Storia segreta dei rapporti tra Cia e Mossad
Editore Gamberetti 1993



Quando, nella notte del 17 gennaio 1991, i primi missili Scud colpirono Tel Aviv, furono le pressioni degli Stati Uniti a impedire una risposta armata israeliana. Come contropartita gli americani offrirono, oltre ai missili Patriot, sostanziose compensazioni per i danni causati dai bombardamenti, fondi per la sistemazione degli ebrei russi immigrati, e decisero di ignorare la questione degli insediamenti ebraici nei territori occupati. Secondo Andrew e Leslie Cockburn, questo rappresenta una svolta fondamentale nei rapporti fra Stati Uniti e Israele: per la prima volta, lo stato ebraico viene ricompensato per restare in panchina. Gli Stati Uniti sembrano decisi a prendere personalmente l'iniziativa nella regione e non affidarsi più a quello che, in virtù di una collaudatissima tradizione, è il loro braccio armato in Medio Oriente e in altre zone "calde" del mondo.
Della special relationship il lavoro dei Cockburn studia un aspetto per definizione oscuro, vale a dire i rapporti fra i servizi segreti esteri dei due paesi. Due sono i punti di forza del libro: uno è il fondarsi in gran parte su testimonianze dirette dei protagonisti più o meno noti delle vicende attraverso interviste che i Cockburn hanno raccolto nel corso di lunghi anni di lavoro in tutto il mondo. L'altro, e non meno significativo, è l'impiego di documenti in ebraico. Una delle maggiori difficoltà che incontra chi si occupa di Israele, sia pure in relazione agli Stati Uniti, è infatti la barriera linguistica, che impedisce di cogliere pienamente il dibattito in corso al suo interno, molto più ricco e duramente autocritico di quanto le fonti in lingua inglese lascino trapelare (è noto il detto secondo cui il "Jerusalem Post" serve soprattutto ad allietare la colazione dell'ambasciatore americano).
Particolarmente degno di nota nel libro è poi il modo in cui gli autori riescono a ricavare da un materiale che (come la testimonianza di personaggi non di rado ambigui o discutibili) ben si presta ai facili scandalismi, un lavoro senza le ridondanze e gli autocompiacimenti che la definizione di "storia segreta" fa temere.
Con uno stile degno dei migliori romanzi di spionaggio (che la traduzione si sforza, con alterno successo, di restituire), i Cockburn espongono in dettaglio il ruolo svolto dai servizi segreti israeliani nel corso di quattro decenni quali esecutori per conto di quelli statunitensi. In particolare, gli israeliani si fanno carico di tutta una serie di operazioni che agli americani sarebbero precluse per la loro inaccettabilità rispetto all'opinione pubblica e al Congresso, in quanto spesso compiute a difesa o su incarico di regimi colpevoli di orribili violazioni dei diritti umani - dalle forniture militari all'addestramento degli "squadroni della morte" per le dittatore di destra in America latina, al traffico internazionale di armi e droga che ne consentono il finanziamento.
In molti casi i Cockburn non rivelano segreti clamorosi, come quando parlano dello spionaggio che gli israeliani praticano ai danni degli Stati Uniti per elaborare i propri progetti nucleari, ma il quadro che creano riesce comunque ad essere avvincente e a rendere conto dei tortuosi sentieri che connettono operazioni apparentemente scollegate nelle aree più diverse. Nuove e interessanti sono soprattutto le parti relative al ruolo del Mossad nell'Africa sudsahariana negli anni sessanta, quando preesistenti canali commerciali vennero riutilizzati per la vendita di tecnologie militari e per l'addestramento di unità antiguerriglia da impiegare contro qualsiasi minaccia sovietica (col risultato di appoggiare, fra gli altri, l'Uganda di Amin, e di instaurare stretti rapporti col Sudafrica permettendo alla Cia di aggirare l'embargo delle Nazioni Unite contro il regime di Pretoria).
I Cockburn dimostrano pure quanto sia limitativo vedere nella collaborazione fra Israele e Stati Uniti soltanto il frutto delle pressioni della lobby ebraica: se il peso dell'Aipac non va trascurato, va però detto che, a partire dagli anni sessanta e soprattutto dopo la guerra dei Sei Giorni, Israele riesce a presentarsi come una preziosa carta strategica per gli Stati Uniti, non solo, ma fra i due paesi esiste una vera comunanza di interessi. In particolare, la guerra del 1967, lungi dall'essere il caso di Davide e Golia della retorica ufficiale, costituirebbe il momento culminante della guerra fredda, l'esempio perfetto di "lavoro ben fatto" da Israele per conto degli americani, con l'unica vera preoccupazione riguardante non la sopravvivenza dello stato ebraico, ma la durata della guerra - sei oppure sette giorni. Anche questa non è storia nuova, ma è molto stimolante il modo in cui viene inserita nell'ambito del bipolarismo. Il punto di maggiore convergenza degli interessi americani e israeliani non è però la lotta al comunismo, una carta che i secondi spesso giocano a uso e consumo dei primi per ottenere concessioni di varia natura, quanto la battaglia contro il cosiddetto terrorismo internazionale: con tale espressione si intendono, da parte israeliana, le azioni di gruppi armati arabo-palestinesi; per gli americani, il significato si estende a molte altre forme di guerriglia filocomunista, o sospetta tale (come i Cockburn fanno notare, gruppi che impiegano tattiche analoghe ma sono appoggiati dagli Stati Uniti vengono definiti combattenti per la libertà).
Proprio sul piano della crociata antiterrorista si registra, da Reagan in poi, un cambiamento di prospettiva nei rapporti fra i due paesi, allorché gli Stati Uniti iniziano a prendere in misura crescente iniziative dirette - in una parola, ad assomigliare sempre più a Israele. Si può quindi supporre che proprio l'era reaganiana segni l'avvio di un processo che vede Israele perdere il suo ruolo esclusivo e l'America cominciare a rivolgersi ad altre fonti, ad esempio incoraggiano l'industria bellica egiziana (fornitrice dell'Irak), durante la guerra lran-lrak, in modo da armare entrambi i contendenti ed evitare gli squilibri derivanti dalla vittoria netta di uno solo.
Ma se Israele sembra perdere di importanza strategica negli anni ottanta, i vertiginosi aumenti della spesa militare voluti da Reagan mettono in luce e promuovono un altro elemento fondamentale, se pur meno noto, del legame israelo-americano: i vantaggi che da almeno venticinque anni questo sodalizio porta al complesso militare-industriale statunitense. Sin dai clamorosi successi dell'aeronautica nella guerra dei Sei Giorni (successi, i Cockburn rivelano, tali solo nelle pubbliche dichiarazioni), Israele funge da agente pubblicitario per i prodotti bellici americani, e lo fa con tanto zelo da non esitare ad alterare vistosamente i risultati di esperimenti e prove sul campo. Vari casi sono citati: fra i più clamorosi, quelli dei missili Maverick, dimostratisi inutili tanto in Vietnam che nella guerra del Kippur; Sparrow, che dalla loro introduzione nel 1958 hanno colpito solo quattro bersagli, tra cui un aereo americano su oltre duemila lanci; e gli stessi Patriot, che a Tel Aviv causano altrettanti danni degli Scud senza colpirne neppure uno. Inutile dire che il lato a dir poco grottesco della situazione è reso in maniera esemplare.
La conclusione dei Cockburn è che la fine della guerra fredda, l'evidente interesse americano a una stabilizzazione nella regione tale da non turbare l'accesso alle fonti petrolifere, e l'affermarsi di una politica di intervento diretto degli Stati Uniti, hanno determinato un ridimensionamento del ruolo di Israele quale bastione degli interessi americani in Medio Oriente. Questo viene a ripercuotersi fortemente sull'industria bellica israeliana, che si trova a fronteggiare la minaccia della pace. Analogamente, i servizi segreti, i cui contatti nell'ex blocco socialista sono resi molto meno preziosi (e la guerra del Golfo lo ha dimostrato) dalla possibilità per gli Stati Uniti di procurarsi le informazioni direttamente alla fonte, corrono ora il rischio di dover trovare un altro modo di te-



recensione di Cremoni,
L'Indice 1993, n.10