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    DEL PENNINO al Senato della Repubblica

    [mid]http://xoomer.virgilio.it/francesco.rinaldi29/KAR_ITALIANE/Alexia/Alexia_-_The_music_I_like.mid[/mid]

    Intervento del sen. Del Pennino sugli effetti della riforma del Titolo V parte II della Costituzione

    Signor Presidente, debbo preliminarmente ringraziarla ed esprimere il mio apprezzamento per lo sforzo di sintesi e di chiarezza espresso nella proposta di documento conclusivo in cui ha voluto riassumere i risultati del lavoro svolto dalla Commissione nel corso dell'indagine conoscitiva.
    Il documento conclusivo che lei ci propone si caratterizza per una grande obiettività, anche se lascia aperti alcuni problemi che sono emersi durante lo svolgimento dell'indagine conoscitiva, come anche lei sottolinea, signor Presidente, proprio nella prima pagina del documento proposto, scrivendo che "si è avvertito il rischio che la modifica costituzionale abbia lasciato irrisolti, o anche posto ex novo, molti problemi, la risoluzione di alcuni dei quali viene evidenziata come una vera e propria urgenza". Successivamente, nello stesso documento, lei sottolinea come due messaggi di per sé contraddittori, siano emersi dall'indagine conoscitiva: "il primo è che la riforma necessita, allo stesso tempo, di attuazione e di correzioni". Nella scorsa seduta, il senatore Villone, in un intervento assai rilevante, ha sottolineato che vi è in questo messaggio una contraddizione perché la riforma ha bisogno soprattutto di attuazione. Mi permetto di esprimere un parere esattamente opposto: la riforma ha bisogno, innanzi tutto, di correzioni che, a mio avviso, sono essenziali anche per una corretta attuazione della riforma stessa.

    Vorrei partire proprio dal secondo messaggio che lei, signor Presidente, ha sottolineato nella sua proposta di documento conclusivo e sul quale sono stati espressi rilievi e considerazioni del tutto opposti da parte del senatore Fisichella e del senatore Villone. Lei ha rilevato che la riforma, rispetto al testo della Costituzione entrata in vigore nel 1948, è caratterizzata da una diversa collocazione gerarchica dei vari soggetti istituzionali (Stato, regioni, comuni, provincie) e che occorre "ragionare non più in termini di gerarchia tra i diversi livelli di governo, ma in termini di competenza". Ha tuttavia anche sottolineato "che permane in capo allo Stato un ruolo di supremo garante dell'ordinamento giuridico" ed ha indicato una serie di punti che significherebbero e testimonierebbero il ruolo di supremo garante dello Stato. Abbiamo assistito, nella scorsa seduta, ad un'interpretazione del tutto opposta di questi suoi rilievi - peraltro obiettivi - da parte del senatore Fisichella e del senatore Villone. Il senatore Fisichella ha sottolineato che quando si parla di competenza e non più di gerarchia si crea una situazione che diventa inevitabilmente conflittuale; inoltre, poiché non c'è più il richiamo all'interesse nazionale, diventa invero difficile poter stabilire un criterio certo di prevalenza tra i diversi soggetti dello Stato-ordinamento. Il senatore Villone, invece, pur lamentandosi a sua volta del mancato riferimento all'interesse nazionale, ha ritenuto che da tutti i princìpi che lei aveva dettagliatamente elencato si possa dedurre che l'interesse nazionale rimane come elemento cui deve essere ispirato il rapporto tra i diversi soggetti dello Stato-ordinamento. E ancora, a proposito della leale collaborazione da lei richiamata , che dovrebbe caratterizzare il rapporto tra Stato, regioni, città metropolitane, provincie e comuni, il senatore Fisichella rilevava come questo apriva una logica contrattualistica quasi di tipo privatistico, mentre il senatore Villone affermava che questa è materia tipica di ogni corretto ordinamento federale.

    Personalmente faccio mie più le preoccupazioni del senatore Fisichella che non le "speranze" del senatore Villone, ma, indipendentemente da ciò, la presenza di due interpretazioni così antitetiche ed alternative indica come quella di correggere il testo della riforma del Titolo V che è stata introdotta sia esigenza prioritaria rispetto ai problemi della sua attuazione.

    Vi sono altre tre considerazioni che vorrei fare, senza dilungarmi troppo. Prima di tutto, vi è una contraddizione, che vedo come un filo rosso che attraversa la riforma del Titolo V, che è emersa con particolare chiarezza, e che vorrei pregare il Presidente di evidenziare nella stesura definitiva del documento conclusivo: il tema della legislazione concorrente. Sulla legislazione concorrente, pur nella diversità dei pareri che abbiamo raccolto dagli illustri studiosi che abbiamo ascoltato in questa sede, un dato è emerso con certezza: non è assolutamente chiaro quale sarà il vincolo rappresentato dai princìpi generali fissati dalla legislazione dello Stato e quale sarà la possibilità di muoversi, da parte delle regioni, in assenza di detti princìpi generali. Siccome la legislazione concorrente riguarda una serie di materie assai rilevanti (ad esempio, la produzione e la distribuzione dell'energia ) per il nostro sistema economico, mantenere elementi di confusione come quelli che l'attuale Titolo V contiene in materia di legislazione concorrente, rappresenta certamente un elemento pericoloso e prodromico di conflitti di attribuzione assai vasti fra lo Stato e le regioni.

    La seconda considerazione. Lei sottolinea giustamente nella sua proposta di documento conclusivo che uno degli elementi che dovrebbe garantire il mantenimento di un riferimento, sia pure sfumato, di tipo gerarchico tra i diversi soggetti dello Stato-ordinamento, è "la mancata definizione della potestà legislativa regionale "residuale" in termini di competenza "esclusiva" (articolo 117, comma quarto)".

    Da questo punto di vista devo fare mie le preoccupazioni del senatore Fisichella, nel senso che il disegno di legge sulla cosiddetta devoluzione, al nostro esame, aggrava tutto l'impianto costituzionale, così come delineato nel Titolo V, perché in tale provvedimento viene introdotto quel termine di competenza esclusiva delle regioni che, invece, come lei giustamente sottolinea, nel Titolo V riformato non c'è. Riservandomi di intervenire nel merito durante la discussione generale sul disegno di legge in questione, credo comunque che questo aspetto debba essere sottolineato nel documento conclusivo.

    La terza considerazione, più propriamente politica, si riallaccia ad un'obiezione fatta dal senatore Villone nel suo intervento. Nel sottolineare l'esigenza di un diverso bilanciamento fra attuazione e correzioni, il senatore Villone rilevava che tutta una serie di atti normativi che il Governo e il Parlamento stanno ponendo in essere sembra in contraddizione con l'orientamento federalista emerso dalla riforma del Titolo V e che risponda piuttosto ad una logica di carattere centralistico. Non voglio entrare adesso nella polemica se tale obiezione abbia fondamento oppure no, mi sembra però che questo sia un elemento che deve indurre il Governo e la maggioranza di cui faccio parte ad una riflessione. Se occorre un grande piano di investimenti per opere pubbliche, di cui l'economia del Paese ha bisogno, mantenere un impianto costituzionale che pone limiti e vincoli ad una politica di questo genere è un elemento su cui bisogna riflettere, se domani non vogliamo vedere vanificati da eccezioni di incostituzionalità i provvedimenti che si intendono assumere. Questo è un altro argomento che mi induce a dire che la riforma ha bisogno più di correzioni che non di attuazione.

    Roma, seduta del 20 giugno 2002- Indagine conoscitiva
    Prima Commissione del Senato

    ----------------------------------------------------------------
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  2. #2
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    Dichiarazione di voto del sen. Antonio Del Pennino sul disegno di legge Cirami

    Signor Presidente, colleghi senatori,

    vorrei in toni molto pacati, anche se essi possono sembrare poco consoni al clima di questi giorni, esprimere le considerazioni che inducono i repubblicani a dare il loro consenso al disegno di legge del collega Cirami , così come è stato modificato dal voto dell'assemblea.

    Non vi è dubbio alcuno che la previsione della legittima suspicione come motivo di remissione del processo ad altro giudice da parte della Corte di Cassazione, colmi una lacuna che il legislatore delegato ha lasciato nel nostro ordinamento in contrasto con le indicazioni contenute nella legge delega, come evidenziato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione e come ha ricordato assai bene ieri il collega D'Onofrio.

    Se non si fosse voluto da parte dell'opposizione strumentalizzare il problema per legarlo alle vicende processuali che vedono coinvolti a Milano il Presidente del Consiglio e l'onorevole Previti, probabilmente il consenso su questo provvedimento sarebbe stato amplissimo, pressochè unanime.

    Si è voluto, invece, da parte dell'Ulivo e dei girotondi , trasformare il dibattito sul disegno di legge che ci accingiamo a votare in una battaglia politica, volta a far apparire l'iniziativa della maggioranza come la ricerca di un salvacondotto per suoi esponenti.

    Un salvacondotto oltre tutto inesistente , perché qualsiasi richiesta di remissione per legittima suspicione sarebbe comunque sottoposta al giudizio sereno della Corte di Cassazione.

    Dietro a questa battaglia intravediamo le tentazioni purtroppo ancora oggi assai forti nella sinistra italiana, di cercare nella via giudiziaria il rimedio alle sue contraddizioni e alle sue sconfitte politiche.

    Una tentazione assai pericolosa colleghi della sinistra, e non lo diciamo noi lo dice un uomo che appartiene al vostro schieramento, il collega Ugo Intini, che sul Corriere di stamattina ha affermato:" nessuna democrazia occidentale può consentire che in dieci anni tre sistemi legittimamente eletti siano travolti da iniziative giudiziarie: nel 93 Mani Pulite, nel 94 Governo Berlusconi, ed oggi , se ciò dovesse accadere. Ci troveremmo in una situazione turca, di fronte ad un'oligarchia di grand commis dello Stato i quali ritengono di avere una sorta di occhiuta supervisione sulle istituzioni .In Italia la Magistratura, in Turchia le forze armate."

    Si chiede dall'opposizione un passo indietro da parte del Parlamento in attesa di una pronuncia della Corte Costituzionale. Ma si tratta di una richiesta pretestuosa. Quante volte in questa aula e fuori di qui abbiamo sentito dire che sono i ritardi del Parlamento che affidano alla giurisprudenza manipolativa della Corte una funzione di supplenza rispetto al potere legislativo?

    Per altro verso se si fosse voluta scegliere la strada dell'attesa, ad essa avrebbe dovuto corrispondere un analogo cauto atteggiamento della Magistratura milanese.

    Un uomo dell'autorevolezza di Giovanni Conso, che certo non può essere considerato vicino all' attuale maggioranza, stamattina a chi gli ipotizzava una specie di tregua bilaterale rispondeva: " nessuna difficoltà pratica si opporrebbe, sol che si volesse, alla gestione di tale attesa: i tempi dei lavori parlamentari come pure delle attività giudiziarie, sono dosabili senza gravi difficoltà, come l'esperienza quotidiana continuamente dimostra sia per gli uni che per gli altri.

    Perchè quindi processare la fretta della maggioranza ignorando la fretta di altri organi se non esiste un disegno di utilizzazione della via giudiziaria per modificare gli equilibri politici?

    Un ultima considerazione dedicata ai colleghi democratici di sinistra:" chi di urgenza ferisce di urgenza perisce."

    La scorsa settimana avete respinto la sospensiva che avevo presentato sulla legge per l'aumento dei contributi ai partiti chiedendo che prima di decidere si approvasse una disciplina organica dei partiti . L'avete respinta per l'urgenza di sanare il disavanzo del vostro partito. Oggi non potete sostenere che non sia urgente riaffermare principi di diritto perché in astratto potrebbero tornare utili al Presidente del consiglio.

    1 Agosto 2002

    ----------------------
    tratto dal sito web nazionale
    http://www.pri.it
    del Partito Repubblicano Italiano

  3. #3
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    Predefinito .....a proposito della legge cirami.......

    Lungo il percorso dell'Italia repubblicana
    QUANTE LEGGI AD PERSONAM

    Costantino Belluscio

    E ro deputato da qualche mese,nel 1972, quando all'esame della Camera venne la prima legge ad personam della mia diretta esperienza. L'anarchico Pietro Valpreda era in carcere da tre anni nonostante proclamasse con ogni mezzo, e con grande solidarietà della sinistra italiana, la sua innocenza. Gli inquirenti erano invece fermamente convinti che fosse stato lui, nel pomeriggio del 12 dicembre 1969, a mettere la bomba nella sede milanese della Banca nazionale dell'Agricoltura di piazza Fontana e a causare sedici morti e decine di feriti. Di fronte alle lungaggini giudiziarie di quel caso, il Parlamento varò la cosiddetta “legge Valpreda”, che prevedeva la concessione della libertà provvisoria anche a imputati di reati punibili fino alla pena dell'ergastolo. Correva l'anno 1972 e, all'atto dell'approvazione della legge, Valpreda era ancora in carcere. Fu completamente scagionato e assolto soltanto quindici anni dopo, nel 1987. A dar retta ai girotondisti e all'eco delle loro urla scomposte che rimbombano fino nelle severe aule parlamentari, sarebbe la prima legge del genere in Italia quella che ha testé ricevuto l'approvazione del Senato. Che io ricordi ce ne sono state diverse e mai nessuna ha sollevato tanto clamore.
    N el 1997 non ero più deputato ma ho ben presente che, in pieno governo di centro-sinistra, il ministro Flick, che poi diverrà membro del Consiglio superiore della magistratura, ha fatto approvare dal Parlamento una norma che riguardava il reato di abuso di ufficio non patrimoniale, tenendo l'occhio fisso sulla situazione in cui processualmente si erano venuti a trovare alcuni assessori regionali di un certo orientamento politico, rei di favoritismi nell'attribuzione di incarichi nelle Usl e nella ripartizione di fondi comunitari. All'indomani del grido «Io non ci sto» lanciato dal presidente della Repubblica Scalfaro alla tv a reti unificate, dopo che era stata formulata nei suoi confronti l'accusa di non aver rendicontato i 100 milioni di lire mensili che il Sisde (servizio segreto civile) gli aveva messo a disposizione quand'era ministro dell'Interno (governo Craxi), fu introdotta la norma che dimezzava le pene e i termini della prescrizione per il reato di abuso di ufficio patrimoniale. Ma il caso più clamoroso di legge fatta su misura si ebbe dopo il crollo del muro di Berlino, quando cominciavano ad aprirsi gli archivi segreti dell'impero sovietico, da cui era possibile avere la prova dei finanziamenti elargiti a piene mani dall'Unione Sovietica ai “partiti fratelli”, tra cui in primo luogo il Partito comunista italiano di Togliatti, Longo ed Enrico Berlinguer, come fu accertato dai magistrati di Roma molto tempo prima che fosse pubblicato a Londra il rapporto Mitrokhin, l'agente del Kgb che portò in piazza i segreti di Mosca. Le sinistre comuniste ebbero una parte importante nell'approvazione dell'amnistia per i reati di illecito finanziamento ai partiti, anche da fonti estere, commessi fino a quella data. Così i comunisti che ogni fine mese dovevano retribuire un esercito formato da 18mila funzionari e sopportare ingenti oneri per mantenere sedi, case editrici, case cinematografiche, giornali, riviste attingendo a finanziamenti illeciti, passarono per santi grazie all'amnistia. Gli altri erano tutti corrotti! In questa prateria degli inganni fiorì la stagione di Mani pulite, che lasciò sulla scena politica italiana solo gli ex comunisti, altrove spazzati via dal fulmineo disfacimento del comunismo sulla scena mondiale.
    L' anno successivo, sempre il governo di centro-sinistra fece approvare la cosiddetta “legge Sofri”, secondo cui nel caso di revisione del processo disposta dalla Cassazione il nuovo giudizio doveva svolgersi in una corte di assise diversa da quella competente per giurisdizione, se il giudice naturale fosse intervenuto nelle indagini preliminari o nella sentenza di rinvio a giudizio. Era appunto il caso di Sofri. Nessuno, allora, si sognò di gridare che era vergognosa la sottrazione dell'imputato al suo giudice naturale. Più recentemente un caso clamoroso di legge ad personam , ma questa volta non a favore dell'imputato che, guarda caso, non era di sinistra, è stato risolto dal ministro della Giustizia, il già citato Diliberto, che con proprio decreto ha rinviato di sei mesi l'incompatibilità in cui si era venuto a trovare un magistrato, così consentendogli di rinviare a giudizio Berlusconi e Previti. Sarebbe bello che si avverasse l'auspicio che Silvio Spaventa formulò quasi cent'anni fa, secondo cui non si dovrebbero conoscere i nomi di coloro ai quali le leggi vengono applicate. Purtroppo la storia è ricca di casi contrari. Nei lontani anni dello studio del diritto romano, il nostro maestro Francesco De Martino, che poi ho rincontrato nella sua qualità di ministro e di segretario del Partito socialista italiano, ci ricordava spesso la legge Manilia del 66 avanti Cristo con la quale vennero estese a un certo caso le prerogative di Pompeo. Oggi però è lo stesso Parlamento a ripristinare l'ipotesi di legittimo sospetto, cancellata dal codice di procedura penale nella legislatura precedente, quando era a maggioranza di centrosinistra, all'inizio dell'offensiva contro il giudice Carnevale della Cassazione. Agisce in anticipo prima che la Corte costituzionale glielo imponga ad ottobre. Ma perché in questo paese sostanzialmente anormale che rimane l'Italia le leggi sono opportune quando difendono gli amici e scandalose negli altri casi? Povero Spaventa. Che delusione deve provare nel profondo della sua tomba!

    ---------------------------
    dalla GAZZETTA DEL SUD 8 agosto 2002

  4. #4
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    Ho letto su Repubblica, quotidiano di quart'ordine in verità, che Del Pennino e il parlamentare di forza italia, ex-socialista, Cicchitto stavano per dare alle stampe una nuova rivista, intitolata Ircocervo. Volevo sapere qual'è il progetto che si prefiggono i due parlamentare? Qualch'uno ha maggiori informazioni?

  5. #5
    Repubblicano (e basta)!
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    Originally posted by FRANCO
    Ho letto su Repubblica, quotidiano di quart'ordine in verità, che Del Pennino e il parlamentare di forza italia, ex-socialista, Cicchitto stavano per dare alle stampe una nuova rivista, intitolata Ircocervo. Volevo sapere qual'è il progetto che si prefiggono i due parlamentare? Qualch'uno ha maggiori informazioni?
    www.bietti.it

    Saluti

    R.

  6. #6
    hussita
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    la Bietti se non sbaglio è l'editrice di Properzij

  7. #7
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    .......esatto !
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    C'ERANO UNA VOLTA I LAICI

    di Giacomo Properzj

    C'erano una volta i Laici

    Nel 1861, quando fu proclamato il Regno, l'Italia aveva poco più di 21 milioni di abitanti ed era priva di qualsiasi struttura industriale importante. Non solo era un Paese agricolo, ma era anche un Paese inselvatichito, pastorale e poverissimo.

    In quegli anni l'Egitto sotto la dittatura di Mohammed Alì, che era morto da poco (nel 1849), si era sviluppato assai di più, dapprima per ragioni militari poi dietro la spinta di interessi economici franco-inglesi. L'Egitto disponeva di una industria cantieristica discretamente sviluppata, di importanti fonderie e una buona industria tessile, tutte cose che a quell'epoca in Italia non esistevano. Francesi ed inglesi stavano investendo rilevanti capitali per la costruzione del Canale di Suez ed il Cairo era una città più grossa e importante di Napoli che era la città più grossa e importante dell'Italia di allora.

    Per tutte queste ragioni, sulla Borsa di Parigi, i titoli del debito pubblico egiziano erano accolti meglio di quelli del debito pubblico del nascente Regno d'Italia.

    Ma, nel giro di poco più di cinquant'anni, malgrado difficoltà enormi nel campo sociale ed economico, l'Italia ebbe un progresso tale che la portò ad affrontare lo sforzo della I guerra mondiale alla pari con le più grandi potenze mondiali e a sconfiggere, in via definitiva, quello che era stato lo storico nemico del Risorgimento italiano cioé l'Impero austroungarico. Tutto questo, come si é detto, nel giro di poco più di cinquantacinque anni (poco meno della vita media di un uomo dell'epoca) avendo, la classe dirigente, come obiettivo, un'idea semplice ma efficace: la costruzione dell'Unità Nazionale.

    Intorno a questa Idea, che per altro aveva avuto una lunghissima gestazione nei decenni precedenti l'Unità, si erano adoperate poche generazioni, espressione di una classe dirigente sostanzialmente ristretta. Una classe dirigente divisa su molte cose ma unita intorno a quella che veniva chiamata "Idea Nazionale" che rappresentava un vincolo politico e sentimentale sia per coloro che avevano vinto, i liberal monarchici, sia per coloro che avevano perso, i repubblicani sociali.

    Queste due componenti sono normalmente indicate come i laici risorgimentali dove l'aggettivo risorgimentale chiarisce il sostantivo laico, di per se stesso assai complesso da definire poiché é un sostantivo di origine ecclesiale dove laico si distingueva da chierico. Nel senso di appartenente al popolo e non "insignito di ordine o di carica ecclesiastica".

    Nel corso della storia poi questo sostantivo si trasformò in aggettivo e venne a caratterizzare le classi dirigenti e l'ideologia liberale che si opponeva, a partire dalla Rivoluzione francese, al potere temporale della Chiesa e delle Monarchie Assolute.

    Non per questo il laicismo poté essere definito un'ideologia, ma al contrario fu una condizione politica nella quale si ritrovarono anche molti cattolici. Né i laici potevano dirsi tutti anticlericali o, addirittura, antireligiosi. Insomma laici furono, nel Risorgimento e nel post Risorgimento, tutti coloro che, con spirito moderno, tennero divisa l'autorità morale della religione e della Chiesa da quella dello Stato secondo l'idea che Cavour ebbe fino all'ultimo minuto della sua vita se é vero quanto si narra che al confessore, che veniva a dargli l'estrema unzione, disse, prima di spirare, "Frate, Frate, libera Chiesa in libero Stato".

    Questa definizione di laico non ha pretesa scientifica né filosofica ma serve solo a caratterizzare un certo tipo di classe dirigente e di posizione politica che aveva una religione civile fondata sui valori patriottici tesi al completamento e al consolidamento dell'Unità Nazionale.

    Estranei a questi valori erano tutte quelle forze che si erano battute contro l'Unità Nazionale e in primo luogo i cattolici tradizionali. Lo erano anche i socialisti di provenienza hegheliana e marxista che vennero affermandosi in Italia all'inizio del secolo XX.

    Non era contraria, lo si é detto già prima, ai valori risorgimentali la sinistra storica, cioé i radicali e i repubblicani. Ma il mito di una rivoluzione universale e della solidarietà internazionale di classe relegò presto, nell'ambito della sinistra, i partiti tradizionali ad un ruolo marginale ed elettoralmente limitato.

    Dopo la I guerra mondiale, che rappresentò il culmine dello sforzo della classe politica post risorgimentale, già la maggioranza del Parlamento era nelle mani di coloro che i valori risorgimentali avevano avversato oppure li consideravano superati.

    Il Fascismo fu, per molti aspetti, una reazione, sbagliata e violenta, a questa situazione ma, d'altronde, é ben noto che le violenze nei confronti dei reduci di guerra, che consideravano di essersi battuti per il completamento dell'Unità Nazionale, fu uno degli elementi determinanti per la nascita e la vittoria del Fascismo.

    Dopo la II guerra mondiale e la caduta del Fascismo la stragrande maggioranza degli italiani spostò il proprio consenso su partiti che nulla più avevano a che vedere con la tradizione risorgimentale e rimasero a guardia dei valori dell'Unità Nazionale solo piccole formazioni politiche che avevano uno scarso seguito elettorale anche se potevano vantare un notevole prestigio.



    INDICE

    C’erano una volta i laici

    La Società Aperta e l’Europa

    Federalismo e devolution

    Laici e liberali

    I fondamenti dello Stato Unitario

    La monarchia

    L’esercito

    I cattolici liberali

    La scuola

    L’università

    Il movimento degli studenti e gli organismi rappresentativi universitari

    La massoneria

    La magistratura

    Gli ebrei

    Lo spettacolo e l’opera lirica

    Lo sport

    Le reti e i computers

    Gestione del potere e potere mediatico

    Il concetto di classe dirigente

    Il progetto politico ed il partito di progetto

    Il Mezzogiorno e la malavita organizzata

    I partiti laici

    Marco Pannella

    Eugenio Scalfari

    I grandi giornali

    I nuovi media

    L’informazione come caricatura della politica e della vita

    I nuovi confini della scienza ed il mondo laico

    Le scoperte scientifiche del futuro: l’energia

    Le scoperte scientifiche del futuro: la genetica

    Rinascita del mondo laico e liberale

    Terzo Risorgimento

    Allegato n. 1: Credo laico di E. Gombrich

    Allegato n. 2: Dichiarazione di goliardia

    Allegato n. 3: Il Sillabo

    Allegato n. 4

    Bigliografia
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    Il libro può essere acquistato in libreria o direttamente on-line dal sito della casa editrice Bietti www.bietti.it che provvederà a recapitarlo a domicilio.
    ------------------------------------------------------------------------------------
    tratto dal sito web:
    http://www.prilombardia.it/frameset_home_page.html





  8. #8
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    Gli interventi del sen. Del Pennino sulla conversione del Decreto per la regolarizzazione degli extracomunitari

    Signor Presidente, intervengo in dichiarazione di voto per richiamare l'attenzione dei colleghi sulla valenza della mia proposta emendativa.

    Ero e rimango favorevole all'impostazione originaria del decreto-legge oggi al nostro esame che escludeva dalla regolarizzazione i destinatari di un provvedimento di espulsione per motivi diversi dal mancato rinnovo del permesso di soggiorno. Poiché, peraltro, l'orientamento prevalso in seno alle Commissioni riunite è stato quello di estendere le possibilità di regolarizzazione anche a coloro che sono stati destinatari di un provvedimento di espulsione per motivi diversi, mi è sembrato opportuno fissare alcuni paletti al fine di meglio definire i casi in cui è possibile consentire la regolarizzazione nonostante vi sia stata l'intimazione a lasciare il Paese.

    La mia proposta mira ad aggiungere oltre a quelle formulate dalle Commissioni riunite, quattro ipotesi in cui non è possibile la regolarizzazione . La prima riguarda coloro che appartengono ad una delle categorie indicate dalle leggi n. 327 del 1988 e n. 646 del 1982; si tratta di persone che, pur non essendo sottoposte a procedimento penale, sono indiziate di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altro tipo di associazione criminale, o che, sulla base di elementi di fatto, vengono ritenute abitualmente dedite a traffici illeciti. Questo perché molti provvedimenti di espulsione sono stati assunti prima dell'entrata in vigore della cosiddetta legge Bossi-Fini e per questi casi era previsto dalle vecchie norme il semplice provvedimento di intimazione e non l'accompagnamento alla frontiera.

    L'emendamento prevede, inoltre, che non sia consentita la regolarizzazione per coloro nei cui confronti sia stata emessa un'intimazione a lasciare il territorio dello Stato perché il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato o perché privi di valido documento attestante l'identità e la nazionalità; ed ancora per quanti siano entrati clandestinamente nel territorio nazionale, dopo essere stati respinti alla frontiera; infine per coloro che siano destinatari di un provvedimento di espulsione avverso il quale è stato presentato un ricorso successivamente respinto.

    Indicare questi come casi in cui non è consentita la regolarizzazione corrisponde, a mio giudizio, ad una logica che non può essere contestata da nessuno.

    La seconda parte dell'emendamento da me presentato tende a precisare meglio i dati obiettivi sulla base dei quali può essere revocato il provvedimento di espulsione. Si deve trattare di dati che documentino in modo certo l'inserimento sociale, familiare e lavorativo del soggetto, nonché il comportamento complessivo tenuto dallo stesso. Tali dati dovranno essere verificati dall'autorità che ha emanato il provvedimento di intimazione a lasciare il territorio dello Stato prima di procedere alla revoca dell'intimazione stessa.

    Introdurre queste precisazioni - a mio avviso - darebbe maggiore rigore e serietà all'insieme del provvedimento al nostro esame.

    Concludo, signor Presidente chiedendo la votazione nominale con scrutinio simultaneo, mediante procedimento elettronico dell'emendamento 1.460.

    Passiamo alla votazione dell'emendamento 1.460.

    Intervento n.2

    DEL PENNINO Signor Presidente, mi asterrò dal voto sul testo come è stato modificato dall'Assemblea.

    Io stesso, nel corso della discussione sulla legge Bossi-Fini, avevo dichiarato che si sarebbe dovuto accompagnare la nuova normativa con un provvedimento di regolarizzazione di quanti svolgono un'attività lavorativa non denunciata nel nostro Paese. Anzi, avevo detto che avrei preferito che tale norma fosse contenuta nello stesso testo di riforma, così come avvenuto per le colf e per le badanti. Per questo avevamo salutato con favore il decreto emanato dal Governo che mi sembrava rappresentare un giusto punto di equilibrio.

    Il prevalere di una pseudocultura dell'accoglienza, che ha accomunato l'opposizione con i colleghi dell'UDC, ha portato ad una formulazione francamente incongrua che consente la regolarizzazione di coloro che, entrati clandestinamente nel Paese, hanno poi ricevuto un provvedimento di espulsione, anche per motivi diversi dal mancato rinnovo del permesso di soggiorno. Si tratta di 250.000 persone, per le quali il controllo delle ragioni che autorizzano la revoca del provvedimento di espulsione da parte delle prefetture sarà di fatto impossibile, con il risultato che, o non regolarizzeremo nessuno o li regolarizzeremo tutti.

    E la mia previsione è che si adotti questa seconda soluzione. E proprio fra coloro che non sarebbero meritevoli di regolarizzazione( quali quelli che avevamo cercato di escludere con l'emendamento che ho proposto e che l'Assemblea ha respinto) saranno più numerosi i casi di commistioni con pseudodatori di lavoro per aggirare la legge e consentirne la regolarizzazione.

    Ma al di la di questo probabile pericoloso risultato vi è un altro elemento negativo che la soluzione adottata comporta . Essa conferma infatti, non solo che nel nostro Paese è difficile assumere dei provvedimenti di espulsione, ma anche che quelli presi vengono poi vanificati da una normativa che interviene successivamente; e suonerà come una specie di tam tam di richiamo per l'immigrazione clandestina nel nostro Paese.

    Giovedì 26 settembre 2002
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    tratto dal sito web
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    Predefinito

    UDC: posizione inaccettabile sull'immigrazione clandestina

    La legge Bossi-Fini era stata considerata dai repubblicani come un serio passo in avanti nella disciplina dell'immigrazione clandestina. Fissando paletti precisi tra quanti potevano essere regolarizzati e quanti invece non lo potevano, introduceva una linea di demarcazione che sarebbe valsa, per il futuro, a scoraggiare o almeno contenere altri flussi migratori.

    Questa valutazione positiva viene purtroppo ridimensionata dopo che il Senato ha modificato il testo del decreto con cui il governo provvedeva a regolarizzare gli immigrati che svolgono un'attività lavorativa non denunciata, così come già era stato fatto per le colf e le badanti.

    Come ha osservato il sen. Antonio Del Pennino nel suo intervento, "il prevalere di una pseudocultura dell'accoglienza, che ha accomunato l'opposizione con i colleghi dell'UDC, ha portato ad una formulazione francamente incongrua che consente la regolarizzazione di coloro che, entrati clandestinamente nel Paese, hanno poi ricevuto un provvedimento di espulsione, anche per motivi diversi dal mancato rinnovo del permesso di soggiorno. Si tratta di 250.000 persone, per le quali il controllo delle ragioni che autorizzano la revoca del provvedimento di espulsione da parte delle prefetture sarà di fatto impossibile, con il risultato che, o non regolarizzeremo nessuno o li regolarizzeremo tutti".

    E' facile prevedere, purtroppo, che sarà adottata questa seconda soluzione. In questo modo la legge - che doveva avere carattere restrittivo - rischia di trasformarsi in un'ennesima sanatoria a maglie larghe.

    Per di più la soluzione adottata conferma non solo che nel nostro paese è difficile assumere dei provvedimenti di espulsione, ma anche che quelli presi vengono poi vanificati da una normativa che interviene successivamente. E suonerà come una specie di tam tam di richiamo per l'immigrazione clandestina nel nostro paese.

    Roma, 27 settembre 2002

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    tratto dal sito web nazionale
    http://www.pri.it

 

 
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