Diamo del 'Lei' ai vucumprà
E' un rispetto dovuto
di Paolo Brera
Ai vucumprà danno tutti del "Tu"
E' vero che vendono in nero e non fanno ricevute
Ma sono adulti e meritano il rispetto dovuto
Dare del "Lei" è segno di tollerenza e educazione
La figura è nota a tutti: un vucumprà nero come il carbone (dunque presumibilmente senegalese) con un enorme borsone contenente la mercanzia più diversa. Entra in un bar e chiede un caffè. E il barista glielo prepara, per poi metterlo sul banco con le parole: "Eccoti il tuo caffè. Poi esci, però". E il vucumprà sta zitto. Paga, poi dignitosamente esce.
Che cosa fa indignare l'Indignato? Due cose. La prima, che il barista usi il "tu" per rivolgersi a un cliente sconosciuto. Con me, che anche se sono un bel po' meno bello dei marcantonii senegalesi sono bianco, usa il "Lei". La seconda, che dimostri una simile intolleranza. Sappiamo tutti che a volte gli immigrati che vendono o chiedono soldi danno un bel po' di fastidio, specie quando usano sistemi che nel loro Paese sono comuni, ma in Italia sono maleducati e indisponenti – come quello di piazzarsi davanti a te e non farti passare quando tu hai fretta. Sappiamo tutti che il venditore vucumprà acquista le sue merci da sweatshop cinesi dove la gente lavora diciotto ore al giorno in nero e dove l'atto finale spesso è quello di apporre ai prodotti una griffe illustre (e, si capisce, abusiva). Sappiamo tutti che il vucumprà, a differenza dei negozianti regolari, in genere non s'imbarazza di fatture né in acquisto né in vendita. Tutto questo è vero e desta indignazione il fatto che vi sia in Italia tutta questa tolleranza per questi comportamenti inammissibili e socialmente disgreganti.
Mi è avvenuto di parlarne a un dibattito che avevo organizzato e al quale avevo invitato un extracomunitario islamico e l'estensore del programma anni Novanta della Lega Nord sull'immigrazione. I due sono andati molto d'accordo: Ali Schütz, svizzero, che rivendicava la sua doppia determinazione di musulmano e mitteleuropeo, e Michael Sulay Kanu, due lauree, nato in Sierra Leone ma da decenni ormai italiano (del Nord). A riprova che la realtà dell'immigrazione è ben più complessa di quanto non dicano oggi, in sensi opposti, Cofferati e Bossi.
Gli immigrati, anche quelli più male in arnese, sono esseri umani adulti, ai quali è dovuto il rispetto che si deve agli esseri umani adulti, quale che sia il colore della loro pelle. Le grandi città d'Italia sono ormai interrazziali (e purtroppo anche interetniche, che non è un bene). La prossima generazione di italiani sarà di tutti i colori, e a mio parere è un'ottima cosa. Sarebbe però un male se pur nella diversità fisica non ci fosse, a cavallo dell'intero spettro dei colori epidermici, l'uniformità su un punto: una cultura fatta di tolleranza e di educazione.
Diamo del Lei agli immigrati. Non per mantenere le distanze ma per mostrare rispetto. Ed esigiamo da loro il rispetto delle nostre leggi. È la sola via per non uscire a pezzi dalla globalizzazione.
(11 LUGLIO 2002, ORE 190)
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Questa è l'ultima pirlata di tal giornalista Paolo Brera, che purtroppo porta un cognome di tutto rispetto e molto caro a noi Padani.....
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