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Discussione: Bandiera tricolorita

  1. #1
    Il Patriota
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    Thumbs down Bandiera tricolorita

    La bandiera tricolorata verde-bianco-rossa appare per la priva volta a Reggio Emilia nel 1797. Viene usata dai giacobini locali, collaborazionisti dell¹invasore francese che impone con le baionette l¹occupazione delle nostre terre. Dal 1787 al 1815, sventolando il tricolore, vengono profanate le chiese, saccheggiati i conventi, bruciati i casolari, depredate le campagne, affamate le popolazioni, massacrati migliaia di uomini (preti, contadini, montanari, artigiani) colpevoli di essere insorti contro la prevaricazione giacobina, incamerate ingenti opere d¹arte.
    Negli anni venti e trenta dell¹800 esplode il fenomeno del terrorismo carbonaro e mazziniano: sembra all¹ombra del tricolore, centinaia di innocenti vengono assassinati dalle bande terroristiche rivoluzionarie, in nome delle utopie predicate da personaggi formati e pagati dalla massoneria.
    Nei decenni successivi l¹esercito ³piemontese² (ormai italiano) e le bande garibaldine, impongono con la forza e l¹inganno (vedi i plebisciti-farsa) l¹unità della penisola: chilometri di stoffa tricolorata accompagnano le imprese dei liberatoriŠ Di fronte alla resistenza delle popolazioni, che cercano di opporsi all¹occupazione, intervengono le baionette e le galere dello stato italiano.
    Negli anni successivi all¹unità d¹Italia, il sistema poliziesco - controllato dalle logge - opera una dura repressione nei confronti delle istituzioni cattoliche; milioni di persone, ridotte alla fame, devono abbandonare la penisola in cerca di lavoro; a Milano il generale tricolorato Bava Beccaris fa democraticamente sparare sulla folla; all¹ombra dei tricolori inizia l¹avventura tragi-comica in Africa orientale; nelle scuole ³regie² i bambini subiscono la propaganda di regime, in particolare la milotologia risorgimentale.
    Nel Œ15-Œ18, i tricolori issati dall¹esercito italiano durante la prima guerra mondiale assistono al massacro di centinaia di migliaia di giovani, mandati al macello per abbattere quello che rimaneva dell¹Impero d¹Austria (teoricamente ancora cristiano), in nome di nuovo ordine mondiale.
    Rivoluzione francese, risorgimento, prima guerra mondiale: un filo tricolorato unisce questi tragici eventi che hanno colpito mortalmente l¹Europa dei popoli e delle mille bandiere.
    Per terminare queste brevi considerazioni, ci auguriamo che in ogni casa vi siano i simboli della nostra civiltà cristiana: il crocifisso e il vessillo della propria terra.

  2. #2
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    Predefinito Garibaldi libero muratore e la realtà unitaria italiana



    Nella festività del XX Settembre prende posto Giuseppe Garibaldi. Il secolo, poco più carico di qualche decennio, della Breccia di Porta Pia, celebrazione tradizionale massonica, s'interseca oggi con il secolo trascorso dalla morte del "Primo Massone d'Italia" (come dalla proclamazione solenne che di lui si fece, quando era ancora in vita). Questa coincidenza può facilitare una tematica rievocativa aggiungendo gloria a gloria, immagini di sagome scintillanti ad immagini di difficoltà grandi ed insieme di grandi passioni, e può infine aggiungere speranze antiche di risorgere, a speranze di rinnovamento nuovissimo: per l'Italia, per la Massoneria, per il Mondo. Questa intersecazione può anche rendere ardua una presa di contatto a distanza secolare. Perchè, se il XX Settembre significa l'Unità nazionale, Garibaldi - che pure a quella unità ha dedicato la vita - quanto più va avanti col tempo, tanto più appartiene all'Universo.

    Con uguale diritto degl'Italiani, Fratelli di altro paese e di altra lingua lo hanno definito "il Primo Massone del Mondo". Sembra ventura e può essere destino: proprio quando l'Italia entrava in Roma, l'Uomo di Aspromonte e di Mentana andava a combattere per la Francia invasa, a capo dell'Esercito Internazionale dei Vosgi, e poi sarà deputato dell'Assemblea Nazionale di Bordeaux, ove si recherà a dare il proprio voto per la fondazione della Repubblica, e quindi leverà la voce a difendere l'internazionalismo dichiarato dalla Comune, di cui fu eletto anche Consigliere.

    Questo è già il primo punto di qualsiasi discorso si voglia tenere su Garibaldi e la realtà unitaria italiana, per stabilire tra i due concetti una sequenza di armonia. Nella sostanza, non vi è sovrapposizione di immagini nè contrasto di formule storiche. "Egli ebbe della patria un concetto così vasto e così bello, che la liberazione dell'Italia considerava come un passo verso la Santa Alleanza dei popoli contro i tiranni, un passo verso la realizzazione degli Stati Uniti d'Europa... il concetto di Patria in lui venne assorbito da quello di Giustizia, che, nel suo vocabolario, era sinonimo di Libertà". Così, da altre commemorazioni garibaldine, quelle del 1957, svoltesi in tono assai minore rispetto all'entusiasmo attuale, emerge la risposta di un libero muratore, l'on.le Ezio Bartalini. E' dunque possibile - ed anche giusto - non dimenticare, in questi giorni simbolici ed in queste ore di verifica della nostra buona volontà sulla faccia della terra, nè la fame nel mondo, nè le aspirazioni alla dignità che si ergono dal sottosviluppo, nè i pericoli della involuzione e dell'indifferenza, nè le frane aperte dalla violenza nel tessuto sociale, nè i drammi dei popoli per vivere liberi o semplicemente per sopravvivere, nè tante altre cose impressionanti come incubi; e contemporaneamente spiegare la Bandiera della Nazione sulle ombre della sottocultura, della fame, del sangue, delle disillusioni, vincendo le quali essa ha potuto finalmente levarsi, con entusiasmi e sacrifici di secoli: dai Giacobini italiani, che trassero il Tricolore chi sa da quali esoteriche testimonianze. al torrente umano di piume e di lame, spinto nella Breccia storica, dai lampi sanguigni di Targhini e di Montanari, di Monti e Tognetti, di Giuditta Tavani Arquati ed oltre.

    Non occorre altro, credo, per dare corpo alla tradizionale sintesi della pervicace "passionemassonica" verso la data del XX Settembre. La quale, da solennità civile, ha finito per identificarsi, nella opinione comune, alla solennità massonica ufficiale. La verità è che, o si parli di Garibaldi o della Unità italiana, è indispensabile parlare di massoneria.

    La Massoneria è nazionale ed universale insieme; nè vi è fra queste aggettivazioni contrasto, allo stesso modo in cui la realtà di Garibaldi, rivissuta dopo un secolo dalla morte, si riconosce quale una realtà massonica, prima ancora forse di essere storica e nazionale. Vale la pena, allo scopo, ripetere qualche rigo dei manifesto del 3 giugno 1882. Il Gran Maestro Giuseppe Petroni - uomo che,per la testimonianza di uno storico "moderato" (Raffaele De Cesare), sotto la Roma papale non aveva conosciuto la paura - sembra davvero sagomare il taglio dei XX Settembre. Nella morte di Garibaldi, egli si rivolgeva all'Italia, in nome della Istituzione che "rispecchia il progresso illimitato dei mondo civile"; Si rivolgeva all'Italia: il compianto per la perdita di un cittadino - sia egli stato onesto crd oscuro od abbia rivelato genialità e fortezza di opere - va diretto alla madre di tutti, alla Patria. La quale rispose all'auspicio, con viva solennità di bronzi e di marmi. Ma, nella fisionomia dell'Uomo senza confini, il Gran Maestro Petroni auspicava "un monumento ancora più grande perchè occorreranno ad innalzarlo tutte le Nazioni che professano l'unico culto ammesso dalla ragione umana, quello del Genio e della Virtù".

    La Massoneria non ha mai chiaramente dettato ai propri apprendisti, come tracce di compiti da eseguire, i moti di popolo, le guerre d'indipendenza, la protezione dei bambini e degli invalidi, la parità dei diritti della donna, la legislazione del lavoro, le associazioni internazionali della pace e del sapere. Eppure questo è stato il mondo esemplare di Garibaldi e in un simile respiro di civiltà, egli è apparso a tutti in quella completezza umana che lo consacra di per sè Libero Muratore; fino alla volontà di consumare materialmente le proprie scorie nel fuoco; fino al testamento di contrapporre in Italia all'oscurantismo, l'istruzione permanente e popolare.

    Nè a lui nè ad altri, la Massoneria aveva imposto siffatti compiti. Prima di avere storia visibile, la Libera Muratoria è un'idea tradotta direttamente nella norma pratica della elevazione umana. Essa, attraverso il tempo, ha tenuto a battesimo le Nazioni, ma solo perchè aveva "costruito" gli uomini che quelle nazioni hanno contribuito a formare. Nei tempi in cui la differenza tra le classi era sanzionata dal privilegio, essa ha contrapposto alle inveterate divisioni, la umanità unitaria del cosmopolitismo. Quando invece la leadership dell'Impero ha ignorato la fisionomia dei popoli, essa ha insegnato agl'individui a riconoscersi eguali nella comunità, associazioni di genti libere. E quando infine le Nazioni sono divenute indipendenti, essa ha prospettato la Civiltà come concreta collaborazione oltre le frontiere. Praticamente non vi è stato bisogno della congiura contro il Trono e l'Altare, nè delle intese avernali demoplutoniche, perchè la Massonerià è il Pensiero che interpreta la Legge della Natura: il COMPASSO sovrapposto alla SQUADRA. La legge di natura tende al sole non agli abissi; mai un albero nè un fiore sono tornati indietro, salvo che il sostegno non sia stato tagliato e isterilito dalla violenza. t naturale dunque che i liberi muratori si ritrovino insieme a tutti coloro che si levano contro l'Irrazionale eretto a sistema. Garibaldi è la testimonianza vivente di questa legge naturale riflessa nella ragion d'essere della Massoneria. Il "mito" del potere, palese ed occulto, è proprio il miraggio che, dai Napoleonidi in poi, la psicologia massonica ha trovato sempre la capacità di respingere. Quando i massoni, da liberi operai della storia, si sono mutati in setta, la Ragione stessa ha dissolto i feticci del "potere" ed ha chiamato ognuno

    a rispondere, dinanzi alla storia, delle proprie responsabilità.

    E questa una prospettiva insostituibile della vitalità nostra: come il rispetto della Legge scritta in quanto cittadini, e della Legge morale in quanto uomini che hanno contratto i loro impegni "sul proprio onore e sulla propria coscienza". E' la Idea-forza della Catena universale, calata in ogni giornata di lavoro per il Tempio. Garibaldi ha incarnato tale potere spirituale nella sua autentica "virtù" che trasforma la vita; ed oggi, a guardare indietro a cento anni, la Massoneria riconosce semplicemente nel Gran Maestro Garibaldi, tutta compenetrata e operante, la Idea-forza di ciascuno dei propri adepti. La testimonianza massonica di Giuseppe Garibaldi è direttamente trasfusa nella sua testimonianza umana. Di lui si può dire quanto George Mead scrisse della nota di fondo che contraddistingue l'Iniziato. "Lo spirito è comune a tutti i piani e in se stesso è vicino tanto alla terra quanto al cielo. L'uomo spirituale non ha nessun luogo per posare il capo, poichè tutti i posti sono i suoi; non ha dimore, poichè ha tutte le dimore; non ha un particolare luogo di culto, perchè può chiamare propri tutti i templi del mondo ...".

    La scomparsa di Garibaldi sembra lasciare aperta la via alle possibilità di un'epoca nuova per l'Italia. Egli resta l'uomo del quale Frate Pantaleo diceva a Giuseppe Bandi: "l'ho veduto passare poco fa e il mio cuore è con lui". Resta il Libero Muratore che dichiara essere la Istituzione non più una società segreta, ma la "grande Madre del Lavoro" secondo le proprie tradizioni, la "speculativa" e la "operativa". Alla umanità nel chiarore vitale che fatalmente si attenua, corrisponde la interna Illuminazione che riconduce il Paese alla presenza ed al monito di quella Idea-forza vivente. Ciò tanto più si avverte quanto più pensiamo non alla poesia, ma alla prosa del suo distacco terreno."Durante i suoi anni migliori - ha scritto il De Amicis - noi avevamo sognato per lui uno sfiorire lento e quasi insensibile... come d'un astro che tramonta. E la sua vecchiezza fu invece travagliata e dolorosa. Noi dovemmo vedere... lo spettacolo ch'egli fece nella capitale lombarda, per la commemorazione dell'ultima sua battaglia italiana". Ma l'Idea-forza non verrà mai meno per l'Italia. "Il morbo che gli avea morte le gambe e le mani - ha inciso Giovanni Bovio -non osò mai salire a quella fronte geniale in cui s'era personificato il fine umano
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    Der Wehrwolf

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    GIUSEPPE GARIBALDI

    Padre della patria

    Giuseppe Garibaldi ci è stato presentato come l'eroe dagli occhi azzurri, biondo, alto, coraggioso, romantico, idealista; colui il quale metteva a repentaglio la propria vita per la libertà altrui. Non esiste città d'Italia che non gli abbia dedicato una piazza o una strada. Garibaldi non era alto, era biondiccio e pieno di reumatismi, camminava quasi curvo e dovevano alzarlo in due sul suo cavallo. Portava i capelli lunghi, si dice nel sud, perché violentando una ragazza questa gli staccò un orecchio. Questo signore non era un eroe; oggi lo si chiamerebbe delinquente, terrorista, mercenario. Era alto 1,65, aveva le gambe arcuate e curava molto la sua persona. Fra il 1825 ed il 1832 fu quasi sempre imbarcato intraprendendo viaggi nel Mediterraneo. Nel 1833, durante un viaggio a Taganrog ebbe modo di conoscere dei rivoluzionari che lo affascinarono all'idea della fratellanza umana ed universale e all'abolizione delle classi, idee che si rifacevano al Saint Simon. Cominciò, pertanto, a pensare all'idea dell'unificazione italiana da realizzare con l'abbattimento di tutte le monarchie allora dominanti e la fondazione di una repubblica. Accrebbe codesta convinzione quando incontrò Giuseppe Mazzini nei sobborghi di Marsiglia e, affascinato dalle idee del genovese, si iscrisse alla setta segreta "Giovine Italia". Nel dicembre del 1833 si arruolò nella marina piemontese per sobillare e per praticare la propaganda della setta tra i marinai savoiardi. Nel 1834 tentò un'insurrezione a Genova contro il Piemonte; scoperto riuscì a fuggire in Francia. Processato in contumacia a Genova, fu condannato a morte per alto tradimento dal governo piemontese. Nel 1835 fuggì in Brasile, considerato una specie d'Eldorado dagli emigranti piemontesi che in patria non trovavano lavoro, ed erano tantissimi; da lì e dalle altre province del nord, ogni anno un milione di emigranti raggiungevano le terre Sudamericane. Fra i 28 e 40 anni Garibaldi visse come un corsaro ed imitò i grandi pirati del passato assaltando navi, saccheggiando e, come dice Denis Mack Smith a pag. 14 (1) "...si abituò a vedere nei grandi proprietari delle pampas un tipo ideale di persona delle pampas". Al diavolo la lotta di classe! il danaro era più importante - diciamo noi. A Rio de Janeiro si iscrisse alla sezione locale della Giovine Italia. Nel 1836 chiese a Mazzini se poteva cominciare la lotta di liberazione affondando navi piemontesi ed austriache che stazionavano a Rio. Il rappresentante piemontese nella capitale brasiliana rapportò al governo sabaudo che nelle case di quei rivoluzionari sventolava la bandiera tricolore, simbolo di rivoluzione e sovversivismo. Nel maggio del 1837, con i soldi della carboneria, Garibaldi mise in mare una barca di 20 tonnellate per predare navi brasiliane; non a caso fu battezzata Mazzini. Quest'uomo, condannato a morte per alto tradimento e poi pirata e corsaro nel fiume Rio Grande, è il nostro eroe nazionale; anzi, non lo è più! Ora è eroe della nazione Nord. In Uruguay si batteva per assicurare il monopolio commerciale all'Impero Britannico contrastando l'egemonia cattolico-ispanica. Nel 1844, a Montevideo iniziò la sua vera carriera di massone dopo l'iniziazione avuta con l'iscrizione alla Giovine Italia del Mazzini. In Italia i pennivendoli di regime continuano ad osannare le imprese banditesche del pirata nizzardo offendendo la storia e la dignità delle nazioni Sudamericane. L'indignazione della gente è racchiusa in un articolo di un giornale, il Pais che vende 300.000 copie giornaliere e che così si è espresso il 27-7-1995 a pag. 6: "... Garibaldi. Il presidente d'Italia è stato nostro illustre visitante...... Disgraziatamente, in un momento della sua visita, il presidente italiano si è riferito alla presenza di Garibaldi nel Rio della Plata, in un momento molto speciale della storia delle nazioni di questa parte del mondo. E, senza animo di riaprire vecchie polemiche e aspre discussioni, diciamo al dott. Scalfaro che il suo compatriota (ndr, Giuseppe Garibaldi) non ha lottato per la libertà di queste nazioni come (Scalfaro) afferma. Piuttosto il contrario". La carriera massonica di Garibaldi culminò col 33°gr. ricevuto a Torino nel 1862, la suprema carica di Gran Hierofante del Rito Egiziano del Menphis-Misraim nel 1881. Il Grande Oriente di Palermo gli conferì tutti i gradi dal 4° al 33° e a condurre il rito fu mandato Francesco Crispi accompagnato da altri cinque fra massoni. Il mito di Garibaldi finisce quando si apprende che la spedizione dei Mille fu finanziata dalla massoneria inglese con una somma spaventosa di piastre turche equivalenti a milioni di dollari in moneta attuale (2). Con tale montagna di denaro poté corrompere generali, alti funzionari e ministri borbonici, tra i quali non pochi erano massoni. Come poteva vincere Francesco II, se il suo primo ministro, Don Liborio Romano era massone d'alto grado? (3). Appena arrivato a Palermo, Garibaldi saccheggiò il Banco di Sicilia di ben cinque milioni di ducati come fece saccheggiare tutte le chiese e tutto ciò che trovava sulla sua strada. In una lettera Vittorio Emanuele II ebbe a lamentarsi con Cavour circa le ruberie del pirata nizzardo (4): ".. Come avrete visto, ho liquidato rapidamente la sgradevolissima faccenda Garibaldi, sebbene - siatene certo - questo personaggio non è affatto così docile né così onesto come lo si dipinge, e come voi stesso ritenete. Il suo talento militare è molto modesto, come prova l'affare di Capua, e il male immenso che è stato commesso qui, ad esempio l'infame furto di tutto il denaro dell'erario, è da attribuirsi interamente a lui, che s'è circondato di canaglie, ne ha seguito i cattivi consigli e ha piombato questo infelice paese in una situazione spaventosa". Ma erano mille i garibaldini? Certamente. Ma ogni giorno sbarcavano sulla costa siciliana migliaia di soldati piemontesi congedati dall'esercito sabaudo per l'occasione dall'altro massone Cavour ed arruolati in quello del generale nizzardo. Una spedizione ben congegnata, raffinata, scientifica, appoggiata dalla flotta inglese ed assistita da valenti esperti internazionali. La massoneria siciliana, da anni, stava preparando la sollevazione e mise a disposizione di Garibaldi tutto l'apparato mafioso della Trinacria. A Bronte (5) fece fucilare per mano di Nino Bixio i contadini che avevano osato "usurpare" le terre concesse agli inglesi dai Borbone. Ecco chi era il vero Garibaldi! Amico e servo dei figli d'Albione, assassino e criminale di guerra per aver fatto fucilare cittadini italiani a Bronte. Il socialismo, l'uguaglianza, la libertà potevano anche andare a farsi benedire di fronte allo sporco danaro e al suo servilismo massonico. Suo fine non era dare libertà alle genti del Sud ma togliere loro anche la vita. Scopo della sua missione fu quello di distruggere la chiesa cattolica e sostituirla con quella massonica guidata da Londra. Garibaldi, questo avventuriero, definiva Pio IX "...un metro cubo di letame" (6) in quanto lo riteneva - acerrimo nemico dell'Italia e dell'unità"(7). Considerava il papa "...la più nociva di tutte le creature, perché egli, più di nessun altro, è un ostacolo al progresso umano, alla fratellanza degli uomini e dei popoli"(8), inoltre affermò che: "...Se sorgesse una società del demonio, che combattesse dispotismo e preti, mi arruolerei nelle sue file" (9). Era chiaro l'obiettivo della massoneria: colpire il potere della chiesa e con esso scardinare le monarchie cattoliche per asservirle ad uno stato laico per potere finalmente mettere le mani sui nuovi mercati, sulle loro immense ricchezze umane, sulle loro ricche industrie, sui loro demani pubblici, sui beni ecclesiastici, sulle riserve auree del Regno delle Due Sicilie, sulle banche. Con la breccia di Porta Pia finì il potere temporale dei papi con grande esultanza dei fra massoni. Roma divenne così capitale d'Italia e della massoneria, come aveva stabilito Albert Pike, designando come suo successore Adriano Lemmi, massimo esponente del Rito Palladico.



    (1) DENIS MACK SMITH: Garibaldi, una grande vita in breve, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1993.

    (2) Intervento di Giulio di Vita, pp. 379-80-81 atti di convegno "La liberazione d'italia nell'opera della massoneria" svoltasi a Torino il 24-25 settembre 1988, Edizioni Bastogi, Foggia, 1990.

    (3) Bollettino del Grande Oriente del 1867, II, pag. 190.

    (4) DENIS MACK SMITH - Garibaldi, una grande vita in breve, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1993, pag. 285.

    (5) L'eccidio di Bronte così come è raccontato dal garibaldino Cesare Abba nel libro

    (6) G. GARIBALDI - Scritti politici e militari, Ricordi e pensieri inediti, Voghera, Roma, 1907, a cura di Domenico Ciampoli, pp. 523-525.

    (7) G. GARIBALDI - Scritti e discorsi politici e militari, Ed. Cappelli 1935, vol. II, pag. 397.

    (8) Ivi, Vol. III, Ed. Cappelli, Bologna, 1937, pag. 334.

    (9) opera citata, pag. 664.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    GIUSEPPE MAZZINI (Massone)



    da: "I Savoia e il Massacro del Sud", Grandmelò, 1996.

    Annoverato dal regime tra i padri della patria, fu iniziato alla carboneria tra il 1827 ed il 1829, divenendo presto uno dei discepoli di Mr. Picke. Nel 1864 il Grande Oriente di Palermo gli accorda il 33° grado. Il 3 giugno 1868 fu proclamato venerabile perpetuo ad onorem della Loggia Lincoln di Lodi e lo si propose alla carica di Gran Maestro. Il 24 luglio fu nominato membro onorario della loggia La Stella d'Italia di Genova ed il 1° ottobre 1870, della loggia La Regione dello stesso Oriente (*)

    (*) Dictionnaire Universel de la Franc-Maçonnerie, Tomo II, 1974
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

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    CAMILLO BENSO DI CAVOUR

    Padre della patria massonica

    San Giovanni Bosco ebbe a dire che ".. qui in Piemonte, Cavour fu uno dei capi della massoneia" (1) Detto questo vengono a cadere le doti di grande statista attribuite al primo ministro piemontese visto che tutta la politica savoiarda veniva decisa a Londra da Mr. Pike e da Lord Palmerston. Camillo Cavour, figlio di un Vicario di polizia piemontese, crebbe a Ginevra impregnandosi di mentalità calvinista e venne formato in Inghilterra dove aderì entusiasticamente al pensiero liberale che riservava alla Chiesa una funzione marginale, prettamente teorica, assoggettata completamente allo Stato. Li fu iniziato alla massoneria. Secondo l'Acacia Massonica del febbraio - marzo del 1949, a pag. 81 Camillo Cavour, ministro e Capo del governo Piemontese era l'ispiratore della massoneria nazionale e prendeva ordini da quella internazionale. La partecipazione savoiarda in Crimea a fianco di inglesi e francesi non era quindi un lungimirante intuito per sedere al fianco delle potenze europee, nel congresso di Parigi del 1856 per sollevare la questione romana ed italiana, come ci è stato inculcato a scuola. Questa strategia venne studiata nelle stanze segrete della Gran Loggia londinese. Anche Napoleone III, era affiliato a Roma alla Carboneria (2). Nell'Histoire Politique de la Franc Maçonnerie, dell'aprile 1958, a pag. 15 leggiamo: "...Il secondo impero... pratica la politica estera sostenuta dalle logge: sistematicamente antiaustriaco e perfidamente antipapale, esso sfocia nella distruzione degli Stati Pontifici. Non si dimentichi che Napoleone III era carbonaro e che l'attentato di Orsini gli ricordò un pò bruscamente il suo giuramento prima della campagna d'italia".




    Memorie biografiche di Don Giovanni Bosco a cura di Lemoyne-Amadei-Ceria, 19 Volumi, Torino 1898-1939; pag.313, vol. XI.


    M. FERDINAND BAC, "Miroir de l'Histoire" n. 19 agosto 1951, pag. 61.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

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    Predefinito Il tricolore, bandiera massonica

    Il 1 settembre 1904 alla Camera francese si verificò un acceso dibattito tra i deputati. Gli incidenti verbali furono provocati da un'affermazione pubblica del marchese di Rosando, il quale, rivolto verso i colleghi della sinistra, aveva esclamato: "La Framassoneria ha lavorato in sordina, ma in modo costante, a preparare la Rivoluzione!". Il deputato Jumel aveva immediatamente replicato: "E' un effetto di cui ci vantiamo!". Lo seguirono a ruota, in un crescendo di attacchi enfatici, Alessandro Zevaes ("E' il più grande elogio che potreste farci!") ed Enrico Michel ("È la ragione per la quale voi ed i vostri amici la detestate!"). Rosando rispose subito: "Siamo quindi perfettamente d'accordo su questo punto, cioè che la Massoneria è stata la sola autrice della Rivoluzione, egli applausi che io raccolgo da sinistra, ed ai quali sono poco abituato, provano. signori, che voi riconoscete con me che essa ha fatto la Rivoluzione francese". E Jumel, di rimando: "Facciamo più che riconoscerlo, lo proclamiamo!". E così, con questa fiera proclama-zione si chiariva definitivamente un evento storico: e cioè che era stata la Massoneria a volere, finanziare e preparare la Rivoluzione francese. Rivoluzione che oltre a portarci le delizie delle teste mozzate dallo strumento del dottor Guillotin, escogitò e ci impose lo stesso vessillo dietro cui si nascondeva la rabbia sanculotta: la bandiera dei tre colori. Come ben si sa, le armate rivoluzionarie, grazie poi al confratello Napoleone Bonaparte (iniziato ai «misteri» massonici sin da quando era semplice tenente ) portarono il proprio emblema multicolore in ogni parte della vecchia Europa, sotto il comando di generali come Ney, Cambronne, Lefebre Bemadotte, tutti affiliati alle logge massoniche. Sul sangue dei Lazzari napoletani, dei montanari di Andreas Hofer, dei guerrilleros spagnoli si piantava l' albero della Libertè con in cima la coccarda tricolore.

    In Italia fu lo stesso Bonaparte a consegnare il primo stendardo tricolorato (al blù fu sostituito il verde, colore classico delle logge massoniche) ad un corpo di volontari della Legione Lombarda, i «Cacciatori delle Alpi» che, si badi bene, alla faccia dell'indipendenza italica, erano inquadrati nell'Annata francese. Tanto è vero che al centro di questa bandiera campeggiava il simbolo stesso dei giacobini francesi: il berretto grigio. Inoltre, per mantenere questo suo Corpo di italiani «infrancesati», Napoleone non seppe far di meglio che saccheggiare e profanare tutte le chiese della penisola che si trovavano sfortunatamente sul suo cammino.

    II tricolore venne comunque adottato ufficialmente come bandiera di Stato dalla Repubblica Cispadana (altra invenzione napoleonica), riunita a Reggio Emilia il 7gennaio 1797. Ma la Repubblica Cispadana ( così come quella Cisalpina) tutto poteva essere tranne che una difesa di «italianità». Era una repubblica massonica a perfetta imitazione di quella francese, da cui dipendeva in tutto e per tutto.

    Marziano Brignoli, direttore delle Raccolte Storiche del Comune di Milano (Museo del Risorgimento e Museo di Storia Contemporanea), non sospetto di simpatie «reazionarie», ha affermato che "è chiaro che la nostra bandiera è nata ad imitazione di quella francese". Per Brignoli "i nostri tre colori provengono dall'insegna di una setta massonica ". Sarà forse un caso, ma è certo che il bianco, il rosso e il verde erano anche i colori della setta di affiliazione massonica del ro-magnolo Giuseppe Compagnoni, il segretario della Repubblica Cispadana che a Reggio Emilia propose di adottare il tricolore come bandiera del nuovo Stato.

    Dalla Repubblica Cispadana, seguendo la dominazione francese, il tricolore passò poi a quella Cisalpina (12 maggio 1797). Alla caduta della dittatura bonapartista, nel 1814, il tricolore non solo scomparve ovunque, ma fu generalmente considerato come emblema dei collaborazionisti con gli invasori francesi. Si arriverà poi al 1848 ed ai «moti risorgimentali» per vedere suscitare il vessillo pluricolorato, grazie alla complicità delle stesse dinastie anti-bonapartiste (come quella dei Savoia) che si «adeguavano» ai tempi, e con il Re Travicello

    (Carlo Alberto), grande protettore di sette e di logge, rivestendosi coi colori cispadani. Come si sa, giunse poi l'ora dei «fratelli d'Italia». «Fratello» massone era infatti Goffredo Mameli (al quale fu addirittura intitolata una Loggia), e come lui massoni di rango furono tutti i vari «artefici» del «risorgimento» (voluto da un Piemonte in cui si parlava più francese che italiano): da Garibaldi (nominato nel 1862 Gran Maestro e Primo Massone d'ltalia ), a Bixio, a Cavour , a Costantino Nigra, a Bettino Ricasoli, a Ludovico Frapolli, e via dicendo. Ora, tutti questi fatti non potevano essere certo sconosciuti a due appassionati risorgimentalisti come Spadolini e Craxi. Perche, allora, i due governanti "filocisalpini" progettarono di istituire per il 12 maggio la «Festa del Tricolore» invece che per il 7 gennaio, come giustamente rivendicato dalla "cispadana" Reggio Emilia ? Possibile che i due politici in questione erano tanto malaccorti da incorrere in un «infortunio culturale» di tale calibro? Certo che no. La verità è che Craxi e Spadolini tentarono di giocare la carta del 12 maggio, per un fatto culturalmente (e laicisticamente) molto più rilevante. Il 12 maggio è infatti la grande data del laicismo trionfante: quella per cui nel 1974 le forze radical-massoniche sconfissero quelle cattoliche nel referendum sul divorzio. Questo è infatti il vero motivo per cui l'accoppiata Craxi-Spadolini era più filo-cisalpina che filo-cispadana. Dietro la maschera della Repubblica tricolorita, le lobby laiciste nascondevano il volto della repubblica divorzista. A questo occulto progetto, i cattolici ( o almeno, alcuni cattolici) non solo non seppero opporsi, ma addirittura accondiscesero con entusiasmo. A costoro ricordiamo che nel 1871 il Conte di Chambord rifiutò di sedere sul trono di Francia, non accettando l'adozione del tricolore come bandiera dello Stato francese. «Se il vostro tricolore e un simbolo e voi ci tenete tanto come simbolo, allora non si tratta più di riforma, ma di abiura» disse il buon Henry di Chambord ai politici del compromesso. Ha proprio ragione Ploncard d'Assac quando scrive che "una delle più grandi abilità della Rivoluzione sta nel trasformare i conflitti d'idee in scontri simbolici'). Ed è proprio su questo che devono riflettere i vari portabandiere delle cosiddette “meditazioni culturali”.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    giusto!
    bisogna far sapere chi era garibaldi...
    ci sono terroristi a cui viene data la caccia e altri a cui vengono dedicate le vie e le piazze.

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    Originally posted by Celtic Pride
    giusto!
    bisogna far sapere chi era garibaldi...
    ci sono terroristi a cui viene data la caccia e altri a cui vengono dedicate le vie e le piazze.
    da un sito massonico:
    Giuseppe Garibaldi, massone risorgimentale



    Autore: Paolo Agostini and Antonio Maiorana
    --------------------------------------------------------------------------------



    Negli oltre 2000 anni di storia che l'Italia ha attraversato dai ad oggi, ci sono stati numerosi eventi e tantissimi personaggi che per vari motivi hanno significato e rappresentato momenti importanti nella vita italiana, qualche volta in positivo e altre volte in negativo.

    Sappiamo ad esempio che dopo la grandezza e la fastosità di Roma e dell'Impero Romano, è seguito un periodo di decadenza e di degrado del nostro paese durato quasi 20 secoli che si è concluso nel 19esimo secolo, ovvero nel 1800.

    Il merito di questa "liberazione" è da attribuire in massima parte a Giuseppe Garibaldi che secondo gli storici è stato senza dubbio il personaggio più importante del Risorgimento Italiano, o quantomeno uno dei personaggi più importanti e più determinanti di quel periodo storico e universalmente riconosciuto come uno degli artefici del processo di unificazione dell’Italia.

    La maggior parte di Noi che siamo nati in Italia ed abbiamo frequentato le scuole nel nostro paese, abbiamo sentito parlare di Lui e delle sue gesta sui banchi di scuola; abbiamo studiato la sua vita, commemorato le sue battaglie e osannato le sue vittorie.

    Per tutti gli altri, invece, Garibaldi è solo uno dei tanti eroi del passato vissuto nel secolo scorso: ma non è così.

    Fiumi d’inchiostro sono stati versati sui libri di testo per descriverci le gesta "dell'eroe dei due mondi" a tutti i livelli, da quello elementare fino a quello universitario.

    Del Garibaldi Generale, Condottiero e Politico quindi sappiamo tutto o quasi tutto: mentre del Garibaldi Massone e Gran Maestro della Loggia Massonica Italiana invece, sappiamo poco o niente.

    Debbo confessarVi che anch'io, fino a poco tempo fa, ignoravo che Egli avesse fatto parte della Massoneria, così come tanti altri personaggi importanti di quel particolare periodo storico; personaggi come Aurelio Saffi, Maroncelli, Manin e finanche Giuseppe Mazzini, tanto per citarne qualcuno.

    Fratelli, è incredibile a dirsi ma è vero: in tutti i libri e le pubblicazioni che ho consultato per completare questa mia ricerca ( e non sono stati certo pochi ) non ho trovato alcun cenno, alcun riferimento neanche velato, al fatto che Garibaldi fosse stato Massone e Gran Maestro della Massoneria in Italia.

    Quest'atto di censura contro la Massoneria messo in atto non solo dagli storici di quel tempo, ma anche da quelli contemporanei, non ha nessuna giustificazione logica nessuna ragione politica nessuna motivazione storica e la dice lunga sulla campagna diffamatoria e antimassonica in atto in Italia.

    Ma ritornando a questa mia ricerca, con essa cercherò di evidenziare, specialmente per i Fratelli più giovani nati in questo paese, chi era Giuseppe Garibaldi e che cosa ha significato per l'Italia, in modo semplice e comprensibile; spero di riuscire in questa impresa.

    Questa mia ricerca si divide in due direzioni ben distinte tra loro, così come fu la vita di questo grande personaggio:

    da una parte il Garibaldi soldato, generale, eroe risorgimentale universalmente riconosciuto ed osannato;

    dall’altra, il Garibaldi massone, che in questa sua veste è stato ed è tuttora ignorato dalle masse, avversato dagli storici e dai politici e snobbato perfino dagli stessi Fratelli Massoni.

    Ma chi era veramente Giuseppe Garibaldi ?

    Cercherò di rispondere a questo interrogativo senza dilungarmi oltre il consentito in pesanti ricognizioni e riferimenti storici sul passato nel quale Garibaldi operò. Riferimenti, che appesantirebbero questo mio scritto con tutto un elenco di date, di località e di nomi di personaggi, in gran parte sconosciuti ai più.

    Tuttavia, per inquadrare il personaggio e per capire meglio le motivazioni che portarono Garibaldi a diventare il paladino di un popolo, è però necessario illustrare il contesto sociale e politico del periodo storico in cui tutto ciò accadde.

    Ci troviamo nella prima metà del 1800 in pieno Risorgimento e con il termine Risorgimento si è soliti denominare quel particolare periodo di storia italiana nel quale si crearono le condizioni nazionali ed internazionali per la nascita, lo sviluppo e l'affermazione di un movimento politico-popolare finalizzato alla realizzazione di uno stato indipendente ed unitario.

    Importanti trasformazioni nel resto dell'Europa, ma specialmente in Francia, con l'avvento al potere della borghesia dopo la rivoluzione francese e la radicale trasformazione dei rapporti di produzione in Inghilterra, modificarono il quadro di tutta la storia del tempo e influirono in maniera determinante sull'arretrata realtà italiana di quegli anni.

    Tanto per fare un quadro riassuntivo di come era configurata l'Italia in quel periodo storico possiamo dire che essa era così suddivisa:

    al nord, il Piemonte sotto la supremazia francese; il Friuli e parte della Lombardia sotto l'Austria; il Granducato di Milano e le repubbliche di Genova e Venezia autonome; al centro, lo stato Pontificio, il Granducato di Toscana e il Granducato di Modena; mentre al sud, il regno di Napoli, il Regno delle due Sicilie, e il Regno di Sardegna.

    I momenti più significativi del Risorgimento Italiano si possono identificare con le 3 Guerre d'Indipendenza contro l'Austria: la prima avviene negli anni 1848 -1849; la seconda nel 1859 e la terza e definitiva guerra nel 1866, che vede l'Italia in parte vittoriosa e l'Austria in parte sconfitta, ma decisamente ridimensionata nelle sue ambizioni territoriali.

    Questo il quadro politico economico e sociale dell'Italia nel secolo 19esimo e in questo contesto nasce cresce e si fa largo un personaggio nuovo:

    Giuseppe Garibaldi



    Le sue origini sono abbastanza umili. Egli nacque a Nizza, nel territorio della Savoia, ora francese, ma all'epoca territorio italiano, il 4 Luglio del 1807.

    Il padre Domenico possedeva una piccola barca con la quale praticava il cabotaggio, ovvero il trasporto di merci lungo le coste dell'Italia e nel bacino del Mediterraneo.

    Egli avrebbe voluto che Giuseppe, il secondo dei suoi due figli, facesse un mestiere diverso dal suo; magari quello di avvocato, oppure di medico o finanche prete, tutto purchè svolgesse un lavoro meno duro e massacrante di quello marinaro.

    Sfortunatamente per lui, Giuseppe amava poco gli studi mentre amava il mare e l'avventura e le ambizioni del padre svanirono di fronte all'accanimento del figlio per la vita all'aria aperta, il mare e l'avventura.

    Tant'era la sua determinazione che vedendosi contrastato dal padre in questa sua vocazione, solo 13enne tentò di fuggire per mare verso Genova ma venne fermato e ricondotto a casa.

    A 25 anni divenne capitano di una piccola nave mercantile e durante uno dei suoi tanti viaggi verso l'oriente incontrò casualmente un genovese, un certo GianBattista Cuneo, che pare lo iniziò alla Giovane Italia, un movimento clandestino che tentava di liberare l'Italia dagli oppressori.

    Decisivo per Garibaldi fu l'incontro con Giuseppe Mazzini nel luglio del 1833.

    Rimase colpito dagli ideali di libertà e di ribellione di quel piccolo gruppo di uomini che all'epoca era considerato "sovversivo" e quindi fuorilegge, ideali che Garibaldi in cuor suo condivideva pienamente.

    Dopo aver aderito alla carboneria e militato in essa al fianco di Mazzini per qualche tempo, Garibaldi venne condannato a morte come rivoluzionario nel 1834 e per sfuggire alla forca fuggì in America Latina dove rimase per 12 anni.

    Quei 12 anni di vita americana furono il suo tirocinio come uomo d'azione e quì si distinse per valore e capacità di condottiero.

    Incontrò Anita, una bella e avvenente brasiliana che per amore suo lasciò il marito seguendolo nelle sue imprese militari, diventando successivamente sua moglie e regalandogli 2 figli.

    Mentre Garibaldi si trovava ancora in America, giungevano intanto dall'Italia notizie di tumulti e agitazioni patriottiche cominciate a Roma dopo l'ascensione di Pio 9 al trono papale.

    Per un cumulo di sventure che durava da secoli, l'Italia era la nazione più avvilita e disprezzata che vi fosse in Europa; il destino le invia Garibaldi non soltanto il suo liberatore, ma la prima ideale figura di uomo e di eroe.

    E nessun eroe fu più moderno di lui poichè egli sapeva obbedire quanto comandare.

    Garibaldi servì Re e repubbliche comandando eserciti in battaglie cruente e sanguinose; eppure questo campione di tutte le cause giuste fu più ammirato che compreso, più acclamato e festeggiato, che aiutato nel compimento dei suoi grandi disegni sociali e ideali di riforma.

    Partecipò con successo alla battaglia per la difesa di Roma dalle truppe francesi nel 1848 e per la prima volta si ritirò nell'isola di Caprera nel 1857.

    Pur relegato volontariamente nella piccola isola, Garibaldi non perse mai l'interesse per la politica nazionale.

    Successivamente si avvicinò alla monarchia sabauda incontrando Vittorio Emanuele e Cavour prendendo sempre più le distanza da Mazzini.

    Il concetto dell'unità Italiana, fino a quel momento era stato una dolce e poetica astrazione di menti elette come Dante Alighieri, Francesco Petrarca e Niccolò Macchiavelli, senza mai divenire però coscienza di popolo.

    In quel tempo, oltre a Garibaldi ci furono anche altri uomini, egregi nel pensiero e nell'azione, che si stavano impegnando nella stessa battaglia; tuttavia essi agivano localmente e separatamente l'uno dall'altro, senza interessarsi minimamente di quanto accadeva in altre zone d'Italia.

    Fuochi sparsi, quindi, fuochi di paglia, destinati a esaurirsi in breve tempo senza lasciare traccia se non nella cronaca del tempo

    Poi ci fu la svolta determinante: lo sbarco in Sicilia dei Mille capitanati da Giuseppe Garibaldi.

    Partiti con due navi dallo scoglio di Quarto, una località vicino a Genova nel 1860, fu questo manipolo di volontari, appunto 1000, ad aprire la strada verso l'unità nazionale dell'Italia.

    Al grido di: «quì si fa l'Italia o si muore», Garibaldi guidò le sue camice rosse di battaglia in battaglia fino alla vittoria e alla conquista prima della Sicilia, e poi alla liberazione dell'intera Italia del sud.

    Il 26 ottobre del 1861 avvenne lo storico incontro a Teano tra Garibaldi e Vittorio Emanuele:

    «Saluto in Vittorio Emanuele il primo Re d'Italia» con queste parole Garibaldi di fatto consegnò al Re piemontese tutta l'Italia meridionale.

    Visto l'entusiasmo e la popolarità che la sua persona scatenava nelle folle deliranti per le sue imprese, Garibaldi avrebbe potuto approfittare di questa sua posizione per ottenere privilegi personali, onori e denaro per se e per i suoi figli.

    Ma egli non volle alcun favoritismo nè alcun riconoscimento.

    Si ritirò invece con un sacco di sementi e pochi soldi nella sua amata Caprera dove rimase per la vecchiaia e dove morì il 2 giugno del 1882.

    Una delle caratteristiche del pensiero e della propaganda di Garibaldi fu la sua ostilità verso il clero, che indicò come il principale fattore di corruzione del popolo italiano ed il papato la rovina dell'Italia.

    Anche su questo terreno, però, egli era incapace di qualsiasi azione violenta per la fondamentale bontà d'animo; riconosceva che non tutti i preti erano uguali ed esaltava quelli attenti al bene comune.

    Vagheggiava una religione senza dogmi e senza culto, con Dio al di sopra di tutto e una legge morale con l'amore per l'uomo e la natura quali concetti fondamentali per una vita felice.

    Fu Gran Maestro della Massoneria Italiana nel 1864 anche se la sua reggenza durò pochissimo a seguito di disaccordi con gli altri Fratelli, che gli fecero rassegnare le dimissioni dalla carica, e Gran Maestro Onorario "ad vitam".

    Non sono ben chiari i motivi che portarono Garibaldi a rassegnare le dimissioni da Gran Maestro della Massoneria Italiana, nè possiamo in questa sede azzardare ipotesi che potrebbero non corrispondere alla realtà dei fatti.

    Sta di fatto che qualunque siano stati i motivi del dissidio tra l'Eroe e gli appartenenti al “parlamento” massonico del tempo, essi divennero insanabili.

    Negli anni che seguirono la morte di Garibaldi, ci furono tante occasioni per ricordare la figura dell'eroe; ma tracciare il suo profilo storico avrebbe comportato inevitabilmente di definire e chiarire la parte avuta nella vita dell'Ordine dalla sua tormentata ricostituzione fino al momento delle dimissioni volontarie di Garibaldi da Gran Maestro.

    I vari Gran Maestri che si susseguirono nel tempo cercarono in tutti i modi di evitare pericolose prese di posizione utilizzando il solo rimedio possibile: l'oblio.

    Garibaldi non è mai stato visto di buon occhio dai Fratelli Massoni del suo tempo: i motivi di questa diffidenza vanno ricercati nelle motivazioni storiche di quel tempo.

    Infatti, all'epoca in cui Garibaldi venne eletto Gran Maestro nel 1864, Massoneria e Politica camminavano di pari passo. Il presidente del Consiglio Francesco Crispi si vociferava fosse Massone, così come numerosi altri politici e parlamentari dello stesso periodo.

    Tutti noi sappiamo che politica e Massoneria non possono nè convivere nè conciliarsi tra loro nè tantomeno percorrere strade parallele se non in difesa di diritti etici e morali dell’uomo, come avvenne con l’Illuminismo che condusse alla rivoluzione francese.

    Giuseppe Garibaldi fa eccezione in questo: eletto la prima volta al parlamento piemontese nel 1848 rimase parlamentare fino al 1876 per ritirarsi definitivamente a Caprera dove morì.

    Egli utilizzò il parlamento della nuova e giovane Italia non per soddisfare ambizioni personali o per illeciti arricchimenti come fu per altri parlamentari, ma come cassa di risonanza per la divulgazione delle proprie idee.

    Egli si impegnò con generosità in battaglie sociali a favore delle classi povere e di quella parte della società meno previlegiata, soprattutto per le popolazioni del Sud dell'Italia a lui tanto care.

    Avversava sia i preti che la chiesa romana (e con ragione: non dobbiamo dimenticare che fino al 1870 il potere temporale dei Papi aveva influenzato in negativo la storia e lo sviluppo dell'Italia e del popolo italiano), mentre certe sue affermazioni ce lo dipingono come credente:

    «Semplice bella e sublime è la religione del vero; essa è la religione di Cristo poichè tutta la religione di Cristo si poggia sull'eterna verità. L'uomo nasce uguale all'uomo.

    Quindi non fate ad altri ciò che non vorreste fosse fatto a voi e solo chi non ha mai fallito può gettare la prima pietra »

    Questo brano tratto dal suo testamento autografo è un chiaro simbolo di fratellanza e di perdono; dottrine che se praticate dagli uomini costituirebbero a suo modo di vedere, quel grado di perfezione e di prosperità al quale l'uomo dovrebbe arrivare.

    Garibaldi fu un vero Massone, interprete cioè della coscienza dell'umanità.

    "I benefattori dell'umanità non nascono in tempi felici, nè la loro infanzia è cullata sulle ginocchia dei grandi e dei potenti.

    Cristo, il Redentore, nasce fra un popolo schiavo sulle tracce della Roma imperiale dei Cesari, oppresso da falsi sacerdoti, scribi e farisei e la sua parola diventa promessa di redenzione per tutte le genti".

    Nelle sue memorie autografe, cioè scritte di suo pugno, abbondano le prove di privazioni e fatiche da Lui sopportate che avrebbero ucciso qualunque altro uomo non dotato di altrettanta eccezionale vigoria fisica e morale.

    Quando si trattò di giudicare un suo persecutore, invece di rivalersi sul rivale e accanirsi contro di Lui per i tormenti subiti, egli lo mandò libero.

    «Non voglio neppure vederlo – disse – avrei paura che la sua presenza, ricordandomi tutto il peso delle sofferenze subite a causa sua, mi facesse commettere un'azione indegna di me e del mio nome italiano»

    L'intima costituzione psicologica di un uomo è come un brillante sfaccettato, che non si può ben conoscere se non lo si osserva prima da ogni lato singolarmente, per raccogliere poi nella mente la sua immagine complessiva.

    Un'altro dei fattori importanti della figura di Garibaldi, fu una specie di misticismo naturale, una tendenza alla meditazione continua, che pur senza le manifestazioni esteriori di questo o quel culto religioso, si espande libera per tutta la natura vivente e circonda gli uomini e le cose di una dolce aureola di poesia e di idealismo, fecondo di energie morali.

    Afferma l'eroe: «Adottai la formula religiosa e Dio, perchè è la più comprensibile per le masse. Ma i veri sacerdoti, per me sono i Copernico, i Newton, i Franklin ed i Galileo, poichè sono sono gli uomini di genio e di intelligenza i veri preti dell'umanità ».

    Garibaldi fu un guerriero vero che non amava la guerra e ricorreva alle armi come estrema risorsa, come il chirurgo che incide le membra per salvare la vita del malato.

    Non era entrato in nessuna scuola e non si chiuse mai in una sola politica: sapeva che la guerra è necessità della morte, quindi vi serviva per gli altri e ne usciva senza aver odiato il nemico, non chiedendo al vincitore che la libertà del vinto.

    «Venite - egli diceva ai suoi volontari - o generosi cui da ribrezzo l'oppressione del giogo della servitù. Venite, io non posso offrirvi nè caserme nè munizioni: vi offro fame, freddo, sole, battaglie e morte. Chi ama la Patria mi segua» e migliaia di giovani e meno giovani lo seguivano.

    E se queste parole squillavano formidabili ai nemici, se sconvolgevano l'Italia come una tempesta, se mettevano fiamme nelle vene dei prodi, ciò accadeva perché brillava in esse la più santa luce del sincero altruismo, perché l'uomo che così parlava era l'incarnazione di un'epoca, di un intero popolo, che si ribellava ai ceppi dell'oppressore straniero e voleva risorgere nella sublime Pasqua della Libertà.

    Garibaldi era notoriamente povero: visse tutta la sua vita rifuggendo il denaro e gli onori per morire umilmente e dignitosamente povero.

    Questa è stata la sua grande forza, il suo carisma e questo è stato "anche" il suo peggior difetto.

    Eh si, perchè i politici, i potenti, i suoi avversari e finanche i suoi Fratelli massoni avevano paura di Lui.

    Temevano la sua lealtà, temevano la sua intransigenza di uomo giusto, temevano la sua incorruttibilità di uomo onesto e non gli perdonavano queste doti che lo ponevano al di sopra della mediocrità degli altri individui.

    Diceva Cavour: “Come ci si può fidare di un potente che ama mangiare con la truppa o come accettare come capo supremo un uomo che invece di raccogliere onori e consensi, ama ritirarsi in un'isoletta come Caprera per coltivare la terra?”

    Inconcepibile certo per la personalità ambiziosa di Camillo Benso Conte di Cavour. Eppure sono proprio questi tratti che rendono Giuseppe Garibaldi un mito che oltrepassa la leggenda del guerriero, che marca tutto il periodo del Risorgimento e in generale tutto il secolo scorso.

    Ma in fondo questo è il destino riservato ai grandi: per diventare un mito, una leggenda, un sogno, un richiamo, un eco, un riflesso, un ricordo, ogni grand'uomo, in ogni epoca, ha sempre dovuto fare i conti con l'invidia e la gelosia degli altri. E in questo Garibaldi non fa eccezione.

    Faceva paura e soggezione quel gigante di virtù: meglio quindi scordarsi di Lui, o meglio, conveniva lasciarlo cadere nell'oblio o addirittura tacere la sua esistenza .

    Ecco il perchè di questo imbarazzante e fastidioso silenzio che circonda la figura mistica di questo nostro grande e indimenticato Fratello Massone.

    Con questa mia ricerca, anche se limitata, spero di avergli reso almeno in parte giustizia.


    Grazie


    Paolo Agostini and Antonio Maiorana

    http://www.esonet.org/scripts/vis_ar...sp?codice=1003
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    DUE GIUGNO :LA MASSONERIA RICORDA GARIBALDI A 120 ASNNI DALLA MORTE
    2002-05-31 10:14:19
    Argomento: Enti e Istituzioni
    ''Nessun sentimento antireligioso, ma il ricordo di un italiano che ha lottato per il suo paese e che puo' essere di esempio per l' attuale classe politica'': questo l' intento delle celebrazioni organizzate dalla Massoneria umbra per ricordare Giuseppe Garibaldi a 120 anni dalla morte.
    ''Un anniversario - ha spiegato stamani in una conferenza stampa a Perugia il presidente del collegio dei Maestri venerabili dell' Umbria, l' avvocato Giancarlo Zuccaccia - che cade proprio il 2 giugno, domenica prossima, festa della Repubblica''.

    Cosi' proprio domenica mattina, alla 10, la giunta del collegio massonico umbro, insieme al Sovrano Gran Maestro del rito di Memphis e Misraim, il perugino Giancarlo Seri, si rechera' al monumento di Garibaldi per depositare una corona d' allora e ricorda l' ''Eroe dei Due mondi''. I ''molti collegamenti di Garibaldi con l' Umbria'' sono stati ricordati da Zuccaccia, il quale ha ricordato che ''diverse persone, in Altotevere, lo aiutarono quando fu costretto a fuggire da Roma. Ed Anita mori' al passo dei Mandrioli, al confine tra Umbria e Marche''. L' altro legame sottolineato da Zuccaccia e' che anche Garibaldi fu, dal 1881 fino alla morte, gran maestro del rito egiziano di Misrain. Seri ha messo in evidenza che ''la Liberia muratoria universale e' un bene di tutti i cittadini. Se in passato ci sono stati dei contrasti con l' esterno, non sono dipesi da noi. Ora siamo piu' che mai impegnati ad aprirci verso l' esterno, consapevoli di poter mettere a disposizione di tutti i nostri valori morali e spirituali. In questo quadro - ha concluso Seri - rientrano le celebrazioni su Garibaldi, un esempio di attaccamento al bene pubblico piu' che mai attuale''.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

 

 
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