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  1. #11
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    Predefinito ... bisogna tenere la testa all'ombra .... con questo caldo ...

    ... scrosci di applausi dei lavoratori della Cgil ... Epifani in testa ... alla relazione di Montezemolo a margine dell'assemblea generale dell'Assindustria di Pistoia ...
    «COME imprenditori siamo pronti a fare i sacrifici necessari per reperire i 7 miliardi che sono l'obiettivo numero uno sapendo che questi sono sacrifici che non possono fare solo gli industriali».
    Ma come ... a me avevano sempre detto che gli industriali cercano sempre di metterlo in tasca ai lavoratori ... qua gatta ci cova ... siamo passati dai tempi in cui i lavoratori repubblicani venivano appellati come "servi del padrone" a quelli in cui Epifani si "spella" le mani alla vasellina della Confindustria.

  2. #12

  3. #13
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    Predefinito tratto da IL MATTINO Caltanet 18 gennaio 2005

    OGGI L’INCONTRO CON LE PARTI SOCIALI SULLA PREVIDENZA INTEGRATIVA

    Pensioni, i sindacati contro Maroni

    Roma. Non sarà un incontro tutto in discesa. A dispetto delle previsioni ottimistiche espresse l’altro giorno dal ministro del Welfare, Roberto Maroni, i sindacati si presenteranno alla riunione di oggi sulla previdenza complementare con l’intenzione di non mollare sulla contrarietà ad almeno tre punti: la decisione sulla scelta del fondo affidata al datore di lavoro nel caso di silenzio-assenso; l’equiparazione tra fondi di categoria o negoziali e polizze assicurative; il trattamento fiscale. La bozza sulla quale si discuterà oggi è già da qualche giorno sulle scrivanie delle parti sociali (oltre ai sindacati parteciperanno al tavolo Confindustria, Confcommercio, rappresentati degli artigiani e delle altre categorie datoriali). I sindacalisti l’hanno guardata e riguardata, studiata e analizzata, la conclusione è che così proprio non va. «Ci sono alcuni punti che non rispettano la delega. E quindi devono essere modificati. Se questa è l’intenzione del governo, allora l’incontro può essere utile, altrimenti il ministro si deve rassegnare a vederci totalmente contrari» dice il numero due della Uil, Adriano Musi. «La bozza è generica e la parte sull’affidamento della decisione al datore di lavoro sul Tfr in caso di silenzio del lavoratore è al di fuori della filosofia della previdenza complementare» concorda il segretario confederale della Cgil Morena Piccini. «Devono essere stabilite delle priorità sui fondi ai quali destinare il Tfr» avverte il segretario confederale Cisl, Pier Paolo Baretta. A questo proposito aggiunge Musi: «Bisogna fare una differenza tra gli investimenti finanziari e quelli che hanno una finalità sociale come quello previdenziale». Critica anche l’Ugl. «Se non si pone mano a un regolamento trasparente e più partecipativo di quello proposto dal ministro Maroni è assai improbabile che la previdenza complementare possa decollare» spiega il vice segretario generale, Renata Polverini. La bozza prevede la decisione del datore di lavoro sul conferimento del Tfr in caso di silenzio del lavoratore (entro i 6 mesi previsti dalla delega) ma anche la costituzione di un fondo residuale presso l’Inps nei casi in cui non ci sia per il lavoratore che non esprime la propria posizione un fondo collettivo, aziendale o regionale. Inoltre prevede che la permanenza minima in un fondo sia ridotta da cinque a due anni (altro punto molto contestato dai sindacati) e di fatto equipara le diverse tipologie di fondi. Per quanto riguarda il trattamento fiscale si limita l’esenzione di imposta fino a un versamento di 5.164,23 euro mentre per il resto si applica in fase di contribuzione la regola del 12%. gi.fr.

  4. #14
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    Predefinito tratto da L'OPINIONE 26 agosto 2005

    Perché le hostess non piacciono alla sinistra

    di Sergio Menicucci

    Le hostess non piacciono alla sinistra politica e sindacale. Il loro sorriso, la loro eleganza, la loro sicurezza, il loro modo di camminare, la simpatia con cui accolgono a bordo anche il più “imbranato” dei viaggiatori sono dietro le spalle. Non contano. Non c’entra la professionalità. Quelle dell’Alitalia, come anche gli steward, hanno fatto epoca, scuola. Le ragazze prima di voler fare le veline chiedevano alle mamme di fare un corso da hostess. Viaggi, bella vita, alberghi di lusso, amicizie. Tutto in positivo. Lo stress, il lavoro, allacciatevi le cinture, vuole tè o caffè, tutte attività che stanno dietro il fascino e la necessità di volare. Tutti i giorni, per tutto l’anno, con fuso e senza fuso, d’estate o d’inverno. Partenza in un emisfero, arrivo in un altro. Una valigetta sempre pronta. Era un mestiere affascinante, romantico. Poi sono venuti i problemi economici e sindacali. Le retribuzioni contrattuali non più all’altezza della situazione. Le ristrutturazioni aziendali.
    Anche l’Alitalia è stata investita dal ciclone dell’economia globalizzata, dalla necessità di far quadrare i conti, dalla psicosi della sicurezza aerea. E soprattutto dopo l’undici settembre con l’impatto dei due aerei sequestrati dai terroristi che distruggono le Torri gemelle di New York tutto è cambiato. Anche l’Alitalia è cambiata. La compagnia di bandiera non riesce a tirarsi fuori dalla crisi. Air France, Klm, Lufthansa ci stanno riuscendo a prezzo di duri sacrifici, di tagli di personale e retributivi. Il sindacato in Italia difficilmente accetta riduzioni delle conquiste contrattuali raggiunte. Ci sono, però, momenti in cui la realtà porta a fare altri ragionamenti. A salvare i posti di lavoro magari accettando di lavorare di più, oppure di avere meno ferie. I tagli spesso fanno parte di un piano di risparmi che prevedono minori costi. E’ la politica industriale. Alla General Motors prevedono, per esempio, un 2006 di crisi. E allora il potente sindacato americano Uaw (United auto worker) decide per la prima volta nella storia del colosso automobilistico di accettare i tagli richiesti dal vertice di Detroit. La Ford si accinge a presentare un nuovo piano di ristrutturazione per cercare di riportare in attivo la sua divisione Nordamericana. La forza lavoro sarà ridotta dell’8 per cento secondo Bill Ford jr. Nel maggio scorso è stato firmato dai sindacati tedeschi un accordo con la Lufthansa che congela gli stipendi dei 14 mila assistenti di volo fino a tutto il 2006. Hostess e steward hanno accettato di rinunciare a due giorni di ferie e di lavorare due ore in più al mese.In cambio niente tagli di posti di lavoro fino a tutto il 2008 e aumenti dei salari del 2,5% a partire dal 2007. Accordi anche per i 4 mila piloti, gli assistenti di cabina e per i 37 mila dipendenti di terra. Risparmi, quindi, e garanzia del posto di lavoro.
    In Italia cosa succede? Le relazioni sindacali sono pessime.Guai a contrastare l’egemonia della Cgil, Cisl, Uil. Per fare sentire le proprie ragioni sindacali si sciopera. Sempre. Anche quando non si dovrebbe. Con gravi danni per i cittadini e la mobilità. Nel trasporto pubblico si assiste ad un delirio di agitazioni. Quando a bloccare tram, bus, navi ,metropolitane sono i sindacati confederali è tutto regolare. Il diritto di sciopero non si tocca. Se sono i “sindacati autonomi” a proclamare le agitazioni gli scioperi sono “selvaggi” e i vertici “ribelli”.Ora è la volta del Sult. Le hostess che fanno le “sindacaliste” non piacciono alle sinistre politiche e sindacali. Bordate dalla sindacalista della Cgil Rocchi, bordate dall’economista Ds Nicola Rossi, bordate dalla Cisl. Perché? Non è soltanto una questione di rivalità sindacale. Il Sult è fortemente rappresentativo nei tre settori del trasporto aereo, ferroviario e locale. E allora c’è nella vertenza in corso qualcosa di più. Le sinistre politiche e sindacali non possono accettare che venga messa in discussione la loro egemonia culturale e organizzativa. Il Sult ha diritto ad essere considerato soggetto sindacale e quindi contrattuale? Sì per l’art.39 della Costituzione che recita che l’adesione alle organizzazioni sindacali è libera. Ma sono passati quasi 60 anni dal varo della Costituzione e questo punto è ancora inattuato.
    La Cgil, la Cisl e la Uil non vogliono, in materia di rappresentatività, alcun vincolo legislativo. Anche se il caso Sult evidenzia che il 40 per cento dei lavoratori chiede di essere tutelato da quel sindacato. Nella vicenda poi il primo strappo lo ha fatto il presidente e amministratore delegato dell’Alitalia Giancarlo Cimoli nel non voler riconoscere (4 agosto) il Sult come soggetto contrattuale dal momento che non intendeva firmare insoddisfacenti accordi attuativi dell’intesa raggiunta a Palazzo Chigi. La risposta “illegittima” di uno sciopero nel periodo di “franchigia” del Sult scaturisce dalla necessità di non scomparire come soggetto sindacale. Il pacchetto di 192 ore di sciopero evidenzia l’importanza della posta in gioco. Alla sinistra dà anche fastidio che il Sult sia nato nel 2003 da una costola della Cgil e che quindi tra gli assistenti di volo (hostess e steward) ha la maggioranza dei consensi.
    [mid]http://www.rhost.it/Luli/Midi/Italiani/Gemelli%20Diversi/Un%20attimo%20ancora.mid[/mid]

  5. #15
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    Predefinito tratto da L'OPINIONE 27 agosto 2005

    L’Alitalia come il Titanic e l’assurdo elevato a sistema

    di Ferruccio Formentini

    L’assurdo elevato a sistema. Non mancano esempi significativi in qualunque settore. La sinistra vuole il licenziamento di Antonio Fazio dopo averlo preteso inamovibile fino all’altro ieri. Luca Corsero di Montezemolo predica ricette strategiche per l’industria nazionale e intanto la Fiat perde quattrini e la Ferrari gran premi. L’Alitalia è tecnicamente già fallita e se questo non succede è solo perché viene tenuta a galla con potentissimi salvagente, forse al del là del lecito - economicamente parlando-, principalmente per non mandare a ramengo il posto di lavoro ai troppi dipendenti di terra e di cielo. E questi che fanno? Scioperano a tutto spiano conquistandosi l’avversione della clientela che passa alla concorrenza. E’ un po’ come se il personale del Titanic avesse incrociato le braccia durante l’affondamento per rivendicare maggior sicurezza.

  6. #16
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    Predefinito Marco Biagi, di Davide Giacalone

    Marco Biagi

    Un senso di nausea sale su, a vedere come si è potuta trattare la memoria di Marco Biagi. Le ricorrenze (domani saranno quattro anni da quando le Brigate Rosse lo uccisero, sotto casa) hanno valore solo simbolico, ma la miseria morale è salita ogni giorno, senza neanche guardare il calendario. Marco Biagi ha dato il suo nome ad una legge. Quella legge è una buona legge. Ha diminuito e non aumentato il precariato, ha aumentato e non diminuito i posti di lavoro, è una delle poche cose che ha posto l'Italia in cima e non in fondo alla classifica europea. Naturalmente, si può pensarla in modo diverso, sebbene si dovrebbe avere la cortesia di non sparare cretinate sui dati e di chiarire cosa altro si sarebbe dovuto fare.



    Le diverse opinioni sono benvenute, anche perché neanche la legge Biagi è perfetta, e tutto si può migliorare. Ma quel che dà il voltastomaco è che il ricordo di un uomo, morto per le proprie idee, segua lo spartito delle appartenenze e delle faziosità, anziché quello della riconoscenza e dell'ammirazione, anche nel dissenso.
    Biagi, del resto, era egli stesso sfuggente alle appartenenze: fu candidato, alle amministrative bolognesi, per la sinistra; prestò la sua opera intellettuale, servendo lo Stato, quando al governo si è trovato il centro destra. Non ebbe privilegi, per questa sua collaborazione, anzi, non ebbe, colpevolmente, neanche la scorta. Inseguiva solo un obiettivo: rendere più elastiche ed effettive le regole nel mercato del lavoro, lasciar cadere le tutele formali, che generano violazioni ed evasioni sostanziali, puntando a paletti che potessero aiutare la crescita del numero di lavoratori. Ha avuto ragione, e l'ultimo onore è quello di chiamare con il suo nome il frutto del suo lavoro. Ci pensino, i tanti cinici propagandisti che quel nome neanche vogliono pronunciare.
    E adesso corre questo quarto anniversario, che non deve affatto comportare la rinuncia alle distinzioni, che non chiede a nessuno di dire che è bello quello che si crede sia brutto, ma che vorrebbe tutti e ciascuno pronti a riconoscere che il non voluto e non cercato sacrificio della vita è giunto a conclusione di un lavoro fatto nell'interesse della collettività, dei giovani, degli italiani. Mancare a questo dovere è come spiegare quanto si è miserabili.
    Michele Tiraboschi, amico ed allievo dei Marco Biagi, ha, con altri, organizzato un convegno internazionale, a Modena, per parlare delle idee del maestro e del futuro delle relazioni industriali. Ma anche, come scrive, “per lasciarci alle spalle le polemiche, misere e provinciali, di una campagna elettorale davvero povera di contenuti e di idee”. Ha ragione, per quanto sia doloroso ammetterlo.

    Davide Giacalone
    www.davidegiacalone.it

    18 marzo 2006
    ..........................
    tratto da "Il Portale di Nuvola Rossa"
    http://www.nuvolarossa.org/modules/n...p?storyid=2219

  7. #17
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    Epifani va alla guerra
    La Cgil chiede di rispettare gli impegni presi

    "Non c'è niente di peggio che annunciare una linea, quale che sia, e poi cambiarla in corsa dando la sensazione di calarsi le brache, perché si brucia la credibilità, l'unica risorsa insostituibile in economia". Lo scrive Enrico Cisnetto in un editoriale sul "Messaggero", in un tentativo di appassionata difesa del ministro dell'economia, Tommaso Padoa - Schioppa.

    "Ieri Tommaso Padoa - Schioppa * scrive sempre Cisnetto - ha dovuto fronteggiare per l'ennesima volta la componente massimalista del centrosinistra per difendere una Finanziaria che ancora non c'è, figuriamoci quando si tratterà di entrare nel merito dei singoli provvedimenti della manovra economica". Bene, è Cisnetto stesso che riconosce che finora la linea rigorosa del ministro dell'Economia "ha dovuto pagar dazio ben tre volte: con la derubricazione da ‘manovra aggiuntiva' a ‘manovrina correttiva' del primo intervento di aggiustamento dei conti, appena formato il governo; con la formulazione del Dpef in cui, al rigore dell'impostazione di fondo, la scelta di intervenire con riforme strutturali sui quattro principali capitoli di spesa del bilancio dello Stato, ha fatto da contrappunto la totale mancanza di indicazioni specifiche per evitare rotture politiche; e ora con l'abbuono di 5 miliardi, che ha fatto scendere da 35 a 30 miliardi l'entità complessiva della Finanziaria 2007". Finisce qui? Non sembra proprio: anzi, semmai siamo solo all'inizio.



    Esortato da quell'Europa che pur ha detto di amare tanto e che veniva contrapposta come esempio virtuoso al dissoluto governo Berlusconi, il governo Prodi ha dovuto accantonare la "pur brillante idea", di spalmare la finanziaria. Magari l'esortazione la si è ingoiata a fatica, ma intanto, nel tentativo di ridurre le spese, ecco l'ipotesi di innalzare l'età pensionabile a sessantadue anni. Per Padoa - Schioppa un provvedimento inevitabile. Apriti cielo. Si parla di pensioni ed è il sindacato a scendere subito in trincea. In questo caso, vista la gravità della situazione, lo fa con il leader della sua confederazione più imponente, il segretario della Cgil Guglielmo Epifani. Per lui "è talmente incauto" l'aver posto questo problema, che "di nuovo assistiamo ad una fuga in massa dal lavoro". Poi il mirino finisce per puntare fisso il ministro dell'Economia: "Padoa - Schioppa * dice sempre Epifani * replica giustamente alle critiche di Giavazzi, e poi fa esattamente quello che dice Giavazzi". Il bello è che Giavazzi non è comunque contento, e Epifani lo è ancora meno.

    Un film già visto. Nel '99 fu D'Alema a lanciare l'ipotesi di una rivoluzione liberale del governo, cominciando proprio dall'esigenza di una riforma dell'età pensionabile. Cofferati disse la semplice parola "no" e D'Alema vacillò immediatamente fino a piombare in un'apatia che lo costrinse alle dimissioni anticipate. Epifani, in teoria, avrebbe anche maggiori ragioni dalla sua. Non era stato proprio Prodi a presentarsi in campagna elettorale al congresso della Cgil per assicurare che il loro programma era lo stesso della sua maggioranza?

    Dunque, la Cgil, di innalzamento dell'età pensionabile, non vuole nemmeno sentire parlare.

    Ed è già iniziata la conseguente retromarcia. Ha voglia l'onorevole Fassino a spiegare che "l'Italia può tornare a crescere e ad offrire opportunità e certezze ai propri figli, alle famiglie e alle imprese soltanto se si imbocca con determinazione la strada dell'innovazione, delle riforme e della modernizzazione". La Cgil fa sapere che allora era meglio Maroni, e non esclude nemmeno di scendere in piazza. Prodi ha una parola magica: "consultazione", "concertazione". Ma, quando si tratterà di arrivare alla scelta, la Cgil e Padoa - Schioppa, o Padoa - Schioppa e Damiano non stanno insieme. Una parte sarà sacrificata. Il governo vorrebbe difendere, almeno formalmente, l'annunciato rigore. Ma in queste condizioni, se rinuncia agli aborriti tagli, potrà solo aumentare le tasse, facendo piangere gli italiani e, peggio, soffocando ogni autentica prospettiva di crescita. C'è da credere a quel punto che scenderanno in campo anche i difensori del ministro dell'Economia, ma la partita appare aperta e dall'esito incerto. Non aiutano nemmeno le liberalizzazioni se affiancate, come è stato proposto, dalla nascita di nuovi ordini professionali.

    Finendo per liberalizzare solo la vendita dei prodotti farmaceutici - con i tassisti è già arrivata la disfatta - davvero non si va da nessuna parte.

    Roma, 1 settembre 2006



    tratto dal sito del Partito Repubblicano
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  8. #18
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    Autunno caldo
    Fiom pronta ad usare lo stesso trattamento riservato a Berlusconi

    Il governo Prodi si scordi un autunno tranquillo. Perché, anche se, come ha rivelato Chirac, Hezbollah ha le ossa rotte e per almeno tre mesi non dovrebbe creare problemi al nostro corpo di spedizione in Libano, le note dolenti vengono tutte dall'interno. E non tanto dall'opposizione, ma dal sindacato e per la Finanziaria. "Il 4 novembre saremo a Roma, per rovesciare le priorità dell'agenda politica" e, se questo non fosse abbastanza chiaro, si aggiunge: "Sarà un grande corteo, come quelli contro il governo Berlusconi". Parola del segretario della Fiom, Giorgio Cremaschi, che ha già iniziato una campagna di mobilitazione nelle file della sinistra radicale, prendendo di mira tre quarti dell'esecutivo, Padoa Schioppa in testa e a seguire, udite udite, il ministro Damiano, rispetto al quale, secondo il suo giudizio, era perfino meglio Donat Cattin. Ora, considerando che il gabinetto Prodi punta tutto sulla concertazione per tenere buoni parti sociali e Commissione Europea, scoprire di avere già la pistola dello sciopero generale puntata alla testa non è piacevole affatto.



    Perché, se ci vuole tempo per trovare le sintesi e gli accordi necessari per comporre istanze contrastanti, la Fiom fa già sapere che di tempo non ce n'è, e la notizia è che una parte cospicua della maggioranza è sulla stessa linea. Cremaschi non le manda a dire e già la settimana scorsa, con un articolo su "Liberazione", spiegava il suo punto di vista: è un male che la vita si sia allungata? Devono essere i lavoratori a pagare il conto? Per cui, di toccare le pensioni, come chiede ad esempio la Bce, non se ne deve parlare. Lo stesso per i tagli, la precarietà, le privatizzazioni e quant'altro. L'agenda riformista del ministro dell'Economia, quella che il ministro Padoa Schioppa ha promesso di realizzare ai suoi amici del "Corriere della Sera", deve saltare per aria. Il governo ha la forza di resistere a quest'offensiva? Teoricamente sì, Ds e Margherita potrebbero essere il perno di una difesa politica dell'esecutivo e dei suoi progetti. Ma qui la Fiom e la sinistra radicale hanno un argomento forte: il programma dell'Unione che tende a difendere lo status quo, che pretende solo un aumento delle tasse e la lotta dura all'evasione. Tanto che la stessa Cgil, al dunque più morbida, è in ambasce. Se poi il governo rifiutasse la prova di forza e cedesse a tanta virulenza, c'è già il giudizio di Fassino di debolezza, appioppato sul governo, a pesare. E siamo ancora in estate.

    Roma, 12 settembre 2006



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  9. #19
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    dalla voce di domani (noi non si fa sciopero)

    CGIL, da Di Vittorio a Epifani, parabola involutiva

    di Riccardo Bruno

    Confessiamo un certo imbarazzo nel dover trattare il centenario della Cgil, tale per il quale abbiamo aspettato fino ad oggi, giorno in cui la Fondazione Di Vittorio dedica un convegno ai tragici fatti d’Ungheria.
    La ragione di questa difficoltà derivava principalmente dal fatto che nel Pri vige un senso del rispetto molto elevato verso la principale organizzazione del lavoro e la sua storia, indipendentemente dai forti motivi di polemica che ci sono stati. Fra l’altro, anche i repubblicani sono stati parte a suo tempo della Cgil, e capiamo perfettamente cosa significhi difendere i diritti dei lavoratori, cosa che la Cgil si propone e persegue, spesso con successo. E, pur nel dissenso, ci siamo accorti di quando la Cgil faceva battaglie d’avanguardia nella sinistra, su temi economici rilevanti, vedi il salario variabile dipendente. E soprattutto riconosciamo quella politica fondamentale per la nostra democrazia, in prima fila contro il terrorismo. Per questo il nostro auspicio negli anni era che il sindacato principale del Paese, quello che fra l’altro raccoglieva la maggior parte della classe operaia, proprio perché impegnato costantemente nel campo dell'attività produttiva, fosse anche il sindacato maggiormente in grado di elaborare soluzioni coraggiose e utili al rafforzamento del sistema economico. Con Di Vittorio, ad esempio, si fu capaci di questa azione, indipendentemente dalle influenza ideologiche, e fu così anche con Luciano Lama.
    Dobbiamo dire che, dopo la segreteria di Bruno Trentin, che fu sostanzialmente di transizione, la Cgil ha innestato la retromarcia. Dobbiamo anche dire che ritenemmo questo fenomeno involutivo una particolare responsabilità di Cofferati, e non c’è dubbio che le sue obiezioni all’impostazione riformista del governo D’Alema, e la sua vittoria su di essa, che decretò la fine di quella esperienza insieme al nostro addio alla coalizione di centrosinistra, pesarono moltissimo. Ma poi ci siamo accorti che, nonostante la nostra avversione precedentemente maturata, come sindaco di Bologna Cofferati è stato capace di coraggio e di iniziative condivisibili; e che senza di lui alla guida la Cgil non era migliorata affatto, anzi.
    Cofferati aveva la grave responsabilità di aver indicato Marco Biagi come un nemico del mondo del lavoro, ma meglio non ha fatto il nuovo direttivo, mettendo all’indice il giuslavorista Pietro Ichino. Episodi ignobili, che fanno torto ad una tradizione di tolleranza e di rispetto verso il dissenso, che la sinistra nel suo complesso - e la Cgil per prima - avrebbe dovuto fare sua da tempo. Al contrario, e sorprendentemente, in questa organizzazione prestigiosa dei lavoratori, ad un dato momento tutto si è perso. Ma qual è questo dato momento? Quando è che di colpo la Cgil butta all’aria tutto il lavoro positivo svolto e si dimostra una organizzazione capace soltanto di conservare lo status quo, a costo di apparire perfino surreale nel suo anacronismo, come quando l’attuale segretario Epifani lancia la magnifica proposta di uno sciopero per la difesa della produzione? Forse che la ragione deriva dal fatto che la classe operaia sta lentamente scomparendo e che al suo posto restano soltanto i colletti bianchi, i burocrati, i pensionati? E perché un burocrate non dovrebbe poi comprendere l’evoluzione della società e delle sue esigenze come un operaio? Entrambi dovrebbero persuadersi facilmente, ad esempio, che, a fronte del maggiore invecchiamento e della scarsa natalità, se non si innalza l’età pensionabile, il nostro sistema di welfare affonda. C’è bisogno di un Karl Marx per digerire questo concetto? Non crediamo. Allora, una chiave di lettura per comprendere questo fenomeno e scrivere un articolo, forse ce l’ha data proprio il presidente della Fondazione Di Vittorio, Carlo Ghezzi, che ricordando la coraggiosa posizione dello storico leader sindacale che sull’Ungheria si scontrò con Togliatti, ha detto senza mezzi termini: oggi la Cgil non “abbisogna di alcuna autocritica”. E perché mai? Forse che la Cgil ha fatto scendere i suoi membri in piazza per difendere gli operai ungheresi dai carri armati? Forse che Di Vittorio ruppe con Togliatti? Uscì dal Pci? Strapazzò l’Unione Sovietica? Non ci risulta affatto. Allora il nostro timore è che, mentre il vecchio Partito comunista, per cambiare nome ed identità un qualche sforzo autocritico, seppur parziale, è stato costretto a farlo, la Cgil invece non si è sentita nemmeno in dovere di mettersi in discussione. La questione comunista non la riguarda, lei aveva Di Vittorio, perché mai fare autocritica? E infatti non la si fa, e si procede con la massima serenità su una strada che era sbagliata dall’epoca del suo sostegno al Pci e continua ad esserlo oggi, visto che non è mai stata cambiata. O per lo meno il Pci è cambiato, la Cgil no. Tra l’altro forse alla fondazione Di Vittorio se lo sono dimenticati, ma noi ci ricordiamo la prima volta che il regime bolscevico sparò sugli operai. Non fu nel ’56 a Budapest. Fu a Pietroburgo nel 1917, quando la popolazione, operai delle fabbriche in testa, si mosse per difendere la Duma sciolta da Lenin, che mobilitò la guardia e sgombrò la piazza a fucilate. Ma questi eventi, che turbarono tutta l’Europa e la consegnarono al fascismo, lasciarono indifferenti i rivoluzionari della Cgil.

  10. #20
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    Rosso tenebra
    Porre una netta linea di demarcazione alla propria sinistra
    Va riconosciuto al Questore di Milano il modo esemplare col quale è stata condotta l'operazione delle forze dell'ordine che ha inflitto un duro colpo alle nuove Brigate Rosse. Un lavoro durato più di due anni, svolto con grande efficacia e solerzia, i cui risultati sono fondamentali per dimostrare la capacità dello Stato democratico di fronteggiare la minaccia della sovversione armata.



    Vi è però, a fianco del successo dei corpi di polizia, un problema politico, per il quale ci pare di capire che non tutti prendano sul serio le nuove Br, quasi - come scrive su un quotidiano chi pure dovrebbe avere l'età per conoscere la storia del nostro Paese - che queste ultime stessero a quelle storiche come una farsa sta alla tragedia. Un giudizio che impressiona, perché nessuno nega l'appannamento del mito della rivoluzione proletaria, ma gli omicidi di Biagi e di D'Antona dovrebbero suggerire che almeno qualcuno, tale mito, non ha rinunciato a perseguirlo e ad alimentarlo. In questo caso c'era, fra altri obiettivi, ancora un giuslavorista nel mirino, Pietro Ichino, che come sappiamo, nel suo anticonformismo intellettuale, ha colpito molti tabù delle teorie marxisteggianti relative al mondo della produzione. In particolare, Ichino è stato un critico inesorabile delle posizioni - a suo giudizio più arretrate - della Cgil. E sette, od otto dei quindici arrestati, non si sa ancora con precisione, sono iscritti della Cgil.

    Precedentemente un segretario della Cgil aveva indicato in Marco Biagi un nemico dei lavoratori. Nei confronti di Ichino l'attuale segreteria della Cgil si era limitata ad una nota di biasimo e ad un ricorso alla censura.

    Pur essendo convinti che la Cgil sia un'organizzazione democratica, forse, con tutto il rispetto, qualche domanda quel sindacato farebbe bene a porsela. Il fatto che i terroristi intendano usarla come una copertura, come ha detto il segretario Epifani, pretenderà pure che ci si chieda perché scelgano proprio questa prestigiosa organizzazione.

    L'ultima considerazione è volta al legame fra questi brigatisti ed il movimentismo delle iniziative no - global, anti - Tav, anti - base di Vicenza e quant'altro. Ognuno di noi fa bene a manifestare per quello che crede, ovvio. Ma delle organizzazioni politiche responsabili avrebbero il dovere di tracciare una linea di demarcazione netta e inequivocabile alla loro sinistra.

    Sinceramente, questo non è stato ancora fatto e non sappiamo cosa ancora si attenda.

    Roma, 13 febbraio 2007

    tratto da http://www.nuvolarossa.org/modules/n...p?storyid=3401

 

 
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