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    Nikolaj von Kreitor
    LA NATO E GLI ARCHITETTI
    DEL LEBENSRAUM AMERICANO
    Il programma americano per l’egemonia mondiale


    Fu John O’Sullivan a formulare nel 1845 il concetto di Lebensraum americano – la Dottrina del Destino Manifesto [Manifest Destiny]. Coniò questo termine per indicare la missione degli Stati Uniti “di ampliare il continente assegnatoci dalla Provvidenza per la crescita delle nostre moltitudini, che ogni anno si moltiplicano”.(1) Per Josiah Strong, l’imperialista americano par excellence, il Manifest Destiny possedeva una destinazione geopolitica – la creazione di un impero mondiale. L’America sarebbe stata il più grande degli imperi. “Le altre nazioni recheranno le loro offerte alla culla del giovane impero d’Occidente, così come un tempo portarono i loro doni alla culla di Gesù”.(2) Dal momento che il destino e la sua realizzazione erano preordinati da Dio, gli Americani possedevano un diritto supremo allo spazio, anteriore e superiore ai diritti altrui. In combinazione con la Dottrina Monroe, il contenuto teologico della Dottrina del Manifest Destiny forniva una spiegazione quasi evangelica del palese disegno geopolitico di conquistare e sottomettere spazi, dapprima l’intero Emisfero Occidentale, in seguito, a partire dalla guerra contro la Spagna del 1898, il mondo intero. Come ha osservato Carl Schmitt, nel 1898 gli USA si sono avventurati in una guerra, contro la Spagna e più tardi contro il mondo intero, che non è ancora finita. In questo contesto, la guerra americana contro la Jugoslavia è soltanto la prosecuzione di una guerra centenaria che gli Stati Uniti hanno iniziato nel 1898.
    Nella storia degli Stati Uniti la spinta espansionistica è stata altrettanto potente di una religione. La continuità delle mire belliche espansioniste americane dall’epoca della Dottrina del Manifest Destiny è stata la caratteristica dominante della politica estera, nella quale sono confluite tre componenti della Weltanschauung espansionista americana: la Dottrina del Manifest Destiny – la componente teologica; la conquista, preordinata da Dio e dalla Provvidenza, al fine di compiere il volere dell’Onnipotente, in second’ordine, la conquista al fine di instaurare la democrazia o negli interessi della democrazia e dell’umanità; la Dottrina Monroe – la componente geopolitica; e la Dottrina della Open Door [Porta Aperta] – la componente economica.

    Fu alla fine del secolo scorso che le fondamenta intellettuali della dottrina geopolitica americana vennero formulate da Frederick Jackson Turner, Brooks Adams, e l’ammiraglio Mahan; la sua realizzazione fu avviata da Theodore Roosevelt e in seguito da Woodrow Wilson. Le concezioni geopolitiche avanzate da Frederick Jackson Turner, Brooks Adams, e l’ammiraglio Mahan “divennero una visione del mondo, una Weltanschauung espansionista per le successive generazioni di Americani… un fattore importante per comprendere l’espansione imperiale americana nel XX secolo”, scrive il celebre storico americano William Williams. La politica del Lebensraum americano detta ‘imperialismo della Open Door’, e l’ampliamento dell’impero americano tramite l’espansione del perimetro della Dottrina Monroe, spiegano la politica estera americana nel corso del secolo, incluse le attuali iniziative di espansione della NATO, l’affermazione del preponderante potere americano su tutta l’Eurasia e la guerra contro la Jugoslavia.

    Gli architetti del Lebensraum americano hanno fornito una giustificazione razionale anche per la NATO. La NATO, in quanto costruzione geopolitica, è fermamente ancorata alla “Tesi della Frontiera” della politica estera espansionista americana, ed appare come una funzione e strumento del Grossraum atlantico vagheggiato da Turner, Adams e Mahan. Nelle parole del senatore Tom Connally: “il Patto Atlantico è la logica estensione della Dottrina Monroe”. La creazione della NATO ha comportato l’estensione della Dottrina Monroe all’Europa – l’Europa diverrà per gli Stati Uniti un’altra America Latina, sostiene lo storico americano Stephen Ambrose.(3)

    Il concetto fondamentale di Frederick Jackson Turner era quello secondo cui l’unicità dell’America era il prodotto della sua frontiera in espansione. Egli definì l’esistenza storica dell’America come una perpetua espansione geopolitica verso nuove frontiere ad occidente. “L’esistenza di un’area di terre libere, il suo continuo recedere e l’avanzamento degli insediamenti americani a Ovest spiegano lo sviluppo dell’America”.(4) La “universale predisposizione degli Americani” – un “popolo in espansione” – è quella all’allargamento del proprio dominio”, e l’ampliamento geopolitico in atto “è il risultato attuale di una potenza espansiva che è insita in essi”,(5) proclamava Turner. La storia americana è la storia di “una linea di frontiera in continuo avanzamento… La frontiera è la linea di più rapida ed efficace modernizzazione americana… Il movimento è il suo elemento dominante, e… l’energia americana esigerà continuamente un campo di applicazione sempre più vasto”.(6)

    “L’altra idea (nella Weltanschauung imperialista americana) è la tesi di Brooks Adams, secondo cui l’unicità dell’America può essere preservata solo mediante una politica estera espansionista”.(7) La tesi di Adams era costruita al fine di preservare la spiegazione del passato americano fornita da Turner e proiettarla nel futuro. “Prese assieme, le idee di Turner e Adams offrirono ai costruttori dell’impero americano una visione e interpretazione del mondo, oltre che un programma d’azione ragionevolmente dettagliato dal 1893 al 1953”, afferma William Williams. “Espansione fu il catechismo di questo giovane messia dell’unicità ed onnipotenza dell’America… Turner offrì agli Americani una visione del mondo nazionalistica che spazzava via i loro dubbi… e giustificava la loro aggressività”.(8) Turner, guardando al passato dell’America, vide nella conquista definitiva del West il realizzarsi del Manifest Destiny nell’Emisfero Occidentale. Adam vide la prossima nuova frontiera – il mondo intero. La sua visione mondiale conduceva inevitabilmente ad un solo impero mondiale – l’Impero Mondiale Americano, e non a quella pluralità di Grossräume o Pan-regioni immaginata da Carl Schmitt o dal generale Haushofer.

    In The Law of Civilization and Decay(9) (1895) Brooks Adams “teorizzava il mondo come frontiera”.(10) Egli proponeva una politica di espansionismo aggressivo mirata a fare dell’Asia una colonia economica e a permettere all’America di assicurarsi una vasta nuova frontiera in Asia. Nella sua essenza, la conquista dell’Eurasia ebbe inizio allora. “Furono persino ristampate le sue raccomandazioni di politica estera degli anni ‘890 come guida per gli Stati Uniti nel corso della Guerra Fredda”,(11) osserva William Williams. Nel suo libro “American Empire”(12) del 1911, Brooks Adams preconizzava la venuta dell’impero mondiale americano e la conquista dell’intero spazio geopolitico eurasiatico. Nell’interpretazione di Theodore Roosevelt e Woodrow Wilson, che vedono la spinta verso occidente come conquista civilizzatrice dell’Eurasia, si avverte l’influsso delle opere di Turner e Adams. Scriveva quest’ultimo “usare il potere economico e militare per espandere la frontiera degli Stati Uniti verso occidente”.(13)

    Il disegno espansionista di Brooks Adams fu il fondamento della politica estera americana – espansionismo dapprima in Asia, poi in Europa. “Wilson, nel presentare la propria interpretazione della storia americana, fece ampio uso della tesi della frontiera di Turner”; “Tutto ciò che ho scritto sull’argomento viene da lui”, precisò Woodrow Wilson.(14) Prendendo a prestito la terminologia della Dottrina del Manifest Destiny, lo slogan di Wilson – “un mondo sicuro per la democrazia” – significava in realtà un mondo sicuro per le politiche del Lebensraum americano. Come aggiunge Williams, “più ancora che nel caso di Theodore Roosevelt, le politiche di Woodrow Wilson e dopo di lui Franklin Delano Roosevelt furono Turnerismo classico”.(15) La tesi della frontiera fece della democrazia (ossia del dominio americano) una funzione della frontiera in espansione. “F.D. Roosevelt è sempre stato… un Turneriano in politica estera… di un Turnerismo peraltro unito alla realpolitik di Adams”.(16)

    Woodrow Wilson fu il primo ad aprire uno spiraglio sulla futura egemonia mondiale americana. Già intravedendo una Gran Bretagna soggiogata dagli USA, e John Bull trasformato in un obbediente servitore del Padrone atlantico d’oltremare, Adams individuò il nemico principale nell’Europa occidentale.
    “L’accelerazione del movimento di concentrazione del forte sta tanto rapidamente schiacciando il debole, che sembra a portata di mano il momento in cui due grandi sistemi saranno in gara l’uno contro l’altro, e la lotta per la sopravvivenza avrà inizio... Che ci piaccia o meno, siamo costretti a competere per il primato commerciale, o, in altre parole, per il primato imperiale… Il nostro avversario (Francia, Germania e Russia) è implacabile e determinato… Se cediamo di fronte a lui, ci soffocherà”.(17)

    La supremazia economica, dichiarava Adams, era la base di ogni potenza.(18) Libero commercio ed internazionalismo economico, ossia l’economia internazionale sotto il controllo americano, era la chiave del dominio mondiale. “Adams sosteneva che gli Stati Uniti dovessero assumere un ruolo sempre maggiore nel plasmare l’ordine mondiale. La potenza economica (e morale) andava tradotta in potenza militare, se l’America voleva accettare – per usare l’espressione di Franklin D. Roosevelt, influenzato da Adams – ‘il suo appuntamento con la storia’”.(19) American Economic Supremacy (1900)(20) di Adams fu il classico manuale per i costruttori dell’impero americano. Scrivendo nel 1945, Childs affermò: “Se Adams avesse scritto l’anno scorso, in vista della pubblicazione quest’anno, non avrebbe dovuto correggere quasi nulla per adeguare le sue opinioni al mondo contemporaneo”.(21) Lo stesso vale per il periodo post-1991. Il padre della dottrina del containment [contenimento], George Kennan, nell’esporre e difendere quella politica citava Adams “nel ristretto numero di Americani che avevano riconosciuto le giuste fondamenta della politica estera… L’analisi e le argomentazioni di Kennan erano per molti aspetti simili a quelle di Adams”.(22) Un classico esempio della Tesi della Frontiera fu la Dottrina Truman, ideata per facilitare l’espansionismo americano e definita in un discorso da Truman “Frontiera Americana”. “Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, i dirigenti americani ragionavano già in termini ancora più espliciti secondo il modello teorico sviluppatosi negli anni ‘890”.(23) “Al pari di molti altri aspetti della storia americana del XX secolo, la visione militare del mondo fu un prodotto diretto della prospettiva dell’espansione della frontiera.(24)

    L’ammiraglio Mahan fornì la prima giustificazione razionale della NATO. “Esprimendosi con minacciose allusioni all’uso della forza fisica”, Mahan tratteggiava un futuro nel quale l’espansione industriale avrebbe condotto ad una rivalità per i mercati e le fonti di materie prime, sfociando alla fine nella necessità di disporre della potenza per aprire conquistare nuovi mercati. La potenza marittima sarebbe stata il veicolo decisivo per l’espansione, il nuovo colonialismo “Open Door” esigeva i servizi della marina americana. Come afferma LaFeber, Mahan riassunse la sua teoria in un postulato: “In queste tre cose – produzione, con la necessità di scambiare i prodotti, spedizione, tramite cui lo scambio avviene, e colonie – risiede la chiave di gran parte della storia e della politica delle nazioni costiere”.(25) Dalla produzione deriva la necessità della spedizione, che a sua volta crea il bisogno di colonie.(26)

    Le “Open Door Notes” [Annotazioni sulla ‘Porta Aperta’] – la proclamazione del Lebensraum americano nel 1899 e 1900 – significarono l’inizio dell’invasione commerciale del mondo e della futuro espansionismo imperialista americano tramite la politica della Open Door.(27) Come ho già fatto notare, le parole di Wilson – “un mondo sicuro per la democrazia” – si traducevano nella realtà in “un mondo sicuro per il Lebensraum americano”. Wilson vide nell’espansione economica oltremare la nuova frontiera che avrebbe preso il posto del continente americano già conquistato. In una sezione del V volume della sua Storia del popolo americano, che sembra una parafrasi del saggio di Brooks Adams, Wilson proclamava che gli Stati Uniti erano destinati al comando sulle “ricchezze economiche del mondo” tramite l’espansionismo della Open Door. “La diplomazia e, se necessario, la potenza dovranno aprire la via”. In una serie di lezioni tenute alla Columbia University nell’aprile 1907 egli fu ancora più esplicito:

    “Dal momento che il commercio ignora i confini nazionali e il produttore preme per avere il mondo come mercato, la bandiera della sua nazione deve seguirlo, e le porte delle nazioni chiuse devono essere abbattute... Le concessioni ottenute dai finanzieri devono essere salvaguardate dai ministri dello stato, anche se in questo venisse violata la sovranità delle nazioni recalcitranti... Vanno conquistate o impiantate colonie, affinché al mondo non resti un solo angolo utile trascurato o inutilizzato”.(28)

    F.D. Roosevelt concepiva il suo New Deal nella tradizione geopolitica di Turner e Adams(29) – il New Deal come Nuova Frontiera. Le libertà americane non potevano conservarsi in una società senza frontiere, gli Stati Uniti erano nuovamente alla ricerca di nuove frontiere. “Estendere al mondo intero la Politica della Open Door” divenne il leitmotiv della politica estera americana.(30) Il segretario di stato Hughes la estese a tutte le colonie europee e all’Europa orientale.(32) La Guerra Fredda aveva per oggetto l’apertura delle frontiere russa ed est-europea all’espansionismo americano e all’imperialismo della Open Door. La politica del “containment” – il tradizionale blocco della Fortezza Heartland – serviva il medesimo scopo. Austin Beard nel 1934 lanciò una sfida al New Deal) l’amministrazione Roosevelt) perché rompesse con la tradizione espansionista. Prevedeva che il New Deal sarebbe stato coinvolto in un’altra guerra imperiale. Parlando per bocca del National Foreign Trade Council, la comunità imprenditoriale si oppose decisamente a Beard: “L’auto-contenimento nazionale non trova posto nella politica economica degli Stati Uniti”.(33)

    “I dirigenti americani predissero che l’espansione commerciale, finché la porta fosse rimasta aperta, avrebbe garantito agli Stati Uniti i vantaggi economici di un impero formale senza le responsabilità e i costi politici e morali connessi al possesso di colonie”.(34) In ogni caso il risultato finale dell’espansionismo ‘Open Door’ fu la colonizzazione economica del nuovo spazio geopolitico. Come osservò il geopolitico tedesco Otto Maull: “La completa penetrazione economica è la stessa cosa dell’occupazione territoriale”. La guerra della ‘Porta Aperta’ conduce inevitabilmente all’occupazione della ‘Porta Aperta’.



    IL PROGRAMMA AMERICANO PER L’EGEMONIA MONDIALE

    Il geopolitico inglese Peter J. Taylor, nel suo libro Britain and the Cold War. 1945 as Geopolitical Transition, introduce il concetto di “ordine geopolitico mondiale”, che denota un regime geopolitico di egemonia da parte di un paese storicamente egemone nel sistema mondiale, e sostiene che “l’ordine geopolitico precedente la Guerra Fredda è stato definito come Ordine Mondiale della Successione Britannica”.(36) La Germania nazista e gli Stati Uniti avevo identici programmi di Weltherrschaft [signoria mondiale] ed entrambi erano impegnati in una battaglia per l’egemonia mondiale quali successori del precedente ordine geopolitico della Pax Britannica; “...possiamo interpretare le due guerre mondiali come scontri fra Germania e Stati Uniti per la successione alla Gran Bretagna”.(37) Come risultato della Seconda Guerra Mondiale l’impero politico britannico dominatore fu sostituito da un nuovo impero economico americano.

    Già prima della Seconda Guerra Mondiale gli Stati Uniti iniziarono a pianificare la futura egemonia mondiale americana. Le minute degli incontri di gabinetto tenutisi a partire dal 1939 fra il Dipartimento di Stato e il Council on Foreign Relations espongono in dettaglio il ruolo degli USA come successori dei britannici.... Le minute del Security sub-Committee, organo dell’Advisory Committee of the Post-War Foreign Policy del Council on Foreign Relations, stabiliscono i probabili parametri della politica estera degli USA nel dopoguerra: “...l’impero britannico, quale è esistito in passato, non tornerà e ... e gli Stati Uniti dovranno prendere il suo posto...’ Gli USA ‘devono coltivare una visione mentale dell’assetto mondiale dopo questa guerra, tale da renderci capaci di imporre le nostre condizioni, equivalenti... alla Pax Americana”.(39) Gli Americani potranno serbare la propria vitalità solo accettando la logica dell’espansionismo indefinito.(40) Nel 1942, il direttore del Council, Isaiah Bowman, scrisse: “La misura della nostra vittoria sarà la misura del nostro dominio dopo la vittoria... (Gli USA devono assicurarsi aree) strategicamente necessarie al controllo del mondo”.(41)

    “Il War and Peace Studies Project, avviato dal Council on Foreign Relations sotto l’amministrazione Roosevelt immediatamente prima della Seconda Guerra Mondiale, fu quindi il piano-maestro e il programma di un nuovo ordine globale per il mondo del dopoguerra, un ordine nel quale gli Stati Uniti sarebbero stati la potenza dominante... I gruppi del War and Peace Studies, in collaborazione con il governo degli Stati Uniti, elaborarono una concezione imperialistica degli interessi nazionali e degli obiettivi di guerra degli Stati Uniti. ‘Imperialismo americano’ significò il deliberato intento di organizzare e controllare un impero globale. Il successo finale di questo tentativo fece degli Stati Uniti... la prima potenza mondiale, dominante su vaste aree del mondo – l’impero americano... Tale programmazione determinava, per sua natura, gli ‘interessi nazionali’(42) degli Stati Uniti... Scopo della pianificazione del dopoguerra era la creazione di un ordine politico ed economico internazionale dominato dagli Stati Uniti”.(43)

    Isaiah Bowman, massimo geopolitico al servizio di Franklin Delano Roosevelt, definiva gli obiettivi di politica estera degli Stati Uniti come il perseguimento di una politica globale di Lebensraum americano in risposta al Lebensraum della Germania nazista. Così gli scopi di guerra degli Stati Uniti e della Germania nazista erano identici. In collaborazione con H.F. Armstrong, Bowman si assicurò persino un articolo di Mackinder sui pericoli di una forte Unione Sovietica, pubblicato in Foreign Affairs con il titolo “The Round World and the Winning of the Peace”.(44)

    L’articolo è notevole, perché, in sostanza, il vecchio imperialista britannico Mackinder sostiene la trasformazione dell’Impero Britannico in una dipendenza degli Stati Uniti e l’istituzione di un’egemonia americana in Europa: “... la Gran Bretagna – fortezza circondata da un fossato – una Malta su larga scala (per il movimento verso occidente dell’impero americano) e la Francia come testa di ponte difendibile”.(45)

    Il Memorandum E-219 si concludeva con l’elencazione degli elementi essenziali per la politica estera degli Stati Uniti, riassumendo “le parti componenti di una politica integrata per conseguire la supremazia militare ed economica degli Stati Uniti nell’ambito del mondo non-germanico.” Altro fattore principale era “il coordinamento e la cooperazione degli Stati Uniti con altri paesi al fine di garantirsi la limitazione di qualsiasi esercizio di sovranità da parte di nazioni straniere che possa costituire una minaccia all’area mondiale minima essenziale alla sicurezza e alla prosperità economica degli Stati Uniti e dell’Emisfero Occidentale”.(46)

    Ad un incontro tenutosi il 19 ottobre 1940, Leo Posvolsky, massimo esponente del Dipartimento di Stato per la strategia del dopoguerra, “concordò con il Council il programma iniziale per il potere mondiale. La sua convinzione, che gli Stati Uniti dovessero avere per spazio vitale ben più del solo Emisfero Occidentale, è dimostrata dalla sua affermazione: ‘se per blocco intero intendete l’Emisfero Occidentale, allora date per scontati i preparatici di guerra’.(47) Posvolsky intuiva quindi che gli Stati Uniti, se contenuti entro l’Emisfero occidentale, sarebbero dovuti scendere in guerra per conquistarsi altro spazio vitale, una conclusione certamente discendente dai lavori del Council”.(48)

    L’economia americana necessita di una riserva di spazio, un nuovo, più esteso spazio vitale, per poter sopravvivere senza subire aggiustamenti di rilievo, sostenevano gli strateghi del Council on Foreign Relations. Quella riserva venen concettualizata come Grande Area (Grossraum) – il blocco non-germanico a direzione statunitense, blocco che nel 1941 gli Stati Uniti definivano ‘economia mondiale’ (sic!).

    Gli studi dell’Economic and Financial Group hanno mostrato quanto pericolosa sarebbe stata per gli Stati Uniti un’Europa unita, sotto il dominio nazista o meno. Hamilton Fish Armstrong affermò nel giugno 941 che non sarebbe stato possibile consentire il formarsi di un’Europa unita, perché questa sarebbe stata tanto forte da minacciare seriamente la Grande Area americana. L’Europa, organizzata in singola entità, era considerata fondamentalmente incompatibile con il sistema economico americano”.(49)




    IL LEBENSRAUM MINIMO DELL’AMERICA: LA GRANDE AREA
    Studi e discussioni approfondite nell’ambito del gruppo del Council stabilirono che, come minimo, gran parte del mondo non-germanico era necessaria come ‘riserva spaziale’ per la nuova Grande Area americana. Nella sua forma finale questa consisteva nell’Emisfero occidentale, il Regno Unito, i resti del Commonwealth e dell’impero britannico, le Indie orientali olandesi, la Cina e lo stesso Giappone.(50) Noam Chomsky sintetizza così il concetto di Lebensraum americano:
    “La Grande Area doveva comprendere l’Emisfero occidentale, l’Europa occidentale, l’Estremo Oriente, l’ex impero britannico (in via di smantellamento), le incomparabili risorse energetiche del Medio Oriente (che stava passando in mano americana, via via che ne espellevamo i nostri rivali, Francia e Gran Bretagna), il resto del Terzo Mondo e, se possibile, l’intero globo”.(51) L’intera Cina era inoltre compresa.

    Diversamente da Carl Schmitt, che nelle sue opere di geopolitica impiegò il concetto di Grossraum (e Grande Area ne è l’esatta traduzione ) e che favorì un ordine mondiale basato sulla coesistenza di Grosräume, la concezione americana non ha nulla a che vedere con quella di uno spazio geopolitico delimitato. Gli USA respinsero apertamente uno scenario del dopoguerra caratterizzato da una pluralità di Dottrine Monroe.(52) Viceversa, l’espansionismo americano doveva essere illimitato, rigettando la nozione stessa di interessi nazionali in competizione.

    I War and Peace Studies incarnavano concettualmente l’espansionismo geopolitico di Turner e Adams, la Weltanschauung dell’imperialismo americano della ‘Open Door’. Il documento NSC-68 non fu altro che una riformulazione di quegli obiettivi geopolitici, bardata della pesante teologia di una Dottrina del Manifest Destiny modernizzata.(53)



    ATLANTISMO

    “Il principale obiettivo politico, in pace come in guerra, deve essere quindi prevenire l’unificazione delle potenze centrali del Vecchio Mondo in una coalizione ostile ai propri interessi”, scrisse il geopolitico americano Nicholas Spykman nel suo libro Geography of Peace,(54) riformulando i principali obiettivi geopolitici degli Stati Uniti nell’Europa del dopoguerra. “Spykman ripeteva semplicemente per gli Stati Uniti quello che era stato il principio dirigente dell’arte di governo britannica dai tempi di Enrico VIII”, commenta David Galleo.(55)

    Alla medesima conclusione pervenne Hans J. Morgenthau: “Le politiche europee degli Stati Uniti ricalcano in larga misura quelle della Gran Bretagna da Enrico VIII alla fine dell’Impero”. Come la Gran Bretagna in passato, gli Stati Uniti perseguono un solo obiettivo in Europa – prevenire l’unità europea, rifiutare il principio dell’equilibrio delle potenze ed affermare unilateralmente l’egemonia e supremazia americana.(56)

    Dopo la guerra la politica del Lebensraum sfociò nella formazione dell’Alleanza Atlantica, la nuova Grande Area ideata dagli strateghi del Council on Foreign relations e del progetto War and Peace Studies. La Grande Area americana vene concettualizzata ed istituzionalizzata nell’Alleanza Atlantica.

    L’Atlantismo – principio organizzatore della politica estera americana del dopoguerra verso l’Europa – era fondata sulla dipendenza politica dell’Europa. La NATO – perno del controllo americano nel dopoguerra – era lo strumento per gestire la proiezione della potenza americana in Europa, sostiene Ronald Steel nel suo libro Temptations of a Superpower,(57) nel quale sottolinea come per gli strateghi americani del dopoguerra un obiettivo essenziale fosse prevenire che l’Europa potesse diventare in futuro un concorrente economico, in quanto un concorrente economico ha buone chances di diventare anche un concorrente politico. L’interesse nazionale americano esigeva che l’unità Continentale venisse impedita.

    In anticipo sulla creazione della NATO, il massimo esponente geopolitico dell’espansionismo USA nel dopoguerra, Nicholas Spykman, avanzò nel 1943 la proposta che “la zona delle potenze europee fosse organizzata in una Lega delle Nazioni regionale, con gli Stati Uniti quale membro extra-regionale”.(58) Commentando la proposta di Spykman, l’insigne studioso americano di scienze politiche Clyde Egleton affermò: “E’ semplicemente incredibile sia che gli Stati Uniti accettino un simile rischio, sia che gli altri stati acconsentano ad una tale ingerenza esterna”.(59) Accettare le proposte americane avrebbe significato semplicemente acconsentire all’instaurazione di un protettorato americano sulle nazioni europee.

    Riformulando la vecchia Tesi della Frontiera di Turner, Spykman scrisse: “Abbiamo considerato la frontiera da un punto di vista internazionale, quale espressione di un rapporto di potere relativo, come quella linea ove le pressioni contrastanti trovano un equilibrio. Dal punto di vista nazionale del singolo stato, la frontiera è quella trincea che viene tenuta durante quel temporaneo armistizio che si dice ‘pace’”.(60)

    Il punto di vista europeista tese a considerare il sistema atlantico eretto attorno all’egemonia americana come una costruzione temporanea, dettata dall’eccezionale debolezza europea, destinata ad essere trasformata se non abbandonata una volta superata tale debolezza. Vi era implicita il giudizio che l’Europa non sarebbe stata dominata indefinitamente.

    Ma la geopolitica atlantista aveva in mente proprio quel dominio indefinito. La politica atlantista vedeva la NATO come il pilastro di quella dominazione indefinita e come lo strumento per la gestione del potere nello spazio geopolitico europeo.

    “L’Atlantismo rappresenta una sorta di religione politica dell’espansionismo, con il suo catechismo geopolitico e la sua dottrina dell’immacolata concezione della politica estera americana (sebbene, in omaggio alla sua origine anglo-sassone, il catechismo Atlantico appare meno sistematico e meno dottrinario)”,(61) scrivono David P. Galleo e Benjamin M. Rowland nel loro libro America and the World Political Economy. Atlantic Dreams and National Realities. Nel quadro della Weltanschauung imperialista americana, l’istituzione di un protettorato americano sull’Europa potrebbe essere realizzato tramite la NATO.(62) Il manto imperiale atlantico e il grande disegno americano di un ordine militare mondiale ebbero la loro epitome nell’Alleanza Atlantica. David Galleo e Benjamin Rowland affermano che:

    “L’imperialismo del libero scambio di Hull [Cordell Hull, segretario di stato sotto la presidenza Roosevelt] poteva anche essere previsto, ma non un nuovo Impero Romano con un Mare Nostrum atlantico. Era come se gli Stati Uniti, spregiando le colonie dell’Europa, avessero deciso di annettere direttamente la madrepatria”.(63)

    L’Alleanza Atlantica, vagheggiata già da Brooks Adams, “segnò l’egemonia dell’America sull’Europa”.(64) Da allora un generale americano, responsabile verso il Presidente, avrebbe usurpato le prerogative politiche dell’Europa. E con la Dottrina Truman una potenza aliena sul piano dello spazio, gli Stati Uniti, affermava ed otteneva il controllo sull’Europa occidentale, annullando così l’esistenza politica indipendente di quelle che erano state le Grandi Potenze, incluso il proprio alleato, la Gran Bretagna.



    LA NATO E LA DOTTRINA MONROE

    Il concetto geopolitico di Lebensraum amricano – la Grande Area atlantica della supremazia americana – necessitava di una diretta proiezione di potenza per garantire il dominio dell’America. La NATO divenne l’istituzione dell’egemonia par excellence. Gli architetti dell’Impero americano progettarono per la NATO il medesimo ruolo che l’ammiraglio Mahan aveva immaginato per la Marina – un veicolo di conquista di nuovi mercati e spazio geopolitico, ed uno strumento per la realizzazione della politica della ‘Open Door’ e la gestione dello spazio geopolitico. In breve, la NATO divenne il braccio militare del movimento in direzione occidentale dell’Impero americano. Nella politica estera americana, Tesi della Frontiera e Dottrina Monroe trovarono una confluenza nella NATO.

    Il Piano Marshall, seguito dalla NATO, segnò il vero inizio dell’era della dominazione militare, politica ed economica dell’America sull’Europa, afferma Stephen Ambrose.(65)

    Il senatore Henry Cabot Lodge considerava la NATO come una della serie di organizzazioni destinate a circondare l’Unione Sovietica. La NATO fu così costruita come strumento per il blocco della fortezza Heartland, coincidente con l’Unione Sovietica.. (Il concetto, espresso da Spykman, secondo cui i paesi del Rimland dovevano essere controllati dagli Stati Uniti, equivale alla teoria geopolitica del blocco).

    La NATO avrebbe affermato il dominio americano sull’Europa occidentale, permettendo simultaneamente agli Stati Uniti di assumere una posizione di incontrastata egemonia sull’Europa. Quale sarebbe stata questa egemonia, “venne adeguatamente, seppure rozzamente, riassunto nei frequenti riferimenti ad un’estensione della Dottrina Monroe. L’Europa, agli occhi dell’uomo d’affari, del soldato e del politico americano, sarebbe diventata una seconda America Latina”. Il senatore Tom Connally dichiarò che “il Patto Atlantico non è che la logica estensione della Dottrina Monroe”.(66)

    Il documento NSC-68 rappresentò l’estensione pratica della Dottrina Truman, che era stata mondiale nelle sue implicazioni, ma limitata all’Europa nella sua applicazione. Il documento forniva giustificazione all’assunzione del ruolo di gendarme del mondo dal parte dell’America.(67) Era ideato al fine non solo di preservare la potenza degli USA, ma anche di estenderla e consolidarla inglobando nuovi satelliti ed impedendo il sorgere di un sistema di potenze concorrenziale.

    Per comprendere la minaccia che la NATO pone alla sicurezza della Russia e degli altri paesi europei, è necessario tornare alle origini della cosiddetta Alleanza Atlantica. Il Trattato Nord-Atlantico, in origine, non era affatto un’alleanza, ma una garanzia unilaterale degli USA a quella che gli stessi USA definivano sicurezza europea, nei fatti un’affermazione di egemonia americana sull’Europa occidentale sotto il paravento della sicurezza. Nella sua essenza, la condizione originaria dei rapporti USA-Europa, formulata nel 1949, era del tutto unilaterale. La sua raison d’être dichiarata era la sicurezza - in realtà era l’egemonia, un allargamento di fatto della Dottrina Monroe, che all’inizio ebbe i suoi effetti maggiori sulla Gran Bretagna, la quale dovette cedere (come avvenne con la Grecia) le sue sfere di influenza agli Stati Uniti. Ciò consentì agli Stati Uniti di ottenere il comando supremo sulle forze armate europeo-occidentali ed anche lo stanziamento di truppe americane sul territorio europeo. Un editoriale nel Wall Street Journal dell’aprile 1949 caratterizzava correttamente l’Organizzazione del Trattato del Nord-Atlantico come “l’annullamento dei princìpi delle Nazioni Unite”.(68)

    In una prospettiva storica, la Dottrina Truman, unilateralmente dichiarata, era un’estensione della Dottrina Monroe oltre Atlantico, ossia un importante ampliamento del Grossraum americano - una globalizzazione dei princìpi del Grossraum dell’Emisfero Occidentale, dove gli Stati Uniti avevano il privilegio della sovranità – e quindi una prima aggressione diretta alla sovranità degli stati europei. Nonostante fosse stata ostentatamente propagandata come strumento di contenimento e politica di interventismo globale, fu in realtà strumento di sottomissione ed espansionismo, al servizio della politica del Lebensraum americano. Lo studioso di politica estera britannica Kenneth Thompson definì la Dottrina Truman un atto nazionalistico e strumentale destinato anzitutto a sostituire la potenza americana a quella britannica in Europa centrale.(69)

    Charles de Gaulle, il grande statista francese, dotato di sicuro istinto nelle questioni di geopolitica e nello smantellare i miti americani, giustamente valutò che la NATO era una semplice appendice degli Stati Uniti, e che l’adesione alla NATO e il rispetto della sovranità nazionale (francese) erano obiettivi fra loro incompatibili. Già nel 1951 (12 giugno) il settimanale parigino Le Monde riassumeva la sostanza dell’Alleanza Atlantica e del suo braccio militare, la NATO:

    “La fondamentale disuguaglianza dell’alleanza fa sì che questa divenga sempre più un protettorato nascosto, dove le proclamazioni di orgoglio nazionale non bastano a compensare il crescente asservimento. L’Impero Romano aveva i suoi cittadini, i suoi alleati, i suoi stranieri. Il nuovo Impero Americano ha i suoi alleati di prima fila (gli Americani), i suoi alleati di seconda fila (i Britannici) e i suoi protégés continentali. A dispetto del loro contegno altezzoso, questi ultimi diventano ogni giorno di più i Filippini dell’Atlantico”.

    Leopold Kohr concluse che l’Alleanza Atlantica non era una partnership egualitaria, e che vi era una sola nazione veramente libera in questo accordo, “la nazione imperiale, gli Americani”.(70) Come ha sostenuto Walter LaFeber, con la formazione della NATO gli Stati Uniti hanno perfezionato la vittoria in quella che egli definisce la Prima Guerra Fredda, iniziata dal presidente Wilson già alla Conferenza di Pace di Versailles dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, risultato finale della quale fu l’instaurazione di un controllo americano sull’Europa occidentale, cioè su una significativa porzione dell’Eurasia.

    Dopo la fine della Guerra Fredda, il ruolo della NATO quale strumento dell’espansionismo americano, di amministrazione , controllo ed ampliamento dell’impero americano, divenne più chiaro che mai. Citando lo scrittore francese J.J. Servan Schreiber, Benjamin Schwarz e Christopher Layne descrivono il ruolo degli USA nel periodo post-Guerra Fredda come signori di un impero mondiale. “A cinquant’anni dalla fondazione della NATO, nel momento in cui l’Alleanza del dopo-Guerra Fredda si trova essa stessa in guerra, è giunta l’ora di riesaminare la politica imperiale degli USA in Europa. La guerra in Jugoslavia costituisce uno spartiacque nella storia della NATO. Oggi gli Stati Uniti hanno ampliato la portata geografica dell’Alleanza e creato per essa un ruolo nuovo: l’intervento negli affari interni di stati sovrani le cui politiche contrastano i valori della NATO – persino nel caso in cui questi stati non pongono alcuna minaccia alla sicurezza dei partners dell’Alleanza... Celato dietro tutta la pomposa (e ingannevole) retorica riguardo alla NATO e alla partnership transatlantica, sta un semplice fatto: la politica USA in Europa non punta a contrastare le mire egemoniche altrui, ma a perpetuare la supremazia stessa dell’America... L’espansione della NATO potrà dimostrarsi un errore diplomatico grossolano al pari del Trattato di Versailles del 1919...”.(71)

    Schwarz e Layne sostengono che la NATO svolge le seguenti importanti funzioni:
    1. Difesa ed espansione delle frontiere imperiali degli Stati Uniti.
    2. Instaurazione di un protettorato permanente degli USA sul Continente.
    3. Impedimento al sorgere di un’Europa occidentale indipendente.

    La NATO è stata impiegata per minare il preesistente ordine mondiale basato sull’Accordo di Helsinki ed obliterare il ruolo indipendente delle Nazioni Unite. La NATO è diventata uno strumento di conquista dell’Europa orientale – “pacificamente” come nel caso dei ‘paesi di Vishegrad’ (Polonia, Ungheria e Repubbilca Ceca) o mediante il ricorso ad un’aperta guerra di aggressione (Jugoslavia). Il contenimento dell’Europa occidentale e la conquista dell’Europa orientale sono le due principali funzioni della NATO.

    Nel verdetto reso in occasione della sessione conclusiva del Tribunale contro i Crimini di Guerra della NATO in Jugoslavia, tenutasi il 23 gennaio 2000 a Kiev, in Ucraina, la NATO è stata dichiarata un’istituzione criminale secondo il dettato del Codice di Norimberga.

    Ancora una volta, e ora dopo la fine della Guerra Fredda, l’Europa in quanto entità geopolitica ha di fronte a sé una scelta storica – o un’esistenza geopoliticamente indipendente quale Mitteleuropa o Comunità europea, o un futuro di appendice dell’impero americano. Un’esistenza geopolitica indipendente – l’Europa agli Europei – si traduce nella Mitteleuropa quale blocco antiegemonico in opposizione e in concorrenza con il Grossraum Atlantico americano. Il più semplice assioma geopolitico è che la NATO è una minaccia per la futura indipendenza europea. E soprattutto – la NATO è una minaccia per la Russia.



    NOTE AL TESTO

    (1) Vedi Anders Stephenson “Manifest Destiny. American Expansion and the Empire of Right” (Hill and Wang, New York, 1995) p. XI.
    (2) Josiah Strong “Our Country: Its Possible Future and Its Present Crisis” (New York, 1985) , p. 20. Cit. in Walter LaFeber “The New Empire” (Cornell University Press, Ithaca, 1963) , p. 74.
    (3) Ambrose, Stephen E. “The Military Dimension: Berlin, NATO and NCS-68” in Paterson, Thomas G. (ed.) “The Origins of the Cold War” (D.C. Heath and Company, Lexington, MA, 1974) p. 178.
    (4) Turner, Frederick Jackson “The Significance of the Frontier in American History” (Henry Holt and Co, New York, 1995) p. 1.
    (5) Turner, Frederick Jackson, ibid. p.33.
    (6) Turner, Frederick Jackson, ibid. p.p. 33, 59.
    (7) William Appleman Williams “The Frontier Thesis and American Foreign Policy” in Henry W. Berger (ed.) “A William Appleman Williams Reader” (Ivan R. Dee, Chicago, 1992) p. 90.
    (8) William Appleman Williams “The Frontier Thesis and American Foreign Policy” p. 91.
    (9) Brooks Adams “The Law of Civilization and Decay” (The MacMillan Co, New York, 1896).
    (10) William Appleman Williams “The Frontier Thesis and American Foreign Policy”, p. 92.
    (11) William Appleman Williams “The Frontier Thesis and American Foreign Policy”, p. 96.
    (12) Brooks Adams “The New Empire” (The MacMillan Co, New York, 1900).
    (13) ibid. p. 96.
    (14) Williams, ibid. 97.
    (15) ibid. p. 98.
    (16) ibid. p. 99, 100.
    (17) Brooks Adams “America’s Economic Supremacy”, p.p. 80, 104-05, David P. Calleo and Benjamin Rowland “America and the World Political Economy” p. 273.
    (18) Thomas J. McCormick “America’s Half-Century” (John Hopkins University Press , Baltimore, 1995) p. 18.
    (19) McCormick ibid. p.p. 18-19.
    (20) Brooks Adams “America’s Economic Supremacy” (The MacMillan Co, New York, 1900).
    (21) Ibid. p. 100.
    (22) ibid. p. 101.
    (23) William Appleman Williams “The Contours of American History”, Norton and Company, New York, 1988, p. 474 .
    (24) William Appleman Williams “Contours of American History” p. 473.
    (25) A.T. Mahan “The Influence of Sea Power upon History”, 1660-1783 (Boston, 1890) pp.. 53, 28.
    (26) Walter LaFeber “The New Empire. An Interpretation of American Expansion 1860-1898” (Cornell University Press, Ithaca, 1963) p. 88.
    (27) Williams ibid. p. 86.
    (28) Williams, William Appleman “The Tragedy of American Diplomacy” p.p. 71, 72.
    (29) Graebner p. 134.
    (30) Graebner p. 134.
    (31) Charles Evans Hughes p. 86.
    (32) William Appleman Williams “The Contours of American History” p. 454
    (33) Lloyd C. Gardner “The New Deal, New Frontiers, and the Cold War: A Re-examination of American Expansion, 1933-1945” in David Horowitz (ed) “Corporations and the Cold War” (Monthly Review Press, New York, 1969) p. 108.
    (35) Dorpalen, Andreas “The World of General Houshofer. Geopolitics in Action” (New York, 1942), p.224.
    (36) Peter J. Taylor “Britain and the Cold War. 1945 as Geopolitical Transition” (Guilford Publications,Inc, New York 1990) p. 17. Il concetto di “regime di egemonia geopolitica”, impiegato da Taylor, è del tutto simile al concetto di “regime di egemonia storica!” presente negli scritti di Antonio Gramsci.
    (37) Peter J. Taylor ibid. p. 17.
    (38) Peter J. Taylor ibid . p. 17.
    (39) Michio Kaku e Daniel Axelrod “To Win a Nuclear War. The Pentagon’s Secret War Planes” (South end Press, Boston, 1987) p.p. 63,64.
    (40) Queste opinioni vennero espresse da Reinhold Niebuhr, il quale, come molti strateghi americani della Guerra Fredda, vedeva il futuro destino politico dell’America secondo un’interpretazione manichea di guerra pressoché ininterrotta – secondo il punto di vista della riesumata Dottrina del Manifest Destiny. In proposito, va ricordata la visione della politica estera americana di William Appleman Williams. Affinché comprendessero la politica estera espansionista degli Stati Uniti, Williams esortava i suoi studenti “a studiare i pirati quale proto-comunità che, in epoca Rinascimentale e più tardi, cercava di imporre le proprie regole ed incuteva profondo terrore agli imperi esstenti”. Si veda Paul M. Buhle e Edward Rice-Maximin “William Appleman Williams. The Tregedy of Empire” (Routledge, New York and London, 1995) p. 236. Va inoltre ricordato che gli Stati Uniti iniziarono i preparativi della guerra contro l’Unione Sovietica già nel ocrso della Seconda Guerra Mondiale, quando ancora i due paesi erano alleati. Nell’estate 1945 , all’epoca della Conferenza di Potsdam, gli Stati Uniti adottarono una politica “di primo colpo” in caso di conflitto nucleare con l’Unione Sovietica.. A questo fine vene redatto un documento segreto, JCS 1496, datato 19 luglio 1945. (p. 30). Il primo piano di attacco nucleare fu redatto poco dopo dal generale Dwight Eisenhower su ordine del presidente Truman. Il piano, chiamato TOTALITY (JIC 329/1) prevedeva un attaco nucleare contro i Sovietici Soviet con 20-30 bombe A. Il piano aveva per obiettivo l’annientamento di 20 città sovietichecon il primo colpo: Moscaw, Gorki, Kuibyshev, Sverdlovsk, Novosibirsk, Omsk, Saratov, Kazan, Leningrado, Baku, Tashkent, Chelyabinsk, Nizhni Tagil, Magnitogorsk, Molotov, Tbilisi, Stalinsk, Grozny, Irkutsk e Jaroslavl" (Michio Kaku e Daniel Axelrod “To Win a Nuclear War. The Pentagon’s Secret War Planes” (South end Press, Boston, 1987) pp. 30, 31.
    (41) Michio Kaku e Daniel Axelrod ibid. pp. 63,64.
    (42) Lavrence H. Shoup & William Minter “Imperial Brain Trust” (Monthly Review Press, New York 1977, p. 117.
    (43) Lawrence Shoup & William Minter ibid. p. 118.
    (44) Martin Geoffrey “The Life and Thought of Isaiah Bowman” (Archon Books, Hamden, Connecticut, 1980) p. 177. Va inoltre ricordato che già nel suo libro The New World, pubblicato nel 1921, Isaiah Bowman prevedeva il futuro impero mondiale americano. Carl Haushofer pubblicò nel 1934 una trilogia intitolata “Macht und Erde” che, secondo Otto Maull, costituiva la risposta tedesca a “The New World” di Bowman. Martin Geoffrey, ibid. p. 165.
    (45) Mackinder, Halford "The Round World and the Winning of the Peace" in Democratic Ideals and Reality (W.W. Norton & Co, New York, NY 1962) p. 274. L’articolo di Mackinder fu originariamente pubblicato in Foreign Affairs, vol. 21(July 1943) p.p. 595-605.
    (46) Memorandum B-219, October 19, 1940, CFR, War- Peace Studies , NUL. Citato in Shoup & Minter, ibid. p. 130
    (47) L’affernazione di Posvolsky si trova nel Memorandum A-A11, October 19, 1940 War Peace Studies , Baldwin Papers, Box 117, YUL da cui Shoup& Minter traggono la citazione.
    (48) Shoup & Minter ibid. p. 131.
    (49) Shoup & Minter, ibid. p. 137.
    (50) Shoup & Minter , ibid p. 136.
    (51) Noam Chomsky “What Uncle Saw Really Wants” p. 12 (Odonian Press, Berkeley, 1992). Le politiche del Lebensraum americano e la costruzione geopolitica della Grande Area americana sono discusse approfonditamente in Joyce e Gabriel Kolko “The Limits of Power. The world and United States Foreign Policy” (Harper and Row, New York, 1972) [tr. it. I limiti della optenza americana, Einaudi].
    (52) Vedi Taylor, Peter J. “Britain and the Cold War. 1945 as Geopolitical Transition” (Gilfor Publications, New York, 1990. Non solo Carl Schmitt ma anche il generale Haushofer auspicavano la coesistenza pacifica di molte “Grandi Areae” o “Dottrine Monroe” concorrenti.. Carl Schmitt usò il concetto di Grossraum, il generale Haushofer quello di Pan-regione.
    (53) Gli obiettivi politici descritti nel NSC-68 furono dopo la fine (sic!) della Guerra Fredda nuovamente formulati nella Pentagons Defense Planning Guidance del Pentagono. Uscita di scena l’Unione Sovietica, gli Stati Uniti si avviarono una nuova politica di espansionismo.
    (54) Nickolas Spykman “Geography of Peace”, New York, 1944.
    (55) David Galleo ibid. p. 30.
    (56) Hans J. Morgenthau “The Mainsprings of American Foreign Policy” Robert A. Goldwin (ed) “Readings in American Foreign Policy” (Oxford University Press, New York, 1971) p. 642.
    (57) Ronald Steel “Temptations of a Superpower” ( Harvard University Press, 1995) p. 70.
    (58) N. Spykman “America’s Strategy in World Politics” p. 468.
    (59) Clyde Eagleton, “Review of America’s Strategy” in World Politics , 222 Annals of the American Academy of Political and Social Science (July 1942) , 189-190, p. 190. cit. in David Willkinson “Spykman and Geopolitics” in C. Zoppo and C. Zorgbibe (eds) “On Geopolitics: Classical and Nuclear” (Martinus Nijhoff, Dortrecht, 1985), p. 82
    (60) Nickolas J. Spykman e A.A. Rollins "Geographical Objectives in Foreign Policy” I, American Political Science Review , vol. 33 , 1939 , p. 394
    (61) David P. Galleo e Benjamin M. Rowland “America and the World Political Economy. Atlantic Dreams and National Realities” (Indiana University Press, Bloomington, 1973) p. 18.
    (62) ibid. p. 44.
    (63) ibid. p. 46.
    (64) ibid. p. 61.
    (65) Stephen E. Ambrose “The Military Dimension : Berlin, NATO and NSC-68” in Thomas G. Paterson “The Origins of the Cold War” (D.C. Heath and Company, Lexington, 1974) p. 178.
    (66) Stephen E. Ambrose “The Military Dimension : Berlin, NATO and NSC-68” in Thomas G. Paterson “The Origins of the Cold War” (D.C. Heath and Company, Lexington, 1974) p. 117.
    (67) Stephen E. Ambrose , ibid. p. 182.
    (68) The Wall Street Journal, April 5, 1949.
    (69) Kenneth Thompson “Political Realism and the Crisis of World Politics. An American Approach” (Princeton University Press, Princeton, 1960), p. 124.
    (70) Leopold Kohr “The Breakdown of Nations”, ibid., at p. 203.
    (71) Benjamin Schwarz and Christopher Layne "NATO: At 50, It’s Time to Quit", The NATION Magazine, May 10, 1999 p.p. 17, 18.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    Tiberio Graziani

    POSTFAZIONE A "SERBIA, TRINCEA D’EUROPA"



    "L'Europa, una volontà unica, formidabile,
    capace di perseguire uno scopo per migliaia di anni"
    F. Nietzsche

    Mentre mi accingo a scrivere questa postfazione - richiestami dall’amico Dragoš Kalajic per l’edizione serba del suo Serbia, trincea d’Europa -, il telegiornale passa la notizia di altri due omicidi compiuti ai danni del popolo serbo da parte di alcuni terroristi albanesi: seguita dunque la mattanza, iniziata, giova ricordarlo, ben prima dell’aggressione NATO al popolo jugoslavo.
    Ora però, dopo il cessate il fuoco, il massacro seguita col benestare, perfidamente occulto, della KFOR: l’intera zona non deve essere affatto pacificata, devono rimanere tutte le tensioni possibili (1), immaginabili ed inimmaginabili, affinché sia necessaria e pertanto umanitariamente legittimata, agli occhi dell’opinione pubblica, la forza d’occupazione di una parte consistente del territorio federale.
    Sotto questo aspetto persino la presenza militare russa, importante elemento di bilanciamento nei confronti delle forze alleate e, per alcuni versi, di garanzia nei riguardi dei Serbi, sembra rappresentare, nel gioco delle parti architettato dai politici di Washington, un alibi bello e buono, giocato anch’esso sulla pelle dei popoli jugoslavi: occorre tuttavia fare sempre i conti con i reali rapporti di forza, e constatare che la Federazione Russa è, nonostante l’attuale dirigenza, l’obiettivo geopolitico che a medio termine le forze NATO si sono poste di contenere ed influenzare, sul piano militare, attraverso una serie di partenariati con i Paesi dell’ex-blocco sovietico. In tale prospettiva, gli ultimi episodi secessionisti avvenuti in Daghestan, nonostante le pur presenti motivazioni endogene, d’ordine storico e religioso (2), non possono essere considerati disgiunti dalla ampia e complessa strategia antirussa che prevede da una parte il contenimento NATO, cui già abbiamo accennato, e dall'altro la costituzione di quella che Claudio Mutti, nella presentazione di questo volume, definisce "una dorsale pseudoislamica” tale da imprigionare “la Russia e tutta quanta l'area ortodossa", alimentata e finanziata “dall’Islam rigido dei sunniti wahhabiti, il cui centro è l’Arabia saudita” (3).

    La presenza militare, oltre a limitare di fatto la legittima sovranità del governo di Slobodan Milosevic prelude, dietro i fantomatici aiuti per la ricostruzione, al condizionamento economico-produttivo (4) della ormai ridotta Repubblica Federale Jugoslava; è questo un copione già visto e recitato, sovente a malincuore, in primo luogo dall’Italia e dalla Germania, nell’ambito della pianificazione economica del Piano Marshall all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale.

    Il dramma che, in questi anni, ha come protagonisti/vittime i popoli della ex-Jugoslavia, trova la sua immediata ragione d’essere nella tendenza mondialista ad allargare al massimo, nel continente euroasiatico, i propri spazi economici - in nome del cosiddetto libero mercato. E’ questa una tendenza sostenuta militarmente e politicamente, passo dopo passo, da strategie geopolitiche ben definite e mirate, come evidenziato peraltro dalle acute e ponderate considerazioni di Kalajic.
    Analizzando gli ultimi dieci anni di storia europea anche dal solo, e pertanto riduttivo, punto di vista dei rapporti economici, è interessante notare come, a partire dal collasso dell’ex-impero sovietico, sia le Nazioni europee ad economia socialista che quelle dell’Europa occidentale con economia a forte partecipazione statale abbiano subito veri e propri cataclismi politici nonché la veloce disintegrazione di intere classi dirigenti e spesso una perdita e/o ridefinizione dei propri territori e confini.

    Nell’est europeo la nascita della Confederazione degli Stati Indipendenti ha tentato di mantenere, per certi versi, peraltro limitati, alcune posizioni di autonomia dalla politica mondialista, ma di fatto ha svolto il ruolo di pompiere dei reali interessi popolari e statuali dei Paesi appartenenti all’ex-blocco sovietico; tale ruolo, ben compreso e stigmatizzato dall’opposizione nazional-comunista russa, ha posto in essere le premesse - tutte ancora da valutare - di un processo di transizione al mondo liberista che le incomprensioni, d’ordine esclusivamente mercantile che talvolta sembrano emergere, tra l’oligarchia che fa capo ad El’cin e i diktat del Fondo Monetario Internazionale (FMI) non fanno altro che accelerare. Altre due Nazioni, sempre dell’est europeo, hanno pagato pesantemente il loro obolo agli imperativi del nuovo corso liberista: la Cecoslovacchia, che ha perduto la sua unitarietà politico-amministrativa scindendosi in due repubbliche e divenendo quindi facile preda di investimenti usurocratici da parte della finanza internazionale, e la Romania che, appena saldato il debito contratto col FMI, ha dovuto sacrificare Ceausescu e cedere nuovamente ai ricatti della Banca Mondiale.

    Ma se Atene piange, Sparta di certo non ride. Infatti nella parte occidentale del nostro continente abbiamo assistito, e tuttora assistiamo, allo sgretolamento progressivo dello stato sociale (baluardo residuale, quantunque degenerato e putrescente, di una economia e di una solidarietà sociale ancora connessa a interessi nazionali e di questi purtroppo il solo collante) dei principali Paesi (Italia, Francia, Germania), ed alla estromissione di intere classi dirigenti, politiche ed economiche (Italia)(5) . A tutto ciò si accompagna la crescente ondata migratoria che da oltre una quindicina di anni imperversa sull’intera Europa occidentale.

    La disgregazione economico-sociale e la scarsa attenzione dei governi europei al problema dell’immigrazione favoriscono i flussi migratori, aumentandone il grado d’intensità e di pervasività, fino a determinare, da un lato, episodi incontrollabili di intolleranza - finora limitati e sporadici, e comunque confinati nell’ambito di epidermica reazione a fenomeni di microcriminalità -, e, dall’altro, la crescita macroscopica di organizzazioni criminali transnazionali di stampo mafioso a base etnica, che compromettono, drammaticamente, il controllo di ampi spazi territoriali (nazionali ed extranazionale, come nel caso dell’area adriatica) da parte delle normali forze di polizia ed alimentano, con i loro illeciti ricavati, quote sempre più crescenti e costitutive della finanza internazionale, che, poiché pecunia non olet, le tollera e pertanto le legittima.

    L'immigrazione, fenomeno naturale e ricorrente nella storia dei popoli, assumendo sul finire del secolo proporzioni vieppiù gigantesche, date le condizioni storiche di sviluppo industriale del Nord del pianeta - per cui si può parlare di un vero e proprio “urbanesimo planetario” - diviene, oggettivamente, nel quadro delle strategie messe in atto dai governi degli USA e dagli organismi internazionali che fanno capo alle Nazioni Unite, un non trascurabile elemento aggiuntivo alla destabilizzazione e ridefinizione delle politiche economico-sociali dei Paesi dell’Europa occidentale (6), ove la presenza di residuali meccanismi economici ancora vincolati a interessi nazionali e statali limitano la completa globalizzazione dei mercati interni.

    I fenomeni secessionisti, come quello del Kosovo e Metohija o del Daghestan, che esplodono apparentemente in nome del principio di autodeterminazione dei popoli o di una specificità religiosa, nella generalità dei casi (a causa della loro posizione geostrategica) sono pretesti, che danno un senso agli interventi umanitari ed al presidio militare dei governi di Washington e di Londra e pongono inoltre le premesse per la definizione di un nuovo diritto internazionale, una sorta di un parodistico Jus planetario. Tale diritto è determinato anche dall'attuale fase del complesso processo di globalizzazione, che, superato lo stadio che potremmo definire dei Trattati (GATT, ASEAN, NAFTA etc.), esige, in particolare in Europa, la eliminazione formale di qualunque entità geopolitica sovrana, che si frappone al suo sviluppo.

    Oggi i micronazionalismi europei, lungi dal rappresentare una sana e giusta rivendicazione delle proprie particolarità e dignità, sono mine vaganti lanciate contro il nostro continente che potrà essere libero e sovrano solo se sarà unito, forte ed economicamente indipendente. E' proprio nella prospettiva dell'auspicata unità politica euroasiatica che la Serbia di Milosevic rappresenta, con il fermo e deciso no alle pretese dell'imperialismo atlantico, un primo e reale presidio della coscienza europea in lotta contro la crescente occidentalizzazione/omogeneizzazione delle proprie e multiformi peculiarità.
    Le incursione anglo-americane e le conseguenti distruzioni arrecate al popolo serbo ci ricordano che il nemico principale è l'Occidente, quello stesso Occidente che bombarda quotidianamente l'Iraq, si appropria con rapacità delle risorse dell'intero pianeta, mette ipoteche sul lavoro degli europei, specula sulle economie del cosiddetto Terzo mondo, determina crisi generalizzate ed endemiche in larghi settori dell'economia mondiale. L'unica e necessaria risposta alle tendenze totalizzanti del nuovo ordine mondiale risiede pertanto nella organizzazione politica di un blocco continentale europeo.
    Dalle considerazioni di Kalajic emerge che l'unità geopolitica euroasiatica potrebbe enuclearsi (e realizzarsi con successo se l'opposizione nazional-comunista russa riesce a prevalere sull'oligarchia el'ciniana) a partire dall'asse prioritario Roma-Berlino-Mosca; noi a questa terna aggiungeremmo anche Istanbul. La Turchia - attuale e determinante testa di ponte per l'attacco militare che i neocartaginesi muovono contro il nostro continente - è infatti costitutiva sia di qualunque ipotesi euroasiatista che di qualunque azione finalizzata al riscatto continentale. Nel quadro della prospettiva proeuropea, occorre superare però tutte le incomprensioni e le diffidenze che, alimentate ad arte dagli strateghi di Washington e Londra, provocherebbero quelle "fratture culturali" già analizzate dai think tank mondialisti e compiutamente espresse da Samuel Huntington nel suo The clash of Civilizations? Se tali fratture si realizzassero all'interno del nostro continente esse innescherebbero un sicuro processo di disintegrazione politica dell'Europa intera, facilitando così l'egemonia anglo-americana.


    NOTE

    (1) Il cosiddetto management of crises, cioè il mantenimento strategico di situazioni critiche, è stato recentemente messo in discussione, nei suoi risvolti militari ed economici, da Edward N. Luttwak nel saggio Give war a chance ("Foreign Affairs", 78, 4, 1999). Secondo Luttwak le continue interferenze delle Nazioni Unite nei conflitti ritardano le reali soluzioni di pace ed alimentano, sine die, il risentimento dei belligeranti che invece paradossalmente la guerra esaurirebbe. E.N. Luttwak (1942), specializzato in problemi militari, ha esteso l'applicazione della strategia ai fenomeni economici ed alle problematiche sociali. E' senior fellow presso il CSIS (Centro di studi strategici e internazionali) di Washington.

    (2) “Fino al 1928 esistevano (in Daghestan) circa 2000 moschee e circa 800 scuole islamiche. Le seconde furono chiuse e le prime ridotte a 17 dalle offensive ateiste di Stalin e di Kruscev. Furono chiusi gli oltre settanta luoghi sacri del Paese e i pellegrinaggi proibiti. Il Daghestan è stato il primo Paese dell’area Caucasia - Asia Centrale a essere islamizzato: per giunta, direttamente, dagli arabi, nell’VIII secolo. Ma non basta: al pari della Cecenia è stato centro delle due grandi guerre antirusse nel Caucaso di fine ‘700 e degli anni 1829 -1859” (Piero Sinatti, Un Paese “esplosivo” dove l’Islam si è radicalizzato, “Il Sole 24 ore”, mercoledì 11 agosto 1999).

    (3) Piero Sinatti, art. cit.

    (4) Già espresso, programmaticamente, da alcuni guru della finanza internazionale come G. Soros di cui vale la pena riportare quanto segue a titolo esemplificativo di un protocollo standard di pianificazione economico-politica incurante della libertà dei popoli e della dignità nazionale e sovranità degli stessi: “Non dobbiamo ripetere gli errori commessi in Bosnia. Gli sforzi di ricostruzione in Bosnia fallirono in quanto il territorio era troppo piccolo e le diverse entità di governo, da quella federale a quella locale, fecero pressioni per avere le mani in pasta. Questa volta il nostro impegno deve estendersi all’intera regione. Il punto è ben compreso dagli uomini politici. Il patto di stabilità per il sud-est europeo firmato in Germania – a Colonia il 10 giugno – rappresenta un eccellente punto di partenza. Esso stabilisce tre gruppi di lavoro: per la democratizzazione e i diritti umani; per la ricostruzione economica, lo sviluppo e la cooperazione; e per la sicurezza. Ecco quindi un quadro di riferimento che aspetta di essere utilizzato. Il nucleo essenziale del piano si basa su quattro passaggi: 1) l’Unione europea prende il controllo dei servizi doganali dei Paesi aderenti; 2) la Ue rimborsa i Paesi per la perdita delle entrate doganali tramite il budget dell’Unione. L’ammontare dei sussidi dovrebbe essere in ragione di cinque miliardi di euro all’anno. Ciò rientra perfettamente nell’Agenda 2000, approvata a Berlino. 3) La compensazione potrebbe riflettere la potenziale, piuttosto che l’effettiva perdita di introiti, ma la condizione per il sussidio dovrebbe essere strettamente legata ai risultati. Per esempio, in Serbia dovrebbero tenersi elezioni sotto l’egida dell’Osce come condizione per l’ottenimento dei sussidi. Questo costringerebbe alla resa Milosevic più delle bombe. 4) Con questo finanziamento della Ue, i Paesi dovrebbero muoversi verso l’euro (o verso il marco tedesco fino all’entrata in vigore della valuta unica europea) come moneta comune. La Bulgaria ha già introdotto un currency board basato sul marco tedesco; le altre nazioni non avrebbero neppure bisogno di un tale strumento. Insieme queste quattro misure creerebbero, in un primo momento, un’area di libro scambio simile al Benelux. Non appena l’Unione europea sarà soddisfatta dei controlli sulle dogane, potrebbe ammettere quest’area al mercato comune europeo. Il commercio di prodotti agricoli – il settore principale della regione – potrebbe rimanere soggetto a restrizioni, ma la Ue dovrebbe dimostrare una certa generosità perché il piano abbia successo. Il secondo passo dovrebbe avvenire entro un futuro ragionevole, diciamo due anni. In un futuro più lontano, i Paesi dovrebbero essere ammessi come candidati a Stati membri. Ulteriori passaggi saranno necessari: facilitazioni creditizie per la ricostruzione e gli investimenti; assistenza tecnica per stabilire le condizioni di legalità; sostegni all’educazione, formazione manageriale, mezzi di comunicazione indipendenti e società civile.” (G. Soros, Per una comunità dei Balcani, “Il Sole 24 Ore”, martedì 6 luglio 1999; cfr. anche Reconstruction, Soros sees a solution, intervista a Soros, “Newsweek”, 12 luglio 1999).

    (5) Per quanto attiene ridefinizioni d'ordine territoriale avvenute in Europa occidentale, si ricorda la riunificazione delle due Germanie. E' inoltre da tener presente il consolidamento di fenomeni localistici come quello rappresentato, in Italia, dalla Lega Nord le cui tesi separazioniste e strategie secessioniste mettono continuamente in discussione l'autorità dello stato nazionale italiano.

    (6) In Italia si prevede che nel 2004, su una popolazione complessiva di 54 milioni, oltre il 16% (circa 9 milioni) sarà costituita da immigrati. Questi dati suffragherebbero le tesi del ragioniere generale dello Stato italiano, Andrea Monorchio, che in un saggio di imminente pubblicazione, Dove va l’Italia, provocatoriamente, secondo l’opinion maker ed ex-ministro Alberto Ronchey, e demagogicamente (data l’importanza della funzione rivestita da Monorchio) per chi scrive, risolverebbe il problema della previdenza sociale demandandolo agli introiti che lo Stato acquisirebbe dalla forza lavoro degli immigrati. Cfr. Alberto Ronchey, L’immigrato pagherà la nostra pensione? La previdenza del ragioniere, “Il Corriere della sera”, mercoledì 18 agosto 1999. Tali tesi sono state condivise dal Governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, vedi U. Gaudenzi, Fazio nuovo prosseneta dell'immigrazione selvaggia, "Rinascita", sabato 31 luglio 1999.




    Pubblicato come postafzione all'edizione serba di
    Dragos Kalajic, "Serbia; trincea d'Europa" (agosto 1999)
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    Dragoš Kalajic
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    L'influente settimanale italiano Panorama è stato di recente onorato dalla presenza della CIA: Panorama, per primo nello spazio mediatico europeo, ha ottenuto i diritti a pubblicare e in tal modo diffondere i presunti risultati segreti di previsioni futuristiche della task force intellettuale della CIA, concernenti le imminenti, future e possibili disgregazioni di stati. Il documento in questione è una "bozza", circa 200 pagine, con numerosi allegati, grafici e diagrammi; il titolo è Rapporto sulla disintegrazione degli stati. Il settimanale italiano ha presentato una versione ridotta del Rapporto, aggiungendo che esso è il risultato di una ricerca interdisciplinare che, senza l'aiuto di analisi al computer - a causa dell'enorme massa di dati provenienti da oltre 600 campi diversi - avrebbe richiesto un lavoro di almeno dieci anni di ore/uomo.
    Gli autori del Rapporto esaminano quattro cause fondamentali della disgregazione degli stati: guerre ideologico-rivoluzionarie e civili, conflitti etnici, genocidi e "politicidi" e mutamenti traumatici delle strutture di governo. Il Rapporto include una mappa del mondo nel quale tutti gli Stati sono collocati in una di quattro categorie-base, a seconda delle loro prospettive future: rischio di disintegrazione incerto, basso, medio e alto. Gli USA, l'Unione Europea e il Giappone sono collocati fra i Paesi a basso rischio. Il colore rosso, che denota alto rischio, copre tutti i Paesi musulmani ex sovietici, India, Turchia, gran parte dei Paesi africani e quasi l'intera America Latina. In Europa, la zona ad alto rischio comprende Croazia, Federazione Musulmano-Croata [Bosnia], Repubblica Srpska [la Serbia bosniaca], Albania e Macedonia, mentre Repubblica Jugoslava, Slovenia e Romania sono situate nella zona a rischio medio.

    Gli editori della versione parziale del Rapporto hanno informato i lettori che questa visione dell'immediato futuro del mondo era destinata a restare segreta "non soltanto a causa di utilizzi indesiderati del Rapporto, ma anche delle possibili conseguenze politiche negative di un rapporto del genere". Così, gli ingenui fra noi possono concludere che l'inviato di Panorama è riuscito a penetrare negli archivi top secret della CIA e a svelare in modo irresponsabile un grande segreto, rendendo così possibile un "utilizzo indesiderato" nonché "conseguenze politiche negative", il tutto al fine di avvertire il pubblico di imminenti catastrofi. Non è necessaria molta intelligenza per concludere che la storia è un bluff, giacché chiunque sia in possesso di una minima conoscenza della rete dei mass media in Occidente sa bene che nel suo ambito - ad eccezione, per il momento, di Internet - una simile libertà non è né immaginabile né possibile, a causa della dipendenza dei principali fornitori di notizie dagli interessi del sistema plutocratico.A parte questo, la supposta segretezza del Rapporto è confutata dalla dichiarazione del direttore di ricerca della CIA, Daniel O. Esty, resa proprio al giornalista di Panorama. Nella dichiarazione, il dirigente della task force della CIA sottolinea che la task force ha scoperto "oltre ai tradizionali fattori socio-politici e geostrategici ... una serie di nuove cause che potrebbero vsvolgere un ruolo decisivo nello sviluppo di una crisi o di una disintegrazione traumatica degli stati".Consapevoli delle conseguenze di tutte le precedenti pubblicazioni di "segreti" usciti dagli antri nascosti della CIA, dobbiamo chiederci perché questo rapporto sia stato presentato al pubblico del "villaggio mondialista [globale]". L'autore di questo articolo è convinto che la CIA stia cercando di preparare psicologicamente il pubblico del "villaggio mondialista [globale]" a guerre e disintagrazioni statali che Washigton, direttamente o indirettamente, sta attualmente pianificando o incoraggiando. Quando tali predizioni si avvereranno, guerre e disintegrazioni saranno accettate come inevitabili, previste dalla suddetta tecnologia dell'informazione, che da lungo tempo, nella coscienza delle masse mondializzate, ha rimpiazzato non soltanto ogni fede nell'umano intelletto, ma persino l'antico volere di Dio, con cui i popoli del passato spiegavano tante calamità storiche.



    Lontano da Dio e vicino agli USA
    Pertanto, il citato Rapporto suggerisce indirettamente a tutti gli autentici amanti e fautori della pace di abbandonare ogni speranza ed illusione. Inoltre, questa realtà storica rigetta categoricamente tutte le teorie dei profeti, al soldo o gratuiti ("utili sciocchi", secondo il vocabolario della CIA), delle presunte virtù del modello americano di "società civile" e "multiculturale" - modello che si suppone inclini naturalmente verso la pace, a differenza di ogni sorta di nazionalismo e Stato nazionale che (sempre per supposizione) invariabilmente finisce con l'impegnarsi in guerre espansioniste. In realtà, la storia dimostra che "la democrazia dirigente" e campione di ogni progetto di "società civile" e "multiculturale", in quanto modello di stato, è di gran lunga il massimo produttore di interventi militari e guerre.
    Soltanto nel suo habitat geopolitico, l'America settentrionale, centrale e meridionale, nel corso degli ultimi cento anni gli USA si sono impegnati in quasi 90 fra interventi militari e guerre di espansione e in un enorme numero di colpi di stato; diretti o indiretti. Gli USA hanno usato la loro potenza militare contro Messico (14 volte), Cuba (13 volte), Panama (12 volte), Nicaragua (10 volte), Repubblica Dominicana (nove volte), Columbia e Honduras (9 volte ciascuna), Haiti (sei volte), Puerto Rico (tre volte) e in un'occasione contro Argentina e Brasile.

    L'interventismo militare cronico degli USA è al servizio di una corrispondente egemonia politica, militare ed economica che - mediante indebitamento imposto - distrugge ogni sistema economico e crea povertà, forzando le masse dei Paesi del Terzo Mondo americano ad emigrare negli USA. Queste sfortunate nazioni hanno coniato un proverbio che esprime in sintesi il loro destino: "Così lontano da Dio, e così vicino agli USA!". Recentemente, l'International Herald Tribune ha pubblicato un articolo di due guru del mondialismo di Washington: Jacob Heilbrun e Michael Lind hanno spiegato insieme 100 anni di interventismo militare e guerre che hanno condotto all'instaurazione del "primo impero Americano". Secondo loro, il secondo impero è stato conquistato grazie alla Seconda Guerra Mondiale e comprende l'Europa occidentale, il Giappone e alcune isole del Pacifico. Heilbrun e Lind informano il pubblico che ultimamente stiamo assistendo all'instaurazione del "terzo impero Americano" tramite "la direzione Americana del movimento delle nazioni Musulmane, dal Golfo Persico ai Balcani". Questa sequenza di eventi condurrà alla resurrezione dell'Impero Ottomano sotto tutela Americana, con la tendenza alla diffusione di questo "terzo impero Americano" in "Europa orientale (con l'aiuto della NATO) e nella Jugolavia un tempo neutrale".Il vero obiettivo delle "iniziative di pace" di Washington ha trovato conferma nelle dichiarazioni del sottosegretario al governo USA Strobe Talbott, che ha rimarcato come la NATO intende impegnarsi ad avviare operazioni all'esterno della sua originaria zona di azione, "nel Medio Oriente e altrove". Quell'altrove, alla luce della scoperta di ambizioni mondialiste, deve essere inteso come dovunque. Il commentatore di politica internazionale da Parigi di Le Monde Diplomatique, Marion Ajer, nel saggio dal titolo NATO: al servizio di quale sicurezza? offre questa risposta alla domanda: "Questo terzo dispiegamento di forze militari in Europa (dopo il 1917 e il 1944) rappresenta - una volta neutralizzata l'aspirazione dei membri dell'Unione Europea ad una forza di difesa comune - il rinovamento del tradizionale ruolo degli USA nell'Alleanza atlantica e la loro riconferma quale massima forza militare in un mondo unipolare"



    La strategia fondamentale contro la Russia
    La NATO è lo strumento "duro" fondamentale per l'instaurazione e la diffusione del "terzo impero Americano" dal Medio Oriente, dove l'egemonia e il controllo delle riserve petrolifere mondiali sono assicurati dall'asse militare Israele-Turchia (di recente ufficializzato con un accordo internazionale), attraverso l'"asse Islamico" per la penetrazione degli emigranti turchi e musulmani nell'Unione Europea, lungo tutto il confine della Russia. Il progetto di diffusione dell'influenza della NATO nella regione "post-comunista" è una minaccia alla Russia, minaccia che probabilmente si materializzerà una volta che il popolo russo si sarà liberato con il rovesciamento dei suoi attuali dirigenti russofobi, stranieri e mondialisti. Le mappe strategiche della NATO sin dal 1982 segnavano la regione del Caucaso come possibile futuro teatro bellico, il che proietta una luce diversa sulla guerra in corso in Cecenia e sugli sforzi dei suoi istigatori da Washington per diffondere quel conflitto al resto della Russia, provocandone così la distruzione.
    Si tratta dell'attuazione interventista della strategia anti-russa che si può rintracciare nella Direttiva del Consiglio di Sicurezza Nazionale n.20/1 del 18 agosto 1948:

    "Dobbiamo assicurare che persino un regime non comunista e nominalmente amico in Russia
    a) non disponga in futuro di una forza militare significativa;
    b) dipenda strettamente sul piano economico dal resto del mondo;
    c) non possa istituire nulla di simile alla 'cortina di ferro'.
    Se anche quel regime dovesse mostrare un atteggiamento sfavorevole verso i comunisti e favorevole nei confronti degli USA, dobbiamo assicurare che tali condizioni siano imposte, sia pure in maniera non offensiva o umiliante. Dobbiamo in ogni caso sottometterlo, pacificamente o con la forza, per proteggere i nostri interessi".

    Alla luce di questa strategia e della sua attuazione, possiamo concludere che l'Alleanza Atlantica e il progetto Partnership for Peace sono i mezzi per l'instaurazione e diffusione del "terzo impero Americano", come confermato da Heilbrun e Lind: "Nel futuro prevedibile, lo scopo principale dei Paesi alleati della NATO sarà quello di servire da centri di reclutamento di soldati per le guerre Americane nei Balcani, nel Mediterraneo e nel Golfo Persico. La sfida dell'instaurazione di una nuova sfera di influenza europeo-mediorientale richiederà lo sviluppo di nuove istituzioni ed alleanze simili alla NATO [Partnership for Peace, nota di D.K.] per le relazioni con i vari protettorati che gli USA si sono conquistati da 1990".

    Pertanto, tutta la propaganda sulla sedicente natura di strumenti di sicurezza e pace della NATO e di Partnership for Peace (la sala d'attesa della NATO) serve unicamente ad indottrinare masse sprovvedute e le corrispondenti pseudo-élites politiche sorte dalle rovine del sistema post-comunista. In una situazione del genere, pace e sicurezza dipendono quasi integralmente dalla buona o cattiva volontà degli strateghi del "nuovo ordine mondiale" di Washington e dai loro comandanti plutocratici di New York. Un buon esempio della totale "impotenza" della NATO nell'instaurare una pace duratura persino fra i suoi stessi membri è offerto dalle continue provocazioni militari della Turchia - dall'ormai ventennale occupazione militare della metà settentrionale di Cipro, fino ai recenti attacchi all'integrità territoriale della Grecia. E' evidente che la Turchia non sarebbe mai stata in grado di inscenare tali provocazioni senza l'incitamento o almeno il tacito consenso degli strateghi di Washington, i cui generali sono i comandanti supremi delle forze NATO. La NATO non è stata capace di controllare le ambizioni di conquista della Turchia; ha invece di recente deciso di inviare "osservatori" ai confini in pericolo della Grecia.


    Coloro che cercano Pace avranno Guerra
    Un'altra prova del vero carattere e dei veri scopi dell'Alleanza Atlantica quale strumento "morbido" per l'instaurazione e l'ampliamento del "terzo impero Americano" consiste nelle condizioni politiche ed economiche per essere accettati nell'Alleanza, condizioni che nulla hanno a che fare con fini militari e di difesa. Chiaramente, la NATO accoglierà soltanto "Paesi democratici", dunque Paesi i cui governi siano servitori affidabili degli interessi Americani.
    Altra condizione cruciale è una "economia di mercato", concretamente la totale assenza di protezione dell'economia domestica dalla pirateria finaziaria e industriale straniera. La storia ci dice che la maggior parte delle guerre, anche di quelle di maggiori dimensioni (come quelle contro il Giappone imperiale, la Russia degli zar e l'Impero Austro-Ungarico) vennero iniziate dai capitalisti dell'Occidente a causa della determinazione con cui quegli stati difendevano la loro indipendenza e ricchezza economica, i mercati e le risorse interne. Anche il citato Rapporto della CIA agita questa causa di guerra, precisando minacciosamente che gli stati a maggior rischio sono quelli con "basso livello di accessibilità al mercato".

    Un'altra importante condizione per accedere all'Alleanza Atlantica è la "capacità di sopportare tutti i costi necessari per adeguare il livello delle forze militari nazionali a quello delle forze NATO". In altre parole, la capacità di acquistare armamenti made in the USA, pagare costosi consiglieri per l'addestramento al loro uso, e pagare per il sostentamento delle forze di occupazione Americane. L'investimento necessario è così ingente per gli stati economicamente deboli e indebitati dell'Europa Orientale che persino gli ideatori di tali condizioni (o estorsioni) fiutano odore di fallimento. Dalle pagine del Washington Post, William Odom [ex direttore della National Security Agency, ndr] ammette apertamente: "Gli eserciti [dei Paesi dell'Europa Orientale] non sono sufficientemente moderni per soddisfare gli standard della NATO. Gli investimenti occorrenti per adeguarne il livello sono allo stato attuale eccessivi per le loro economie".
    Fra le condizioni per l'accoglimento nell'Alleanza Atlantica ne troviamo una che a prima vista appare innocua e ragionevole: "I membri della NATO accettano il principio della soluzione pacifica dei problemi interni e delle dispute sui confini". Purtroppo, la condizione è solo in apparenza innocua. L'esperienza recente conferma che questa condizione implica in realtà la rinuncia alla sovranità e il riconoscimento dela "comunità internazionale" (uno degli pseudonimi degli USA) quale unico arbitro delle dispute interne ed internazionali (fomentate da Washington).

    Una mente lucida e dotata di esperienza non fatica a individuare in quest'ultima condizione un altro annuncio di nuove guerre europee e fratricide, fondate sull'atica formula del cinismo politico: divide et impera. La dislocazione di queste guerre future e possibili è già stata determinata, come è confermato da numerosi studiosi di previsioni americani, dalla task force della CIA al già menzionato William Odom: "Un gran numero di ungheresi irrequieti vive nel sud della Slovacchia, nella Transilvania rumena e nella Serbia settentrionale. La Russia pretende che la Polonia conceda un corridoio in direzione dell'enclave di Kaliningrad (nella ex Prussia orientale). Esiste una minoranza polacca in Lituania, mentre Estonia e Lettonia presentano rilevanti minoranze russe. La Moldavia, un tempo parte della Romania, ha uno statuto incerto. L'allargamento della NATO può prevenire il sorgere di alcuni fra questi problemi e servire da monito a coloro che volessero sfruttare questi potenziali conflitti".

    Nel leggere questi testi, un lettore ingenuo potrebbe pensare con gratitudine che gli strateghi di Washington siano sinceramente preoccupati per la pace nell'Europa orientale e stiano cercando di proteggerla offrendo i servigi della NATO. L'esperienza della guerra e distruzione nella Bosnia-Erzegovina è sufficiente per rendersi conto, una volta per tutte, che una pace europea è indesiderabile per gli strateghi di Washington. Dapprima hanno spinto gli Ilamici bosniaci sulla via della secessione per mezzo di un referendum sull'indipendenza che, per ammissione inequivoca di Izetbegovic [attuale presidente della Bosnia, ndr], avrebbe significato una cosa sola: "dichiarazione di guerra". In seguito, hanno sabotato qualsiasi accordo di pace fra le parti belligeranti, ammonendo il leader degli Islamici [Izetbegovic] di respingere tali accordi e attendere in vista della promessa di guadagni maggiori. Solo quando hanno stimato che la pace (?) o il cessate il fuoco sarebbero stati confacenti ai loro obiettivi provvisori, gli strateghi di Washington hanno forzato gli Islamici a siglare un accordo di pace, presentando al contempo l'accordo di Dayton come il risultato della loro abilità e onnipotenza, e come prova dell'impotenza europea - altro motivo per ribadire l'egemonia Americana e la presenza di forze di occupazione NATO sotto comando Americano in Europa.



    La paura spinge verso la NATO
    Come sottolinea lucidamente Marion Ajer dalle pagine di Le Monde Diplomatique (dove, per la natura stessa della pubblicazione, è possibile ritrovare di tanto in tanto una verità o due), "affinché l'Alleanza Atlantica sopravviva, sarà necesario creare nuove guerre". Quindi, per giustificare l'esistenza dell'Alleanza agli occhi degli europei non sufficientemente compiacenti, gli strateghi di Washington dovranno creare nuove guerre in Europa per tenere occupata la NATO. Le stesse regole valgono per le nazioni est-europee, alle quali viene offerta protezione e sicurezza sotto l'ala sedicente pacifica della NATO: la loro pace e la loro sicurezza verranno coerentemente poste in pericolo per forzarle a pagare il racket dell'Alleanza Atlantica, cioè dei plutocrati di New York.
    La pace europea si è basata per molto tempo sui trattati di Versailles e Trianon, ma ora l'interventismo Americano sta distruggendo queste fondamenta. In un discorso rivolto al circolo nazionale della stampa statunitense il 31 gennaio 1996, Richard Holbrook, amministratore di guerra per conto di Washington sulle macerie della Bosnia-Erzegovina, ha annunciato che le fondamenta della pace europea sarebbero state distrutte a causa della "irrisolta eredità delle conferenze di Versailles e Trianon". Di conseguenza, tutte le frontiere interne dell'Europa Orientale e fra Germania ed Europa Orientale possono ora essere rimesse in discussione. Questo fatto, insieme con le minacce di guerra che comporta, è la ragione principale che spinge a comprare la pace pagando il "pizzo" degli estorsori di Washington.

    Il sottoscritto ha di recente chiesto all'influente studioso bulgaro di geopolitica Sergej Stanisev, dell'Istituto per la Ricerca sui Balcani e l'Europa, coma mai importanti forze politiche bulgare sostengano l'ingresso della Bulgaria nella NATO. Stanisev ha risposto:

    "Naturalmente, la vera ragione non sta in qualche paura putativa della politica espansionista della Russia, come viene di solito affermato pubblicamente. Nessuna persona seria e sensata presta attenzione ai moniti di Washington secondo cui il nuovo stato russo potrebbe in futuro dare il via alla conquista dei territori dell'ex Unione Sovietica e dell'Est Europa un tempo controllati. Anche se covasse ambizioni espansioniste, questa nuova Russia non sarebbe semplicemente capace di nulla di simile. Come si può anche solo immaginare che un esercito incapace di spezzare l'insorgenza in Cecenia possa imbarcarsi in un'impresa di conquista di tali dimensioni? La ragione fondamentale e nascosta del desiderio di unirsi all'Alleanza Atlantica è la paura della politica guerrafondaia che Washington persegue con successo. L'attuazione di questa politica nei territori della Jugoslavia ha profondamente influenzato tutte le elites est-europee. Molti credono di potersi comprare pace e benevolenza aggregandosi alla NATO e pagando un riscatto ai guerrafondai di Washington".

    Un buon esempio di questa psicosi da guerra è la gara a unirsi alla NATO in atto fra Ungheria e Romania - gara alimentata dagli emissari e i ricattatori di Washington, a cominciare da Javier Solana, segretario generale della NATO. Solana ha ultimamente visitato le capitali dei Paesi dell'Est europeo disposti a pagare il "pizzo" alla NATO, cominciando da Kiev e finendo con Sofia; a tutti ha giurato che "la corsa è aperta" e l'arbitro "imparziale". E tuttavia, nella pratica, anche se "tutti sono uguali", alcuni sono "più uguali degli altri", dato che obbediscono alle "richieste democratiche" (degli strateghi del mondialismo di Washington) con maggiore entusiasmo di altri.

    Gli interlocutori rumeni, incluso il presidente, il ministro della difesa, il ministro degli affari esteri ed entrambi i capi dei due rami del parlamento, hanno offerto a Solana numerose e umilianti garanzie della volontà della Romania di soddisfare tutte le condizioni per aderire alla NATO. Hanno persino presentato gli esiti di un sondaggio a dimostrazione che il 95% dei rumeni appoggia l'ingresso del Paese nell'Alleanza Atlantica. Ciononostante, non è stata dissipata la loro impressione che l'Ungheria verrà accolta nella NATO nel primo round, mentre la Romania dovrà aspettare fuori.


    L'illusione chiamata Occidente
    Altra impressione ricavata è che Washington favorisca deliberatamente alcuni "postulanti" a svantaggio degli altri, al fine di suscitare fra gli stati sospetto reciproco, dispute e infine conflitti. Il ministro degli affari esteri rumeno Melekasanu ha pubblicamente sottolineato che "la corsa per accedere alla NATO è un fattore di instabilità in questa parte del mondo". Secondo l'opinione di un esperto quale il ministro delle difesa rumeno Tinka, se l'Ungheria si unirà alla NATO mentre la Romania resterà esclusa, entrambi i Paesi "si impegneranno in una corsa agli armamenti". Naturalmente, questa corsa avverrà secondo gli standard della NATO, con grande soddisfazione dell'industria millitare Americana, dei suoi investitori e degli estorsori internazionali che forniranno credito ad entrambi questi stati ricattati e indebitati.
    Il ministro della difesa rumeno Tinka giustamenta valuta che una corsa agli armamenti fra Romania e Ungheria incoraggerà le tendenze separatiste in seno alla minoranza ungherese in Romania e le richieste di concessioni territoriali dell'Ungheria, in base a quanto Washington ha dichiarato a proposito dell'annullamento, di fatto, del Trattato di Trianon. Javier Solana ha fatto del suo meglio per stimolare un conflitto ungaro-rumeno per conto dei suoi padroni, i plutocrati di New York, esprimendo ai sui ospiti rumeni "profonda preoccupazione per la situazione delle minoranze nazionali, soprattutto dei diritti della minoranza ungherese in Romania".

    I rumeni, eccellenti conoscitori della storia - come è testimoniato dagli splendidi lavori di intellettuali rumeni come Mircea Eliade, Emil Cioran e Vintile Horia - sanno riconoscere le minacce velate, ma per il momento non hanno i mezzi per difendersi. Anche il columnist dell'autorevole periodico Adevarul, Dumitru Tinu, esprime questa impotenza: "La Romania è vittima di un gioco di interessi; la sua grande fiducia nell'Occidente verrà ancora una volta tradita". Bisognerebbe leggere il messaggio lanciato ai rumeni e agli altri popoli Ortodossi da Emil Cioran dal suo esilio parigino con il libro Storia e utopia, per comprendere la futilità di questa fiducia nell'Occidente.

    E diamo anche credito alla saggezza dell'attuale politica cinese, che sa vedere attraverso tutte le manipolazioni dei commesi viaggiatori della potenza occidentale. Una saggezza acquisita nel corso di sei millenni di cultura e storia. Una saggezza contro cui si è rivolto, con modi da cowboy, il segretario statunitense alla difesa, William Perry, che ha aggressivamente offerto [alla Cina] una sorta di Partnership for Peace: "Tramite contatti diretti con le forze militari cinesi possiamo contribuire ad una maggiore apertura delle isituzioni cinesi per la sicurezza nazionale e il pensiero strategico, l'ac
    quisizione di nuovi armamenti e la politica di bilancio, nonché, in generale, dello stile d'azione cinese".
    Naturalmente, la saggezza cinese ha declinato, con cortesia ma fermezza, l'offerta di Perry, dietro alla qual non è difficile vedere la menzogna. Il fallimento del tranello di Perry ha offerto a Henry Kissinger materiale da cui ricavare lezioni per il futuro: "Fino a quando la cooperazione militare è presentata come una specie di assistenza il cui obiettivo è la trasformazione delle istituzioni cinesi, una civiltà indipendente da seimila anni non può non percepire tutto ciò come un'offerta di patronaggio".
    [...] Non è necessario sottolineare che gli Europei devono lavorare con tutte le loro forze al "tramonto dell'Occidente (= USA)" e alla propria liberazione. Gli Europei possono offrire il contributo supremo a questo tramonto mediante la risoluta difesa della sovranità e indipendenza dei propri stati dall'aggressione dell'egemonia mondialista sul piano politico, economico, (sub)culturale e militare. La potenza dell'Occidente crollerà se le viene negata qualla che da secoli è la sua preda, su cui vive e prospera come un parassita. La principale condizione del movimento di difesa europeo è il riconoscimento del nemico e dei suoi obiettivi. Ne è un buon esempio l'articolo di Richard Ovinkov pubblicato dal quotidiano russo Pravda:

    "L'essenza della politica Americana e Occidentale (la cui prova generale è avvenuta sul territorio jugoslavo) è stimolare l'instabilità e i conflitti etnici interni, specialmente negli stati plurinazionali, e usare questi conflitti per i propri fini. Sembra che i fautori di questa politica vogliano usare, anche per il futuro, questo precedente jugoslavo per una felice opera di divisione dei popoli Slavi. Le possibilità di realizzazione dipenderanno dal successo che otterranno nel dividere gli Slavi e metterli gli uni contro gli altri. Ma è possibile che non abbiamo ancora imparato nulla?".
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

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    Una proposta per indicare
    all'uomo e alle comunità europee
    una via per diventare sé stessi in

    Comunità, Europa, Impero

    di

    FRANCESCO
    DI MARINO

    (premessa di Claudio Bonvecchio)
    Asefi Terziaria, 2001









    Giovedì 12 aprile 2001, alle ore 21.00, l’Associazione Culturale Terra Insubre ha presentato, presso la Palazzina Civica di Via Sacco a Varese il libro Comunità, Europa, Impero, dell'Avv. Francesco di Marino. Alla presentazione hanno partecipato, oltre all’autore, Claudio Bonvecchio, Luca Pesenti, esponenti della cultura e delle istituzioni varesine. Vi presentiamo una relazione della conferenza sotto forma di intervista da parte della nostra Redazione.

    Francesco di Marino è nato a La Spezia. Milanese d’adozione è stato per anni avvocato d’impresa, amministratore e sindaco di società. Attualmente insegna diritto civile e commerciale presso la European Business School di Milano ed opera presso due società di consulenza aziendale. Per la casa editrice ASEFI TERZIARIA ha pubblicato il saggio Riflessioni sui percorsi della conoscenza.
    Si può contattare l’editore presso info@asefi.it o consultare il sito www.asefi.it

    Redazione: Di Marino, cosa significa per Lei presentare il suo libro in questa sede?

    Di Marino: Sono veramente onorato di avere l’opportunità di presentare il mio libro presso una sede di Terra Insubre che rappresenta una comunità vivente, il Popolo d’Insubria, stanziato in queste zone più di 2600 anni fa. Una comunità che non ha accettato la sottomissione all’Impero Romano passivamente, ma ha stabilito il “foedus” con esso. Questa forma istituzionale, il foedus, è molto importante perché potrebbe proporsi come alternativa alle forme istituzionali oggi in crisi. Lo Stato nazionale oggi è in declino, ed infatti è incapace di affrontare problemi come l’omologazione economica e culturale, l’ecologia, l’immigrazione, l’energia da gestire.

    Redazione: secondo Lei a cosa è legata la crisi europea e dello Stato nazionale?

    Di Marino: Vede, il problema è che lo Stato nazionale è sfumato in un ectoplasma che senza resistenza è dominato da tecnocrati padroni del nostro destino. Questi tecnocrati sono specialisti, tecnici freddi, non eletti dal popolo e ne consegue che questa Europa ce la ritroviamo fatta così (a pezzi) da burocrati estranei.

    Redazione: Di fronte a questa situazione, asettica ed espropriante, Lei nel suo libro propone il calore dell’appartenenza che deriva invece dal richiamo al sacro, ai miti, ai simboli, che fondano la vita delle comunità e dei popoli…

    Di Marino: E’ proprio così. Il cuore dei popoli richiede la sacralità di un vincolo: questo era il foedus. Esso era stipulabile solo se i popoli erano d’accordo, non poteva essere un’imposizione dall’alto. Infatti l’imperatore non ha mai governato. Egli semmai era il garante della pace e dell’armonia, era l’axis mundi tra le comunità. La mia proposta di pensare all’Impero equivale alla volontà di far vivere i miti e i simboli delle culture. Le culture locali sono culture se hanno un mito ed un simbolo. Il mito ed il simbolo sono la forza della cultura locale. Il simbolo è ciò che lega ed unisce gli elementi di una cultura viva.

    Redazione: Nel suo libro l’elemento dominante, il seme che Lei lancia soprattutto ai giovani, è l’idea di Utopia…

    Di Marino: Ciò di cui abbiamo appena parlato, il mito ed il simbolo, sono proiettati e proiettanti nel futuro: sono l’Utopia. Per me l’Utopia non è solo il “luogo che non esiste”. Essa è anche Eu-topos: il luogo di ogni bene, il luogo di cui si può pensare il possibile, il potenziale, per uscire dall’inerzia. L’Utopia è una forma di speranza, è movimento. E’ necessario che tutti i popoli, che esprimono la ricchezza dell’Europa, spingano lo sguardo verso questo luogo.

    Redazione: Professor Bonvecchio, Lei ha recentemente sottolineato la necessità per il pensiero occidentale di “osare, confrontarsi e rivendicare – con intelligenza e coraggio – la straordinaria vitalità della storia e della Tradizione Occidentale ed Europea. Storia e Tradizione che possono essere una solida base per un futuro tutto da costruire…” (nel libro Il pensiero forte. La sfida simbolica alla modernità, Settimo Sigillo, Roma, 2000, anch’esso recensito nel nostro sito). Come vede in questa prospettiva la proposta di Francesco di Marino?

    Bonvecchio: Vede, l’Europa, se non è imperiale non può essere. L’Impero non è una favola, non è una forma di governo, neppure un ricordo nostalgico. L’Impero è “un’idea”. E sulle idee si costruisce l’aggregazione umana e politica. L’Impero regna ma non governa. Il regno infatti appartiene alla spirito non al governo. Regno vuol dire chiarezza delle idee allorché si debbano prendere decisioni rapide e vitali, avere un’immagine dell’uomo che non è un numero, né un essere da strumentalizzare. L’Impero considera l’uomo per quello che è e lo guida. La politica infatti può essere solo pedagogia, deve guidare l’uomo ad una meta: essere se stesso; deve guidare l’uomo nella difficile via dell’esistenza e guidare anche la comunità ad essere se stessa. Solo l’Imperatore (che può anche essere ideale o un consiglio o un gruppo preposto) può fare questo. Può farlo perché l’Imperatore, il cui ideogramma unisce cielo e Terra, è ciò che rende l’uomo materia e spirito, unità.


    Redazione: Bonvecchio, a suo avviso quale è il problema fondamentale dell’Europa, oggi?

    Bonvecchio: Io credo il globalismo. L’Europa è plagiata dal globalismo, descrivibile, in una metafora da Guerre stellari, l’Impero del Male. Esso è generato da un’oligarchia bancaria che domina tutto con il denaro. Il problema è che oggi l’Europa è una figura amletica: non sa cosa dire, non sa cosa fare.

    Redazione: Abbiamo chiesto a Francesco di Marino quale è la sua proposta per uscire dalla crisi, ora vorremmo sentire la sua opinione a riguardo: come si esce dal dramma europeo e, del resto, dal dramma dell’uomo di oggi?

    Cammeo d'età augustea in onice rappresentante l'aquila con i simboli della Vittoria ( Vienna, Kunsthistorisches Museum)



    Bonvecchio: Con una scelta radicale. Bisogna decidere se stare dalla parte dei Mercanti o dalla parte degli Eroi. Io scelgo volentieri gli Eroi. L’Eroe crede nel possibile ritorno di un’idea. L’Utopia è nel suo cuore. Ecco perchè l’Utopia, è Ou-topos: il luogo che non c’è. Non c’è perché è dentro l’uomo, è nel cuore. Nel cuore dorme lo spirito dell’uomo ed è lì che vive l’Imperatore che ogni uomo è. Così come nella comunità vi è un cuore che va trovato. Lì è il senso della vita, dell’uomo, dell’appartenenza. E’ il luogo al quale si può giungere solo scegliendo, appunto, tra essere mercanti ed essere uomini. L’Imperatore è il centro del mondo, colui che fa girare la ruota. Ma al centro c’è anche l’uomo in carne ed ossa che deve diventare ciò che è, volgere la sua ruota. L’Uomo è l’imperatore di se stesso, l’uomo deve diventarlo, la comunità deve diventarlo.

    Redazione: Una domanda sia a di Marino che a Bonvecchio. La nostra democrazia è veramente rappresentativa? Di Marino propone, nel suo libro la rinascita della rappresentatività ma in Europa questo è possibile? E come? Le comunità locali oggi possono trovare una loro rappresentanza?

    Di Marino: A mio avviso la riscossa, il movimento verso l’utopia, può partire solo dalle comunità. Negli anni ‘50 le piccole comunità erano caratterizzate da profonda solidarietà, coralità, che faceva di ogni uomo una parte di qualcosa di più ampio. La rappresentatività può esistere solo nelle piccole comunità. A livello più ampio è possibile solo nello scambio di poteri orizzontale (come l’Impero) e non nelle strutture impositive o piramidali. Tutte le rivoluzioni partono dall’uomo, dal suo coraggio. Spesso ci vengono presentati scenari apocalittici: radiazioni, mucca pazza, buco nell’ozono... Bisogna stare attenti: questo serve solo a paralizzare e ad aumentare la paura, se non a distogliere da problemi di ben altra portata. Bisogna corazzarsi contro queste menzogne per conservare il proprio giudizio, il legame con gli altri, la coralità. E qui essere pronti a riconoscere l’uomo caratterizzato da ingenuità, l’uomo nuovo da cui nasce il nuovo ordine. Oggi non si capisce chi comanda veramente. Tu devi pensare in modo uniforme altrimenti non ci sei, non esisti. Bisogna rifondare un uomo padrone del suo destino, ma soprattutto del suo giudizio. Solo quest’uomo nel momento in cui le istituzioni saranno in crisi potrà svelare la via.

    Bonvecchio: Gli stati nazionali sono morti, inutile illudersi. Ora il mondo ha due possibilità: avviarsi verso un’epoca di conflitti e di guerre (ma l’umanità è sopravvissuta più volte a questo), oppure andare verso la direzione dell’Impero. Per arrivarvi però bisognerebbe togliere di mezzo prima le forme di governo attuali. Ma come? Così: potenziare in ogni modo le autonomie, ribattendo parola per parola, legge su legge, ordine su ordine, gli ordini caotici ed incoerenti imposti alle comunità dai vari centralismi statuali. E’ nelle autonomie locali che si radica l’humus, lo spirito dell’uomo.

    Redazione: Di Marino, nel suo libro viene apparentemente demonizzata la Tecnologia. Molti scienziati sociali e politici, Claudio Risé per esempio, osservano però che ad esempio lo sviluppo di Internet e delle reti di comunicazione ha giocato invece a favore della rinascita delle consapevolezze. Uno importante è il caso delle identità etniche. Cosa ne pensa?

    Di Marino: E’ vero. Lei immagini la tecnologia come un treno in corsa. Il fatto che il treno vada fuori strada o verso casa dipende da molti fattori ma soprattutto da…chi lo guida.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

 

 
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