressione. Perciò la nostra "lotta contro le annessioni" resterà senza contenuto, non sarà affatto temibile per i socialpatrioti, se non dichiareremo: il socialista di una nazione dominante, il quale, sia in tempo di pace che in tempo di guerra, non svolge la propaganda per la libertà delle nazioni oppresse di separarsi, non è un socialista, un internazionalista, ma uno sciovinista! Il socialista di una nazione dominante che non svolge questa propaganda malgrado i divieti dei governi, vale a dire nella stampa libera, cioè nella stampa illegale, è un fautore ipocrita dell'eguaglianza delle nazioni!
    Alla Russia, la quale non ha ancora compiuto la sua rivoluzione democratica borghese, Parabellum ha dedicato una sola frase:
    "Persino la Russia, molto arretrata economicamente, ha mostrato, attraverso l'atteggiamento della borghesia polacca, lettone, armena, che i popoli sono tenuti in questa "prigione dei popoli" non soltanto dalla sorveglianza militare, ma anche dalle esigenze dell'espansione capitalistica alla quale l'immenso territorio offre una magnifica base di sviluppo."
    Questo non è un "punto di vista socialdemocratico", ma borghese liberale, non internazionalista, ma grande-russo-sciovinista. Evidentemente, Parabellum, il quale lotta così bene contro i socialpatrioti tedeschi, non è troppo al corrente di quest'altro sciovinismo! Per fare di questa frase di Parabellum una tesi socialdemocratica, e per dedurre da questa frase conclusioni socialdemocratiche, bisogna rifarla e completarla nel modo seguente:
    La Russia è una prigione di popoli non soltanto a causa del carattere militare-feudale dello zarismo, non soltanto per il fatto che la borghesia grande-russa appoggia lo zarismo, ma anche perché le borghesie polacca, ecc. hanno sacrificato la libertà delle nazioni e la democrazia in generale agli interessi dell'espansione capitalistica. Il proletariato della Russia non può fare a meno di marciare alla testa del popolo per la rivoluzione democratica vittoriosa (questo è il suo compito immediato) né può fare a meno di combattere assieme ai suoi fratelli, ai proletari d'Europa, per la rivoluzione socialista senza chiedere anche ora piena e incondizionata libertà di separazione dalla Russia per tutte le nazioni oppresse dallo zarismo. Noi rivendichiamo questo, non indipendentemente dalla nostra lotta per il socialismo, ma perché quest'ultima lotta resta una parola vuota se non è legata indissolubilmente all'impostazione rivoluzionaria di tutte le questioni democratiche, compresa quella nazionale.
    Noi esigiamo la libertà di autodeterminazione, cioè l'indipendenza, cioè la libertà di separazione delle nazioni oppresse, non perché sogniamo il frazionamento economico o l'ideale dei piccoli Stati, ma, viceversa, perché desideriamo dei grandi Stati e l'avvicinamento, persino la fusione, tra le nazioni su una base veramente democratica, veramente internazionalista, inconcepibile senza la libertà di separazione. Come Marx nel 1869 chiedeva la separazione dell'Irlanda non per il frazionamento, ma per un'ulteriore libera unione tra l'Irlanda e l'Inghilterra, non per "giustizia verso l'Irlanda" ma in nome degli interessi della lotta rivoluzionaria del proletariato inglese, così anche noi consideriamo la rinuncia dei socialisti della Russia alla rivendicazione della libertà di autodeterminazione delle nazioni nel senso da noi indicato, come un aperto tradimento della democrazia, dell'internazionalismo e del socialismo.

  3. #3
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    Mai detto che la "questione nazionale" sia inesistente, solo va compresa.......e quanto sopra aiuta, se lo si vuole a comprenderla, come anche ciò che seguirà. I testi sono utili solo se ....si VOGLIONO comprendere. Io propongo poi in primo luogo i testi analitici preferendoli a quelli propagandistici che invece proponi tu. Un motivo ci sarà.....

    Saluti liberali

  4. #4
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    Ma guarda guarda, se io propongo nella loro versione integrale testi originali di Lenin che confermano la validità della mia interpretazione sulla centralità della questione nazionale rilevata dai comunisti russi fin dall' inizio, essi sono testi propagandistici, invece sono validi solo quelli che scegli tu...
    Ma questo è stalinismo!

  5. #5
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    La posizione leniniana, che si manifesta, come detto, in polemica soprattutto con la posizione di astratto internazionalismo della Luxemburg, si esplicita al meglio proprio in questo terzo capitolo dello scritto sull'autodeterminazione nazionale.
    Scrive Lenin : " Nell'Europa occidentale, continentale, il periodo delle rivoluzioni democratiche borghesi, va, approssimativamente, dal 1789 al 1871. Questo periodo fu precisamente quello dei movimenti nazionali e della formazione degli stati nazionali. Alla fine di questo periodo, l'Europa occidentale era trasformata in un sistema compiuto di stati borghesi e - in regola generale - nazionalmente omogenei. Perciò cercare oggi il diritto di autodeterminazione nei programmi dei socialisti dell'europa occidentale, significa non capire l'abbicci del marxismo .
    In europa orientale ed in asia, il periodo delle rivoluzioni democratiche borghesi è cominciato solo nel 1905. Le rivoluzioni in Russia, in Persia, in Turchia ed in Cina, le guerre dei Balcani: ecco la catena degli avvenimenti mondiali del NOSTRO periodo, del NOSTRO oriente. Ed in questa catena di avvenimenti solo un cieco può non vedere il risveglio di tutta una serie di movimenti nazionali democratici borghesi e di tendenze a creare degli stati nazionali indipendenti ed omogenei
    (...) La Russia è un paese con un solo centro nazionale, il centro grande-russo. I grandi russi occupano un territorio enorme, popolato da quasi settanta milioni di abitanti. La particolarità di questo stato nazionale è, in primo luogo, che gli allogeni (i quali in complesso costituiscono la maggioranza della popolazione: Il 57%) abitano la periferia; in secondo luogo, che l'oppressione di questi "allogeni" è molto più forte negli stati vicini (non solo negli stati europei) in terzo luogo che, in molti casi, le nazioni oppresse della periferia hanno, dall'altra parte della frontiera, dei connazionali che godono di un'indipendenza nazionale maggiore (...) in quarto luogo che lo sviluppo del capitalismo e il livello culturale generale sono spesso più sviluppati alla periferia popolata da "allogeni" che non al centro del paese . Infine, nei paesi asiatici confinanti, è cominciato un periodo di rivoluzioni borghesi e di movimenti nazionali i quali abbracciano parzialmente popoli di nazionalità sorelle che abitano dentro i confini della Russia.
    Sono quindi le particolarità storiche concrete della questione nazionale in Russia che, nell'attuale periodo, rendono in russia perticolarmente indispensabile il riconoscimento del diritto di autodeterminazione delle nazioni
    "

    Che cosa ci dice questa lunga citazione dello scritto di Lenin, congiuntamente alle citazioni del precedente post?
    Sembra evidente come Lenin colleghi "la questione nazionale" non ai contenuti socialisti e proletari del processo rivoluzionario, ma a quelli democratico-borghesi. Questa è una verità elementare per chiunque abbia un minimo di confidenza con il marxismo e il leninismo, ma è vero che lo stalinismo....successivamente......subordinandosi agli interessi dello Stato sovietico nell'ottica della "costruzione del socialismo in un paese solo" apporterà delle radicali revisioni a questo impianto ideologico.
    La formazione degli Stati nazionali è un processo connesso con il capitalismo e il suo sorgere, con le necessità, dice Lenin, della formazione dell'economia mercantile.
    Che cosa lega dunque queste questioni al comunismo alla rivoluzione proletaria?
    Lenin, se si vuole vederlo, ha già risposto sopra. Non solo, Lenin ha risposto già nel 1905 con la tattica della "dittatura democratica degli operai e contadini" e risponderà ancora più compiutamente con "L'imperialismo, fase suprema del capitalismo".
    Da un lato la rivoluzione in oriente, ossia nei paesi arretrati, è una rivoluzione democratico borghese, nazionaldemocratica, dall'altro i due mondi di cui parla lenin nella prima citazione "non sono separati da una muraglia".
    Lenin è anche convinto che la borghesia non abbia la possibilità di guidare e portare a termine la rivoluzione borghese in russia e, similmente, in altre realtà "d'oriente". Ecco allora che si impone una visione originale della conduzione di questi "compiti nazionali" e "democratici borghesi" da parte del partito rivoluzionario della classe operaia.
    All'ordine del giorno "in oriente" vi è la rivoluzione borghese, ma solo il proletariato egemone ed alleato sulle grandi masse contadine può ora portare a termine il processo, e nel portarlo a termine, dirà Trotzky (rivoluzione permanente) non può che inizire nel contempo ad adempiere ai propri compiti SOCIALISTI.
    Lenin nell'aprile 1917, incavolato nero con Stalin e Kamenev che dalla "Pravda" avevano dato addirittura sostegno al governo provvisorio liberale, giungerà ad una conclusione simile.
    Bordiga chiamerà giustamente questo processo come "doppia rivoluzione", borghese e comunista ad un tempo solo, e così anche karl Korsch. Nell'adempiere ai compiti della rivoluzione democratico borghese il proletariato russo DEVE risolvere la questione nazionale!
    Ma l'inquadramento leniniano non è nazionale neppure in questo. Lenin infatti individua una saldatura MONDIALE fra la rivoluzione proletaria in occidente e la rivoluzione nazional-borghese in oriente. Questa saldatura è alla base della sua strategia internazionalista.

    continua....
    L'imperialismo non è una politica, è uno stadio di sviluppo del capitalismo, l'ultimo secondo l'escatologia rivoluzionaria marxista.

  6. #6
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    Che cosa unifica l'occidente con l'oriente, la rivoluzione proletaria internazionale con le rivoluzioni nazionaldemocratiche "borghesi"? La risposta di Lenin è chiara: l'imperialismo.
    Il capitalismo giunto al suo stadio imperialistico si propone sempre più come sistema mondiale, in cui....da un lato, si creano le metropoli dominate dal capitale finanziario, dei monopoli e dagli oligopoli, dalla concentrazione del capitale, dall'altro lato vi sono le "nazionalità oppresse" e le aree del mondo ridotte ad uno stato coloniale o semi-coloniale.
    Nell'era dell'imperialismo, ossia di quella che è ritenuta la fase ultima, putrescente, del capitalismo, la saldatura fra gli interessi del proletariato industriale e dei lavoratori semi-proletari delle metropoli capitalistiche più sviluppate si saldano in qualche modo inesorabilmente, nella strategia rivoluzionaria internazionalista, con gli interessi dei popoli delle nazionalità oppresse dell'oriente e del sud del mondo.
    Ecco dunque che Lenin può dichiarare "astratta" ogni critica alla impostazione bolscevica della "questione nazionale" fatta in nome dello stesso internazionalismo proletario. Ma Lenin non incorre in questa analisi in nessuna contrapposta "astrazione" quale sarebbe quella di una valutazione dei "fattori nazionali" al di fuori del contesto storico dell'evoluzione mondiale del capitalismo imperialistico e delle questioni "democratico - nazionali" ancora aperte nei paesi capitalisticamente arretrati e coloniali e semi-coloniali.


    continua ...

  7. #7
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    No, continuo io, perchè Catilina fa parlare direttamente Lenin, mentre Pieffebi lo glossa per darne l' interpretazione "autentica", che ovviamente è quella sua...
    Ma adesso, per esempio, leggete quest' altro testo originale e ditemi se si può negare la consapevolezza da parte di Lenin dell' importanza della questione nazionale non in funzione puramente tattica o strumentale, ma come uno degli aspetti fondanti della lotta dei comunisti:


    SULLA QUESTIONE DELLE NAZIONALITA'
    O DELLA "AUTONOMIZZAZIONE"[1]

    A quanto pare sono fortemente in colpa verso gli operai della Russia perché non mi sono occupato con sufficiente energia e decisione della famosa questione della autonomizzazione[2] ufficialmente detta, mi pare, questione della unione delle repubbliche socialiste sovietiche.
    Quest'estate, quando la questione è sorta, io ero malato, e poi, nell'autunno, ho riposto eccessive speranze nella mia guarigione e nella possibilità che le assemblee plenarie di ottobre e dicembre[3] mi avrebbero permesso di occuparmi di tale questione. Invece non ho potuto essere presente né al plenum di ottobre (su questo punto) né a quello di dicembre, e così la questione è stata discussa quasi completamente senza di me.
    Sono riuscito solo a parlare con il compagno Dzerginski, che è venuto dal Caucaso e mi ha raccontato come si pone questo problema in Georgia. Sono riuscito anche a scambiare qualche parola con il compagno Zinoviev e a esprimergli i miei timori a questo proposito. Da ciò che mi ha comunicato il compagno Dzerginski, che era stato a capo della commissione inviata dal Comitato centrale per "indagare" sull'incidente georgiano, potevo infatti trarre motivo solo di grandissimi timori. Se le cose erano arrivate a tal punto che Orgionikidze aveva potuto lasciarsi andare all'uso della violenza fisica, come mi ha comunicato il compagno Dzergínski, ci si può immaginare in quale pantano siamo scivolati. Evidentemente tutta questa storia della "autonomizzazione" era radicalmente falsa e intempestiva.
    Si dice che ci voleva l'unità dell'apparato. Ma di dove sono venute fuori queste affermazioni? Non sono forse venute proprio da quell'apparato russo che, come ho già rilevato in una delle note precedenti del mio diario, abbiamo ereditato dallo zarismo, e che è stato solo appena appena ricoperto di uno strato di vernice sovietica ?
    Non c'è dubbio che si sarebbe dovuto aspettare ad attuare questa misura finché non avremmo potuto dire di essere sicuri del nostro apparato, come di un apparato effettivamente nostro. Ma ora dobbiamo in coscienza affermare, al contrario, che noi chiamiamo nostro un apparato che in realtà ci è ancora profondamente estraneo, che rappresenta il filisteismo borghese e zarista, la cui trasformazione in cinque anni, mancando l'aiuto di altri paesi e prevalendo le "occupazioni" della guerra e della lotta contro la fame, non era assolutamente possibile.
    In tali condizioni è perfettamente naturale che la "libertà di uscire dall'Unione", con la quale ci giustifichiamo, si rivela un inutile pezzo di carta, incapace di difendere gli allogeni della Russia dall'invasione di quell'uomo veramente russo, da quello sciovinista granderusso, in sostanza vile e violento, che è il tipico burocrate russo. Non vi è dubbio che una percentuale insignificante di operai sovietici e sovietizzati affogherà in questa marmaglia sciovinista granderussa come una mosca nel latte.
    Si dice, a difesa di questa iniziativa, che sono stati separati i commissariati del popolo che riguardano direttamente il carattere nazionale, l'educazione nazionale. Ma qui sorge la domanda: possono questi commissariati del popolo essere separati completamente? E la seconda domanda: abbiamo noi preso con sufficiente sollecitudine i provvedimenti necessari per difendere effettivamente gli allogeni dal Diergimorda[4] veramente russo? Penso di no, sebbene avessimo dovuto e potuto farlo.
    Io penso che qui hanno avuto una funzione nefasta la frettolosità di Stalin e la sua tendenza a usare i metodi amministrativi, nonché il suo odio contro il famigerato "socialnazionalismo". Il rancore in generale, è di solito, in politica, di grandissimo danno.
    Io temo pure che il compagno Dzerginski, che è andato nel Caucaso a indagare sui "crimini" di questi "socialnazionali" si sia distinto anche lui solo per il suo atteggiamento da vero russo (è noto che gli allogeni russificati esagerano sempre per quanto riguarda l'atteggiamento da vero russo), e l'imparzialità di tutta la sua commissione è caratterizzata a sufficienza da "metodi violenti" impiegati da Orgionikidze. Io penso che nessuna provocazione, nessuna offesa perfino, può giustificare questi metodi violenti russi e che il compagno Dzerginski è colpevole, senza possibilità di giustificazione, di aver preso alla leggera questi atti di violenza.
    Orgionikidze rappresentava il potere nei confronti di tutti gli altri cittadini del Caucaso. Orgionikidze non aveva il diritto di manifestare quella irritabilità cui hanno accennato lui e Dzerginski, Orgionikidze, al contrario, era tenuto a comportarsi con quell'autocontrollo con cui non è tenuto a comportarsi nessun comune cittadino, tanto più se è accusato di un delitto "politico". Infatti i socialnazionalí, erano in sostanza cittadini accusati di un delitto politico, e tutte le circostanze in cui era stata formulata questa accusa non li potevano qualificare altrimenti.
    Qui sorge una questione di principio molto importante: come intendere l'internazionalismo[5]
    II
    Ho già scritto nelle mie opere sulla questione nazionale che non bisogna assolutamente impostare in astratto la questione del nazionalismo in generale. E' necessario distinguere il nazionalismo della nazione dominante dal nazionalismo della nazione oppressa, il nazionalismo della grande nazione da quello della piccola.
    Nei confronti del secondo nazionalismo, noi, appartenenti a una grande nazione, ci troviamo ad essere quasi sempre, nella prassi storica, colpevoli di infinite violenze, e anzi, compiamo in piú, senza nemmeno accorgercene, un numero infinito di violenze e offese: mi basta ripensare agli anni in cui vivevo nella regione del Volga e al modo come da noi trattano gli allogeni, come il polacco venga chiamato solo "polaccuzzo", come prendono in giro il tataro, chiamandolo "principe", e l'ucraino "chochol" e il georgiano e gli altri allogeni del Caucaso "kapkasi".
    Perciò l'internazionalismo da parte della nazione dominante, o cosiddetta "grande nazione" (sebbene sia grande soltanto per le sue violenze, grande soltanto come è grande Diergimorda), deve consistere non solo nell'osservare la formale uguaglianza tra le nazioni, ma anche una certa ineguaglianza che compensi da parte della nazione dominante, della grande nazione, l'ineguaglianza che si crea di fatto nella realtà. Chi non l'ha capito, non ha capito l'atteggiamento realmente proletario verso la questione nazionale, ed è rimasto, in sostanza, su una posizione piccolo-borghese, e perciò non può non scivolare ad ogni istante nella posizione borghese.
    Che cosa è importante per il proletario? Per il proletario è non soltanto importante, ma essenzialmente, necessario assicurarsi la massima fiducia degli allogeni nella lotta di classe proletaria. Che cosa occorre per assicurarsela? Occorre non solo l'eguaglianza formale. Occorre compensare, in un modo o nell'altro, con il proprio comportamento e con le proprie concessioni verso gli allogeni, quella sfiducia, quella diffidenza, quelle offese che nella storia passata gli sono state provocate dal governo della nazione "grande potenza".
    Io penso che per dei bolscevichi, per dei comunisti, non sia necessario spiegare tutto ciò ulteriormente e con maggiori particolari. Io penso che in questo determinato caso, nei confronti della nazione georgiana abbiamo un esempio tipico di come un atteggiamento veramente proletario richieda da parte nostra una grande prudenza, un grande tatto e una grande capacità di compromesso. Il georgiano che considera con disprezzo questo aspetto della questione, che facilmente si lascia andare all'accusa di "socialnazionalismo" (quando egli stesso è non solo un vero e proprio "socialnazionale", ma anche un rozzo Diergimorda grande-russo) quel georgiano in sostanza viola gli interessi della solidarietà proletaria di classe, perché niente ostacola tanto lo sviluppo e il consolidamento della solidarietà proletaria di classe quanto l'ingiustizia nazionale, e a niente sono così sensibili gli appartenenti alle nazionalità "offese" come al sentimento di eguaglianza e alla violazione di questa eguaglianza, anche solo per leggerezza, anche solo sotto forma di scherzo, alla violazione di questa eguaglianza da parte dei loro compagni proletari. Ecco perché in questo caso è meglio esagerare dal lato della cedevolezza e della comprensione verso le minoranze nazionali che non il contrario. Ecco perché in questo caso l'interesse più profondo della solidarietà proletaria, e quindi anche della lotta di classe proletaria esige che noi non abbiamo mai un atteggiamento formale verso la questione nazionale, ma che teniamo sempre conto della immancabile differenza che non può non esserci nell'atteggiamento del proletario della nazione oppressa (o piccola) verso la nazione dominante (o grande).
    III
    Quali misure pratiche bisogna allora prendere nella situazione creatasi?
    In primo luogo, bisogna consolidare e rafforzare l'unione delle repubbliche socialiste; su questa iniziativa non vi possono essere dubbi. Essa ci è necessaria, come è necessaria al proletariato comunista mondiale per la lotta contro la borghesia mondiale e per la difesa contro gli intrighi di quest'ultima.
    In secondo luogo, bisogna mantenere l'unione delle repubbliche socialiste per quanto riguarda l'apparato diplomatico. In effetti questo apparato è un'eccezione nell'ambito del nostro apparato statale. In esso non abbiamo ammesso nessun uomo di una certa influenza del vecchio apparato zarista. In esso tutto l'apparato di una certa autorità è composto di comunisti. Perciò questo apparato si è già conquistato (lo si può dire con sicurezza) la fama di apparato comunista sperimentato, epurato del vecchio apparato zarista, borghese e piccolo-borghese, in misura incomparabilmente maggiore che non l'apparato di cui siamo stati costretti a servirci negli altri commissariati del popolo.
    In terzo luogo, bisogna punire in modo esemplare il compagno Orgionikidze (lo dico con rincrescimento tanto maggiore in quanto appartengo personalmente alla cerchia dei suoi amici e ho lavorato con lui all'estero nell'emigrazione) e così pure portare a compimento o rinnovare l'indagine su tutti i materiali della commissione Dzerginski, allo scopo di correggere l'enorme massa di inesattezze e di giudizi parziali che indubbiamente vi si trovano. Politicamente responsabili di tutta questa campagna, veramente nazionalista-grande-russa, bisogna considerare, naturalmente Stalin e Dzerginski.
    In quarto luogo, bisogna introdurre le norme più rigorose riguardo all'uso della lingua nazionale nelle repubbliche di altra nazionalità che fanno parte della nostra Unione, e controllare queste norme con particolare accuratezza. Non c'è dubbio che con il pretesto dell'unità del servizio ferroviario, con il pretesto dell'unità del servizio fiscale, ecc. ecc., da noi, con l'apparato che abbiamo oggi, verrà fuori una quantità di arbítri di tipo veramente russo. Per lottare contro questi arbítri è necessaria una particolare ingegnosità, per non parlare poi di una particolare rettitudine, da parte di coloro che si accingeranno a questa lotta. Qui ci vuole un codice particolareggiato, che possono redigere con un certo successo solo gli appartenenti alle minoranze nazionali che vivono in una determinata repubblica. Inoltre, non bisogna affatto escludere a priori che, in seguito a tutto questo lavoro, al prossimo congresso dei soviet non si torni indietro, e cioè si lasci l'unione delle repubbliche socialiste sovietiche solo per quel che riguarda la difesa e la diplomazia, e in tutti gli altri settori si ristabilisce la piena autonomia dei singoli commissariati del popolo.
    Bisogna tener presente che lo spezzettamento dei commissariati del popolo e la mancanza di coordinamento del loro lavoro con Mosca e con gli altri centri possono essere sufficientemente bloccati dall'autorità del partito, se questa verrà usata con sufficiente avvedutezza e imparzialità; il danno che può derivare al nostro Stato dall'assenza di apparati nazionali unificati con l'apparato russo è incommensurabilmente minore, infinitamente minore del danno che deriverebbe non solo a noi, ma a tutta l'Internazionale, a centinaia di milioni di uomini che compongono i popoli dell'Asia, a cui tocca entrare sulla scena della storia nel prossimo futuro, subito dopo di noi.
    Sarebbe inescusabile opportunismo se noi, alla vigilia di questa entrata in scena dell'Oriente e all'inizio del suo risveglio, minassimo la nostra autorità tra i suoi popoli, sia pure con la minima grossolanità e ingiustizia nei confronti dei nostri stessi allogeni. Una cosa è la necessità di essere compatti contro gli imperialisti dell'Occidente, che difendono il mondo capitalistico; qui non vi possono essere dubbi, e non ho bisogno di dire che approvo incondizionatamente queste misure; altra cosa è quando noi stessi cadiamo, anche soltanto nelle piccolezze, in atteggiamenti imperialistici verso le nazionalità oppresse, minando così completamente tutta la sincerità dei nostri princípi, tutta la nostra difesa di principio della lotta contro l'imperialismo. E il domani della storia universale sarà appunto il giorno in cui si sveglieranno definitivamente i popoli oppressi dall'imperialismo, che ora appena si destano, e in cui comincerà la lunga, difficile e decisiva lotta per la loro liberazione.
    Lenin

    NOTE
    1. Questo testo fu dettato da Lenin alle sue segretarie in varie riprese dal 27 al 31 dicembre 1922
    2. Il problema della autonomizzazione sorse al momento di creare l'Unione delle repubbliche sovietiche mediante la loro integrazione nella RSFSR sulla base dell'autonomia. Un progetto di risoluzione a questo proposito era stato presentato nel settembre 1922 da Stalin e approvato da una commissione del CC, creata per preparare la discussione che si doveva svolgere all'assemblea plenaria del CC sui futuri rapporti tra la RSFSR, la repubblica socialista sovietica di Ucraina, la repubblica socialista sovietica di Bielorussia e la federazione Transcaucasica. Nella sua lettera del 27 settembre 1922, indirizzata ai membri dell'Ufficio politico, Lenin sottopose questo progetto a una critica severa. Egli propose una soluzione del tutto diversa in linea di principio: l'unione volontaria di tutte le repubbliche sovietiche, compresa la RSFSR, in seno ad una nuova formazione statale, l'Unione delle repubbliche sovietiche sulla base di una completa parità di diritti.
    "... Noi ci riconosciamo eguali nei diritti, scriveva Lenin, con la RSS di Ucraina, e con le altre, e entriamo su un piede di uguaglianza con esse, in una nuova unione, in una nuova federazione..." . Conformandosi alle indicazioni di Lenin, la commissione del CC modificò il progetto di risoluzione, e il nuovo progetto fu approvato nell'ottobre 1922 dalla assemblea plenaria del CC del partito. Sulla base di queste decisioni fu allora iniziato il lavoro per preparare l'unione delle repubbliche sovietiche. Il 30 dicembre 1922 il I Congresso dei soviet dell'URSS approvò la storica risoluzione sulla formazione dell'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche.
    Attribuendo un'importanza eccezionale a una giusta applicazione della politica verso le nazionalità e alla realizzazione pratica della Dichiarazione e del Trattato approvati dal congresso dei soviet, Lenin dettò questa sua lettera il 30 e il 31 dicembre 1922. Di essa fu data lettura a una riunione dei dirigenti delle delegazioni al XII Congresso del PCR (b) nell'aprile 1923 e il congresso approvò una risoluzione Sulla questione nazionale fondata sulle indicazioni di Lenin. Ma il motivo immediato della lettera fu il conflitto che era sorto nel partito comunista della Georgia tra il Comitato territoriale transcaucasico dei PCR (b), diretto da Orgionikidze e il gruppo Mdivani, che intendeva accentuare la "particolarità" del popolo georgiano e si opponeva alla unificazione politica delle repubbliche della Transcaucasia. L'atteggiamento di Mdivani e del suo gruppo fu condannato dai comunisti georgiani, in conferenze e congressi, nonché dallo stesso Lenin, che scrisse nel novembre 1921 una risoluzione a nome dell'Ufficio politico del CC, per la creazione di una federazione transcaucasica e inviò un telegramma a questo proposito nell'ottobre del 1922. Tuttavia Orgionikidze, che doveva attuare la politica nazionale del partito in Georgia. commise errori di caporalismo e di frettolosità, a volte eludendo il parere e le norme del CC del partito georgiano. Nei rapporti con il gruppo di Mdivani, Orgionikidze non seppe mantenere il necessario autocontrollo e, offeso durante una discussione un rappresentante di questo gruppo, lo schiaffeggiò. I fautori di Mdivani, che erano la maggioranza nel CC del Partito comunista georgiano, uscirono dal partito e protestarono presso il CC del PCR (b). Il 25 novembre 1922 l'Ufficio politico del CC dei PCR (b) decise allora di inviare in Georgia una commissione d'indagine guidata da Dzerginski. Questi tornò a Mosca il 12 dicembre, ed ebbe subito un colloquio con Lenin. In seguito al colloquio e alle preoccupazioni circa l'attuazione dei principi dell'internazionalismo proletario nell'opera di riunificazione delle repubbliche sovietiche, Lenin dettò questa lettera, cui attribuiva notevole importanza e che si proponeva di pubblicare come articolo. A causa però dell'improvviso aggravarsi della sua malattia, dopo il 6 marzo 1923, non poté dare disposizioni definitive circa la sua pubblicazione. Il 16 aprile 1923 la segretaria di Lenin, Fotieva, trasmise la lettera all'Ufficio politico, che, come si è detto sopra, la fece conoscere ai capi delegazione del XII Congresso del PCR (b). (Cfr., il Diario dei segretari di Lenin, pubblicato in appendice al volume 42 delle opere complete).
    3. Si tratta delle assemblee plenarie del CC del PCR (b) nelle quali si erano discusse le questioni relative alla formazione dell'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche.
    4. Figura di poliziotto nell'Ispettore generale di Gogol.
    5. Seguono nel testo stenografico le seguenti parole, poi cancellate: "Penso che i nostri compagni non abbiano studiato a sufficienza questa importante questione di principio".

  8. #8
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    Catilina non glossa, taglia-incolla dei testi....che non sa neppure interpretare.

    Saluti liberali

  9. #9
    Quin igitur expergiscimini?
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    Pieffebi ribadisce, insomma, di essere il depositario dell' "analisi corretta" dei testi di Lenin. Le sue origini gruppettare riemergono paradossalmente anche oggi che è diventato cattolico-liberale. Nelle prossime ore compariranno invece su questo forum altri testi a supporto della plausibilità della mia interpretazione del comunismo storico novecentesco in senso nazionalitario. Un percorso che reputo interessante e tutto da approfondire.

  10. #10
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    Predefinito

    Originally posted by Catilina
    Pieffebi ribadisce, insomma, di essere il depositario dell' "analisi corretta" dei testi di Lenin. Le sue origini gruppettare riemergono paradossalmente anche oggi che è diventato cattolico-liberale. Nelle prossime ore compariranno invece su questo forum altri testi a supporto della plausibilità della mia interpretazione del comunismo storico novecentesco in senso nazionalitario. Un percorso che reputo interessante e tutto da approfondire.

    Qui se c'è un gruppettaro è chi si dichiara appartenente ad una setta ...piuttosto oscura, e giustamente sospettata di matrici non propriamente....comuniste questi non sono certo io, che ho fatto parte di una corrente internazionale del comunismo tutt'altro che sconosciuta, per quanto dichiarata eretica da stalinisti e togliattiani. Si prende atto che Catilina conferma di non essere in grado di esprimersi con parole proprie, ne' di commentare, sintetizzare, intepretare un testo.

    Il comunismo "nazionalitario" di Lenin...esiste solo nella sua immaginazione.

    Saluti liberali.

 

 
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