DIVERSO PARERE
Dopo l'apprezzabile idea di dedicarne uno a Montanelli

di Francesco Zuzic - zuzic@tin.it

Nicolò Tommaseo, nato a Sebenico nel 1802, sognava di unire l’Italia frattagliata di allora in un solo suo “nido”. Gli fummo riconoscenti per aver contribuito a fare chiarezza nel caos dialettale di un Paese allora unificando. I veneziani gli furono grati e i loro nonni, bisnonni o trisnonni decisero di erigergli un monumento a Venezia in Campo Santo Stefano. Erano tempi nei quali si ammiravano monumenti equestri, i grandi condottieri erano sistemati a cavallo con lancia o spada sguainata. Ma i grandi scrittori dove potevano essere sistemati? Il ricorrere alla simbologia era indispensabile.
E la simbologia, nel caso di Tommaseo, fu individuata in un’infelice pila di libri sistemata sulla base del capitello della statua stessa, proprio alle spalle del nostro. Il quale veniva scolpito in piedi, come stanno peraltro in piedi i vecchiotti, seppure di pietra, quindi leggermente piegati sull’osso sacro. I libri apparivano, pertanto, come fossero i suoi rifiuti organici, ovvero, in termine più scientifico, scarti metabolici. Chiedete a qualcuno della Liga Veneta quale nomignolo fu dato al Tommaseo per via del monumento. Basta anche oggi una sola parola per sintetizzarlo, indicare a Venezia un punto di incontro. Se, del caso, si dice: “Soto el...”.Basta una sola parola. E a me occorre, per descrivere autore e monumento, una mezza colonnina di giornale. Chiaro no? Una lingua civile e corretta è piuttosto complessa. Un dialetto sintesi ha. Consente fulminee informazioni.
E poiché un fatto tira l’altro, ricordiamo ora Montanelli. Ci ha lasciato un anno e mezzo fa. Il monumento glielo dovranno pur fare. Per due terzi di secolo fu attento e intelligente analista di fatti e loro interpretazioni. Non solo... si espanse anche nella cultura storica lasciandoci una “Storia d’Italia” densa di scoperte. Una di queste: lo sbarco in Sicilia dei Mille fu dovuto anche a slancio patriottico, peraltro inoculato come alternativa a un paio di corna. Gli erano state messe da una contessa del Lago di Como del quale era ospite e innamorato. Per rabbia, tipica dei becchi, passò dalle corna all’unità d’Italia. Forse sotto i baffi ridacchiò anche Vittorio Emanuele II. In ogni modo riporto storia documentata da Indro. Meno che la reale risata, marginale ipotesi dello scrivente.
Certo Ferruccio De Bortoli, dal Corsera, lo suggerisce il monumento a Indro. Lo fa quasi tutti i giorni per coprire quella diminuzione di pubblicità pagata che sembra stia aggredendo anche il suo giornale, il più pesante d’Italia (in quanto a pagine). Vi pubblica la pubblicità dei libri di Montanelli davanti alla sua macchina da scrivere, con quel suo naso lungo che sapeva annusare cosa stava dietro ai fatti che descriveva. Montanelli oggi costa meno dei contenuti di articoli pagati. Perché l’immagine dei defunti non si paga.
Nessun omaggio visivo ai computerini, il nostro più grande giornalista non li aveva mai usati. Almeno un po’ di pubblicità editoriale da Compaq o Toshiba la si poteva catturare. No, la vecchia Olivetti non la paga più. Adriano Olivetti, ma chi era costui? L’anteprima di Carlo De Benedetti? Ma come faceva Indro a correggersi sulla sua Olivetti? Velocità, qualità, quantità di quanto scriveva avevano del miracolistico. Il suo vero software era nella testa.
Certo altri grandi crescono a quella scuola. Oppure si limitano a sognare quell’immagine, quel naso, quel software. Alcuni, i più vecchi, si aggrappano a qualunque fatto e cercano nell’ironia una fama che alla fine regali loro un monumento funerario. Ma l’ironia non basta. È difficile da simboleggiare. L’ironia non si può colare in nessuno stampo anche se è bronzo fuso. Quando altri giornalisti ci lasceranno, che immagine potremmo colare loro intorno?
Prendiamo Biagi, che tra l’altro è anziano, ma non certo per essergli iettatori. I suoi fatti ci regalano anche occasioni di banali discussioni. Potremmo farlo sedere su un televisore: mi sembra più corretto che esporlo a chi lo ammirava davanti a un televisore. Questo apparecchio lo ha contenuto per anni, lo ha fatto crescere, conoscere. Lo ha fatto guadagnare e amare dalla sinistra, ma anche guadagnare e odiare dalla destra. Odio e amore di fatto convivono come due glutei in perenne contatto, ma su posizioni opposte. Glutei sono, che comunque arricchiscono. Biagi ha scritto, e scriverà ancora, tanti libri. Però mi sembrerebbe ripetitivo riproporre per lui il tronetto di libri di Nicolò Tommaseo. Non vorrei che l’ultima opera di Biagi fosse la “Storia del vino Ferrari”, lavoro inebriante che, si dice, pensa di scrivere in omaggio all’invitto produttore.
Dai fatti al vino il passo è breve. E poi in vino veritas.
Certo che il monumento non sarebbe a Venezia. Perché lì “el vin se beve... tutal più ai veci el fa pisolar... ma anca contar fati inventai”.
Sì, perché invecchiando la prostata tiene sempre meno e il cuore s’ingrossa e batte meno bene di prima.