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Discussione: Segnalazioni librarie

  1. #11
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    Devo dire che la segnalazione di Signorelli non doveva mancare.
    Parente di Luca Signorelli il pittore che affresco il duomo di Orvieto.
    Devo notare che in questo spazio bisognerebbe (giustamente come ha fatto ulver81) recensire anche i "nostri" testi che negli anni trascorsi ci hanno trasportati, fatto conoscere e aperto la co-scienza verso l'immenso mondo pagano.

  2. #12
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    Bellissimi i libri di Signorelli segnalati da Ulver81, potentissimi,energia pura,onore agli antichi Rasenna primi Italiani!

  3. #13
    Baron Samedi
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    Signorelli lo ricordano davvero in pochi e mi fa piacere davvero che vi troviate d'accordo sull'importanza della sua figura.Qualche anno fa chiesi ad un editore se fosse stato possibile ristampare le sue opere ma non se ne fece nulla.....



    Cmq, consiglio nuovamente la lettura di questo testo:

    Jaynes Julian,Il crollo della mente bicamerale e l'origine della coscienza,Adelphi.

  4. #14
    Baron Samedi
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    Un romanzo da sempre interessante:

    L'uomo a cavallo
    di Drieu La Rochelle Pierre

  5. #15
    INVICTIS VICTI VICTURI
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    http://www.insegnadelveltro.it/catal...na_traiana.htm



    Vasile Lovinescu (Geticus), La Colonna Traiana, pp. 120, € 9,26

    La Colonna Traiana riunisce le lezioni che Vasile Lovinescu tenne nel 1968 per la Confraternita di Iperione, una cerchia che si riuniva regolarmente a Bucarest per studiare le dottrine tradizionali. (…) Lo studio di Lovinescu contiene diverse riflessioni sulla Dacia, tra le quali in particolare si inserisce una digressione assai interessante sulla sinergia e sull'antagonismo che esistettero tra il messianismo imperiale romano e il messianismo semitico-cristiano. I testi di Lovinescu ruotano infatti intorno ad una questione centrale ed essenziale: era possibile che l'Europa evitasse l'imposizione di una forma tradizionale a lei estranea? Non sarebbe stato possibile ravvivare l'antica tradizione greco-romana, di modo che la rivelazione d'origine semitica risultasse superflua? No, risponde l'autore, perché la realtà concreta e politica che ostacolava le tendenze dissolventi era proprio l'Impero Romano. Il cristianesimo fu necessario per accelerare il processo del Kali Yuga e l'esaurimento del nostro ciclo di umanità. ("Nouvelles de Synergies Européennes", 14, sett.-ott. 1995)

  6. #16
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    'OMAGGIO AGLI ITALIANI' DI IDA MAGLI
    Il libro presentato oggi dall'Ansa e'
    'OMAGGIO AGLI ITALIANI. UNA STORIA PER TRADIMENTI'
    di IDA MAGLI
    (RIZZOLI; PP.165, EURO 8.20)

    Un'invettiva e una ricostruzione storica: questo il progetto e la forza del nuovo libro di Ida Magli, breve e acceso come un pamphlet. Con un'idea di fondo: mai nessun popolo come quello italiano è stato tradito dai suoi governanti in maniera così determinata, ossessiva, cinica, perversa. Dice esplicitamente l'autrice, nota da anni come antropologa (in cattedra all'Universita' di Roma) e saggista (spesso sulle pagine di La Repubblica): ''Questa è la grandezza degli Italiani, aver continuato a pensare sempre, a creare sempre, perché soltanto l'intelligenza sa di essere libera, quali che siano le coercizioni esteriori. Sa che la grandezza dell'Uomo è nel pensiero, e sa che c'è sempre almeno un altro uomo che lo afferra e lo trasmette''.

    L'intelligenza (qualche volta la furbizia), la fantasia (spesso la genialita') innata e affinata nelle diverse circostanze storiche hanno consentito agli Italiani di primeggiare nelle arti e nella scienza. Il loro pensiero è stato un fondamento e un faro nello sviluppo della civiltà occidentale. Eppure papi, re, imperatori, dittatori, banchieri, politici, per coltivare il proprio Potere, hanno calpestato gli Italiani, hanno sfruttato la loro natura, le loro città, le loro doti, favorendo in essi un perenne sentimento di vergogna, un'immagine deteriore di vigliaccheria e di preordinata sconfitta. Tutto questo e' avvenuto sempre, ma in alcune epoche con maggiore intensita'.

    Sul banco degli accusati la Magli mette soprattutto la Chiesa e la sua gestione del potere temporale, le sue responsabilita' nel sollecitare di volta in volta l'intervento delle potenze straniere per difendere la sua supremazia politica oltre che religiosa. Per colpa della Chiesa l'Italia ha sofferto invasioni, rapine, divisioni del suo territorio. Ma non solo questo, perche' vi sono i danni ''morali'' nella visione punitiva della sessualita' e nella condanna della impurita' della donna.



    © Copyright ANSA Tutti i diritti riservati 22/04/2005 13:02
    http://www.ansa.it/main/notizie/rubr...233394559.html

  7. #17
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    Beniamino M. DI Dario ed .ar






    Aureliano fu uno dei grandi imperatori pagani di Roma. Vissuto nell'epoca in cui la classicità stava per declinare, egli tentò (intorno al 270-275 d.C.) la traduzione in politica della speculazione neoplatonica. Roma, per un attimo, rifiorì, e il sovrano venne acclamato come “restauratore dell'universo”. Questo studio mette in luce come la vocazione di Aureliano fosse non semplicemente di reggere l'Impero, ma soprattutto di rianimarlo.



    introduzione a cura di luca lionello rimbotti.



    "La vittoria sulla regina Zenobia di Palmira — una delle figure femminili, comunque la si riguardi, più nobili e affascinanti dell'antichità, cui Aureliano riservò onori adeguati, ma solo dopo averla trascinata a Roma m catene d'oro - fu considerata dall'Imperatore come uno speciale indizio del favore accordatogli dal dio Sole, adorato dai palmireni secondo le loro peculiari forme di stilizzazione orientale ma che egli dovette giudicare come strappato ad un culto locale per ncondurlo al luogo suo più naturale, che era Roma. Questo il monito letto da Aureliano e confermato dal presagio visionario ricevuto sul campo di battaglia all'apparire del Sole Invitto: "Gli dèi di Palmira", scrisse Altheim, "Bel e Helios, furono portati a Roma come bottino". Ciò che invece fu ricondotto a Roma come sovrano vittorioso fu il Sole romano. Ad esso venne riservato il ruolo di supremo simbolo unitario politico-spirituale che era stato di Giove Capitolino. La "rivoluzione dall'alto" intrapresa da Aureliano non fu, inoltre, un escamotage del tipo di quello che sarà più tardi tentato da Costantino che, affiancando il Sol Invictus a Cristo, cercò propagandisticamente di assicurarsi in un colpo solo i devoti di quello e di questo. Il Sole aurehanèo fu invece proprio un'autorità somma, anche se non esclusiva, secondo uno sviluppo che dovette essere nell'aria in quell'epoca se, giusto nello stesso periodo, anche l'Impero sassanide elevò il culto solare a religione di Stato, dopo un procedimento di "purificazione e rinnovamento" dello zoroastrismo: i "due occhi del mondo", Roma e l'Iran, pensarono la stessa cosa nello stesso momento.

    Nella riforma religiosa di Aureliano trovò composizione la vasta e a volte contraddittoria congerie dei culti solari, cosicché il "sincretismo" così ottenuto potè vantare i veri crismi dell'universalità, il cui vertice espressivo veniva rappresentato dalla divinizzazione dell'Imperatore, summa simbolica di unificazione, nella quale allo stesso modo si riflettevano non tanto le autocratiche teocrazie orientaleggianti, quanto gli schemi di una tradizione sacrale che a Roma vantava il suo più antico rappresentante in Romolo

    Da Emesa pertanto, lo possiamo ben dire, Aureliano non recò a Roma alcuna totalitaria stravaganza orientale, che fosse tale da scompaginare gli antichi equilibri. Nel caos ribollente dei riti, delle superstizioni, delle credenze più psicologicamente rovinose, rovesciatosi su Roma da ogni recesso dell'Impero nel più tipico dei fenomeni degenerativi e che ebbe proprio nel III secolo la sua piena maturazione, l'apparire del Sol Dominus Imperii Romani assume piuttosto il significato di un ritorno all'ordine, di un raddrizzamento, di una scelta reattiva dinanzi all'imminente prevalere di concezioni estranee e inaudite, quelle sì inconciliabili con la pietas, l'antica fede dei padri.

    Il Sol Invictus, vogliamo dire, non fu trapiantato, ma ritornò a Roma, come segno imperiale e universale di un culto che la terra laziale già conosceva come Sol Indiges, e con essa tutto il mondo indoeuropeo.


    Eccellenti, in proposito, ci paiono le pagine che il di Dario, nella sua prosa essenziale e densa di riferimenti alle fonti primarie, dedica appunto alle miriche tracce della più antica religiosità solare in Roma

  8. #18
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    Premessa alla prima edizione

    Questo scrìtto è giustificato dalla mancanza di un lavoro di sintesi che affrontasse, in una visione unitaria, un vasto e complesso materiale oggetto, nell'arco dell'ultimo secolo, anche di indagini minute e attente da parte degli specialisti, ma proprio per questo disperso in mille rivoli, spesso di difficile accesso e comprensione per i non «addetti ai lavori». Rispetto ad una cinquantina di anni fa la situazione si è in un certo senso aggravata: allora, «il linguaggio stesso degli studi, benché più paludato, era più accessibile anche al lettore non strettamente specializzato, purché sufficientemente erudito ... Oggi, quando l'elite accademica di una ristretta classe dominante sta perdendo la propria giustificazione storica... nel campo degli studi sembra accentuarsi ancorpiù l'ermetismo e il distacco dalla 'gente comune', vale a dire dalla totalità dei non specializzati. Del resto, mentre gli studi stanno diventando progressivamente più e più difficili, il pubblico di qualche decennio fa... - la borghesia colta - sta scomparendo, e le nuove classi non trovano accesso a una tradizione di studi sviluppatasi senza la loro partecipazione». <*>

    Pertanto il nostro lavoro -pur essendo ben lungi dall'essere completo nelle sue singole parti - ha l'ambizione di compendiare diverse esigenze che senza disgustare gli specialisti, possano almeno in parte soddisfare chi, a qualsiasi livello, si senta nella mente e nel sangue parte integrante di questa terra e di questo suolo, donde il ramoscello della quercia del rex Nemorensis è sempre suscettibile un giorno di germogliare.
    È il mondo dei nostri archetipi divini quello che in queste pagine si è voluto rievocare, perciò limitando il nostro esame ad alcuni aspetti o fi¬gure essenziali della sacralità della prima Italia: la funzione prìmaziale di Giano, il ciclo detta regalità dell'aureo Saturno, il mondo suggestivo in cui si manifestano le teofanie animali di Marte ed operano le «società marziali» delle prime comunità italiche, per finire con la misteriosa e potente Signora delle selve italiche, Diana, nei suoi vari e pur sempre unitari aspetti di dea principalmente «atta a conferire la regalità» (Dumézil).
    Sono, questi, solo alcuni aspetti di un più ampio discorso che potrà essere continuato nel futuro.
    A parte l'ovvio riferimento ad una vasta gamma di studi critici antichi e recenti, il nostro metodo - lo si potrà agevolmente constatare - è stato soprattutto quello di riferirci atte fonti antiche stesse, facendo, se del ca¬so, parlare anche i dati concreti pervenuti dagli scavi (forse l'unica vera cosa nuova degli ultimi decenni).
    Spetterà al lettore giudicare se questo tipo di studio potrà nel suo genere costituire, al limite, una novità. A me sarà sufficiente sapere di non averlo tediato con argomenti che, di certo, non potranno essere considerati banali.
    R.d.R


    «Nella festa della Fortuna
    di ogni istante», 21 giugno 1985











    Nel segno di Marte



    E' stato opportunamente sottolineato che probabilmente «non è il culto di Giove la manifestazione più antica presso gli Italici». Le tradizioni connesse al ver sacrum, che, abbiamo visto, rimandano alla più alta "preistoria politica d'Italia", si ricongiungono tutte, infatti, alla figura di Marte, Dio della Guerra e in origine rappresentato semplicemente come un'Asta Militare, il curix, e nel contempo Protettore (armato ... ) delle Pacifiche attività Agricole e pastorali.

    Così, come Difensore Armato, poteva essere invocato dai Guerrieri prima della Battaglia e dai Contadini prima della lustrazione dei campi, con offerta di frutta e sacrifici di messi, fare da Patrono ai bellicosi Salii ed ai pacifici Fratres Arvali.

    Il Preller è dell'avviso che il ver sacrum appare «nei tempi più antichi tradizionalmente proprio solo nel Culto di Marte ( ... ) che, accanto a Giove, era il vero Dio principale e capostipite della popolazione italica». Ora, se in seguito ad un ver sacrum il popolo originato dalla migrazione della juventus porta nel proprio nome quello di uno degli animali sacri a Marte, come il Picchio, il Toro, il Lupo, oppure si dice che uno di loro era alla loro testa al momento dell'esodo, si può concludere senz'altro che le primavere sacre venivano dedicate a Marte: ed era proprio con il suo mese, Martius, che la primavera, rinnovellatrice della natura, e lo stesso Anno, avevano inizio a Roma e presso i più antichi Indiani.

    Del resto, quello che gli era consacrato doveva essere soltanto «quod natum esset inter Kalendas Martias et pridie Kalendas Maias», cioè compreso fra il 1° marzo ed il 30 aprile. Ecco dunque generarsi dalla terra dei Sabini, come frutto della più antica ondata di queste migrazioni, quei Picentes «voto vere sacro» che, provenendo dalla conca di Norcia, sono discesi nella valle del Tronto, di là diffondendosi: in Ascoli hanno avuto la loro capitale, in Cupra il santuario famoso di una loro Dea. «Picena regi . o, in qua est Ausculum, dicta quod Sabini, cum Ausculum proficiscerentur, in vexillo eorum picus consederat», afferma Festo: questo picchio che si è posato sulla loro insegna militare e li ha, per così dire, «adottati», «ha mostrato loro il cammino... ed è sacro a Marte», aggiunge espressamente Strabone.

    In quanto ai Marsi, discesi nella valle del Salto, «hanno un nome,di origine sacra, quindi assunto nell'occasione della primavera sacra che li staccava dal tronco sabino». La loro diretta connessione al Dio li avvicina a quei Mametlini campani che, consacrati in un ver sacrum nel Sannio e votati a Mamers - il Marte osco - fonderanno in Sicilia l'ultimo degli Stati italici indipendenti (289-264 a.C.): quella Messina che secondo un rito antichissimo si consacrò a Mamerte e si chiamò TOUTO MAMERTINO (o "popolo di Marte").

    Dal lago di Cotilia - che Dionisio ci ha riferito essere «sacro alla Vittoria» - il centro di migrazione si sposta al Fucino e dal Fucino al Sangro. Di qui comincia il territorio dei Sanniti, il cui nome il Devoto considera derivato dalla stessa radice "*sabh-" presente nel lat. Sabini, designante il vero nome nazionale degli Italici.

    I Sabini, afflitti dagli attacchi degli Umbri, consacrarono a Marte i figli nati in quella primavera e questi, raggiunta l'età adulta, partirono verso il sud in numero di circa settemila condotti da un Toro selvatico mandato dal Dio, avendo alla testa un certo Cominius Castrvnius. Giunti nel paese dei protolatini Opici, immolarono il Toro a Marte e vi si stanziarono, fondando sul luogo Bovianum, l'antica capitale Sannita, che reca nel nome il ricordo dell'animale divino.

    Tale scena probabilmente appare in una rozza moneta sannita, che nel rovescio mostra un giovane guerriero stante su una lancia tra un albero (o trofeo) e un Toro giacente: personificazione forse di Cominius Castronius che, allo sdraiarsi del Toro Marzio, prende possesso del suolo a nome della juventus sabina.

    Il costume del ver sacrum non solo non s'interrompe, ma si intensifica: dal tronco principale dei Sanniti si forma il ramo meridionale degli Irpini o «lupi» che, guidati da un lupo sacro (hirpus), andranno ad abitare il bacino del Calore, tra le falde orientali del Taburno e i monti che si stendono sino alle pianure pugliesi: Irpini appellati nomine 'lupi', quem irpum dicunt Samnites eum enim ducem secuti agros accupavere. Il Lupo è notoriamente un altro animale consacrato a Marte e sarebbe stato alla testa di un ulteriore ver sacrum sannita, donde nacque la federazione dei bellicosi Lucani, estesa dalle sorgenti del Sele e del Bradano sino al territorio degli Enotri: il collegamento col greco Lykos («lupo») pare infatti suffragato dalla monetazione lucana, raffigurante appunto una testa di Lupo.



    PICUS E L' ARTE AUGURALE ITALICA

    Romolo e Remo, figli di Marte, dopo essere stati abbandonati alla sorte nella loro culla, "ripescati" dagli arbusti del ficus ruminalis, non furono nutriti solo dalla lupa: anche un picchio miracolosamente inviato, picus Martius, provvide a portar loro giornalmente del cibo, così che i piccini -futuri auguri!- poterno sfuggire alla morte e nutrirsi a sazietà.

    Il picchio era ben noto per il suo potere oracolare e si sa, del resto, come in modo speciale al volo di certi uccelli -tra cui l' aquila, l'avvoltoio, il picchio, il corvo- si rivolgesse l' arte augurale in piena età storica e come a Roma il collegio degli auguri mantenesse il suo prestigio e autorità fino alla fine del sovvenzionamento dello Stato ai culti cosiddetti pagani (ultimo quarto del IV sec. d. C.).

    Nella cerimonia espiatoria che apre i rituali delle Tavole Eugubine grande importanza è assegnata all' osservazione dei movimenti del picchio: "Questa cerimonia si inizi con l' osservazione degli uccelli, il picchio verde e la cornacchia da occidente, oppure il picchio e la gazza da oriente."

    Allo stesso modo, prima della lustrazione, il sacerdote presso le pietre augurali (avieclir) "non si muova prima di avere annunciato il picchio verde da occidente". Altrove, nelle stesse Tavole è fatta espressa menzione di un "agre tlatie piquier martier" e di un "agre casiler piquier martier" ("campo Tlatio Picovio Marzio" e "campo Casilio Picovio Martio"), che il Devoto ritiene senz'altro legati -secondo la sua espressione- ad un "dio picchio PIKU MARTIO".

    Nella elaborazione mitologica romana (non v'è dubbio, infatti, che qui ci troviamo di fronte ad un nucleo mitico autentico e indigeno), l' italico picchio di Marte, abitatore delle selve più fitte, fu identificato con Picus, dio oracolare primevo e fatidico degli Aborigeni, protettore della stirpe laurentina, figlio di Saturno e padre di Fauno, quindi avo di re Latino [segue uno schema, n.d.r.].

    Circe sua moglie o amante respinta, lo avrebbe trasformato nell' uccello dal suo nome. Sotto la forma di rex augur, figura non inedita nell' ambito dell' antica regalità italica, se se ne sono potute ravvisare tracce presso Latini, Siculi ed Umbri, lo descrive Virgilio nella sua ricchissima reggia, facendolo ornato di trabea, ancile e del lituo, o verga sacerdotale augurale:

    "Tectum augustum, ingens, centum sublime columnis,
    urbe fuit summa, Laurentis regia Pici,
    horrendum silvis et religione parentum.
    (...) Ipse Quirinali lituo parvaque sedebat
    succintus trabea laevaque ancile gerebat
    Picus, ecum domitor, quem capta cupidine coniunx
    aurea percussum virga versumque venenis
    fecit avem Circe sparsitque coloribus alas"

    Ora, il picchio e l' arte augurale sabina sembrano collegare Roma e gli Italici nella figura di Tito Tazio, eponimo della romana tribù dei Tities, compagno di Romolo nel regno dopo la guerra per il mitico "ratto delle sabine", che aveva visto le schiere di Tito Tazio, mossosi da Curi, occupare il Quirinale ed il Campidoglio: probabile reminiscenza, anche questa, di una "primavera sacra". Dopo la fusione con i Ramnes, Roma divenne la città dei Quiriti, cioè degli "astati", e Romolo fu detto Quirino.

    Il Devoto ha avvicinato questi dati forniti dalla tradizione con le testimonianze archeologiche delle tombe a inumazione, che nell' VIII secolo a Roma si accompagnavano a quelle a incinerazione: "Il doppio significato che ha la tradizione inumatrice in Roma (protolatina e sabina) determina, con la incinerazione di tradizione protovillanoviana, quella tgripartizione che appare poi nella storiografia tradotta nei termini etnici di Ramni, tizi e Luceri".

    Nei tities si è voluta veder una comunità in possesso di particolari capacità augurali, considerato anche che tatiare significava appunto il cinguettio degli uccelli. Già abbiamo avuto modo di sottolineare l' importanza del fatto che proprio sull' antica rocca Saturnia, poi Capitolium, re Tito Tazio avesse posto la propria reggia e l' auguraculum, e come, fra gli aliquot et sacella da lui eretti in onore di dività sabine, sdoltanto due ospiti divini, Terminus e Juventas rifiutassero l'exaugurazione a vantaggio di Giove Ottimo Massimo. Già si è parlato di Terminus: notiamo per ora, ripromettendoci di tornarvi più avanti, l'interessante accostamento tra l'inamovibile pilastro o stele di Juventas e Tito Tazio, il re che aveva condotto da Cures la juventus dei Sabini.

    e forse non a caso, il "secondo fondatore di Roma", l' inauguratore della nuova età mistico-storica, fu il sabino Numa Pompilio, genero di Tazio e secondo re dell' Urbe, istitutore del pontificato massimo e dei principali collegi sacerdotali romani. Ma un probabile riflesso storico di nuove "primavere sacre" sabine, avanguardia "degli Italici Umbri che si sovrappongono a quei più antichi Sabini di tipo osco o 'proto-Sabini' connessi con la fondazione di Roma", si ha nella testimonianza liviana della calata nell'Urbe da Regillo di Atto Clauso, capostipite della gens Claudia, e dei suoi cinquemila familiari e clienti, nonché della successiva temporanea occupazione del Campidoglio (460 a.C.) da parte di Appio Erdonio con duemilacinquecento uomini.


    Renato del Ponte

  9. #19
    INVICTIS VICTI VICTURI
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    http://www.edizionidiar.com/pitagora.asp



    Cristoforo Andreoli

    La “politica totale” di Pitagora

    Alato, mirabile studio sul pensiero di Pitagora e dei
    Pitagorici. Andreoli fa fiorire la simbologia che si
    addensa intorno a tale corrente di pensiero, spiega
    i motivi dello “stile di vita” pitagorico, indaga le
    ragioni dell'ingresso dei filosofi nell'agone politico.
    Per la cura di Anna K. Valerio, il volume
    comprende infine la versione italiana (con il testo
    greco a fronte) dei Versi Aurei pitagorei, seguita
    da uno scritto sul senso dell'aristocrazia spirituale.

  10. #20
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    Sarebbe interessante annoverare la bibliografia riguardante il pensiero pagano, Dalle antiche origini a nostri giorni, impresa monumentale per la mastodontica quantità di testi.
    Personalmente non sono in grado di riportare questi testi, ne conosco pochi, però qualcuno di Voi credo sia in grado di portare avanti questo impegno.
    Grazie!

 

 
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